Di Fabrizio (pubblicato @ 09:43:56 in Italia, visitato 1755 volte)
di Pino Petruzzelli - 30 novembre 2011
I bambini rom dovrebbero essere tolti alle rispettive famiglie e dati
tutti in adozione?
Stando alla ricerca di Carlotta Saletti Salza, professoressa presso
l'Università di Verona, su un totale di 8.830 procedure di adottabilità, i
minori rom e sinti dichiarati adottabili in sette sedi di Tribunali Minorili
italiani nel periodo compreso tra il 1985 e il 2005 sono stati 258. Quello che è
oggi uno dei maggiori studiosi di cultura romanì in Italia, il professor Leonardo Piasere, commenta i dati:
"Se consideriamo che la popolazione dei rom e dei sinti in Italia ammonta allo
0,15% circa della popolazione totale, capiamo che la percentuale di procedure di
adottabilità dello 0,15%, cioè in sintonia con la proporzione della popolazione,
corrisponderebbe a circa 13 procedure sulle 8.830. Ora il numero di procedure
riguardanti rom e sinti, è superiore del 1700% a tale cifra!"
Questo mio intervento non è contro il sistema delle adozioni, perché, lo dico
chiaramente, ci sono casi in cui togliere il bambino a una famiglia rom o sinta
è cosa sacrosanta.
Ciò che mi interessa è porre alcune domande.
Stando alla legge italiana sono dichiarati in stato di adottabilità i minori di
cui sia accertata la situazione di "abbandono" (legge 184 del 2001), ma nella
legge 149 dello stesso anno, si dice che:
"1) Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà
genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore
alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti
interventi di sostegno e di aiuto.
2) Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze,
sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei
limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei famigliari a rischio, al
fine di prevenire l'abbandono e di consentire al minore di essere educato
nell'ambito della propria famiglia…."
L'interpretazione del termine "abbandono" è così lasciato alla discrezionalità
del Tribunale dei Minori. Ma cosa si intende per abbandono?
Ipotizziamo ci siano due bambini rom di sette e dieci anni, Alin e Mari, che a
causa della povertà dei genitori sono costretti a vivere sotto un ponte. Vengono
sgomberati e i Vigili Urbani li portano sotto un altro ponte. Lì assistono
all'incendio della loro baracca e all'orribile morte di quattro amichetti.
Vengono sgomberati nuovamente e ritornano sotto il primo ponte. I genitori non
trovano lavoro (chi di noi assumerebbe uno zingaro che vive sotto un ponte?) e
tirano avanti solo con gli aiuti che forniscono loro alcuni volontari della
Caritas e dell'Arci. Ogni mattina i genitori di Alin e Mari, però, accompagnano
i figli a scuola dove i bambini arrivano sempre puliti e ben vestiti anche
grazie all'aiuto dei sopra citati volontari. Aggiungo che i bambini, a detta
delle maestre, seguono con sufficiente profitto le lezioni. I pomeriggi dei
bambini, però, trascorrono sotto il ponte.
Voglio ora porre alcune domande:
1) Se vedessimo Alin e Mari sotto il ponte e non sapessimo nulla di loro,
penseremmo giusta l'affidabilità? E sapendo la loro storia e la loro
quotidianità, riterremmo lo stesso giusto toglierli alla famiglia e darli in
adozione?
2) Può un'Amministrazione pubblica, di qualunque appartenenza politica, sentirsi
priva di responsabilità nel lasciare che una famiglia di rom continui a
sopravvivere sotto un ponte?
3) La famiglia di Alin e Mari va sgomberata? E, se si, può lo sgombero di un
sottoponte, senza una reale alternativa abitativa, bastare a tutelare i minori
che vi abitano?
4) Cosa si fa per prevenire le situazioni di estrema miseria in cui sono
costretti a vivere alcuni bambini rom e sinti?
5) Togliere un bambino alla propria famiglia deve essere l'ultima strada
percorribile o la prima? E se deve essere l'ultima, perché il numero di
procedure riguardanti rom e sinti, è superiore del 1700% a quello delle
procedure totali nelle sette sedi dei Tribunali dei Minori che ha preso in esame
la professoressa di Verona nel suo libro "Dalla tutela al genocidio?"
"Ogni volta che mi sgomberavano dai campi ero molto dispiaciuto... perché
non pensavo che era un campo, pensavo che era la mia casa. Era il mio posto che
adoravo, dove arrivavo la sera e mi mettevo al caldo... nella casa, nella
baracca".
Marius ha 16 anni. È arrivato in Italia oltre un anno fa ed è stato sgomberato
già otto volte. Il suo sogno era di "andare avanti", di lavorare, di "essere un
ragazzo molto, molto bravo". Ma per lui non è facile.
Nemmeno per Giuseppe, italiano di etnia rom che ha vissuto per oltre 20 anni in
un campo autorizzato a via Idro, è semplice. È venuto sapere che le autorità di
Milano vogliono ridurre il numero di abitanti del campo e trasformarlo in un
"campo di transito". Né lui né la sua famiglia sono stati consultati su questo
piano e temono di dover andar via senza un'alternativa adeguata.
Da un po' di tempo si sente sempre più indesiderato nella sua città natale,
Milano.
In questa città, le autorità da decenni attuano politiche che sembrano
considerare i campi l'unica soluzione abitativa per le persone rom,
disinteressandosi inoltre del fatto che queste persone vivano in container
sovraffollati, con sistemi fognari vecchi e infestati dai topi. Ma negli ultimi
anni, la loro situazione è addirittura peggiorata.
L'"emergenza nomadi", dichiarata dal governo italiano nel 2008, ha permesso alle
autorità di Milano di sgomberare forzatamente dai campi non autorizzati
tantissime famiglie. Le conseguenze sono state devastanti, soprattutto per
centinaia di bambine e bambini rom, la cui frequenza scolastica è stata
interrotta.
Anche i campi autorizzati sono stati presi di mira. Una nuova normativa
fortemente discriminatoria ha permesso di programmare la chiusura di quasi tutti
i campi autorizzati in cui risiedono i rom, anche per consentire l'esecuzione di
progetti connessi all'Expo, che si terrà a Milano nel 2015. I progetti
infrastrutturali per questo evento internazionale hanno già portato alla
chiusura di due campi autorizzati.
Per Amnesty International, dichiarare uno stato di emergenza su basi infondate
nei confronti di una minoranza etnica e mantenerlo per tre anni e mezzo è stato
uno scandalo!
L'"emergenza nomadi", illegale e discriminatoria in base al diritto
internazionale, non avrebbe dovuto mai essere dichiarata. E adesso che anche il
Consiglio di stato, il più alto organo amministrativo del nostro paese, ha
dichiarato la sua illegittimità, occorre un'inversione di rotta!
Il governo Monti deve porre i diritti umani in cima alla sua agenda, fornendo
rimedi alle persone colpite da sgomberi forzati e da altre violazioni dei
diritti umani.
Le nuove autorità di Milano devono immediatamente fermare tutti gli sgomberi
forzati, mettere a disposizione di tutte le persone sgomberate che non sono in
grado di provvedere a se stesse ripari di emergenza, sospendere e rivedere i
piani per la chiusura dei campi autorizzati e assicurare che rispettino in pieno
gli standard internazionali sui diritti umani.
È il momento di un cambiamento reale per le donne, i bambini e gli uomini rom di
Milano!
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