Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Articoli del 28/02/2011
InchiostrOnline
Elvira, una bambina gentile e solare, gioca con la sorellina di 2 anni, gira
per casa, anche se quella dove vive è difficile definirla casa. Una baracca di
20 metri quadrati dove vivono in otto, i genitori e sei figli. Fanno parte della
comunità rom di Scampia e si sono costruiti un'abitazione di fortuna con lamiere
e altri materiali trovati in strada. Entrando, però, l'atmosfera è
sorprendentemente accogliente: ci sono mobili, un televisore al plasma, tappeti,
un tavolo di legno e un divano in velluto. Le bambine ridono, si divertono.
Quando vedono Viola, la volontaria dell'associazione 'Non uno di meno', le
corrono incontro felici. Il rapporto che i volontari hanno instaurato con le
famiglie rom è ottimo: loro sanno che grazie a Viola i bambini potranno andare a
scuola e riuscire ad integrarsi con gli altri bambini italiani.
Circa 70 famiglie, giovani, anziani e molti bambini. Tra i campi Rom di Scampia,
quello di viale della Resistenza, proprio di fronte alla scuola elementare
Ilaria Alpi, è uno dei più a rischio. Dopo il tragico incidente verificatosi a
Roma il 6 febbraio scorso, che ha visto la morte di 4 bambini a seguito di un
incendio divampato in un campo nomadi, l'attenzione verso la problematica rom si
sta facendo sentire in tutte le città italiane. E anche a Napoli la situazione
non è delle più tranquille. A Scampia esiste una delle comunità nomadi più
grandi del Paese. In tutto 400 famiglie. Il Comune ha messo a norma uno dei
campi alla periferia nord della città, ma per molti altri le condizioni
igieniche e di sicurezza restano davvero minime.
La scorsa settimana la Commissione d'Inchiesta Anticamorra, per la vigilanza e
la difesa contro la criminalità organizzata, ha visitato il presidio sociale nel
campo di Scampia, denunciando il forte degrado e sottolineando la necessità di
"un potenziamento dei servizi per prevenire e contrastare le emergenze sociali".
Ma la strada da fare è lunga e le scelte condizionate dalla politica.
Dai campi le famiglie lanciano il loro appello: "Abbiamo bisogno di case decenti
in cui vivere e di un aiuto dallo Stato per cercare di integrarci nella
comunità". Così uno degli uomini della baraccopoli di viale della Resistenza
spiega che la difficoltà sta soprattutto nella mancanza del permesso di
soggiorno. Molti di loro, infatti, non sono cittadini italiani e questo rende
ancora più complicato la ricerca di un lavoro. La mancanza di denaro li spinge
verso attività illecite, portandoli spesso a fare i conti con la giustizia e
allontanando la speranza di un permesso di soggiorno. "Un circolo vizioso che lo
stato dovrebbe interrompere", spiega il "capofamiglia", un uomo forte, in Italia
dal 1980, ma ancora con passaporto macedone.
Annalisa Perla
[22.2.2011 - 13.06]
IlSole24ORE
DOMENICO MODAFFERI. Esiste uno stereotipo radicato: quello che con i rom
non ci sia niente da fare, che ce l'abbiano nel sangue di non rispettare le
regole, di vivere da parassiti nei confronti della società. Noi, attraverso la
formazione al lavoro, abbiamo educato al rispetto delle regole della convivenza,
smontando questo luogo comune. In una città come Reggio Calabria, coi
problemi di disagio e disoccupazione che esistono, la nostra cooperativa offre
lavoro regolare ai rom, nel campo ecologico e dello smaltimento dei rifiuti.
Ricordo un episodio all'inizio della nostra attività: in un quartiere della
città avevamo da poco incominciato a fare manutenzione del verde; una signora,
passando, commenta visibilmente soddisfatta: «Finalmente il Comune ci manda
qualcuno!». Avendole spiegato che si trattava di ragazzi rom, la signora si
ferma e dice in dialetto: «Chisti sun zingari fora»; ovvero, questi non possono
essere zingari di Reggio Calabria... Lo stereotipo del rom incapace di lavorare
era messo in crisi. La sua sorpresa era il segno del percorso culturale che
stavamo avviando.
Abbiamo sempre pensato che per creare le condizioni di integrazione non si
dovesse fare un percorso di assistenzialismo, ma di rispetto delle regole del
lavoro e della convivenza.
In questo senso, per educare al rispetto della legalità, è stato importante
anche ottenere come sede della cooperativa un bene confiscato alla 'ndrangheta.
Lo stato, assegnandocelo, ha affermato il principio della legalità togliendo un
bene al malavitoso e affidandolo a chi, vivendo nel disagio, ha sempre
considerato il malavitoso un soggetto vincitore. Lavorare in una struttura
confiscata è stato educativo per tutta la comunità rom, perché ha fatto capire
che non sempre la persona che ha il potere criminale nella città riesce a farla
franca.
Quello che mette in crisi il percorso di educazione alla legalità attraverso
il lavoro è, invece, la lontananza delle istituzioni. Ad esempio, la mancanza di
appalti per la cooperativa. Questo fa vacillare la fiducia nelle regole che
cerchiamo di costruire con la nostra attività. Cosa rispondo se un rom, padre di
famiglia, mi dice: «Io ho scelto di lavorare e di sudare, anche rispetto a tanti
altri rom che hanno voluto scegliere strade più comode... loro però adesso i 50
euro per dare il pane ai figli li hanno, io no».
Domenico Modafferi è il presidente della cooperativa sociale Rom 1995, nata
con l'obiettivo di allontanare i rom da emarginazione e devianza attraverso
percorsi di inserimento lavorativo nella gestione dei rifiuti solidi urbani. La
cooperativa ha sede in un immobile confiscato alla 'ndrangheta.
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Fotografie del 28/02/2011
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