Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Articoli del 27/01/2012
Segnalazione di Stojanovic Vojislav
23-01-2012 di Antonio Guarnieri - Recluso alla C.R. di Fossombrone
(PU)
Scrivo su queste pagine per raccontarvi una storia che a dir poco ha
dell'incredibile. Questa storia vede la mia famiglia, più precisamente la mia
consorte, protagonista.
Il giorno 10 novembre dell'anno passato, alle ore 6.00, presso la mia abitazione
a Montemarciano (AN) si presentano 7 carabinieri con mandato di arresto nei
confronti di mia moglie, accusata ingiustamente di aver commesso il primo di
ottobre del 2009, alle ore 13.50 circa, un furto di 200.000 Euro presso
l'abitazione di un'anziana signora di Terni, più precisamente di Ferentillo.
Premetto che la mia consorte ha 35 anni e l'unico reato da lei commesso risale
all'età di 16 anni mentre oggi è madre di quattro figli, nonché nonna di un
nipotino.
Quella mattina, di fronte ai figli - tre dei quali minorenni -, i carabinieri
l'hanno ammanettata e portata via dopo aver provveduto alla perquisizione, anche
nella biancheria intima senza che l'operazione fosse fatta da una donna.
Venne portata in caserma dove mia moglie disperatamente cercò di respingere le
accuse. In lacrime cercò di spiegare che avevano sbagliato persona, ma un
carabiniere di Terni con parole ed atteggiamento intimidatorio disse "Smettila
di fare la sceneggiata di Mario Merola. Visto che hai rubato 200.000 Euro
pensavi di farla franca?! Io sono in piedi dalle 2.00 di mattina per venirti ad
arrestare".
Dopo essere stata condotta alla CC di Pesaro è stata sottoposta al regime di
isolamento in attesa d'interrogatorio.
In sede d'interrogatorio lei ha respinto ogni accusa gridando la sua innocenza.
Il PM per tutta risposta le disse: "Dicono tutti così!". Dato che la mia
compagna era incensurata l'avvocato chiese quantomeno gli arresti domiciliari in
attesa del chiarimento. La richiesta fu rigettata nel mese di novembre dal GIP e
dal PM di Terni motivandola con queste parole: "Non credo alla tua innocenza e
affinché tu neghi, non si rilascia la scarcerazione", facendo un gioco
psicologico che consiste nel distruggere ed annientare mentalmente una persona
cercando conferme dove non ci sono.
Preciso ora che io sono detenuto dal 2005 e nell'anno 2009 ero ristretto presso
la CC di Ferrara. Mantenendo lucidità mentale sono riuscito a ricordare che in
tale periodo di carcerazione effettuavo due colloqui mensili: uno al primo del
mese ed uno a metà mese. Ho cercato conferme per far risultare se in tale data
la mia compagna mi aveva fatto visita. Ho constatato che il primo ottobre 2009,
giorno del reato per cui mia moglie era accusata, era un giovedì, giorno in cui
si effettuano le visite familiari; ho allora, con l'aiuto del nostro legale,
richiesto alla CC di Ferrara se in tale data avevo usufruito del colloquio con
la mia consorte.
La CC di Ferrara ci ha risposto che effettivamente quel giorno mia moglie si
trovava lì con me dalle ore 11.30 alle ore 13.30 quindi il tempo materiale per
recarsi in 20 minuti a Terni non ci poteva essere.
Martedì 13 hanno scarcerato mia moglie per cause di forza maggiore. Ora mi
domando: se anziché trovare conferma che la mia compagna si trovasse al
colloquio quel giorno non avessimo trovato nulla e non fossimo riusciti a
dimostrare la sua innocenza, lei sarebbe ancora reclusa e sarebbe stata
condannata dando per scontato che lei era la colpevole? Sono propenso a pensare
che per il GIP ed il PM la sua unica colpa sia quella di essere di etnia Rom.
Questo è quanto accade in Italia. Vengono giudicate persone senza averne le
prove, vengono trovati capri espiatori sui casi che non si riescono a risolvere.
La giustizia ed i pregiudizi si mescolano e diventano criminogeni.
Franzmagazine.com
Il racconto di Zijo Ribic è agghiacciante ma a colpire chi lo ascolta sono
soprattutto le conclusioni a cui è giunto questo ventisettenne bosniaco
musulmano di etnia rom, a cui i nazionalisti serbi hanno sterminato l'intera
famiglia. «Non so se li odio – dice – forse perché non mi hanno insegnato a
odiare e allora questo sentimento non mi appartiene». A chi gli
obietta dopo quello che gli è accaduto l'odio a prima vista sembrerebbe la
reazione più naturale Zijo risponde in modo lucido: «Il fatto che venga fatta
giustizia per me è secondario, mi interessa invece che venga affermata la
verità, che si sappia quello che è successo perché noi rom non siamo animali ma
persone». In questi giorni Zijo Ribic è a Bolzano su invito della Fondazione
Langer, da anni impegnata nell'ambito dell'iniziativa Adopt Srebrenica, non solo
a sostenere il ricordo del genocidio avvenuto negli anni'90 nella ex Jugoslavia,
ma anche nell'aiuto concreto di chi come Zijo ha avuto la vita segnata in
maniera indelebile da fatti che hanno poco di umano, ma che sono avvenuti a
poche centinaia di chilometri da noi. Zijo Ribic sarà protagonista domani 13
gennaio (ore 20, Sala Giuliani del Teatro Cristallo) di un incontro pubblico in
cui verrà anche presentato un documentario inedito sulla sua storia. Incontriamo
Zijo nella sede della Fondazione Langer ed iniziamo la nostra intervista
cercando di immaginare che razza di vita sia quella delle persone che, come lui,
per poter trovare aiuto sono condannate a ricordare quotidianamente gli orrori
che stanno scritti nella propria storia.
Dove vive oggi Zijo Ribic?
«A uzla, in Bosnia. Per un paio di stagioni ho lavorato anche in Italia, a
Rimini. A Tuzla lavoro come cuoco in un albergo ma c'è la crisi e allora da
quasi un anno non mi pagano lo stipendio. Vivo in una stanza in affitto che non
riesco a pagare. Oggi come oggi non cerco altro che un lavoro qualsiasi che mi
permetta di costruirmi una vita normale, una famiglia».
Lei è stato il primo il primo rom ad aver portato in tribunale la questione del
genocidio del suo popolo. Un genocidio dimenticato, passato in secondo piano sia
durante l'Olocausto della Seconda Guerra Mondiale, che durante le guerre
jugoslave degli anni'90.
«Nel 2005 un mio parente mi ha messo in contatto con Natasha Kandic, una
sociologa che ha vinto il Premio Langer nel 2000 e che ha fondato a Belgrado un
centro attivo fin dal'92 con lo scopo di fare luce sui terribili eventi accaduti
durante la guerra. Ho deciso di raccontare la mia storia e denunciare gli autori
dello sterminio della mia famiglia e del mio villaggio. Grazie al sostegno e
all'assistenza della Kandic e del suo staff sono state quindi avviate delle
indagini che hanno portato nel 2009 all'inizio di un processo, tutt'ora in
corso, contro gli autori materiali del massacro nella mia città di Skocic».
Quelle persone sono oggi in libertà?
«No. Parte di loro sono in carcere in attesa della sentenza, altre sono agli
arresti domiciliari».
Quale forza ci vuole per prendere parte ad un processo contro coloro che hanno
assassinato tutta la propria famiglia?
«Innanzitutto bisogna avere i soldi per comprare il biglietto del treno per
Belgrado, fatto tutt'altro che scontato. Per fortuna in patria c'è la signora Kandic che mi aiuta e, come vedete, mi sta sostenendo anche la Fondazione Langer».
Cosa accadde quel 12 luglio del 1992?
«Anche dopo tanti anni mi ricordo tutto, come se fosse successo ieri. Mi ricordo
quando sono arrivati e ci hanno presi. Prima ci hanno picchiati, cercando oro e
armi e dicendo che non avrebbero fatto niente alle donne e ai bambini. Poi
invece ci hanno raggruppati tutti davanti alla casa dove hanno violentato mia
sorella maggiore Zlatija davanti ai miei occhi. Sono quindi arrivati due camion
che ci hanno portati in campagna dove ci hanno fatto scendere uno alla volta
conducendoci verso una fossa appena scavata. Io piangevo, chiedendo di vedere
mia madre e loro mi rispondevano che l'avrei vista subito. Quando è arrivato il
mio turno ho sentito degli spari e il fendente di una lama sul collo. Ho fatto
finta di essere morto e mi hanno gettato nella fossa insieme agli altri che
avevano appena ammazzato».
Come ha fatto a sopravvivere?
«Dopo un po' sono riuscito a risalire dalla fossa e sono scappato nel bosco. Lì
ho trovato una casa abbandonata dove mi sono fermato a dormire. Il giorno ho
incontrato un soldato che indossava l'uniforme dell'Esercito Popolare Jugoslavo.
Il soldato e un suo commilitone mi hanno aiutato».
Dunque dei serbi le hanno sterminato la famiglia ed altri serbi l'hanno invece aiutata…
«Non sono stati i soli. Mi hanno portato in un'infermeria dove ho visto le
stesse persone che la sera prima hanno ucciso i miei familiari. Mi sono
aggrappato ai due soldati che mi hanno salvato e non li ho più mollati. Mi hanno
allora condotto all'ospedale di una località che si chiama Zvornik, dove sono
rimasto per tre anni, protetto da coloro che volevano portarmi via per
uccidermi. Ero pesantemente traumatizzato per quello che avevo vissuto e sono
stato curato».
E poi?
«Grazie ad un progetto dell'Unicef, sono stato portato in un orfanotrofio in
Montenegro. Dopo 5 anni trascorsi lì sono tornato in Bosnia, a Tuzla, ospite di
un altro orfanotrofio e mi sono diplomato poi alla scuola alberghiera».
Com'è oggi la situazione in Bosnia?
«C'è la crisi economica anche lì, molto più grave che in Italia. Per quanto
riguarda la pacificazione i passi in avanti sono stati molto pochi. In ogni caso
la situazione è diversa tra una località e l'altra. A Tuzla dove vivo oggi la
situazione è migliore perché anche durante la guerra c'era stato un
atteggiamento migliore da parte dei serbi nei confronti dei musulmani. Ma in
altre località come Srebrenica è tutto ancora completamente diviso tra le etnie.
La pulizia etnica ha fatto il suo corso e ricordare quanto è avvenuto negli anni
Novanta è ancora molto doloroso per tutti. La politica poi fa la sua parte, sia
in Serbia che in Bosnia, per allungare i tempi all'infinito. Ed il genocidio di
noi rom è ancora immerso nell'oblio, quasi come fossimo delle vittime di serie
B, di cui non è importante occuparsi. È per questo che ho deciso di raccontare
quello che mi è successo a differenza di molti altri».
Intervista pubblicata dal quotidiano Alto Adige il 12 gennaio 2012
Luca Sticcotti è autore di musiche, giornalista ed operatore
culturale. Come musicista è attivo nei campi della classica, del jazz e
dell'elettronica, ma ha realizzato anche colonne sonore. La sua attività
giornalistica si sviluppa sia attraverso media tradizionali, con collaborazioni
con testate sia locali che nazionali, che utilizzando social network e blogs.
Come operatore culturale collabora in veste di consulente con diverse
istituzioni ed associazioni culturali altoatesine. Il sito web dove condivide
parte del suo lavoro è raggiungibile all'indirizzo
www.paupau.it
Fotografie del 27/01/2012
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