Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Articoli del 05/07/2011
Segnalazione di Alberto Melis
Città Nuova 01-07-2011 di Chiara Andreola
Una rom bulgara e una macedone hanno approfittato del loro stage alla
Commissione Europea per far conoscere il loro popolo ai piani alti di Bruxelles
Ricredetevi: i Rom non sono soltanto nei campi. Guarda un po' te, si possono
pure laureare, ed aspirare ad entrare nel mondo degli eurocrati bruxellesi. È il
caso della bulgara Alexandra Tsankova e della macedone Senada Lamovska, che da
ottobre 2010 a marzo 2011 sono state tra i 600 prescelti – su oltre 10 mila
aspiranti provenienti non solo dagli Stati membri, ma anche da quelli candidati,
come appunto la Macedonia – per uno stage alla Commissione europea. Senada e
Aleksandra sono state inserite presso il Direttorato generale per gli Affari
regionali, dove, al di là del lavoro quotidiano, hanno dato il via ad una serie
di iniziative rivolte a stagisti e non solo per far conoscere il proprio popolo
e la propria cultura, in un momento in cui nella stanza accanto si discuteva
della “questione rom” in seguito alla situazione delicata creatasi in Francia.
Una mossa coraggiosa che chiediamo loro di raccontare.
Che cosa vi ha spinto a fare domanda per uno stage alla Commissione europea?
Alexandra: «In Bulgaria, purtroppo, le possibilità di trovare lavoro per una
giovane rom neolaureata non sono molte, per cui ho deciso di puntare su
Bruxelles. Ma al di là di questo, ho sempre desiderato fare qualcosa per aiutare
l'integrazione del mio popolo».
Senada: «Studio relazioni internazionali a Budapest, e quindi volevo vedere in
prima persona come ciò che leggo nei libri viene messo in pratica e capire come
funzionano le istituzioni europee».
Come vivete il vostro essere allo stesso tempo rom e bulgara – nel caso di
Aleksandra – o macedone – nel caso di Senada?
Alexandra: «Non le vivo come due identità opposte. Mi considero semplicemente
una rom bulgara, anche se mi rendo conto che per altri non è così facile:
soprattutto se si sentono trascurati dallo Stato in cui vivono, possono arrivare
a mettere in discussione la propria nazionalità».
Senada: «Nemmeno io riesco a separare il mio essere rom dal mio essere macedone,
sono parte della stessa “identità complessa”. Noi rom non abbiamo uno Stato:
siamo arrivati dall’India nel XIV secolo, quindi viviamo in Europa da oltre
settecento anni. Non ho altra patria che la Macedonia, e credo che la stessa
cosa valga per i rom che vivono negli altri Stati europei. Purtroppo siamo
ancora discriminati e considerati stranieri, o addirittura visti come “non
europei”: ma che cosa significa, oggi, essere europeo?».
Il vostro essere rom ha in qualche modo dato un valore aggiunto al vostro lavoro
alla Commissione? Quali sono state le sfide principali?
Alexandra: «La cosa che più mi ha colpita è stata che i miei colleghi mi hanno
detto di non aver mai parlato con una “vera” rom fino a quel momento, e che man
mano che mi hanno conosciuta la loro percezione negativa dei rom è cambiata. Mi
sembra che ora abbiano una maggiore consapevolezza dei problemi che ci troviamo
ad affrontare».
Senada: «Sono stata inserita nel dipartimento per l’inclusione sociale, dove mi
sono occupata soprattutto del mio popolo. Diversi miei colleghi avevano già
lavorato con dei rom o perlomeno avuto contatti con loro, e anche il mio tutor
era un rom ungherese: per cui posso dire di essermi sentita a mio agio. Al di
fuori del mio dipartimento, invece, mi sono dovuta confrontare con persone che
non avevano mai incontrato un rom, non avevano nessuna conoscenza della nostra
storia e della nostra cultura: alcuni credevano che fossimo una tribù con tanto
di re e regina, e si meravigliavano che potessimo addirittura studiare.
Purtroppo, gli stereotipi si mantengono ben saldi anche tra coloro che poi
prendono le decisioni che contano».
In Europa si parla spesso della “questione rom”: come avete vissuto e vivete
questa situazione?
Alexandra: «Non mi piace che la mia gente venga presentata come “una questione”
o addirittura “un problema”. Come ogni popolo, i rom hanno le loro potenzialità,
e se le utilizzano bene possono contribuire attivamente al bene della società in
cui vivono».
Senada: «I rom non sono una questione: c’è la questione della povertà,
dell’istruzione, della salute, della casa e del lavoro, e i rom che le devono
affrontare. Ma i rom non sono una questione».
Il Papa ha incontrato i rom il giorno di Pentecoste. Ritenete che la Chiesa
possa aiutare l'integrazione?
Alexandra: «Credo di sì. Fin dall'infanzia la fede ha giocato un ruolo
importante nella mia vita, e le persone della mia comunità cristiana mi hanno
sempre incoraggiata ad andare avanti con gli studi e non mollare. Inoltre
compravano il materiale scolastico ed aiutavano nello studio i ragazzi rom del
mio quartiere. C'è ancora molto da fare, e indubbiamente la Chiesa può dare un
contributo fondamentale».
Senada: «Nel mio Paese la maggioranza dei Rom è musulmana, così come lo sono io:
non ho quindi esperienza diretta di come la Chiesa potrebbe aiutare, ma solo di
come può farlo il gioverno. A livello europeo, però, la maggioranza dei rom è
cristiana, delle varie confessioni».
Tra le iniziative che avete organizzato alla Commissione europea, una delle più
apprezzate è stata la serata di musica e danze rom: che impressioni ne avete
ricevuto?
Alexandra: «La cosa che mi ha fatto più piacere è stata vedere come anche gli
altri stagisti si sono sentiti coinvolti nell'organizzarla, e non ci hanno
lasciate sole. Questi momenti di musica e danza, in cui tutti si incontrano e si
sentono sullo stesso piano, sono degli ottimi strumenti per favorire
l'integrazione e combattere i pregiudizi».
Senada: «Se riteniamo che i pregiudizi vengano dalla mancanza di conoscenza
diretta e quindi vadano combattuti incontrandosi, allora l’iniziativa ha
funzionato: più di duecento persone, rom e non, hanno partecipato. Il ricavato
della serata è andato alla scuola elementare Brakja Ramiz-Hamid di Skopje, in
Macedonia, dove il 99 per cento degli studenti è rom. Insomma, abbiamo fatto
qualcosa di buono».
Segnalato da Karin Faistnauer
Abitare in Calabria di Italia Serratore
Dall'alto di una collinetta, che dava sulla strada che da Cortale porta a
Iacurso, mia zia mi mostrava un carro di zingari, che trasportava persone
adulte, alcuni bambini, utensili, qualche mobile. "Guarda, quelli sono gli
zingari e rapiscono i bambini". Ero piccolissima e sentii un colpo allo
stomaco: avevo paura. Avevo ricevuto in realtà il peso di un pre-giudizio ed ero
spaventata. Oggi l'Italia in politica estera condivide le posizioni più retrive:
Berlusconi fa sua quella di Sarkozy sugli zingari, Fini (destra da cui dovrebbe
arrivare la luce!) è d'accordo senza riserve sul divieto francese del burqa,
ancora Berlusconi ci fa assistere alla passerella di hostess di un tipo come
Gheddafi che tanto ricorda il circo delle sue allegre estati in Sardegna. Anche
a Lamezia Terme, per parlare di un centro a noi vicino, sono famigerati gli
zingari (la città non ha mai saputo affrontare la questione), più che gli
‘ndranghetisti. Anni dopo quel mio primo incontro con il popolo dei Rom, una
zingara chiede se può entrare in casa nostra per predirci, in cambio di un po'
di cibo, il futuro. "Voliti ndivinata a fortuna?", chiede quella donna, con un
bambino in braccio. Di solito, nei nostri vicoli, dove non si sapeva cosa si
potesse rubare vista la non ricchezza, gli adulti erano soliti dire ai ragazzi:
"Chiudi la porta, potrebbe entrare qualche zingara!". Quel giorno però mia madre
forse aveva un po' più tempo, forse voleva capire e dice all'altra: "Veramente
lo sai fare?". E la zingara, pure lei stanca della maschera, risponde: "Se lo
sapessi fare, indovinerei la mia sorte". A mia madre piacque la sincerità e la
malinconia della zingara ed io vidi le due sorridere, perché si riconoscevano
simili per la condizione economica (erano entrambe povere) e per l'essere donne
e madri. In Italia oggi chi ci governa vuole in verità spingerci ad avere paura
di ciò che ci circonda, ad avere paura del futuro, e ci vuole portare alla
conservazione del pregiudizio, a non avere il coraggio di aprirci. Rispetto al
mondo ed al nuovo, noi possiamo però avere due posizioni e quella dell'apertura
è una sfida, che forse rende più sereni. Quando ricordo quel colpo allo stomaco
per le parole di mia zia o mi sento spaventata da ciò che non conosco, cerco di
ricordare e seguire la risata di mia madre e della zingara, due donne che per un
attimo si sono parlate ed hanno vinto la diffidenza.
Fotografie del 05/07/2011
Nessuna fotografia trovata.
|