Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Articoli del 21/06/2009
Di Fabrizio (pubblicato @ 09:39:54 in casa, visitato 1472 volte)
Da
Roma_Francais
LaGazette.fr Assetto del territorio - 11/06/2009 par Ulivo
Berthelin
La Commissione nazionale consultiva della gens du voyage, dopo un decreto
del 6 giugno scorso, è passata sotto il taglio del ministero degli affari
sociali.
"Continueremo a lavorare perché la gens du voyage possa disporre degli
stessi diritti degli altri cittadini, in particolare per quanto riguarda il
diritto di voto e le assicurazioni" dichiara il senatore Pierre Hérisson,
ricondotto dal Primo Ministro alla testa di questa commissione i cui membri
saranno nominati nel corso dell'estate.
"Dobbiamo tenere conto delle evoluzioni della società e tenderci sulla
questione dei terreni familiari di proprietà di viaggianti che corrispondono ad
una vera necessità di sedentarizzazione o di semi sedentarizzazione",
precisa ricordando che la legge su alloggio permette d'ora in poi di
sviluppare i lotti attigui ai banchi comunali.
"I sindaci non possono rifiutare né l'elettricità quando contratti sono
passati con gli operatori, né l'acqua ed il risanamento quando le reti passano
vicino al lotto. Occorre per quanto possibile trattare da un lato questi terreni
familiari e le superfici d'accoglienza permanenti per le famiglie che circolano
sole, come nel quadro dell'alloggio e d'altra parte il grande passaggio che
costituisce un fenomeno a parte legato a manifestazioni economiche culturali e
religiose" insiste il senatore, molto sensibile a queste questioni d'urbanesimo
poiché incaricato di questo dossier nell'ambito dell'Associazione dei sindaci
della Francia (AMF).
Due terreni per dipartimento
Preconizza la realizzazione di due terreni di grande passaggio per
dipartimento e d'altra parte la prosecuzione degli sforzi che riguardano le aree
d'accoglienza permanenti. "La metà delle posizioni sono in cantiere. I comuni
devono realizzare i 20.000 posti che ancora mancano, con l'aiuto dello Stato per
quelle che sono stati ritardati contro la volontà degli eletti, col denaro
proprio per quelli che non hanno alcuna scusa" martella, ricordando la legge
prevede che soltanto il prefetto possa sostituirsi al sindaco e realizzare la
superficie d'accoglienza a spese dei municipi refrattari.
Da
Roma_Francais
publié le 10 juin 2009 - Nicolas
Gourdy / Welcomeurope
Il Consiglio dell'Unione Europea di lunedì 8 giugno si è lungamente dedicato
alla questione dell'integrazione dei Rom. Secondo le sue conclusioni, gli Stati
membri devono concepire ed attuare le loro iniziative in materia di integrazione
dei Rom in stretta concertazione con le collettività regionali e locali, che
devono giocare un ruolo centrale nell'applicazione concreta di queste politiche.
Questa riunione si iscrive nel più ampio dibattito europeo sulla situazione
sociale delle minoranze rom in Europa. In particolare fa seguito alla prima
riunione della "piattaforma integrata europea per l'integrazione dei Rom" che si
è tenuta a Praga nell'aprile 2009, sotto l'egida della presidenza ceca della UE.
Le conclusioni del Consiglio della UE tengono conto di una situazione
socioeconomica dei Rom che tende a non evolversi, bensì a deteriorarsi in questi
ultimi anni in un certo numero di Stati membri. Secondo Magda Kósáné Kovács,
autrice di una relazione sulla questione consegnata al Parlamento Europeo a
gennaio, la situazione dei Rom sul mercato del lavoro rassomiglia ad un circolo
vizioso. La disoccupazione colpisce più di qualsiasi altra minoranza e "non
possono avere accesso alle sovvenzioni europee sulla ristrutturazione
professionale a causa della loro mancanza di qualificazioni di base". La
situazione varia tuttavia molto paese ad un altro. Il Consiglio fa parte della
necessità di mettere in atto politiche più dinamiche ed efficaci riguardo a
queste popolazioni, ma senza precisarne veramente i contorni. Perché secondo il
Consiglio, questo ruolo spetta primariamente agli Stati membri, alle regioni ed
ai comuni. Il testo ricorda l'importanza per gli Stati membri e le loro
collettività di mettere in comune le proprie esperienze riguardo le iniziative a
favore dell'integrazione dei Rom per ottenerne le pratiche migliori. Ugualmente
incoraggia la creazione e lo sviluppo di reti transfrontaliere che permettano lo
scambio delle buone pratiche. Questo tipo di rete esiste già, ad esempio EURoma
(rete europea sull'inclusione sociale dei Rom nel quadro dei fondi strutturali).
Altro punto importante, gli Stati membri e le collettività sono invitati a
sfruttare pienamente gli strumenti finanziari comunitari (FSE, Feder, Feader)
nella messa in opera di progetti rivolti all'integrazione di queste popolazioni.
Dall'entrata nell'Unione Europea di Romania e Bulgaria nel 2007, i Rom sono
diventati la più importante "minoranza etnica" della UE. E' difficile stabilire
il loro numero preciso, che si stima tra i 10 e i 12 milioni di persone. In
Francia, il caso di quanti si chiamano comunemente la "Gens du voyage" è in
particolare disciplinata dalla legge Besson II che stipula che tutti i comuni
con più di 5.000 abitanti debbano avere un terreno d'accoglienza. La nuova onda
d'immigrazione di Rom provenienti dalla Slovacchia, dall'Ungheria, dalla
Bulgaria e dalla Romania ha cambiato la distribuzione e porta a chiedersi
numerose precisazioni quanto alle politiche da realizzare per integrare queste
popolazioni. Per il momento, quelli in provenienza dalla Bulgaria e da Romania,
benché cittadini dell'UE, sono sottoposti ad una misura transitoria che accorda
loro lo stesso status degli stranieri di un paese terzo, con l'obbligo eventuale
di lasciare il territorio francese. Questa misura dovrebbe tuttavia finire nel
2012, data nella quale tutti i cittadini bulgari e rumeni usufruiranno della
cittadinanza europea piena ed intera.
A Milano, sotto il cavalcavia di
Bacula c'è un nuovo insediamento di Rom cacciati da altri rifugi, nonostante
le parole del vicesindaco De Corato che assicurasse come l'area fosse stata
chiusa e "messa in sicurezza". Continua la politica di giocare a guardie e
ladri.
CITYROM è tornato lì sotto, quella che segue è la sua inchiesta.

Giugno 20, 2009: Quando sono arrivato al cavalcavia Bacula, tra piazza
Stuparich e piazzale Lugano, pochi giorni dopo lo sgombero, c’erano ancora
persone sotto le arcate. Mi hanno raccontato che fino ad allora avevano dormito
all’aperto, accanto all’insediamento distrutto, e che stavano per partire per la
Romania come anche tanti altri stavano facendo. Molti invece avevano deciso di
restare a Milano e si erano sistemati in zona Lambrate e in un edificio
abbandonato a pochi passi dal cavalcavia in piazzale Lugano. Ci sono stato, al
secondo piano alcune famiglie avevano organizzato una "casa" con dei materassi,
un tavolo recuperato e tre tende da campeggio.
Per anni quest’area, alla periferia nord di Milano, ha ospitato diversi
insediamenti abusivi di rumeni di etnia rom, più volte sgombrati e più volte
risorti.
Quell’area l’abbiamo sgomberata quattro volte, mi avevano raccontato a dicembre
i responsabili del Nucleo problemi del territorio della Polizia locale di
Milano. Abbiamo detto in modo chiaro all’Amministrazione che per mettere in
sicurezza il cavalcavia Bacula bisognava costruire un muro di cemento armato.
Dopo lo sgombero dell’anno scorso, sotto il ponte il Comune ha messo dei
dissuasori "New Jersey" di due metri in modo che l’area non venisse occupata di
nuovo. In realtà hanno usato i dissuasori come letti… Hanno sfondato il muro che
divide il cavalcavia Bacula dal C.A.M. (Centro Aggregazione Multifunzionale) del
Comune di Milano, che ospita anche una scuola materna. Vanno nel giardino della
scuola e si lavano alla fontanella, defecano, stendono i vestiti e fanno il
barbecue.
Il 31 marzo 2009, dopo una campagna mediatica durata più di un mese che dava
voce agli esposti degli abitanti del quartiere e denunciava l’emergenza
igienico-sanitaria del campo, l’illegalità che vi proliferava e i conseguenti
problemi di sicurezza, il Comune di Milano ha per l’ennesima volta sgombrato
l’insediamento. Questa volta, però, seguendo le indicazioni della Polizia
locale, dopo lo sgombero, l’area è stata "messa in sicurezza". L’accesso
all’area sotto una parte del cavalcavia è stato chiuso con una recinzione in
ferro alta tre metri; il terrapieno in pendenza da cui si scendeva dal
cavalcavia nell’insediamento è stato sbancato e ora è una sorta di muro di terra
alto qualche metro; l’arcata del ponte sotto cui sorgeva l’insediamento più
piccolo è stata chiusa utilizzando la terra ricavata dallo sbancamento.
Prima dello sgombero il Comune aveva offerto dei posti letto nei dormitori
pubblici per le donne e i bambini, come era avvenuto già in passato. Ma la
proposta prevedeva che le famiglie si sarebbero dovute dividere, così tutti
hanno rifiutato. Le associazioni che avevano lottato perché si trovasse una
soluzione abitativa per gli abitanti, sono riuscite a sistemare 25 persone – le
famiglie con figli che vanno a scuola – alla Casa della Carità, e una famiglia
con una figlia disabile nel campo comunale di via Triboniano. Per tutti gli
altri, almeno duecento persone, non ci sono state iniziative.

Dopo che i giornali hanno dato la notizia dell’imminente sgombero, sono
ritornato più di una volta a visitare la baraccopoli per documentare cosa stava
succedendo e capire quali erano i motivi che rendevano urgente l’intervento
delle forze dell’ordine. Ho così raccolto diverse testimonianze.
Sunita abitava in una piccola baracca, fatta di materiali di scarto e rivestita
di stoffa. La prima volta che l’ho incontrata erano le tre del pomeriggio e si
trovava insieme alla famiglia all’interno della baracchina. Aveva in braccio il
figlio di tre anni, la suocera era sdraiata sul letto insieme alla figlia e al
suocero che dormiva.
Mio marito, mi ha raccontato Sunita, è scappato con un’altra donna e io sono
rimasta qui con mia suocera. Se vuole tornare io l’aspetto.
La loro baracca era isolata rispetto alle altre e si trovava nel campo
antistante il cavalcavia, addossata al muro che separa questo spazio dai binari
delle ferrovie Nord. Era costituita da tre moduli di due metri per tre: in uno
c’era la cucina e negli altri due i letti.
Se ci sgombrano porteremo con noi solo le coperte e i vestiti, il resto lo
lasceremo qui, non abbiamo la macchina.
Quel giorno sono rimasto a parlare con loro per un po’. Mi hanno raccontato che
la casa che avevano in Romania l’avevano venduta dopo la morte del figlio
maggiore per pagare il funerale e che l’anno scorso era morta la figlia di
Sunita, dopo solo quarantatre giorni di vita. Abbiamo fatto il funerale al campo
di via Triboniano, dietro il cimitero maggiore. Vivevano facendo l’elemosina.
Mentre Student, il capo famiglia, non lavorava e si occupava di accompagnare i
figli di otto, dieci e tredici anni a scuola. Oggi ho guadagnato solo cinque
euro. Mia suocera non ha raccolto nulla perché la polizia l’ha cacciata via.
Esco tutte le mattine alle sei per arrivare solo alle 8.30, non ho soldi per
pagare il biglietto e i controllori mi fanno scendere continuamente. Vado a
Bollate, Varese, Cittiglio, Gavirate. A Milano no, perché non ho un posto dove
stare. Mi fermo davanti a un supermercato, una chiesa o un cimitero. Il massimo
che ho raccolto in una giornata sono stati 25 euro. Oggi tutti mi dicono che
sono in crisi.

Vasil un uomo silenzioso con l’aria seria, parlava un buon italiano. Mi ha
raccontato che è arrivato in Italia nel 2002. Perché hai scelto l’Italia?, gli
ho chiesto. Per la lingua. Sapevi che saresti andato a vivere in una
baraccopoli? No, prima di venire in Italia sono stato sei mesi in Spagna e ho
abitato in un appartamento in affitto. E in Italia? I primi mesi ho abitato a Triboniano (una grande baraccopoli abusiva alle spalle del Cimitero Maggiore),
appena ho trovato un lavoro
sono andato via dai campi e ho preso un appartamento in affitto e finché ho
avuto un lavoro sono stato in appartamento. Poi, per forza di cose, non avendo
più soldi, ho lasciato l’appartamento e sono ritornato a vivere in un campo.
Vasil mi ha raccontato che l’appartamento si trovava a Sesto San Giovanni, era
composto da due stanze da letto, un soggiorno, una cucina e un bagno e che
pagava 650 euro di affitto. Abitava insieme alla moglie e ai quattro figli che
l’avevano raggiunto in Italia appena lui si era sistemato. E che poi era rimasto
solo con la moglie. I figli dopo aver lasciato la casa erano ritornati in
Romania. Ho una figlia di 27 anni sposata con due figli, una figlia di 23 anni e
uno di 22 che vanno all’università e un’altro di 13 anni che va anche lui a
scuola. In Romania ora vivono in una casa in muratura con un giardino piccolo
che ho comprato nel 1989. Vasil ne parlava con orgoglio.
A Milano la sua baracchina si trovava insieme ad altre otto sotto uno delle
campate del Cavalcavia Bacula. Era grande due metri per tre, al suo interno
c’era spazio solo per il letto. Anche la sua era fatta con assi di legno e
interamente rivestita di stoffa. Aveva una piccola finestra per fare entrare un
po’ di luce naturale.
Vasil chiudeva con un piccolo lucchetto la sua baracchina. Anche se il campo era
abitato da persone del suo stesso villaggio probabilmente non si fidava di loro.
Si sentiva diverso e fuori luogo, non amava vivere in quelle condizioni.
Mi capitava spesso di incontrarlo insieme alla moglie seduto su un telo nel
grande spazio all’aperto su cui si affacciavano i due insediamenti abusivi.
Questo luogo che tutto l’inverno era stato utilizzato come passaggio e come
deposito per la spazzatura era diventato con le prime giornate di sole anche un
luogo di ritrovo dove si riunivano in piccoli gruppi alla luce del sole. Dopo un
inverno passato sotto i ponti, nascosti e protetti, gli abitanti di questa
baraccopoli erano tornati alla luce, visibili e di nuovo ingombranti.
Marco abitava poco distante da Vasil. La sua baracchina era appena fuori
dall’arcata del ponte in un punto in cui le case di legno formavano un piccolo
slargo sempre affollato di gente, seduta davanti alle proprie baracche, che
passava la giornata chiacchierando, bevendo una birra o mangiando carne o ciorba,
una zuppa che le donne cucinavano sulle braci.
Quando ho conosciuto Marco era il compleanno di suo figlio piccolo e l’ho
accompagnato a comperare una torta per festeggiare l’evento. Mi ha raccontato
che il giorno dopo il figlio e la moglie sarebbero partiti per la Romania
perché, in vista dello sgombero, era diventato troppo pericoloso restare lì.
Lo incontravo spesso seduto con altri in quella piazza informale ed era tra
quelli che parlavano di meno. Quando gli ho chiesto di raccontarmi la sua
storia, lui che non voleva farla sentire agli altri, si è alzato, ha afferrato
un tavolo e mi ha chiesto di seguirlo. Dieci metri più in la ci siamo messi
attorno al tavolo, in piedi, e ha iniziato a raccontare. Sono arrivato in Italia
quattro anni fa. Prima ero da solo poi è venuta mia moglie e mio figlio. Ho
cinque figli, uno di 22 anni, sposato. Abitano in Romania in una roulotte che ho
comprato qualche anno fa. Prima abitavo nella casa di mio padre. Quando è morto,
la casa è andata al più piccolo dei miei sei fratelli. Lavoro solo due ore alla
settimana in una trattoria.
Il suo racconto però è stato interrotto quasi subito da due ragazzi che si sono
avvicinati e hanno iniziato a parlare con me. Uno di loro voleva chiamare il suo
datore di lavoro, l’altro invece voleva farmi vedere un documento. Marco era
infastidito ma non è riuscito a respingerli. Non ci siamo più visti.
Flora abitava nell’insediamento più popoloso sorto sotto la grande piastra di
cemento del cavalcavia. Era tra le poche persone che erano tornate subito dopo
lo sgombero del 4 luglio a riabitare il ponte. Dormiva con i figli su dei
materassi sistemati tra i dissuasori.
Poco prima dello sgombero le baracchine sotto il ponte erano decine. Così
piccole da contenere appena un letto e una stufa. Siamo in tanti e c’è tanta
sporcizia, raccontava Flora. Il vostro paese, la vostra terra ci hanno trattato
tanto male. L’altra sera c’era tanta gente che urlavano e gridavano. Mio Marito
la notte non dorme più perché ha paura che bruciano qualcosa.
La Lega Nord aveva organizzato un corteo di circa cinquanta persone contro
l’insediamento abusivo.
Dopo il primo periodo in cui dormiva sui materassi Flora aveva costruito anche
lei la sua baracchina, all’esterno della quale c’erano tante cose raccattate in
giro: un frigobar, un frigorifero, una cucina a gas, una pila di batterie, sedie
e divani. L’ultima volta che l’ho incontrata, Flora si trovava ancora nello
stesso punto dell’insediamento, dove il ponte confina con il parco del Centro di
Aggregazione Multifunzionale (C.A.M.) di via della Pecetta. La parrocchia di
Santa Elena ci ha aiutato molto, mi ha raccontato. Nessuno conosce meglio di me
Don Matteo. Faccio l’elemosina davanti la sua chiesa. Al centro di ascolto
prendo da mangiare una o due volte al mese. Mi caricano la bombola.

A Bacula ero stato la prima volta il 4 luglio 2008, dopo uno dei tanti sgomberi
che questa comunità, proveniente dalla città romena di Draganesti-Olt, ha
subito. Anche allora l’insediamento era stato completamente distrutto e l’area
era stata bonificata dal Comune di Milano. E anche allora, pochi giorni dopo,
qualcuno era ritornato in Romania e qualcun altro era già ritornato ad abitare
l’area.
Da quando il Comune ha inaugurato la "politica della sicurezza" il copione è
sempre lo stesso. Il nucleo problemi del territorio della Polizia locale di
Milano monitora il territorio, scheda le occupazioni abusive sparse per la
città, e valuta quando è urgente predisporre lo sgombero. L’amministrazione
comunale, ora in accordo con il prefetto-commissario all’emergenza rom, avvia
una campagna mediatica che ha due obiettivi: dimostrare l’azione del governo e
comunicare agli abitanti che dovranno andare via, da soli o con la forza. A quel
punto, naturalmente, le associazioni che operano all’interno del campo lanciano
il loro appello, e denunciano le condizioni di degrado e inumanità in cui sono
costretti a vivere i rom a Milano.
L’opinione pubblica si convince che il problema si sta risolvendo ma in realtà i
rom continuano ad andare e venire dalla Romania e a vivere illegalmente in
città.
sp
Fotografie del 21/06/2009
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