Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Articoli del 09/01/2006




|
Pubblicato su “il Nostro tempo”, Domenica 28 Marzo ’04, n.12, p.3 – intervista di Silvio Mengotto. A quasi due anni di distanza, facciamo il punto della situazione:
Dal 1983 Licia Brunello lavora in classe con i ragazzi e incontra le famiglie al campo nomadi di via Idro. Però la riforma farà sparire la facilitatrice culturale
Lungo il Naviglio Martesana, all’incrocio con il fiume Lambro, termina via Idro dove dal 1990 c’è uno dei sette campi nomadi autorizzati dal Comune. Siamo al confine di Crescenzago a Milano. Il campo di via Idro ha un contesto campagnolo, confina con un vasto prato dove, specie in estate, pascolano cavalli, caprette, qualche mucca e maialini allevati dai Rom stanziali di etnia Harvati. I Rom sono da 35 anni nel quartiere. Harvati è il nome della regione dell’ex Jugoslavia da dove provengono. Nel campo la popolazione stimata è di circa 150 persone e 24 famiglie. Più della metà sono giovani e bambini ( da 0 a 18 anni ). La peculiarità del campo di via Idro è quella di avere, tra gli altri campi nomadi, il più alto tasso di scolarità. Un risultato che premia l’impegno di integrazione svolto dalla scuola elementare Eleonora Pimmentel ( via F. Russo ) che ospita i bambini Rom in età scolastica dagli anni ’80, grazie anche ai pontieri di questa integrazione non scontata e che porta il nome di Licia Brunello, insegnante di ruolo dall’86. Da quella data Licia Brunello ha iniziato la doppia avventura: scolastica e con i bambini Rom. Le abbiamo rivolto alcune domande.
Come è nata questa avventura scolastica con i bambini Rom?
“ Nasce all’inizio della mia carriera scolastica per puro caso. Essendo l’ultima arrivata fui prescelta dalla scuola con questo incarico di scolarizzazione dei bambini Rom di via Idro. Assunsi il ruolo di facilitatrice culturale. E’ dall’inizio della mia attività scolastica che mi sono occupata aspettando una nuova insegnante che potesse innamorarsi di questa situazione e passare il testimone. Cosa che, in parte, è avvenuta con Angela Sacco ora insegnante all’Università”.
Quali le tappe di questa scolarizzazione dei bambini Rom ?
“Quando incominciai mi resi conto che c’erano problemi oggettivi ai quali bisognava dare risposte concrete e immediate: quaderni, libri, penne, abiti. I soli supporti didattici non bastavano. I bambini Rom non parlavano l’italiano e avevano una cultura, schemi e regole completamente diversi dalle nostre. Dovevamo fornire loro anche una serie di servizi: colazione, docce, guardaroba, raccolta abiti, una stanza con lavatrice per governare tutto questo e fornire loro dei ricambi. La situazione nel corso degli anni è migliorata tantissimo anche perché sono migliorate le stesse condizioni e relazioni al campo e con le famiglie. All’inizio grande fatica e auto-selezione. Una prerogativa della comunità Rom è l’esistenza di una identità precisa del clan familiare. Questo significa che esistono famiglie aperte alla collaborazione e altre più diffidenti o chiuse con i “gagi”, come definiscono tutti coloro che non sono Rom. Da questo dipende il successo della scolarizzazione. Ancora oggi al campo la scolarizzazione è abbastanza capillare. Quest’anno sono 17 gli iscritti e 14 i frequentanti. Sette alle medie e 3 alle superiori. Per noi un successo. La scolarizzazione si è allargata non solo a tutta la comunità, ma anche in termini di cicli scolastici. Oggi frequentano anche la materna. Un fatto impensabile solo qualche anno fa”.
|
I bambini Rom denotano un particolare comportamento in classe?
“Tolti i primi giorni di inserimento nell’intera classe i bambini Rom hanno un atteggiamento come tutti gli altri. Ho notato, ma questa è una sensibilità personale, che i bambini Rom nei confronti dell’insegnante, dell’autorità, assomigliano ai bambini di una volta. Mi sembrano più attenti, aperti, curiosi e rispettosi. Più genuini e diretti. Con loro è fondamentale instaurare un rapporto empatico forte. Al di là del ruolo è essenziale avere una relazione e che si sentano amati. Di fronte a questo lasciano cadere qualsiasi difesa e, in parte, questo si verifica anche per gli adulti. In questi anni abbiamo creato eventi e promosso attività che potessero realizzare un collegamento tra scuola e il campo. Le occasioni sono state le più svariate: il Natale, fine anno scolastico. Con le classi abbiamo fatto uscite didattiche al campo. Ora stiamo lavorando ad un progetto esclusivo per i bambini Rom: un laboratorio teatrale, nel quale dovranno creare una storia di loro invenzione, dove vengono rappresentate le loro tradizioni e la loro cultura. Spettacolo che rappresenteremo a scuola e al campo a fine anno scolastico.
Hai frequentato il campo di via Idro?
“All’inizio i Rom sostavano in via Agordat. Un campo dove le condizioni igieniche erano spaventose. Un centinaio di persone con una sola fontanella. Fosse biologiche inesistenti. Avevano costruito latrine a cielo aperto con caduta libera nel naviglio Martesana. Abiti usati sino all’indecenza per poi bruciarli nell’impossibilità di lavarli. Dopo lo spostamento le cose sono migliorate. Il campo di via Idro è attrezzato di bagni e servizi. Molte famiglie hanno costruito delle piccole case di legno, probabilmente abusive, ma questo ha migliorato le loro condizioni di salute e li ha obbligati ad avere più cura delle loro abitazioni. In questo modo si sono sentiti in una situazione più stabile e protetta. Ho frequentato il campo per molti anni e per alcune famiglie sono diventata amica. Per loro non sono solo la maestra. Questa lunga frequentazione si è trasformata, nel tempo, in una relazione significativa che ha permesso di ottenere risultati che difficilmente una scuola, una pur brava maestra, avrebbe potuto ottenere. Il rapporto individuale con i Rom è molto importante ! Ho conosciuto famiglie Rom che ora abitano nelle case popolari, ho notato che hanno perso molto di quella cultura che, in un certo senso, li proteggeva dall’ideologia malavitosa delle città. Entrando in contatto con la malavita ne sono rimasti contaminati. Per esempio la droga in via Idro non poteva entrare perchè gli anziani proteggevano i giovani e il campo attraverso la trasmissione di insegnamenti della loro cultura”.
Qual è il futuro per questi bambini?
“La nuova riforma scolastica non prevede più la mia figura di facilitatrice culturale. Temo che questo anno scolastico sarà l’ultimo con questo ruolo. Ciò che mi preoccupa non sono solo i tagli al personale, ma soprattutto l’eliminazione di tutti i momenti di collegialità e compresenza, che sono sempre stati il punto cardine della nostra scuola al fine di riuscire a organizzare gli interventi un po’ speciali, come quello con i bambini Rom, ma che permettevano di dare risposte mirate all’integrazione culturale. Quest’anno abbiamo subìto nuovi tagli. Avevamo cinque distacchi per l’integrazione dei bambini stranieri e Rom, ne è rimasta una sola. E’ un anno difficile perché devo tentare di dare delle risposte che siano efficaci e passare la mia esperienza alle insegnati che avranno questi bambini”.
11 marzo 2004 - Silvio Mengotto
Cambiamenti a gennaio 2006:
Ho ritelefonato all'insegnante:
“La situazione praticamente non è cambiata. Abbiamo anche manifestato, incontrato il Provveditore, alla fine quest'anno ci sono 12 ore in più. Abbiamo sfruttato le sinergie del laboratorio linguistico per studenti stranieri. Nel frattempo, c'è stata almeno la soddisfazione del riconoscimento di questoo lavoro da parte della Provincia. Attualmente, il Consiglio di Zona ha erogato un contributo per il recupero scolastico anche al campo. Non molti soldi, abbiamo preparato il progetto, e affrontato man mano le difficoltà che nascevano di volta in volta:
-
la sostituzione dell'insegnante che doveva lavorare sul posto
-
i lavori di manutenzione nel campo, per cui nelle aule dove si sarebbero tenuti i corsi ora non c'è illuminazione.
In qualche modo speriamo di iniziare a metà gennaio. Aggiornamenti a presto.”
Ricevo e porto a conoscenza: COMUNICATO STAMPA
SCANTINATI, CONTAINER E CORRIDOI PER GLI SGOMBERATI DI VIA LECCOECCO LA SOLUZIONE DI ALBERTINIDichiarazione di Luciano Muhlbauer (Consigliere Regionale Prc) Il Comune di Milano aveva motivato lo sgombero di natale degli oltre 200 rifugiati di via Lecco con il fatto di aver trovato delle soluzioni alternative. Secondo l'assessore Maiolo, queste sono da considerarsi addirittura "definitive" per i prossimi sei mesi. Insomma, tutto risolto e quanti continuano a criticare il comportamento degli amministratori milanesi, compreso il presidente della Provincia, Penati, sarebbero semplicemente dei sobillatori. Oggi, su invito delle associazioni che sono sempre state vicine al dramma umano dei profughi, ho visitato tali "soluzioni definitive", situate in via Pucci, via di Breme, via Ortles e via Anfossi. Da sottolineare che, su indicazione diretta dell'assessore Maiolo, come lei stessa mi ha confermato, mi è stato impedito fisicamente di accedere a tre luoghi su quattro, nonostante si trattasse di spazi di proprietà pubblica e gli stessi rifugiati ospiti mi invitassero ad entrare. Insomma, un consigliere regionale può visitare un carcere o un Cpt, ma non le strutture di accoglienza del Comune di Milano. La ragione di tale ostinata e apparentemente incomprensibile segregazione, denunciata già da giornalisti di diverse testate, si sarebbe presto scoperta. In via Pucci, unico luogo che ho potuto visitare a fondo, una sessantina circa di rifugiati, uomini e donne, sono sistemati in una serie di container, in ognuno dei quali dormono tre o quattro persone. Ma la cosa più impressionante -anche dal punto di vista della sicurezza- è che questi container sono stati montati nello scantinato delle docce pubbliche! In via de Breme, i 22 container che ospitano una settantina di rifugiati sono stati invece montati in un desolato spazio all'aperto, delimitato da un muretto e da un portone chiuso a chiave. Secondo quanto raccontato da alcuni ospiti, nel container adibito a mensa c'è anche un televisore, ma a loro viene permesso di vederlo soltanto durante di pasti. Un po' meglio va ai 67 rifugiati di via Ortles, poiché si tratta di un dormitorio comunale e dunque di uno spazio pensato e organizzato per ospitare essere umani. Ma ora arriviamo a via Anfossi, dove la situazione riesce ad essere persino peggiore di quella di via Pucci. Si tratta di uno spazio comunale utilizzato nei mesi invernali per l'emergenza freddo, ma la cinquantina di rifugiati che vi si trovano sono stati stipati su una fila di brande nel corridoio davanti ai bagni e alle docce! Definire questa situazione una "soluzione definitiva" non è soltanto cinismo, ma sfida il più elementare buon senso. Come si pensa che degli esseri umani possano vivere in queste condizioni per almeno sei mesi? E, soprattutto, che fine a ha fatto il milione di euro stanziato dal governo per l'accoglienza dei profughi? E' servito per montare container negli scantinati e per sistemare brande nei corridoi? Il Comune di Milano si sta comportando come un affittacamere abusivo e ogni giorno che passa alzo un po' di più il livello della polemica politica. E questo lascia francamente sconcertati e pone degli interrogativi seri fino a dove vuole spingere questo scontro sulla pelle di uomini e donne che altro non hanno fatto che scappare dalla guerra. Invece, soluzioni umane e possibili ci sarebbero. La Provincia, che non ha mai ricevuto fondi dal governo, ha avanzato delle proposte concrete e il Prefetto si è detto disponibile a convocare un tavolo interistituzionale, ma mancano all'appello gli amministratori milanesi, evidentemente accecati da una campagna elettorale senza quartiere. Milano, 3 gennaio 2006
Da aggiungere una dichiarazione stampa che il sindaco ha rilasciato alla stampa qualche giorno dopo. Che è assolutamente inconciliabile con quanto scritto da Muhlbauer:
(AGI) - Milano, 7 gen. - "Tutto cio' che e' avvenuto e' frutto della vena sobillatrice dei centri sociali, di alcuni candidati e, mi duole dirlo, anche di una istituzione". Gabriele Albertini, sindaco di Milano, torna sulla vicenda dei rifugiati di via Lecco a Milano, e accusa i centri sociali di "sobillazione". "Il presidente dell'organizzazione dell'Onu per i rifugiati politici - ha proseguito Albertini - ha lodato la nostra iniziativa, perche' e' una sistemazione soddisfacente, condivisa con tutti gli interessati, ma non dai sobillatori, che hanno agito con un cinismo spietato, perche' non si puo' promettere cio' che non si puo' dare, ossia anteporre quindici rifugiati e duecentotrentuno immigrati clandestini con un permesso di soggiorno umanitario a chi aspetta da anni, con titoli giuridici, una casa popolare. Abbiamo offerto cinquecento posti non in container, ma in case prefabbricate, dove sono stati per tanti anni migliaia di italiani nelle zone colpite da fenomeni sismici". Sulla polemica con la provincia di Milano, Albertini si limita a dire: "Se poi la Provincia, come per i campi nomadi, ha spazi suoi, li offra pure, meglio se in un territorio non del Comune di Milano, visto che e' composta da 188 comuni". Red/Noc/Van 070802 GEN 06 COPYRIGHTS 2002-2005 AGI S.p.A.
Insomma, uno dei due è un bugiardo... Lascio a voi scegliere
Conclusione di una vicenda giudiziaria che si trascinava da quasi 8 anni:
Globe & Mail, Nov 8, 2004 - Un sabato pomeriggio del 1997, 25 skinheads bloccarono il traffico in un'affollata strada di Scarborough (Ontario), per protesta contro l'immigrazione dall'Est Europa. Inalberavano cartelli come: "Il Canada non è una pattumiera" o "Su..
continua su Pirori
Le proteste portarono ad una revisione del processo:
La Corte Suprema del Canada ha richiesto un nuovo processo contro gli skineheads che avevano manifestato contro un gruppo di immigrati. Un sabato pomeriggio del 1997, 25 skinheads bloccarono il traffico in un'affollata strada di Scarborough (Ontario), per protesta contro l'immigrazio...
continua su Pirori
Leggo ora Roma_in_Americas:
Jan 06, 2006 - CJCONT, La comunità Rom soddisfatta per la risoluzione del caso
FOR IMMEDIATE RELEASE
TORONTO – Il Congresso Ebraico Canadese dell'Ontario (CJCONT) e il Roma Community Centre sono soddisfatti per la soluzione di ieri che ha riconosciuto colpevoli due dei sei accusati.
Nel 1997, i membri di un gruppo neonazista di suprematisti bianchi, tennero una manifestazione davanti al Motel Lido di Toronto, dove le autorità avevano alloggiato alcuni Rom rifugiati, di recente arrivo dalla Repubblica Ceca. I promotori della manifestazione vennero accusati di promuovere odio razziale verso i Rom. Sei accusati vennero processati nel marzo 2000 e prosciolti per un cavillo tecnico: la corte accettò la tesi della difesa che i manifestanti avevano lanciato slogan contro gli Zingari e non contro i Rom. Il caso finì alla Corte Suprema, che si aggiornò a febbraio 2005 con un nuovo processo.
Settimana scorsa, il Tribunale dell'Ontario ha riconosciuto colpevoli due dei sei accusati, quelli che sono stati maggiormente coinvolti negli incidenti. Uno ha ottenuto la condizionale, e un altro la sospensione della pena. A tutti, come parte della sentenza, è stato richiesto di scrivere una lettera di scuse alla comunità rom. Gli altri imputati sono andati assolti.
La giudice ha voluto anche chiarire che, seppure questo non ha influito sulla sentenza, nessuno dei condannati è stato più coinvolto in disordini o attività del movimento dei suprematisti bianchi.
“Siamo soddisfatti del risultato” ha detto Joel Richler, presidente del CJCONT, “La conclusione di questo caso chiarisce senza dubbi a tutti i Canadesi che questo tipo di azioni non possono essere tollerate in una società civile”. “Dopo otto anni, giustizia è fatta” aggiunge Bernie M. Farber del CJC. “Non abbiamo mai smesso di credere di aver fatto la cosa giusta”.
“E' come svegliarsi da un brutto sogno” dice Paul St. Clair, direttore esecutivo del Roma Community Centre. “ Questa decisione soddisfa la comunità Rom, grazie agli sforzi costanti del CJC e della polizia di Toronto”.
“L'incitamento all'odio è un crimine altamente dannoso per una comunità recente come la nostra, specialmente per chi fugge dalle persecuzioni” ha aggiunto Constantin Anghel, presidente del Roma Community Centre. I Canadesi hanno mostrato di non tollerare azioni crudeli ed odiose dai gruppi estremisti. L'incitamento all'odio razziale dev'essere affrontato seriamente dai media e dagli educatori, perché non si sviluppi in futuro”
CJC e la comunità Rom hanno poi lodato i consulenti legali coinvolti nel caso come pure la polizia. “Hanno rifiutato di far cadere questo caso, vedendolo per quel che era – un attacco ai valori canadesi” ha detto poi Richler.
Representing the Jewish communities of Ontario
For more information contact:
Wendy Lampert - National Director of Communications - Canadian Jewish Congress
416-631-5844
wlampert@on.cjc.ca
www.cjc.ca
Da un paio di giorni, rimbalzano in
internet notizie su un intervento di Francesco Rutelli sul
quotidiano Europa. Io quel pezzo non l'ho letto, anche se
un'idea me la son fatta con la dose quotidiana di
Padania.
Se le cose stanno così, c'è chi (Paniscus,
ad esempio) ha risposto intelligentemente, io non mi azzardo neanche,
a ripetere cose che avrò già scritto non so quante
volte, e che ormai mi vengono a noia.
Però, mettete insieme un campione
del dico-e-non-dico, come il politico romano bipartisan, e la
caterva di avvoltoi
che puntualmente si alzano in volo quando si sente la parola
“ZINGARO”, per prevedere la canea che durerà una
settimana (forse).
Non è un discorso di destra o
sinistra, è solo uno spuntino elettorale, con qualche promessa
(o minaccia, a seconda dei casi) ma trovatemi un elemento
concreto, se ci riuscite, che aiuti ad uscire dai problemi.
E mentre lo spuntino è in corso, e
i commensali parlano di scuola, famiglia e giustizia, che quasi quasi
mi sembra di vederli a brindare dicendo “E' colpa loro! Di
TUTTI loro!”, queste sono le storie che nessuno (tranne
l'archivio di Romano
Lil) racconta. Storie di, appunto, scuola, famiglia e
giustizia.
Da Informagagio, periodico polesano
di Rom/Sinti e gagé. A cura di Rovigo opera Nomadi.
Settembre 2005. Fatima Seferovic è scappata dalla
guerra dell’ex Jugoslavia per arrivare in Italia nel 1991. Ora
senza permesso di soggiorno e senza aiuti è ridotta alla
disperazione e può essere espulsa in qualsiasi momento dal
suolo nazionale assieme ai figli due dei quali nati in Italia.
IL
PONTE DI MOSTAR Veniva Uliano Lucas, di luglio 1993 a Rovigo,
a mostrare le foto del ponte di Mostar, cittadina della Jugoslavia,
simbolo del dialogo fra culture e popoli, storica arcata - ma quanto
squisita ed ornata!, ad unire sponde differenti nel vero senso di
connessione, di relazione. Un ponte che fu bombardato e distrutto in
quei giorni delle separazioni e dell’odio verso le differenze:
prima quelle economiche, nazionalistiche, poi quelle religiose, di
genere… “I giardini di Mostar sono seminati a tombe”,
scriveva Erri de Luca nel maggio1995. Poi il ponte fu ricostruito in
un tentativo anche simbolico di riconciliazione ma i suoi tronconi,
segni di una rottura tragica con chi sta dall’”altra
parte”, si ergono in altre terre, in altri mondi...anche in
Polesine.
FATIMA DA MOSTAR I tronconi distrutti del
ponte di Mostar sono conficcati ed incisi nelle carni di Fatima
Seferovic che da quella guerra scappò col marito e quattro
figli per arrivare in Italia nel 1991. Nei primi tempi i profughi
parevano “sistemati”, col lavoro e con la casa, la
ragazza più grande sposata ad un Sinto, ma ultimamente la
situazione è diventata disperata. Vivono in un casolare di
proprietà sperduto nelle campagna polesana nei dintorni di
Baruchella (Ro). Suzan, è stato ucciso da un'automobile sullo
stradone di casa a 17 anni di età -due anni fa, Angela ha
quasi 18 anni, Anita 15, Stella e Susan, nati in Italia, hanno
rispettivamente 12 e 10 anni. Il marito, Serif, dopo più di
dieci anni di regolare lavoro, ha perso il permesso di soggiorno per
un tumore incurabile che gli impedisce di lavorare, ha bisogno di
assistenza continua e fa fatica anche a guidare il camioncino.
L’abitazione, il casolare, è lontana tre chilometri dal
più vicino centro abitato e Fatima spera che Angela fra sei
mesi (al compimento del 18° anno) possa prendere la patente per
aiutare la famiglia, ma non sarà possibile perché non è
in regola, anzi con la maggior età diventa espellibile. Tra le
altre avversità Angela e Stella avrebbero bisogno di
un’operazione per uno strabismo agli occhi ma la “card”
regionale per gli irregolari non permette questo tipo di
intervento.
“VOGLIO ANDARE VIA DI QUI” Mancano
cibo, vestiti, assistenza sociale e morale, soldi per la bolletta
della luce e per pagare l’assicurazione del camioncino: “Non
ce la faccio più, voglio andare via di qui”, esclama
Fatima. Il marito ha ancora pochi mesi di vita ed è “perso”,
crea anche difficoltà alla moglie ed ai ragazzi e quando lui
entra in casa loro ne escono. C’è un clima di
abbattimento generale. “I miei figli hanno perso la voglia di
vivere” esclama Fatima disperata, “voglio andare via di
qui, qualcuno mi aiuti!”
NEGLI OCCHI DI SUSAN Anita
ha conseguito la licenza di scuola media e starà a casa.
Stella è stata bocciata in prima, Susan è stato
respinto in seconda elementare (dovrebbe fare la quarta) a causa
delle assenze perché non ce la faceva più a salire in
pulmino coi ragazzi che lo prendevano in giro dandogli dello
“zingaro”. “Chi sa vedere guardi” e si faccia
osservare, magari da dietro lo schermo del computer, da questo
ragazzo che sta morendo di abbandono di desuetudine, di vita. Ma non
era finita la guerra?
“PER QUANTO VOI VI SENTIATE
ASSOLTI” E’ in atto una persecuzione sociale ed
istituzionale, senza esclusione di colpi verso i minori, contro
questa ed altre famiglie del territorio in cui viviamo, che ci vede
tutti complici seppur a diversi livelli. Ma un giorno, ci auguriamo
che gli ufficiali di questa guerra infinita saranno imputati al
tribunale per i Diritti dei Popoli: il Prefetto Landolfi, i sedicenti
assessori alla Pace e Diritti Umani di Provincia e Comune, Virgili e
Saccardin, il direttore della Caritas Bellinati, la responsabile
Croce Rossa Monesi, tutti quei soldatini istituzionali che, ligi al
dovere e facendo finta di non sapere, continuano a scavare trincee di
esclusione sociale ed i “civili” che restano sordi di
fronte alle numerose invocazioni di “umanità” di
Fatima e famiglia.
Fotografie del 09/01/2006
Nessuna fotografia trovata.
|