Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Ricevo da
Maria Grazia Dicati
Quanto sta succedendo in questi giorni ad un gruppo di rom Kalderash che si
spostano nel territorio della provincia di Padova, è la prova tangibile di
quanto siano irrealizzabili e strumentali le proposte di coloro che rilasciano
dichiarazioni sul fatto che i nomadi non devono diventare stanziali, ma che
devono sostare in aree di transito temporanee secondo regolamenti stabiliti.
A dispetto di quanto dichiarato e sbandierato ai quattro venti, ai Rom viene
letteralmente impedita la sosta anche per poche ore con ordinanze di sgombero,
cartelli di divieto , dissuasori, fossati, transenne…
A nulla servono le loro motivazioni relative alle necessità legate alle
tradizioni culturali, né vengono prese minimamente in considerazione le loro
legittime richieste ed esigenze di poter incontrare parenti di un determinato
territorio.
Il tam tam dei vari amministratori locali li raggiunge prima ancora del loro
arrivo e scatta immediatamente l’ordinanza di sgombero, alla faccia del rispetto
delle leggi.
A testimonianza di quanto si afferma, riportiamo l’articolo 1 del regolamento
e della disciplina degli interventi sulla presenza delle popolazioni nomadi nel
territorio Veneto:
Art.1 La Regione Veneto, nel rispetto della legislazione vigente e fatte salve
le limitazioni che la legge stabilisce per motivi di sanità e sicurezza,
riconosce il diritto al nomadismo ed alla sosta sul territorio regionale e
ne disciplina l'esercizio, secondo le modalità previste. (Maria Grazia Dicati)
Ecco una delle cronache del Gazzettino di Padova di Stefania Mastellaro
Dopo lunghe trattative, i nomadi hanno lasciato ieri sera alle 19 Cagnola. Ma
hanno fatto poca strada. Sono andati a parcheggiare le loro roulotte a Conselve,
in zona industriale. La sosta in questo Comune potrebbe essere davvero breve,
visto che già ieri sera il sindaco Antonio Ruzzon ha mobilitato immediatamente
le forze dell'ordine e ha emesso un'ordinanza di sgombero immediato. A tarda ora
le forze dell'ordine erano ancora impegnate a mediare con i capi della comunità
Rom. Il Comune di Padova non ha voluto sentire ragione di nessuna sorta. Il
campo di via Longhin, dove i Rom avevano intenzione di recarsi ieri sera, per il
momento è "off limits". E a ribadire il concetto ci hanno pensato alcuni agenti
della polizia municipale di Padova, che in più riprese si sono recati a Cagnola
a controllare la situazione. E a ribadire al capo della "comitiva" che Padova
era meglio lasciarla perdere. E così, dopo alcune ore dalla scadenza della
ordinanza di sgombero, emanata dal Comune di Cartura, un primo gruppo di circa
quindici roulotte e camper ha lasciato Cartura per andare a piazzarsi in zona
industriale a Conselve. Il secondo gruppo è partito un po' più tardi, evitando
di congestionare il traffico, già di per sé caotico della Conselvana soprattutto
nelle ore di punta.
Una giornata a dir poco campale, cominciata ieri mattina di buonora. Il
comandante della polizia municipale di Cartura si è recato fin dalle prime ore
del mattino a ricordare ai nomadi che alle 13 sarebbe scaduta l'ordinanza di
sgombero. All'inizio è cominciata una trattativa, portata avanti dal vicesindaco
Romano Terrassan con Sandro Hudorovic, capo di tutta la carovana in sosta.
Hudorovic chiedeva tempo, altri due giorni, per poter raggiungere nel fine
settimana il campo di via Longhin a Padova e incontrarsi con i loro colleghi per
la festa evangelica di fine maggio. Festa che sembra destinata a diventare
l'occasione per parlare dei problemi che stanno vivendo le comunità nomadi in
questi giorni in tutta Italia. La data ipotizzata per questo megaraduno, al
quale dovrebbero partecipare anche nomadi provenienti dai campi di Napoli, Roma,
Torino e anche da Spagna, Francia e Germania, sarebbe il 31 maggio. Intanto gli
abitanti del paese hanno salutato con soddisfazione la partenza dei Rom.
«Sono stati di parola - ha detto il vicesindaco di Cartura Romano Terrassan,
eletto tra le fila della Lega Nord - e hanno lasciato il parcheggio quasi come
lo hanno trovato. Consiglio al mio collega di Conselve Antonio Ruzzon di portare
pazienza due giorni, e poi e ne andranno anche dal suo Comune».
«Gente senza cuore - ha inveito ieri sera Sandro Hudorovic prima di partire -
vorrei sapere cosa vi abbiamo fatto. Chiedete agli abitanti del paese che
problemi abbiamo provocato in questi giorni. Noi siamo gente per bene. Lunedì
notte abbiamo addirittura sventato un furto nello stabile dell'ex zuccherificio
che si trova proprio qui davanti. Ci costringono a partire di sera con ottanta
bambini appresso. Noi siamo cittadini italiani, non facciamo del male a nessuno.
Cosa possiamo farci noi se alcuni Rom di etnia romena hanno tentato di rubare
dei bambini? Anche tra voi italiani ci sono molti delinquenti che violentano i
loro figli e picchiano le loro mogli. Noi non abbiamo nulla a che fare con
queste persone, siamo brava gente che non dà fastidio a nessuno».
Sandro Hudorovic ieri sera aveva il suo da fare a tenere calmi gli altri Rom,
che non hanno accettato di buon grado il fatto di doversene andare da quel posto
alle sette di sera.
«La nostra vita è questa - aggiunge Hudorovic attorniato da una decina di
bambini che gli girano intorno e che chiedono una foto al nostro fotografo -
siamo nati Rom e per nulla al mondo siamo disposti a cambiare. Voi non vivreste
mai nelle roulotte, noi mai nelle case». E ora si replica a Conselve.
Da
Roma_ex_Yugoslavia
Alcuni dei dispersi del Kosovo sono contenti dell'indipendenza, altri ne
hanno paura
19 maggio 2008 - Fonte UNHCR - MITROVICA, Kosovo - I Rom ritornati a
Mitrovica dopo essere fuggiti dalla città divisa circa dieci anni fa sono divisi
sul futuro a seguito della dichiarazione unilaterale del Kosovo di indipendenza
dalla Serbia.
Alcuni dicono di credere che l'indipendenza, annunciata il 17 febbraio,
potrebbe migliorare la loro vita in un era di prosperità e lavoro. In contrasto,
alcuni dei Serbi dispersi nel territorio, determinati a rimanere in Kosovo,
hanno paura di diventare nuovamente bersaglio di violenze etniche.
I membri di entrambe le comunità lasciarono le loro case nel 1999 quando la
popolazione maggioritaria di etnia albanese - molti di loro erano scappati da
persecuzioni precedenti - ritornò dopo il ritiro delle forze di sicurezza serbe.
A Mitrovica, oltre 8.000 Rom che vivevano nella parte meridionale della città
scapparono a nord quando gli Albanesi di ritorno attaccarono il gruppo di
minoranza per i loro presunti legami con i Serbi kosovari.
Vissero nei campi in condizione di abbruttimento, ma mentre molti di loro
sono ora in Serbia o oltremare, diverse centinaia negli ultimi due anni sono
ritornati nelle nuove case costruite nell'area della Mahala Rom di Mitrovica
dalla comunità internazionale.
Lindita Gashi* è ritornata nella Mahala con suo marito e
quattro bambini lo scorso ottobre dopo anni passati nel campo di spersi di
Osterode nel nord Kosovo. La vita era difficile.
Racconta che la loro vita è migliorata dal ritorno a Mitrovica, dove i
bambini sono iscritti a scuola, suo marito guadagna di che vivere dalla raccolta
di metalli di risulta e uno dei loro bambini può ricevere cure mediche regolari
per i problemi di salute dovuti alla permanenza ad Osterode.
Gashi dice di aver accolto con favore la dichiarazione d'indipendenza, mentre
la Serbia ha protestato contro il Consiglio di Sicurezza dell'ONU.
"L'indipendenza è una buona cosa," dice, aggiungendo che porterà a più
investimenti da oltremare e maggiori possibilità di impiego. "Ora spero di
ottenere un lavoro come donna delle pulizie nel centro sanitario."
Ma molti dispersi Serbi in Kosovo, che la Federazione Russa, la Cina e molti
altri paesi riconoscono ancora come una provincia serba, non sono così ottimisti
sul futuro. Nella città meridionale, la famiglia Jovanovic*
cerca di vivere una vita possibilmente normale, ma affrontano tempi difficili.
Il padre lavora come autista di bus per le comunità minoritarie, mentre sua
moglie bada alla casa e ai due figli. Nonostante i problemi, sono determinati a
rimanere in Kosovo e sperano un giorno di potere reclamare l'appartamento
nell'altra parte della città che abbandonarono nel 1999. "Il mio desiderio più
profondo è di vivere e morire dove sono nata - Kosovo," dice la moglie.
Aggiunge che sperava che l'indipendenza avrebbe significato riconoscimento e
protezione per i Serbi dispersi in Kosovo, ma poi dice che alcuni membri della
sua comunità hanno paura con l'indipendenza di diventare nuovamente bersaglio di
violenze etniche.
L'UNHCR gioca un ruolo cruciale nella protezione delle minoranze in Kosovo,
dice Martin Loftus, capo della missione UNHCR in Kosovo. Aggiunge che con cinque
uffici sul campo e uno staff di 80 persone, l'UNHCR "è in grado di monitorare
efficientemente la situazione delle persone disperse interne, come pure il
ritorno delle minoranze."
* Nomi di fantasia per ragioni di protezione e sicurezza
By Peninah Benine Muriithi In Pristina, Kosovo
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