L'essere straniero per me non è altro che una via diretta al concetto di identità. In altre parole, l'identità non è qualcosa che già possiedi, devi invece passare attraverso le cose per ottenerla. Le cose devono farsi dubbie prima di potersi consolidare in maniera diversa.
E' stato da poco pubblicato un interessante libro scritto dai Sinti Emiliani: Vladimiro Torre, Walter Relandini, Gelsomino Casalgrande, Catia Truzzi, Maurizio Esposti, Margherita De Bar, Alberto Truzzi, Sabrina Torre, Mara Bellinati, Floriano Debar. Il libro è curato da Paola Trevisan ed edito dal CISU nella collana romanes, diretta da Leonardo Piasere. Sicuramente molti di voi conoscono uno degli autori, il Presidente dell'Associazione Them Romano di Reggio Emilia, Vladimiro Torre. E' stato Vladimiro l'ideatore e il motore di questa importante iniziativa editoriale. Inviatiamo tutti ad acquistare il libro e a diffondere uno dei pochissimi testi dove i Sinti si raccontano. Segnaliamo all'interno dei vari racconti le testimonianze sull'internamento nei campi di concentramento italiani che possono essere utilizzate in questi giorni di manifestazioni per Il Giorno della Memoria. Naturalmente pensiamo di presentarlo nei prossimi mesi a Mantova e nelle altre realtà locali dove lavoriamo.
Gli Autori di questo libro appartengono a una delle comunità di Sinti Italiani che da diversi secoli vive nel Nord ed in parte del centro Italia. Essi appartengono a quella rete di famiglie che fra gli anni ‘50 e ‘60 si fermarono in alcune zone dell’Emilia, soprattutto nelle province di Reggio Emilia, Modena e Bologna. Narrare dall’interno di queste reti familiari non è la stessa cosa che narrare da individuo singolo, che deve concentrarsi solo su se stesso e, nello stesso tempo, significa anche confrontarsi più o meno indirettamente con i gagi, ovvero gli appartenenti alla società maggioritaria (in senso numerico). Poiché a Reggio Emilia sono stati i Sinti più impegnati nell’associazionismo a voler fare questo libro, è interessante chiedersi a che pubblico si rivolgano nel raccontare le vicende della propria vita. Gli Autori si rivolgono contemporaneamente ai sinti e ai gagi, in un continuo intreccio di prospettive che non smette mai di rimarcare quello che è il proprio punto di vista sul mondo. Infatti, se i criteri che rendono vero e dicibile un racconto orale rimangono invariati nella fase della trascrizione/scrittura/riscrittura, gli Autori sono consapevoli delle diverse modalità con cui ci si può presentare all’esterno, ai gagi. Va evidenziato che nessuno parla del proprio gruppo come marginale, in crisi, o in via di modernizzazione/trasformazione, e anche quando i sinti raccontano di violenze e soprusi subiti lo fanno mettendo in risalto l’assurdo modo di agire e di pensare dei gagi, più che il fatto di percepirsi come vittime. I sinti più anziani raccontano anche le vicissitudini subite durante la Seconda Guerra mondiale e il regime fascista, che li internò in un campo di prigionia sull’Appennino modenese, e i loro ricordi hanno trovato riscontro nell’archivio comunale di Prignano sulla Secchia (MO). Rendere fruibili al pubblico le loro storie significa anche riflettere sulle fonti orali e sulla loro relazione con la storia, quella scritta dagli appartenenti alla società maggioritaria (in senso numerico).
La curatrice Paola Trevisan, è stata assegnista di ricerca e professoressa a contratto di Antropologia Culturale presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Firenze. E’ dottoranda presso il Dipartimento di Storia, Geografia e Arte dell’Università di Castellón de la Plana (Spagna). Per contatti diretti: trevimonti@tin.it
Di Fabrizio (pubblicato @ 10:23:22 in Kumpanija, visitato 2408 volte)
Il giorno della memoria, con il suo strascico di orrori e
carneficine... Mi ricordo i racconti di mia mamma: la guerra, la
fame, le persecuzioni, hanno anche un loro lato di inquietante
normalità. Anche chi non è passato dai campi d
sterminio, ne ha portato il segno. Dijana Pavlovic', nella
sua intervista, raccontava della ricerca svolta per vedere quegli
anni con lo spirito di un bambino, che era anche Rom. Ma cosa
accadde realmente in Italia ai nostri nonni? Chi lo visse racconta, e
non sembri strano se recupero la memoria di un saltimbanco... un
pagliaccio, da un libro che ha il grande pregio di un linguaggio
perfettamente comprensibile anche ai bambini. Un libro scritto, come
se fosse raccontato a voce, e che proprio così, con la sua
grammatica colloquiale, ci introduce nella vita dei Sinti del
sanguinoso secolo XX.
DaSTRADA, PATRIA SINTA (U DROM
MENGRO CIACIO GAUV)diGnugo De Bar edizioni
FATATRAC ...Mio nonno era Jean De Bar, un sinto valcio che in
lingua nostra vuol dire "francese". Scese in Italia a piedi
nel 1900. Lasciò i genitori in Francia e venne a tentare la
fortuna, senza niente, a quindici anni, solo con qualche costume da
saltimbanco. Era uno dei più bravi contorsionisti del
mondo, ma era bravo anche a fare i salti di scimmia, in altre parole
i salti mortali al tappeto: ne faceva sei, sette o anche otto. I
De Bar sono una famiglia di saltimbanchi da sempre. Anche mio
nonno aveva imparato a guadagnarsi la vita così. Lui
posteggiava, che nella nostra lingua significa proprio fare i numeri
di saltimbanco all'aperto, davanti alle chiese, nei mercati e nelle
fiere.
... Poi venne il 1939, un bruttissimo anno.
L'Italia e la Germania avevano rotto il patto di non belligeranza con
la Francia. Era autunno e la mia famiglia s'era appena fermata al
Bacino di Modena per fare la sosta dopo la stagione delle fiere. Da
noi s'usa così infatti. Quando si lavora la famiglia si
divide, poi d'inverno ci si ferma tutti insieme. Quell'anno la
famiglia s'era fermata appunto nella Strada Bacino, che oggi credo si
chiami Due Canali e c'erano insieme al nonno, lo zio Noti e la zia
Mariettina con tutti i propri figli. Lo zio Carlo era invece ancora a
fare la stagione in Lombardia e per lui fu una vera fortuna. Mio
padre aveva appena conosciuto la mamma Albertina, detta Gonia, che
veniva da una famiglia che girava con le giostre. Un mattino che
piovigginava, mi hanno raccontato, molto presto hanno sentito bussare
alle carovane, si sono svegliati e hanno visto le carovane circondate
da militari, carabinieri, questura. Dicevano che si doveva fare
quello che volevano loro e che avevano l'ordine di sparare se
qualcuno si fosse opposto. Piantonarono tutto il giorno e la notte
intera, prendendo il nome e il cognome a tutti, poi, il mattino
seguente, condussero tutti quanti nel campo di concentramento di
Prignano e ci portarono via tutti i muli e i cavalli che avevamo. In
Italia con le leggi razziali, fecero molti campi di concentramento
per sinti, che nell'intenzione dovevano servire per smistare le
nostre famiglie verso la Germania e la Polonia. So per certo che
ce ne erano a Berra di Ferrara, a Fossa di Concordia, a Pescara, e
anche un paio nel bolognese che non ricordo più i nomi. Se
una deportazione di sinti non c'è stata, è stato solo
per grazia della Regina Elena (che veniva dal Montenegro) che nel
1941 ci difese e impedì quello che poteva avvenire. C'era
anche il campo di concentramento di Fossoli per gli ebrei, ma questo
lo si conosce. Gli ebrei dopo la guerra hanno avuto il coraggio di
parlare, di ricordare. Noi sinti no. Io, per esempio, mi sono
sempre vergognato di dire d'essere nato in un campo di
concentramento. Molti di noi ricordando di Prignano parlano
dicendo "quando ci misero da quel contadino...". Ma quale
contadino? Quello era un campo di concentramento fatto per sinti, e
io ho trovato il coraggio di raccontarlo solo dopo che ho parlato con
degli altri gitani spagnoli e altri sinti tedeschi e francesi. Nella
nostra lingua, mi hanno detto che nei loro Paesi dopo la guerra hanno
potuto raccontare le loro storie, giornalisti e scrittori si sono
preoccupati di quelle violenze che avevano subito e hanno scritto
molte cose. In Italia no, non si trova il coraggio; ma io credo
invece che sia giusto raccontare.
PRIGNANO
A Prignano c'era il filo spinato e qualche baracca. poche perché
noi avevamo le nostre carovane. Tutto era controllato da carabinieri
e militari che nei primi giorni non ci facevamo mai uscire. Poi,
dopo un po' di tempo, decisero che dal campo potevano uscire quelli
che volevano andare a spaccare le pietre per le strade a cinque lire
al giorno. Così tutti andavano, anche per poter avere qualcosa
da mangiare. Le guardie due volte al giorno facevano l'appello e
il contrappello. C'erano dei turni di un'ora e mezza in cui le donne
potevano andare in paese a fare la spesa. I carabinieri erano i più
cattivi e vigilavano anche all'osteria, tanto che non si riusciva
nemmeno a fare una bevuta di un bicchiere di vino in santa pace. Dopo
un mese che s'era nel campo venne un ordine del Ministero della
Guerra: presero mio nonno Giovanni e lo portarono nel campo di
concentramento a Civitella del Tronto perché fu riconosciuto
detenuto politico, per il solo fatto di essere cittadino francese. Lì
passò sacrifici e miserie insopportabili. Nel 1940 nasco io.
Mio padre chiede ai carabinieri di portare la mamma all'ospedale di
Sassuolo, ma dicono di no. Così nasco al freddo dentro una
carovana al lume di candela. E' un anno in cui tutti piangevano il
nonno per morto, perché non si sapeva dove l'avevano portato e
se fosse ancora vivo. Solo nell'autunno del 1940 concessero al nonno
di scrivere una lettera. Nessuno ha ancora capito perché il
nonno venisse considerato prigioniero politico, mentre poi hanno
obbligato i suoi figli a servire la patria andando in guerra. Dal
1941, infatti, dopo l'intercessione della Regina, cominciarono a
considerarci non più deportabili ma arruolabili, per cui
iniziarono a far partire scaglionati e a forza tutti gli uomini in
età.
... Poi venne il famoso 8 settembre 1943,
quando l'Italia fece l'armistizio con gli Alleati. A Prignano quel
giorno vennero i carabinieri e dissero: "Siete liberi di nuovo",
ma nessuno ci credeva veramente. E il maresciallo disse: "Potete
andare via come facevate prima", ma la nonna, che era il
riferimento di tutta la famiglia rimasta, non sapeva più dove
andare senza figli e senza il nonno. Così che mentre tutti gli
altri sinti si rimettevano in viaggio e lasciavano quel posto
maledetto, la nostra famiglia rimase lì ad aspettare che
succedesse qualcosa.
IL RITORNO DEL NONNO
Un bel giorno dell'ottobre 1943 videro
tornare a casa mio nonno, liberato perché i francesi erano di
nuovo amici e ci furono momenti di allegria e di gioia, ma anche di
passione per i figli al fronte. Poi mio nonno venne giù a
Modena e andò dall'amico commerciante di cavalli, Tullio
Pellicani. Quando gli raccontò ciò che aveva subito nel
campo di prigionia, il Pellicani si mise a piangere e gli diede a
credito un mulo e un cavallo per tornare a fare gli spettacoli:
"Scegliti quelli che vuoi, me li pagherai quando avrai i soldi".
Poi il nonno tornò a Prignano.
Quando i carabinieri videro il nonno
con i due animali lo accusarono subito di furto e telefonarono
all'allevatore di Modena che disse: “Io a Giovanni ne avrei
dati anche di più, ma lui si è accontentato di quelle
due bestie!”
Allora il maresciallo dei carabinieri
si scusò con il nonno, gli strinse la mano e lo considerò
persona degna di fiducia e di stima.
Dopo qualche giorno la mia famiglia
lasciò definitivamente Prignano e si fermò a Modena.
Qui si trovarono tutti i figli rimasti della zia Mariettina, dello
zio Noti e del nonno, andarono a manghel un po' di vino (manghel
significa “andare a chiedere”) e una sera fecro una
grande festa d'addio. Al mattino infatti le tre famiglie si divisero:
la zia Mariettina con i suoi figli cominciarono a girare nella zona
di Milano, lo zio Noti verso Ferrara e la Romagna (poi nel
bolognese), noi nel mantovano e nel modenese. Continuavamo a
posteggiare, anche se gli uomini nello spettacolo erano pochi perché
i figli del nonno erano tutti al fronte.
Visto che mancava anche il toni (il
pagliaccio ndr.) per un periodo fu mia mamma a ricoprire quel
ruolo. Il suo nome era il più buffo e strano mai sentito in
una pista da circo: “Conserva”. Vestita da toni faceva
anche le entrate.
....
... e il racconto continua, con la
Resistenza, il dopoguerra, la crisi del circo. Se riuscite a trovarlo
leggetelo, altrimenti qualche altro brano lo ritroverò in
seguito.
Disclaimer - agg. 17/8/04 Potete
riprodurre liberamente tutto quanto pubblicato, in forma integrale e aggiungendo
il link: www.sivola.net/dblog.
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza nessuna periodicita'. Non puo' pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001. In caso di utilizzo commerciale, contattare l'autore e richiedere l'autorizzazione. Ulteriori informazioni sono disponibili QUI
La redazione e gli autori non sono responsabili per quanto
pubblicato dai lettori nei commenti ai post.
Molte foto riportate sono state prese da Internet, quindi valutate di pubblico
dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla
pubblicazione, non hanno che da segnalarlo, scrivendo a info@sivola.net
Filo diretto sivola59 per Messenger Yahoo, Hotmail e Skype
Outsourcing Questo e' un blog sgarruppato e provvisorio, di chi non ha troppo tempo da dedicarci e molte cose da comunicare. Alcune risorse sono disponibili per i lettori piu' esigenti: