Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Articoli del 11/02/2006
Per il suo terzo appuntamento la Stagione Concertistica Comunale di Senigallia ospita un violinista gitano d’eccezione: Roby Lakatos. Domenica 12 Febbraio Auditorium San Rocco, ore 18,15 Gipsy.

Il violinista gitano Roby Lakatos non è solo un sorprendente virtuoso, ma anche un musicista di straordinaria versatilità stilistica. Ugualmente a suo agio nel suonare musica classica, musica jazz, musica pop o musica folkloristica ungherese Lakatos, violinista gitano definito “l’archetto del diavolo”, è anche, insieme, un virtuoso classico, un improvvisatore jazz, un compositore e un arrangiatore.
In questo concerto Roby Lakatos ci propone materiali originali, se pure adattati al complesso, certamente collocabili nel genere della “musica ungherese” (ungheresi sono infatti autori Balogh, Csàmpai, Hubay, Weiner). Ma attraverso la magia della vitalità gitana ungherese, ci presenta rielaborazioni di materiali che parrebbero estranei a questa cultura e, persino, refrattari ad una rilettura così identificata (M. Legrand, J. Lewis, C. Corea, C. Trenet). Viene quasi automatico fare paragoni con Liszt e Brahms e la loro ‘musica ungherese’. Oppure anche con Bartok e il suo rapporto con la musica popolare. Ebbene, il cammino di Lakatos è molto diverso e, in alcuni casi, speculare a quelli. Liszt e Brahms nell’Ottocento hanno fatto conoscere al pubblico dei concerti di tutta Europa una tradizione considerata genericamente ‘ungherese’ e che invece era tzigana, cioè tipica delle popolazioni nomadi. Ma hanno compiuto questa operazione (raccogliendo, il primo le melodie che aveva ascoltato in gioventù e il secondo le melodie eseguite dai complessi popolari che lungo il Danubio erano giunti da Budapest a Vienna) adattando le musiche attraverso strumenti e linguaggi della cultura musicale occidentale europea.
Anche Bartok cerca e ripropone la musica ungherese (quella magiara, questa volta), ma la sua è un’operazione ancora diversa. Egli infatti utilizza le vere musiche popolari, quelle che adoperano modelli melodici, ritmici e armonici differenti da quelli della musica occidentale, per cambiare il linguaggio della musica colta del Novecento. Lakatos e il suo ensemble compiono invece due operazioni differenti: la prima è quella di attingere ad autori ungheresi, di presentare la musica zingara, quella vera, quella senza mediazioni ‘commerciali’, proporre pagine originali della tradizione o riscritte sull’onda di quella tradizione e per gli organici di un’orchestra tzigana. La seconda coinvolge direttamente il profondo spirito gitano di Lakatos e del suo gruppo che rileggono con un nuovo spirito pagine celeberrime di Trenet e di Corea, compiendo attraverso i modi di una tradizione popolare la rilettura di un patrimonio musicale ad essa estraneo.
ROBY LAKATOS Nato nel 1965 nella leggendaria famiglia di musicisti gitani discendente da Janos Bihari, ha debuttato a nove anni come primo violino in una band gitana. Non ha però trascurato gli studi classici, diplomandosi nel 1984 in violino (conseguendo anche un premio) al Béla Bartók Conservatory di Budapest. Tra il 1986 e il 1996, lui e il suo ensemble si sono esibiti al "Les Atéliers de la grande Ile" di Bruxelles collaborando anche con Vadim Repin e Stéphane Grappelli e ottenendo l’approvazione incondizionata di Sir Yehudi Menuhin. Nel marzo del 2004, Lakatos è apparso con grande successo insieme alla London Symphony Orchestra al festival per orchestre “Genius of the Violin” accanto a Maxim Vengerov. Si è esibito nelle più grandi sale concertistiche in America, in Europa e in Asia e incide in esclusiva per la Deutsche Grammophon..
ROBY LAKATOS ENSEMBLE Kálman Cséki, pianista, nato nel 1962, inizialmente suonava il violoncello ma presto ha cambiato il suo strumento studiando piano classico con Lilly Wiedener e piano jazz con Attila Garay. Ha studiato al Béla Bartók Conservatory e ha passato otto anni girando il mondo con le pop band prima di tornate a Budapest ed insegnare alla Special Academy of Music.
Lászlo Bóni, secondo violino del gruppo, nato a Budapest nel 1968, ha studiato con il padre di Roby Lakatos, suonando nella sua orchestra e prendendo un diploma di violinista gitano nel 1987. Successivamente ha passato sei mesi in Giappone suonando con un trio gitano facendo anche un tour in tutta Europa. Dal 1991 al 1994 ha lavorato ad Anversa.
Ernest Bangó, nato nel 1968, è il figlio di un famoso esecutore di cimbalo. Prima che gli fosse permesso di studiare quello strumento, all’età di sette anni, suo padre ha insistito perché studiasse il violino e il pianoforte. Dopo gli studi classici al Béla Bartók Conservatory, dove tra i sui insegnanti c’era anche Ferenc Gerencsir, è passato alla musica gitana prendendo il diploma di solista nel 1986. Č apparso a Ginevra, Dusseldorf e Montréal.
Oszkár Németh, nato nel 1968 nella città ungherese di Eger aveva solo sei anni quando ha preso parte come violinista alla famosa Rajko Gypsy Orchestra. Č rimasto con il gruppo fino alla fine degli anni ’80 suonando per la Regina Elisabetta II, tra altre importanti personalità. Nel 1984 si è dedicato al contrabbasso prendendo un diploma nel 1987 e per i numerosi impegni lavorativi è rimasto a Budapest fino al 1992. è membro del Roby Lakatos's Ensemble dal 1991.
Attila Rontó, chitarrista, è nato nel 1969 a Miskolc in Ungheria e ha cominciato a studiare all’Accademia di musica all’età di nove anni. Contemporaneamente si è avvicinato alla musica gitana ed ad altri tipi di musica grazie al padre e al nonno e, dall’età di undici anni, ha suonato regolarmente in vari ensemble. Successivamente si è interessato alla musica jazz studiano per quattro anni al conservatorio e formando il suo gruppo specializzato in latin jazz e flamenco. Č apparso in numerosi festival e in televisione e ha al suo attivo numerose registrazioni. Fa parte del Roby Lakatos's Ensemble dal 1991.
Biglietto intero € 8, ridotto € 5 (meno di 25 anni e più di 65). I biglietti saranno posti in vendita al botteghino dell’Auditorium con inizio alle ore 17.
Prossimo appuntamento della Stagione: Domenica 26 Febbraio Auditorium San Rocco ore 18,15 Quartetto d’Archi della Scala Musiche di Mozart, Beethoven, Debussy

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TRANSITIONS ONLINE: Latvia: Walled Up by
Maija
Pukite 6 February 2006
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Cautela delle autorità lettoni nel finanziare le
organizzazioni romani.
“Ci fosse una Zingarolandia da qualche parte, molti di noi
probabilmente ci andrebbero. Ma non c'è,” racconta Vanda
Zamicka, l'unica avvocata rom della Lettonia. Per 500 anni questa terra
è stata la madrepatria dei Rom lettoni. Qui la loro cultura ha
messo radici, lo stesso per la lingua e lo stile di vita, conservando
molte virtù che i Lettoni invece hanno perso. I Rom nella
Lettonia oggi libera, spesso si sentono messi ai margini della
società e tendono a rinchiudersi in se stessi. La maggior
parte della gente ha conoscenza di questo popolo, peraltro fiero,
solo tramite i rapporti della polizia o l'attenzione dei media sul
disadattamento dei Rom.
Durante l'intervista, Vanda Zamicka fornisce prova dei suoi studi
mentre il suo sguardo rimane fermo e penetrante. Ha 26 anni, si è
laureata in legge e attualmente frequenta un master internazionale.
Nel suo parlare, mischia parole russe, inglese e romanì. Parla
quattro lingue e sta imparandone altre due: norvegese e francese.
Demolisce gli stereotipi sui Rom nella società lettone, anche
quelli dei suo colleghi, che rimangono di sasso apprendendo la sua
origine.
E' riuscita a combattere la sua battaglia contro un cordone di
preconcetti.
I PREGIUDIZI PROMUOVONO IL CRIMINE
“Gli stereotipi
sono forti,” ammette Zamicka. “Quelli che vogliono
mostrare di loro un lato migliore, sovente vanno a sbattere contro un
muro.”
Non è passato molto tempo da quando una romnì
scolarizzata e di buona famiglia non superò il colloquio di
lavoro a causa della sua origine. Dopo essersi diplomata aveva anche
frequentato con successo un corso professionale di decorazione
floreale a Mosca. Come molte romnià, ha un senso artistico
particolare. L'impiegato si era mostrato soddisfatto della prima
intervista telefonica e del CV, ma quando la segretaria del
principale se l'è trovata di fronte, ha improvvisamente
addotto motivi per cui il suo capo non poteva incontrarla, neanche
per un saluto di cortesia. Non è stato un caso isolato. Alla
fine la giovane per dar da mangiare ai suoi figli, ha ripreso a
spacciare droga.
Gli stessi Rom stanno iniziando a prendere le distanze dalla
società. [Pensano] stiamo tra di noi, non abbiamo bisogno di
integrarci,” aggiunge Zamicka . Anche i Rom che sono andati a
scuola hanno difficoltà a superare i preconcetti, mentre
quanti sono illetterati si trovano in una situazione insormontabile.
“La società che sta correndo il rischio di
marginalizzare questa nazionalità, spingendo i Rom al
margine,” spiega Irina Vinnik, direttrice dell'ufficio
minoranze presso il Ministero per l'Integrazione Sociale. Eppure i
sondaggi mostrano che i Lettoni sono tra i più tolleranti
verso i Rom rispetto ai popoli dell'Europa [Centrale ed Orientale]:
solo il 27% eviterebbe di aver un Rom come vicinodi casa, confrontato
col 77% in Slovacchia, il 63% in Lituania e il 69% in Ungheria.
Però, anche in Lettonia la situazione può
peggiorare.
LA LOTTA CONTRO L'INTOLLERANZA
“E' compito dello
stato combattere l'intolleranza ed è priorità del
nostro dipartimento, ma d'altra parte, gli stessi Rom devono curare
la loro immagine.” dice Vinnik. Il suo ufficio sta elaqborando
un piano nazionale sulla tolleranza e sta collaborando con la
comunità romanì in questo difficile compito. “Vorremmo
promuovere la discussione nella società e mostrare che [i Rom
sono] una nazione incredibile e da ammirare.”
Sicuramente, la comunità romanì necessita di
riguadagnare la fiducia presso una società più vasta.
Cinque anni fa, Normunds Rudevics aveva la possibilità di
farlo. “Possedeva autorità, notorietà e denaro.
Cosa si voleva di più? Ma ha perso tutto.” dice Irina
Vinnik. [nota di TOL: Normunds Rudevics (*)
era il più noto attivista tra i Rom di Lettonia. Nel
Parlamento dal 1998 al 2002, eletto nel partito di centro Via
Lettone. Non venne ricandidato e fu espulso dal partito con le
elezioni del 2002, accusato di abuso di privilegi parlamentari e di
malversazione personale di fondi destinati all'organizzazione che
dirigeva, la Società Socio-Culturale Rom.]
Sino a poco tempo fa, grazie ad una ritrovata unità,
sembrava che i Rom lettoni potessero raggiungere un certo livello di
autorappresentazione e di governance. Rudevics era il numero 8 della
lista elettorale di Via Lettone. Lui stesso ricorda: “Davanti a
me avevo solo l'ex primo ministro e i membri del governo”.
Eletto con 20.000 voti – cifra di tutto rispetto in un paese
con meno di 3 milioni d'abitanti – allora era pieno di
speranze, e pensava che persino i Rom potevano vivere felicemente.
Le stesse autorità avevano preso coscienza del numero di
problemi affrontati dai Rom e preso la decisione di destinare somme
ingenti per affrontare la questione, dedicando l'intera
responsabilità a Normunds Rudevics. Buone le idee e le
premesse, ma Rudevics tuttora non ha dato conto dei 95000 lats ($.
160.000) stanziati in cinque anni.
Irina Vinnik afferma di non conoscere ancora come Rudevics ha
impiegato i fondi destinati alla comunità romanì,
perché a differenza dei rappresentanti di altre minoranze
nazionali, non è arrivato alcun conto ufficiale sulle spese.
Rudevics insiste nel dire che ha inviato un resoconto alla ragioneria
di stato, ma Vinnik replica che se si fosse dimostrati che quei fondi
fossero stati spesi, l'organizzazione avrebbe potuto richiedere nuovi
finanziamenti.
DIVISIONE DELLA LEADERSHIP
“Sì, Rudevics ha amplificato l'immagine della
Lettonia quando fu eletto in parlamento. Eravamo fieri di avere un
deputato romanì ... ma è arduo rintracciare cosa ha
speso,” ancora Vinnik.
Da quando Ravenics è caduto in disgrazia, non è
emerso nessun altro leader nella comunità, anche se [...]
esistono diversi leader potenziali nelle organizzazioni.
Anatolijs Berezovskis, a capo della locale associazione romanì
di Tukums, infaticabile attivista che ha costruito collegamenti
tangibili tra i Rom e diverse autorità municipali. Sotto la
sua leadership, tutti i bambini rom di Tukums ora frequentano la
scuola. Onesto, rispettato nella comunità. Da alcuni viene
descritto come naif, ma è ritenuto una persona che sui diritti
umani potrebbe fare molto.
Savina Kolomenska, insegnante alle superiori di Bene, l'unica
accademica di storia in Lettonia di origine romanì, rispettata
ed intelligente. Eccezionali qualità di leadership, ma non
disposta a farsi carico del peso di diventare una leader
comunitaria.
Vanda Zamicka [Zamicka-Bergendale], presidente di
Ame Roma: giovane e talentuosa avvocato, con esperienza in diversi
progetti educativi, culturali e sociali. Ritiene che i Rom non
abbiano bisogno di un singolo leader, piuttosto debbano consolidare
una leadership più amplia attraverso la partecipazione ai
gruppi organizzati della società civile.
Leons Gindra, presidente di Gloss Romani: avrebbe l'ambizione del
leader, ma si mormora che non sia affidabile sui temi economici. Si
dice anche che non abbia la fiducia di molti Rom, per non aver
protetto la sua famiglua dal disonore di essere associata al traffico
di droga.
La parola allo stato, per bocca di Irina Vinnik: “Appoggeremo
i progetti di differenti organizzazioni romani se saranno fattibili e
se i conti [della Società
Socio-Culturale Rom] saranno disponibili”.
This
article originally appeared in the Riga weekly Kas Notiek, no.
17, 2005. The magazine has since ceased publication.
Translated
by Aris Jansons.
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May Bittel e Daniel Huber si battono per i diritti dei nomadi svizzeri (swissinfo) |
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Il presidente della Commissione federale contro il razzismo chiede alle autorità elvetiche di riconoscere appieno la cultura e i bisogni dei nomadi.
Facendosi portavoce del disappunto della comunità jenisch, Georg Kreis chiede più spazi di transito e soggiorno per l'unica minoranza nomade di nazionalità svizzera.
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ALTRI SVILUPPI |
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«Siamo ancora molto lontani da un incoraggiamento attivo del modo di vita scelto dagli jenisch, che pure sono parte integrante della realtà svizzera», ha affermato senza mezzi termini George Kreis, presidente della Commissione federale contro il razzismo (CFR).
Davanti al Club svizzero della stampa, Kreis ha sottolineato che «mancano delle aree di transito e di soggiorno in numero sufficiente, manca un vero e proprio riconoscimento della cultura jenisch, una promozione della lingua, un sostegno alle donne e ai giovani».
«Abbiamo il diritto di viaggiare, ma non abbiamo più il diritto di fermarci», commenta dal canto suo May Bittel, fondatore del Forum dei Rom e dei nomadi.
L'esempio dei Grigioni
Per Bittel, pastore protestante di Ginevra che è tra i leader della comunità zingara svizzera, i nomadi sono confrontati con delle difficoltà in tutto il paese.
Solo un cantone, quello dei Grigioni, sembra aver trovato un terreno di dialogo con i nomadi. Secondo Daniel Huber, presidente della Radgenossenschaft, l'Associazione svizzera degli jenisch, nei Grigioni sono state attrezzate delle aree per i nomadi locali ed è stato messo a disposizione dello spazio per i nomadi in transito.
In altre parti della Svizzera, il dialogo è più difficile. «Quando ci fermiamo, spesso è l'inizio di una lotta», fa notare May Bittel.
Stando a Bittel, i problemi dei nomadi non sono affatto cambiati dagli anni Settanta, quando la Svizzera abbandonò la sua politica volta a "fermare" la comunità jenisch.
L'ombra del passato
Tra il 1926 e il 1973, seicento bambini jenisch sono stati strappati alle loro famiglie per essere affidati a chi li poteva allevare secondo uno stile di vita "più consono" alla Svizzera. Non si trattava solo di altre famiglie, ma anche di orfanotrofi e di asili psichiatrici. A spingere in questa direzione è stata la fondazione svizzera Pro Juventute.
Scosso dallo scandalo, il governo svizzero ha presentato le sue scuse nel 1986 per aver contribuito finanziariamente a questo tipo di operazioni.
Oggi, i circa 35'000 jenisch, di cui solo un decimo è ancora nomade, chiedono alle autorità svizzere di impegnarsi maggiormente per la loro causa.
Si aspettano dal governo elvetico un ripensamento del rifiuto di aderire alla convenzione 169 dell'Organizzazione internazionale del lavoro relativa ai popoli indigeni. Si tratta di una decisione che deve ancora essere confermata dal parlamento.
Difficoltà
Berna ritiene di non essere in grado di rispettare appieno alcune disposizioni contenute nella convenzione, come l'accesso alla scuola o la protezione della lingua jenisch.
«Per gli jenisch», sottolinea il loro avvocato Henri-Philippe Sambuc, «questa convenzione è il solo modo per ottenere un modello d'azione collettivo sul piano giuridico».
In attesa di un sostegno da parte delle autorità, gli jenisch non perdono la speranza. Tra i giovani della comunità, conclude May Bittel, si riscontra un rinnovato interesse nei confronti della vita nomade.
swissinfo, Frédéric Burnand, Ginevra (traduzione e adattamento, Doris Lucini)
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Fotografie del 11/02/2006
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