Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Articoli del 19/09/2010
Di Fabrizio (pubblicato @ 09:55:57 in media, visitato 2381 volte)
IL
PAESE DELLE DONNE online di Eva Rizzin - venerdì 17 settembre 2010
Molti giornalisti si confrontano con la realtà rom, una realtà complessa e
variegata, usando impunemente stereotipi che hanno accompagnato le mille vicende
di persecuzioni subite nel corso dei secoli dalle popolazioni sinte e rom. Essi
dimostrano, attraverso i loro commenti, di aver perso ogni senso del limite.
La presenza di questo gene nel sangue è la dimostrazione che questi zingari
sono esseri irrecuperabili. Eva Justin, scienziata razzista a
servizio del regime nazista
I rom […] e l'illegalità insita nel loro DNA. Roberto Poletti,
giornalista, 9 settembre 2010
La Commissione Europea ha aperto ieri una procedura di infrazione nei
confronti della Francia per l'espulsione delle persone rom. Questa è l'unica
notizia confortante nella lettura della rassegna stampa in una settimana non
affatto rassicurante.
Molti giornalisti si confrontano con la realtà rom, una realtà complessa e
variegata, usando impunemente stereotipi che hanno accompagnato le mille
vicende di persecuzioni subite nel corso dei secoli dalle popolazioni sinte e
rom. Essi dimostrano, attraverso i loro commenti, di aver perso ogni senso del
limite.
Rom accostati indistintamente a delinquenti; rom visti esclusivamente
come un problema, una massa indistinta da eliminare, espellere, deportare; rom
descritti come un gruppo generalizzato, privati della loro individualità.
Articoli che ci dimostrano quanto il sentire anti-rom sia fortemente
radicato nella società, quanto esso sia condiviso, scontato, quanto esso non
faccia scandalo. Nei confronti delle minoranze rom e sinte, ci si permette di
dire qualsiasi cosa senza il timore di essere condannati. E' preoccupante il
clima di assuefazione che si è venuto a creare nella società italiana di fronte
alle violazioni subite da tali minoranze.
L'articolo di commento I rom sono un problema della Romania ("Cronacaqui",
11/9) si distingue fra i tanti letti questa settimana per i suoi contenuti
razzisti. Francesco Bozzetti a proposito della "questione rom" propone
alcuni suggerimenti come, per esempio, impedire la circolazione dei rom in
Europa, suggerendo in sintesi di violare la direttiva europea sulla libera
circolazione delle persone: "[…] alla Romania […] avremmo come minimo dovuto
chiedere di impedire la libera circolazione dei delinquenti e dei rom, che sono
da sempre un loro problema, una loro etnia. Gli stessi romeni non amano i rom,
non li vogliono e li 'esportano' volentieri all'estero come fanno con i loro
criminali". Riferendosi alla situazione milanese aggiunge "[...] periferie,
sottoponti e fabbriche dismesse invase dalla peggior specie di zingari dediti a
furti, spaccio di stupefacenti".
Esemplare, poi, per i suoi contenuti è il seguente articolo: Sottile
differenza tra PD e destra sulle case ai rom ("Libero Milano", 9/9). Il
giornalista Roberto Poletti, nella rubrica intitolata Grane, spiega la
differenza fra i due schieramenti politici a proposito della questione
dell'attribuzione dei 25 alloggi Aler (alloggi che escono dalla graduatoria
ufficiale) ad alcune famiglie rom che attualmente risiedono nel 'campo' di
Triboniano.
Inizio a leggere l'articolo e ad un certo punto mi imbatto in una teoria
classicamente razzista: "l'illegalità insita nel loro DNA". Leggo e rileggo più
volte, sperando di essermi sbagliata: DNA, DNA? Purtroppo non è così, ho letto
bene, il giornalista ne fa proprio una questione genetica.
Già i nazisti, attraverso i loro scienziati razzisti, avevano elaborato
una pseudo teoria sulla pericolosità della 'razza zingara' tarata da un gene
molto pericoloso, il Wandertrieb (l'istinto al nomadismo). Questo bastò a
condannare rom e sinti allo sterminio. Per un attimo mi si annebbia la mente,
rimango basita, sconvolta e profondamente lesa nella mia stessa identità.
Frasi come queste pesano e pesano come macigni, perché sei sinta e rom, se sai
cos'è il
Porrajmos, se la pianificazione razzista e omicida del passato ha colpito la
tua famiglia, se solo per caso i tuoi cari sono riusciti a scampare alla furia
del regime nazifascista e alle fiamme dei lager; se ogni giorno ti accorgi di
quanto il tuo Paese abbia dimenticato quel passato, e anzi ne invochi il
ritorno, frasi come quelle ti fanno inorridire. E io sono sinta.
Visto che ci sono giornalisti che violano quotidianamente il codice deontologico
attraverso l'istigazione all'odio e al razzismo mi sembra doveroso, e
storicamente corretto, ricordare che furono più di 500.000 le persone rom e
sinte vittime dello sterminio pianificato e commesso dal nazi-fascismo.
Domenica 5 settembre ho partecipato alla celebrazione della Giornata europea
della cultura ebraica. Mi hanno colpito fortemente le parole del Presidente
della Comunità ebraica di Mantova Fabio Norsa, quando ha ricordato ai
presenti che gli Ebrei non vogliono essere relegati all'immagine di vittime
della Shoah ma considerati comunità portatrice di una cultura millenaria. Ho
provato un po' di invidia per quelle parole: quando sarà possibile per noi sinti
e rom fare un passo del genere?
Anch'io, come capita a molti ebrei, desidererei non dover tornare sempre sul
tema del genocidio, ma purtroppo gli stereotipi, i pregiudizi e le barriere da
superare sono ancora infiniti. Forse tutto ciò sarà possibile solo se ci sarà
una concreta elaborazione di quello che è stato il genocidio dei rom e dei sinti.
Purtroppo però la nostra è una memoria mutilata, completamente ignorata da
molti.
Oggi per molti sinti e rom non è nemmeno possibile dichiarare la propria
identità, se dichiararti per ciò che sei significa essere automaticamente
equiparato al peggiore dei criminali. Il Porrajmos però fa parte della
storia d'Italia e d'Europa e tutti hanno il dovere di sapere e di tenere a
mente, giornalisti compresi.
Tiscali: cronaca
"Essere rom non può essere una vergogna", così da Torino sintetizza Vesna
Vuletic, fondatrice di Idea Rom, e la realtà spesso capovolge i luoghi comuni:
dal Nord al Sud d'Italia, piccole storie di quotidiana integrazione crescono,
all'ombra delle polemiche che puntualmente si scatenano sul destino dei rom,
aspettando "politiche pubbliche adeguate".
Il progetto della sartoria Rom - In
via Nomentana 952 a Roma puoi trovare un abito unico, con pizzi bianchi o
ricami, tessuti orientali broccati o cascate di colore vivace: è l'Antica
sartoria rom, dove donne rom dei campi nomadi della capitale confezionano abiti
secondo la moda gitana di fine Ottocento, cuciti a mano e con stoffe
rigorosamente in fibra naturale, seta, cotone, lana, lino, canapa. Il progetto
nasce nel 1997 tra le baracche in un campo in periferia, Alessandra Carmen
Rocco, italiana è laureata in lettere e canta come mezzosoprano, e organizza
concerti per questo incontra molti musicisti gitani. Così conosce i campi nomadi
e le donne dei campi nomadi. Donne - racconta - che hanno un desiderio:
lavorare. In uno dei campi nomadi della periferia romana nasce un giorno l'idea
della sartoria, le più anziane insegnano alle più giovani un'arte tramandata per
secoli. Il progetto si sviluppa e cresce diventa laboratorio, sartoria, negozio,
con sfilate - nel 2005 sotto l'egida di Romeo Gigli - e una cooperativa sociale
che organizza corsi per chi vuole imparare quest'arte e anche di riuso e
riutilizzo delle stoffe da buttare. Ora all'Antica sartoria rom, che confeziona
anche costumi teatrali, lavorano 4 donne rom, guadagnano un piccolo stipendio,
insegnano ad altre donne rom per dar loro un futuro. Ma i corsi sono frequentati
anche da donne italiane - una cinquantina negli ultimi due anni - affascinate
dalla moda gipsy. E a comprare sono soprattutto clienti italiani. Nessun
finanziamento pubblico. Fanno da sole.
Bari rom assumono rom - A marzo 2008 i rom
romeni del villaggio sosta comunale di strada Santa Teresa a Japigia danno il
via alla cooperativa di lavoro Artezian, facchinaggio, traslochi e manutenzione
del verde, e il primo settembre 2010 riescono ad assumere con contratto di
lavoro un rom bosniaco di un altro campo nomadi tra Modugno e Bitonto. Da
Artezian è nato anche un progetto per il riuso e riciclo di materiali e macchine
da buttare e le donne del campo creano bigiotteria e abiti con materiali di
scarto. "Il problema è la mancanza di un lavoro, di una fonte di reddito",
spiega Maurizio Pagani, dell'Opera nomadi di Milano, sottolineando: "Su questo
fronte le politiche pubbliche non hanno né investito né inciso minimamente, con
interventi a carattere assistenziale e a breve termine fine a se stessi". "Si fa
ruotare tutto su 'come facciamo a cacciare i nomadi', 'i campi sono ghetti'...
in realtà - prosegue Pagani - il problema di base è la mancanza di lavoro,
povertà, che condanna rom e sinti all'emarginazione una storia che va avanti dal
dopoguerra".
Corsi a Milano - L'opera nomadi quest'anno ha organizzato corsi di
sartoria con 15 donne rom dei campi nomadi abusivi; ora tutte sono diventate
sarte, lavorano nei campi ma vendono ai privati, anche nei negozi milanesi dove
viene molto apprezzato "la loro capacità naturale di accostare i colori". Delle
tre cooperative di servizi, messe su dall'opera nomadi di Milano, solo una
invece è sopravvissuta, le altre due "sono venute meno per mancanza di commesse
pubbliche". Nella cooperativa sopravvissuta lavorano 8-9 persone a progetto, ma
chi ha fatto questa esperienza, soprattutto i giovani, ha trovato poi lavoro
fuori in ditte private di pulizia. "Anche se normalmente non dicono di essere
rom", dice Pagani.
Progetto "Idea Rom" a Torino - "Essere rom non può essere una
vergogna, con il nostro progetto vogliamo dire e far conoscere chi siamo
davvero", così Vesna Vuletic, 48 anni, da 20 in Italia dove lavora come
mediatrice culturale, racconta la nascita, un anno fa a Torino di "Idea Rom" che
ora raccoglie una ventina di donne rom, e il loro obiettivo è l'outing: loro lo
hanno fatto per prime e ora cercano di aiutare gli altri ad uscire allo
scoperto, a non vergognarsi o temere di dire a lavoro, a scuola, all'università,
di essere rom.
Per metà sono donne già integrate, inserite nel lavoro, abitano in una casa,
l'altra metà del gruppo sono donne giovani, che invece vivono quasi tutte nei
campi nomadi, sono disoccupate, bassa scolarità. "Ci siamo ritrovate a parlare -
spiega Vesna - alcune di noi fanno le pulizie in banca, in ufficio, ma nessuna
diceva di essere rom per paura del sospetto, i figli non lo dicono a scuola per
paura di discriminazioni. Molte sono state combattute per anni ma adesso stanno
prendendo coraggio, dichiarandosi, rilasciando interviste e anche per comunicare
alla società che i rom non sono quelli sporchi, i cattivi da cacciare".
Condizioni di povertà portano all'esclusione e alla microcriminalità ma questa
non è la realtà della maggior parte dei rom: a Torino ad esempio delle 100
famiglie rom che ora abitano nelle case popolari, solo per 5 ci sono state
problematiche. Le donne di Idea Rom così si riuniscono, parlano, vanno nei campi
per promuovere il diritto di uscire allo scoperto, e hanno vinto così anche un
progetto del Dipartimento delle pari opportunità per interventi di mediazione
culturale. Ad ottobre a Torino inizieranno anche corsi di danze tradizionali
rom, aperti naturalmente a tutti.
Il vino a Milano e i premi - Prima le mamme del
quartiere milanese e le maestre aiutavano i bimbi e le famiglie rom in caso di
emergenza, poi hanno voluto fare di più, così insieme a Gas, Sant'Egidio, alla
cooperativa di produzione Eughenia, è nata l'idea, del vino R.O.M che sta per
"Rosso di origine migrante": bottiglie di vino toscano, Sangiovese, Merlot,
Shyra, per finanziare borse di studio e lavoro, un progetto grazie a cui due
padri rom hanno trovato lavoro e casa. Problemi di integrazione coi rom a scuola
o fuori ? "Assolutamente no - spiega Francesca - sono culturalmente diversi da
noi ma va benissimo. Noi abbiamo aiutato loro ma loro hanno aiutano noi. Avere i
bimbi rom nella nostra scuola è una ricchezza. Ci sono genitori di bambini che
frequentano altre scuole del centro di Milano, dove non si sono né stranieri né
rom che vengono qui con i loro figli perché vogliono 'mischiarli con i rom',
perchè - dicono - "i loro figli non possono crescere senza conoscere altre
realtà". E qualche volta, nonostante tutto, i riconoscimenti arrivano anche
dall'alto: il maestro di fisarmonica Jovica Jovic, 53 anni, è un rom jugoslavo
che vive nel campo nomadi di via Sesia a Milano e a marzo ha ricevuto dal
ministro Roberto Maroni, appassionato di musica, un permesso di soggiorno,
seppur temporaneo, per meriti artistici. Insegna a Milano, da lui, che ha
suonato con Pelù e Manu Chao, vanno a studiare molte ragazze. E ogni tanto va
nelle scuole, e assicurano "sarebbe un ottimo maestro per i bambini".
16 settembre 2010
Fotografie del 19/09/2010
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