Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Da
Hungarian_Roma
Romagazine.eu
di
Beatris Joó -
9 luglio 2011
"Non uso il concetto della cosiddetta integrazione rom. Lo trovo
compulsivo. Non hanno bisogno di essere integrati... quello che dobbiamo
ottenere è che la società rom e quella ungherese lavorino e vivano assieme" -
dice Vilmos Kozáry,
fondatore del Romaster Program, che opera dal 2007, e sostiene che la soluzione
del problema risiede nel sostenere all'interno la formazione accademica rom.
Che idee ha lanciato il programma e come è stato impostato il corso?
Il programma Romaster è fondamentalmente una mia idea. Ho registrato il nome
e l'ho dato al Forum Leader d'Affari Ungheresi (HBLF), un'istituzione che ha
operato in Ungheria negli ultimi venti anni, principalmente si occupano di
responsabilità sociale. I suoi membri, incluso un centinaio di compagnie e
imprese ungheresi e straniere, ritengono che una buona resa economica non sia
sufficiente di per sé. Il loro legame con la società dovrebbe caratterizzarle
quanto il profitto che producono. Questa responsabilità appare anche nella loro
appartenenza, perciò vengono supportati diversi tipi di programmi collegati a
donne e genere, ambiente, volontariato e pari opportunità. L'ultimo gruppo di
lavoro citato è guidato da me, dove viene enfatizzato il collegamento tra Rom e
resto della società. Il nostro scopo è che i Rom siano riconosciuti in generale,
o almeno i nostri membri, componenti importanti della società ungherese - che
diviene evidente solo quando vengono offerte più opportunità ai lavoratori rom.
Il programma nasce con lo scopo di aiutare altri giovani Rom ad entrare
nel mondo del lavoro. Chi sostenete in primo luogo?
Sosteniamo giovani Rom svantaggiati dai 14 anni sino al diploma, che vadano
bene a scuola, abbiano buone capacità linguistiche e tendono a proseguire gli
studi in economia, ingegneria, legge o scienze mediche. Lo scopo della
formazione è massimizzare le loro opportunità di impiego immediato. Dopo tutto,
chi li appoggia li adopererà per fornire opportunità d'impiego alla propria
compagnia. Per esempio, la banca Raiffeisen supporta gli studenti della facoltà
di economia.
Da dove vengono i fondi?
I 20.000 fiorini della borsa di studio che forniamo loro mensilmente vengono
dalla compagnia d'appoggio. Il programma non fruisce di sovvenzioni statali.
HBLF funge da coordinatore. L'anno scorso è stata istituita una fondazione,
attraverso cui avvengono i trasferimenti. I ragazzi ricevono la somma totale, i
costi amministrativi sono coperti da HBLF.
20.000 fiorini al mese non risolveranno tutti i problemi, ma se vengono spesi
secondo i bisogni degli studenti, l'aiuto dato vale ogni centesimo. Possono
iscriversi a corsi di lingua, viaggiare all'estero, comprare libri, ecc.
Ci sono altre compagnie che forniscono ulteriori sostegni in natura.
Tuttavia, forse l'aiuto più grande proviene dai mentori.
Che ruolo ha un mentore?
I nostri mentori sono a disposizione degli studenti 24 h. al giorno, 7 giorni
su 7, e forniscono aiuto per qualsiasi tipo di problema. Visitano l'azienda data
su base regolare, garantiscono stage estivi e supervisionano lo sviluppo degli
studenti. Essendo sempre accessibili, i mentori servono come un collegamento
costante.
Il programma è popolare?
E' difficile ottenere l'appoggio delle compagnie e dei loro leader. Anche se
non si richiede loro molti sforzi per supportare un ragazzi, questi ultimi
possono (probabilmente) non raggiungere il profitto atteso. Il finanziamento
annuale di un alunno costa 1.000 euro all'anno, una somma trascurabile. Le spese
per i mentori sono significativamente più alte, ma difficili da definire in
termine di tempo e denaro.
Attualmente sono supportati 50 studenti, 2 dei quali si sono recentemente
diplomati ed hanno già un lavoro. Non è facile attrarre costantemente
attenzione, dato che in Ungheria non abbiamo ancora un programma simile.
Speriamo che i giovani rom coinvolti diventino ambasciatori di questo programma.
L'unica possibilità per l'avanzamento sociale è l'istruzione, perché apre le
porte. Con l'aiuto di psicologi, puntiamo a prepararli anche al loro ritorno,
dato che il loro ambiente spesso tende a trattarli come estranei o alieni.
Perché il ritorno è così difficile?
L'ambiente da cui provengono non valorizza il lavoro e l'istruzione. Di chi
sia la responsabilità, individuale o della società, è una questione complessa.
Credo che da entrambe le parti bisogni iniziare ad avvicinarsi.
Cerchiamo anche di aiutarli anche con il coinvolgimento di esperti; per loro
è assolutamente essenziale preservare la loro identità, nonostante il cambio di
ambiente. Tuttavia, rimane la questione: come si comporteranno nella vita di
ogni giorno dopo la fase di supporto, è qualcosa a cui solo loro potranno
rispondere.
I ragazzi che sostenete, sono in contatto l'un l'altro?
C'è un elemento all'interno del programma, chiamato Romaster Alumni, che è
una comunità sociale per chi si laurea nella medesima istituzione. Fornisce loro
la possibilità di rimanere in contatto, condividere esperienze ed incoraggiarsi
l'un l'altro, ed in quanto tale, gioca un ruolo importante nella loro vita.
Le persone coinvolte quali prospettive hanno in programma?
Se qualcuno è incline a credere che questo lo toglierà dalla povertà, ho
paura che si sbagli. Noi cerchiamo di dare una visione realistica. Ciò che
offriamo è un piccolo sostegno finanziario, mentoraggio, relazioni e migliori
possibilità di impiego. Tutto ciò può contribuire al beneficio degli studenti se
sono capaci e vogliono impegnarsi tramite duro lavoro e sforzi. Così potrebbe
funzionare per arrivare alle compagnie se i loro sforzi si rivelassero
nonostante tutto insufficienti. Diamo loro l'opportunità di orientarsi più
facilmente nel mondo del lavoro. Motivandoli a studiare e lavorare, qui è il
fattore chiave. (Lo so) C'è una grande quantità di idealismo alla base del
concetto, ma senza questo non nascerebbe niente.
Alla luce di quanto detto, possiamo considerare di successo questo
programma?
Anche se il programma è stato lanciato non molto tempo fa, i risultati
sinora ottenuti son estremamente positivi. Nel bilancio includiamo tanto le
risposte dei Rom che pubbliche, ed in entrambe i casi, l'accettabilità è
piuttosto alta. E' un regalo ed un'opportunità perché i giovani rom migliorino
ulteriormente le loro motivazioni. Naturalmente sono costantemente monitorati e
posti di fronte a (certe) esigenze didattiche, ma le regole non sono così
rigorose. Quanti sono coinvolti nel programma, apprezzano molto di far parte
della comunità.
Anche le compagnie coinvolte hanno grandi benefici. Si verificano cambiamenti
significativi di prospettiva, soprattutto quando vengono supportati ragazzi rom.
Possono esserci molti discorsi sociali e conferenze per affrontare il problema,
ma la reale comprensione avviene solo quando si agisce assieme.
Secondo me gli intellettuali rom sono un media che (potenzialmente) hanno
un'influenza dominante sulla loro società. Credo che la soluzione chiave sia che
la società rom guadagni conoscenza nella cultura maggioritario, abbracciandosi
l'un l'altra. Non uso il concetto della cosiddetta "integrazione rom". Lo trovo
compulsivo. Non hanno bisogno di essere integrati, non è questa la soluzione.
Ciò che si deve ottenere è che le società rom e ungherese lavorino e vivano
assieme. I processi di alienazione, il declino del ruolo della famiglia, la
perdita del senso di amicizia, non possono essere percepiti all'interno delle
comunità rom. Difatti, ci sono molti controesempi: sono famiglia-centrici,
ricchi di emozioni, innamorati della musica. Loro trasmettono anche questi
valori, che vale la pena di adottare. Quindi, di nuovo, adattarsi a noi in tutte
le aree della vita ed aspettare che abbandonino i loro costumi non è la
soluzione.
Il programma Romaster è stato mutualmente lanciato dal Forum Leader d'Affari
Ungheresi (HBLF) e da IBM Ungheria a febbraio 2007. Intende aumentare la
comunità di quanti nella società rom posseggono adeguate competenze linguistiche
e titoli di studio.
Il programma è gestito dalla fondazione Romaster in conformità alle compagnie
di sostegno. Il supporto è costituito da tre pilastri: finanziamenti aziendali,
tutor nominati dalle aziende e stage.
Segnalazione di Paolo Ciani
GLI ZINGARI IN LIBANO, COMUNITA' AI MARGINI
In Europa li chiamiamo Rom, in Medio Oriente Dom. Ma per i popoli arabi sono
semplicemente "nawar". Sono zingari, una volta nomadi, ora stanziali, in Libano
sono tra le comunità più emarginate. DI BARBARA ANTONELLI
Roma, 15 Luglio 2011 – Nena News – Sono 2,2 milioni in tutto il Medio
Oriente, tra Libano, Giordania, Territori Palestinesi, Turchia, Iran e Iraq.
In Libano sono una delle comunità più emarginate. Rom in Europa, Dom in Medio
Oriente è il nome che designa le comunità "zingare"*. I loro
antenati, secondo la teoria ormai accettata, sono migrati verso ovest,
dall'India, più di 1000 anni fa. Quando si parla di loro nei paesi arabi, ci si
riferisce a "nawar". Un termine che se usato per designare queste comunità,
assume una connotazione negativa, spesso associato a sporcizia, pigrizia, furto,
elemosina e una moralità discutibile. Vale a dire che, anche il più povero tra i
libanesi, si sente superiore ad un Dom.
Si calcola, secondo uno studio fatto nel 2000, che nel paese dei Cedri, ve ne
siano circa 8000; famiglie numerose con una media di 7, 8 bambini per nucleo,
vivono ai margini delle città, in baraccopoli, in prossimità di altri gruppi
marginalizzati dalla società, come i profughi palestinesi o i libanesi poveri.
A differenza dei profughi palestinesi e dei beduini però, con i quali vengono
spesso erroneamente confusi, sono stati "naturalizzati" dal governo libanese nel
1994; ma la cittadinanza non gli assicura l'accesso ai più basilari diritti
umani. Né li tutela dall'emarginazione e la discriminazione. Sono infatti più
poveri dei profughi palestinesi, secondo una recente ricerca della ONG Terre des
Hommes (basata su interviste a comunità in 4 diversi luoghi del paese dei Cedri)
in collaborazione con la libanese Insan; se infatti secondo i dati rilasciati
dall'American University di Beirut, in media un profugo palestinese in Libano
vive con 2,7 dollari al giorno, il 30% dei Dom sopravvive con meno di 1 dollaro
al giorno. Un alto tasso di disoccupazione, dato che oltre il 44% non lavora, e
il resto sopravvive tra elemosina e "lavoretti" improvvisati, tra cui suonare a
feste e matrimoni.
Un popolo nomade che dopo la naturalizzazione è diventato stanziale, come i
beduini, stabilendosi in ricoveri precari, fatti di latta, zinco, e legno. Il
36,4% di loro non riceve acqua potabile e la maggior parte delle abitazioni non
è connessa al sistema fognario. Circa il 68% dei minori di 18 anni non ha mai
messo piede in un'aula scolastica. Sono i minori i più vulnerabili nella
comunità Dom: esposti a violenze, malnutrizione, condizioni di lavoro precarie,
quando non pericolose, sfruttamento.
Secondo il direttore della ONG Insan, Charles Nasrallah, "l'accesso di queste
comunità all'assistenza legale, al sistema sanitario ed educativo e ad
un'adeguata quantità di cibo, non è garantito". Problemi a cui si aggiunge la
marginalizzazione sociale. Ignorati dai libanesi, ma anche dalle ONG e dalle
agenzie umanitarie.
E non è un caso che poco si sappia su di loro, e che in questo senso la
ricerca congiunta di Insan e TDH rappresenti uno dei pochi documenti disponibili
su questo gruppo etnico. Uno studio volto ad individuare bisogni e necessità
delle comunità Dom, ma anche a valutare l'impatto sulla società libanese e la
percezione che se ne ha.
Come risposta all'emarginazione, i Dom hanno interiorizzato gli stereotipi
negativi che gli sono stati "appiccicati" addosso in questi anni, tanto da
rifiutare la loro cultura e le loro tradizioni, sottolinea la ricerca. Secondo
TDH, i pregiudizi contro questa comunità sono un macigno tale che i Dom stessi
desiderano lasciarsi alle spalle la loro "identità etnica". Lo dimostra il fatto
che la lingua Domari, ciò che li accumuna ad altre comunità in tutto il Medio
Oriente (sebbene coesistano altri dialetti), quindi il marchio indelebile della
loro identità, sta rapidamente lasciando terreno all'arabo. Tra gli
intervistati, metà degli adulti, ma solo un quarto dei bambini, parlano il
Domari; una lingua, di cui non esistono né libri, né testimonianze (i Dom in
Medio Oriente usano infatti l'arabo per scrivere). Nena News
* Dom è una parola di origine indiana; secondo lo storico
britannico Donald Kenrick, , la coesistenza di entrambi le parole si deve al
fatto che la prima lettera era pronunciata "dr"; ma altri studiosi rifiutano
tale tesi.
NDR: Contemporaneamente è uscito un articolo (in inglese) sui Dom del
Libano su
MiddleEast.com
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