Di Fabrizio (pubblicato @ 09:33:50 in lavoro, visitato 2117 volte)
Vintila
(o
Ventila), vecchia conoscenza per i lettori della Mahalla, ha
fatto capolino tra le pagine del
Giornale. Cosa avrà mai combinato?
di Maria Sorbi
Nomade, 56 anni, moglie e 5 figli: la sua specialità è fare la ronda lungo i
cantieri della metropolitana milanese Risultato: i blitz per rubare rame sono
cessati. E così l’assessore provinciale alle Infrastrutture lo ha assunto
Milano Vintila si macina 30 chilometri a piedi ogni notte lungo le rotaie
della metropolitana di Milano. «Lo faccio per controllare che i rom non rubino
il rame» racconta. Ma anche lui è rom e, a sentire la sua storia, vien da
sorridere. Un rom schierato contro i rom.
Il suo vero nome è Marin Costantin, ma si fa chiamare Vintila. «No, non vuol
dire nulla, è un soprannome, mi piace e basta» ci spiega. Arriva da uno dei
campi nomadi più difficili della città, il Triboniano, ed è stato assunto per
fare il guardiano notturno durante i cantieri per il prolungamento fino ad
Assago della linea verde. In quella zona i furti di rame da parte dei nomadi
sono all’ordine del giorno e i tecnici non fanno a tempo a posare qualche cavo
che, zac, nel giro di poche ore è già sparito tutto.
E chi meglio un nomade per tenere d’occhio le imboscate rom? Chi ne conosce
meglio le tecniche e le abitudini? Ecco allora che per Vintila è arrivato un
contratto di lavoro. Lui, 56 anni, moglie e cinque figli, si era già messo in
luce come portavoce della comunità rom e in passato, soprattutto dopo lo
sgombero come quello del campo nomadi di via Capo Rizzuto, gli era perfino
capitato di sedere ai tavoli delle politici locali per tentare un accordo. Il
suo nome tra le istituzioni gira da un po’ di tempo. Finché un giorno
l’assessore alle Infrastrutture della Provincia di Milano, Giovanni De Nicola,
durante un sopralluogo ai cantieri del metrò, si rende conto che i furti di rame
rallentano l’avanzamento dei lavori. E lancia l’idea: «Perché non ingaggiamo
Vintila?». Detto fatto.
Marin Costantin firma il contratto per quello che chiama «il lavoretto». «Mi
hanno rinnovato il contratto di mese in mese» racconta e ci tiene a dire che lui
è «uno a posto», «uno che ha la partita iva», che «paga i contributi» e che in
vent’anni in Italia non ha ricevuto nemmeno una denuncia.
Nelle sue ronde notturne, avanti e indietro lungo i 4 chilometri di rotaie, si è
perfino imbattuto in qualche vicino di roulotte che se l’è data a gambe non
appena l’ha visto. «Non ho paura - racconta - ma per le emergenze sono armato».
La sua arma è una fionda e in tasca ha anche qualche bullone da usare come
proiettile.
Ma fortunatamente non ne ha mai avuto bisogno: Vintila mette tutti in fuga. «Non
si avvicinano nemmeno, sanno che potrei riconoscerli». Lui, rom controcorrente,
ha preso la sua mission seriamente e non ha saltato una notte di lavoro. Ora che
i cantieri sono finiti e il metrò di Assago è entrato in funzione, Vintila si
cercherà un altro «lavoretto». «Sono bravo io, trovo lavoro subito». Intanto il
suo nome è stato pronunciato al microfono dall’assessore De Nicola durante il
taglio del nastro della nuova tratta metropolitana. E non capita spesso che un
politico ringrazi pubblicamente un rom al microfono.
«Ho voluto citare anche Vintila tra le persone da ringraziare - spiega De Nicola
- perché ha lavorato bene e da quando c’è lui i furti sono davvero calati. È
stato bravo e serio».
E ora che il suo compito è finito, cosa farà Vintila? L’elemosina? «No, per
carità, si fa più fatica a fare quello che a lavorare» scherza lui. «Magari mi
trasferirò a Genova, o a Napoli o forse resterò qui, dipende da dove troverò un
lavoretto». Quel che è certo è che Vintila e la sua famiglia si sentono ormai
italianissimi. «Voglio prendere la pensione in Italia - dice lui con voce ferma
- e non ho accettato i 15mila euro che il Comune di Milano dà ai nomadi che se
ne tornano a casa. Sono regolare e lavoro».
Non solo. Vintila, da capo rom che sa il fatto suo, cerca di convertire la sua
comunità a una vita più onesta e integrata. Ha imposto a sua figlia di smetterla
di stare ai semafori a chiedere l’elemosina e ora lei lavora in un bar. E ha più
volte detto agli zingari del suo campo: «Comportatevi bene, provateci». Lui lo
ha fatto e questo gli ha portato pure un contratto in regola.
Il Fondo Educazione Rom REF ha annunciato che il suo nuovo sito web è pronto
ed in funzione. Il sito è stato ridisegnato e ristrutturato per essere più
intuitivo. Uno degli obiettivi di REF è di fare informazione sull'istruzione
rom, che sia facilmente accessibile e disponibile
Le case di questo importante campo rifugiati a Podgorica di Rom fuggiti
dal Kosovo, sono state definite da The Guardian come "una cima di spazzatura
puzzolente". Eppure i giovani ambiziosi che vivono là sono futuri maestri di
hip-hop e padroni del loro destino
By Emmanuel Haddad
15/02/11 - Siamo in Bratstva i jedinstva 4, un edificio fatiscente situato
in un grande viale in Montenegro. La porta si apre e Dijana Uljarevic,
incaricata dei programmi del
Forum MNE (forum sull'educazione informale giovanile), ci accoglie in un
ufficio un po' disordinato, un mix di giochi per bambini, computer e poster di
concerti.
Queste case spesso vanno in fiamme
Konik è il più grande campo profughi nei Balcani, di cui pochi
conoscono l'esistenza, secondo un
articolo del 2009 di The Guardian. Lì vivono oltre 2.000 Rom in
baracche di fortuna costruite con scarti di legno, latta ed altri materiali.
Queste case spesso vanno in fiamme e, nei giorni di neve come oggi, al freddo e
a perdite dai soffitti. Basta andare in case che sono cumuli di spazzatura
puzzolente per i rifugiati del Kosovo dimenticati in un angolo, come
suggerito dal titolo del giornale britannico. Enorme, specialmente dopo che la
simpatia per i Rom è considerevolmente aumentata in Francia, a seguito della
politica governativa di espulsione di massa dei Rom dai campi.
"Insegno loro a non vergognarsi"
Pavle Calasan | Il più grande centro commerciale con le foto di Konik
Speriamo di scattare fotografie nello stile di quelle del giovane fotografo
montenegrino Pavle Casalan, che vengono esposte in un centro commerciale
in città. Poco prima della nostra partenza arriva Osman Mustafaj. E'
normale che gli ex partecipanti del progetto si fermino. "Non siamo spesso
consapevoli dei progressi raggiunti da un progetto che opera con la gioventù,"
nota Dijana. "Spesso è quando tornano e ci dicono di aver trovato un lavoro che
capiamo quanto ha operato".
Osman è un ragazzo di bell'aspetto, con un sorriso raggiante. Trent'anni, è
arrivato dal Kosovo che ne aveva dodici, e non si è mai guardato
indietro. La sua casa è qui. Le sue radici in MNE sono così forti che ne è
diventato un membro attivo e sta pensando di fondare una propria OnG,
"Coinvolgere la gioventù rom, ascali ed egizia nei Balcani" (UM RAE, Ukljuciti mlade Romi Aškalije Egipćani).
Vuole far crescere la consapevolezza ed ascoltando Dijana, capisci da dove l'ha
presa. "La cosa più importante è il dialogo" dice la giovane mente di MNE. "La
comunità internazionale, che sovvenziona la maggior parte delle nostre attività
- il governo montenegrino essendo per lo più assente - fornisce cibo ed altri
beni, ma questo da solo non è sufficiente a sviluppare la capacità dei giovani.
Ecco perché siamo qui. Per aiutare a tratteggiare le capacità degli individui,
le loro capacità comunicative, i talenti e così via." Questo si realizza
attraverso attività, ed è qui che intervengono Osman e altri educatori.
Vividamente racconta il primo set di karaoke da lui organizzato nel campo
rifugiati, la prima partita di calcio o quando i bambini sono scesi in centro
città per mostrare la loro abilità nella breakdance. "Insegno loro a non
vergognarsi di ciò che sono," sorride. "Alla loro età, ho sofferto la
discriminazione..."
Hip-hop o piccola criminalità
E' difficile tracciare semplicemente un ritratto delle vittime o lamentare lo
stato dei dintorni, anche se ci sono tutti gli ingredienti. "Nel 2003, il
61,3% della popolazione rom non aveva istruzione; il 21,3% non aveva
terminato la scuola primaria. Solo il 9,2% l'ha terminata e ci sono solo
sei Rom iscritti all'università tra il 2004 e il 2005, di cui quattro
hanno abbandonato," osservano Sofia Söderlund e Elin Wärnelid in uno studio del
2009 intitolato
Hip-hop and the construction of group
identity in a stigmatised area.
Barčić Record ed altri artisti di Konik | storie di successo
del Forum MNE
Osman è ottimista, ad esempio sul laboratorio di responsabilizzazione
sull'Aids. "Per molti partecipanti è la prima volta che sentono queste
informazioni." Nella soddisfazione che segue il suo discorso "molti vanno a
fare i test, perché la popolazione rom è la più pesantemente colpita dal virus."
Il potenziale dei giovani che prendono parte alle attività del Forum MNE, ispira
non solo rispetto ma anche ammirazione. Sulle pareti dell'ufficio sono appesi
articoli di giornali dedicato ai Barčić Record, uno dei gruppi
di hip-hop emersi da Konik. Tuttavia, nel loro studio sull'impatto positivo
dell'hip-hop nella creazione dell'identità rom di Konik, Sofia Söderlund e Elin Wärnelid
hanno raccolto storie esemplari sulla povertà nei campi uno e due, dove le
famiglie dei rifugiati vivono una sull'altra, tra crimine, prostituzione e
problemi di droga. Le origini dei problemi spesso nascono dalla stessa fonte,
cioè la mancanza di istruzione. Con i dati del 2007 che mostravano un
tasso di disoccupazione dell'82% tra i Rom in Montenegro, l'istruzione
era diventata secondaria.
Barčić
Record, Boys in Da Hood e co | Come l'attenzione agli emarginati ha prevalso
Laggiù, la gente "normale"
I giovani rapper le cui voci si sentono nello studio menzionano il confine
tra "loro" e la gente "normale"; tra il centro città e "noi". Qualcuno è
risentito soprattutto perché sono cresciuti in Germania, prima di essere
deportati qui nella periferia. "Non fanno entrare i Rom," ricorda Dijana di
quando andò in un pub con giovani Rom e non-Rom. "Poi si sono scusati." E' un
inizio.
Giorno di neve a Podgorica | Giovani nel campo Konik uno
Mi dirigo verso il campo Konik uno, dove ho appuntamento con Osman. La donna
che ci accompagna in macchina non sa come arrivarci. Si ferma a chiedere:
nessuno lo sa. I bambini stanno giocando nella neve in sandali e si finisce a
bere un caffè nel suo ufficio. E' accanto al campo, ma lei non c'era mai
passata.
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