Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Da
Hungarian_Roma (segnalazione
precedente)
NRC Handelsblad Le uccisioni dei Rom mettono in mostra le tensioni
sociali in Ungheria 26 agosto 2009 10:41
Parenti di Maria Balogh, colpita a morte il 3 agosto
scorso, confortano sua madre durante i funerali a Kisleta. Photo AP
Quattro neonazisti ungheresi arrestati per la grande quantità di orribili
omicidi di zingari. La minoranza rom organizza la propria difesa.
By Marloes de Koning in Gyöngyöspata
Gli uomini della comunità rom di Gyöngyöspata si alternano nel pattugliare il
loro quartiere. Ogni sera alle 18 girano per il villaggio in due macchine,
guidando molto lentamente attraverso le strade tortuose dove vivono i Rom.
"Le case senza recinti sono le più vulnerabili" dice Tamás Bangó, un uomo
grosso e ciarliero che fa parte del gruppo vigilante a Gyöngyöspata, guidando
per il villaggio. "Da alla gente un senso di sicurezza sapere che siamo qua
intorno."
Nove attacchi
Tra i sedili anteriori ha un bastone metallico telescopico ed un coltello.
"Non li ho mai dovuti usare, ma sono pronto," dice Bangó. Sottolinea come il suo
gruppo stia nei limiti della legge. L'arma più potente del gruppo è il telefono
mobile.
In apparenza, qui ci sembra ci sia poco da giustificare una simile vigilanza.
Nella penombra, le case isolate ai limiti del sonnolento villaggio, ad un'ora di
strada a nord est di Budapest, sembra più pacifico che mai.
Ma la comunità rom in Ungheria è terrorizzata dopo la recente serie di
uccisioni. Da novembre sei Rom sono stati uccisi in nove attacchi.
L'ultimo incidente è successo il agosto, quando una donna rom, Maria
Balogh, è stata uccisa nel sonno e sua figlia di 13 anni seriamente ferita,
nella città di Kisleta, nell'Ungheria Orientale.
A febbraio, un padre e suo figlio di 5 anni furono colpiti a morte mentre
correvano fuori dalla loro casa a cui era stato dato fuoco, a Tatarszentgyörgy
nell'Ungheria Centrale.
Venerdì scorso [21 agosto ndr] la polizia ha arrestato quattro
sospettati di essere dietro alle uccisioni dei Rom. Giovedì la polizia aveva
detto di aver trovato il DNA di due degli uomini in diversi posti luogo di
omicidi. Ha detto che gli assassinii erano motivati razzialmente e accuratamente
pianificati. Secondo i media ungheresi avevano svastiche tatuate ed erano
conosciuti per il loro odio verso i Rom.
Gli attacchi hanno messo in mostra e alimentato le crescenti tensioni sociali
dentro l'Ungheria.
Segregazione crescente
Nella cucina della casa di János Farkas, capo dell'Autogoverno rom nella
regione, un gruppo di uomini stava discutendo animatamente. "L'Ungheria sembra
pacifica," diceva Farkas, un piccol uomo con baffi ispidi ed una maglietta Puma
senza maniche. "Ma nel frattempo dei bambini sono stati brutalmente uccisi.
Dobbiamo organizzare la nostra difesa."
Nonostante la mancanza di statistiche credibili ci sono molti segni che la
divisione tra Rom e non-Rom in Ungheria si stia ampliando.
"La segregazione sta aumentando," ha detto János Ladányi dell'Università
Corvinus di Budapest, esperto di Rom. Sotto il comunismo tutti in Ungheria
avevano un lavoro e le differenze sociali erano sensibili. Ma dagli anni '90
molti occupati con bassa professionalità sono stati espulsi dalle città verso i
cosiddetti "villaggi ghetto", riducendo inoltre le loro possibilità di trovare
lavoro. In questa categoria gli anziani ed i Rom sono sovra-presenti.
Mentre la popolazione ungherese sta invecchiando ed assottigliandosi, la
giovane popolazione rom è in crescita, dice Ladányi. In cima ai problemi
strutturali viene la discriminazione e la rapida ricerca di un capro espiatorio.
La crisi economica serve soltanto ad aumentare il problema.
Nelle elezioni parlamentari europei di giugno, il partito Jobbik di estrema
destra ha sfiorato il15% del voto ungherese. La sua campagna elettorale si è
incentrata su un duro approccio verso la "criminalità zingara".
La Magyar Garda, un gruppo paramilitare collegato Jobbik, recentemente
vietato, marcia regolarmente nei quartieri rom nelle sue uniformi bianche e
nere. Secondo l'European Roma Rights Centre il gruppo sta agendo anche in alcune
zone della Romania, dove la minoranza ungherese sta avendo problemi coi Rumeni (vedi
QUI ndr).
"Sono inarrestabili," ha detto Tomás Polgár aka Tomcat. Polgár è l'anima di
Bombagyar (fabbrica della bomba), il blog più popolare di Ungheria. Si guadagna
da vivere stampando, tra l'altro, t-shirt. L'ultima commissione era della Magyar
Garda. Mostra una t-shirt nera con un grande leone d'argento, mentre dei giovani
dalle spalle ampie e coi capelli corti vagano per l'ufficio.
"Gli zingari devono solo rimproverare se stessi," dice Polgár. "Sono
criminali e sono una minaccia per noi, la maggioranza. Fanno più bambini, ci
stanno superando."
Polgár dice che non vede nell'uccidere la risposta. Gli Ungheresi che sono
superiori devono prendere i Rom per mano come bambini ed "insegnargli come
comportarsi". Ma nel breve termine vede più violenza, con incidenti da ambo le
parti. "E' una guerra," dice.
Viktória Mohácsi, Rom ungherese e sino a giugno membro del parlamento
europeo, concorda. "Mi sento come se fossi in guerra," ha detto con le lacrime
agli occhi. Proprio quella mattina aveva ricevuto un'altra minaccia di morte.
"Ricevo più di mille lettere di minacce ogni giorno."
I Rom si stanno auto-organizzando, dice Mohácsi, e stanno usando le veglie
per le vittime morte per farlo. "I leader rom mi chiamano e dicono di volersi
organizzare contro i neonazisti. Ma cosa ci si aspetta da me: una donna di 40
kg. senza armi o denaro?"
Anche se, ammette, non ci sono molte scelte. "Possiamo o armarci o scappare."
Elisabetta segnala tre articoli sulla situazione a Pavia. Mi
rimane la curiosità di sentire il parere di Rom e Sinti
Il secolo dei "campi" è finito
Pavia è città dell'eterno ritorno, dell'eterno errore. Essendo un meccanismo
archetipico non conosce colore politico. Siamo ancora qui a discutere di "campo
nomadi", di ghetti progettati congiuntamente e
con il consenso dei ghettizzati a spese di tutti i cittadini. Nella città dei
Saperi non si riesce a concepire altro che lo stereotipo, il ritorno ossessivo
degli stessi concetti, degli stessi errori. La giunta (Pdl) lo vuole fare, ma
non sa dove; le voci citano qualche quartiere e questi per voce di esponenti del
Pd fanno sapere che "no pasaran". Lo spettacolo è deprimente, i pensieri tristi,
lo spettacolo di infima qualità. Eppure basterebbe ragionare sulle parole e
conferire ai Sinti e Rom lo status di cittadini, come si fa per qualsiasi altro
cittadino. Ma parlare di "nomadi" è troppo attraente, fa sentire tutti
competenti: tu sei nomade e io ho invece le radici. E' differenza che di per sé
basta a marcare un abisso e la costrizione in un ruolo blindato di centinaia di
concittadini. Nel febbraio scorso ho scritto una lettera al quotidiano locale;
ho espresso ciò che penso: nomadi non ce ne sono. Mi sembra che nulla sia
cambiato da allora; gli stessi equivoci, le stesse misere parole, la stessa
politica che non sa essere altro che il portavoce della medietà senza coscienza,
senza preparazione e senza linguaggio significativo e aderente alla storia e
alla memoria. Una medietà antropologica più che politica: questa dimensione
sembra perduta (per sempre?). In questa città non ci devono essere nemici (che
devi farti amico) - o nodi d'incaglio - che non siano i "nomadi" (anche se
nomadi non sono), i quali, servendo perfettamente l'incapacità della politica
d'essere protagonista e illuminata, devono persistere ad essere artatamente
tali. Di seguito è l'articolo che "La Provincia pavese" dedica oggi, 27 agosto
2009, al tema "campo nomadi") e a seguire il mio intervento del
28 febbraio 2009.
Irene Campari
Il Pd: «No i nomadi al Vallone»
PAVIA. Da un lato il vicesindaco Gian Mario Centinaio - Lega - ha ribadito
che una soluzione per i 450 sinti bisogna trovarla, «perché comunque sono
cittadini pavesi anche loro». Dall'altro lato Tullio Baruffi, presidente del
circolo di Pavia nord est del Partito Democratico è pronto a dare voce ai
residente del Vallone che non vogliono il campo vicino sotto casa.
Prima lettura: Sinistra e Destra, nell'eterna divisione pro-stranieri una, contro-stranieri l'altra, si stanno
scambiando i ruoli.
Seconda lettura: nella più recente divisione tra il
partito radicato sul territorio - la Lega - e quello assente - la generica
Sinistra, inizia a farsi sentire chi non vuole essere etichettato come assente,
perché la voce dei cittadini è pronto ad ascoltarla.
E poi c'è la terza
lettura, che in fondo mette d'accordo tutti: prima di prendere qualsiasi
decisione in merito al campo nomadi servirà il confronto con la città.
Tullio
Baruffi ha raccolto il malumore del Vallone. «C'è chi sottolinea che il valore
degli immobili crollerà - spiega Baruffi - chi ha paura. Il fatto è che non si
può mandare tutto al Vallone. Hanno detto che li metteranno o al Carrefour o al
Bivio Vela, ma comunque graviteranno dalle nostre parti. Hanno detto che si
rivolgeranno ai quartieri - continua Baruffi - ma se non ci sono più con chi
parleranno? Prima di prendere decisioni chiediamo che vengano a parlare con la
gente. Se un 'assemblea non la faranno loro, la faremo noi». Quel «loro» si
riferisce a maggioranza e opposizione.
«E' una questione delicata quella del
campo nomadi - sottolinea Matteo Mognaschi, consigliere della Lega Nord - su
cui dobbiamo ancora parlare al nostro interno. E' un problema che l'amministrazione di centro sinistra non ha affrontato per anni». E la posizione
del circolo Pd del Vallone? «E' strano che il Pd sia così vicino alle esigenze
del territorio - dice Mognaschi - è una posizione singolare. Ma sicuramente
serve un confronto con i cittadini». Ed è quello che dice anche Antonio Maria
Ricci, segretario cittadino del Pd. «Una sistemazione per il campo nomadi deve
essere trovata - sottolinea - tanto è vero che è nel programma che abbiamo
presentato per sostenere Albergati. Indipendentemente dal colore politico,
bisogna parlare con i cittadini della zona dove lo si vuole insediare. Come i
nomadi hanno la necessità di trovare una collocazione adeguata, i cittadini dei
quartiere devono essere incontrati. Bisognerebbe aprire un tavolo con queste
comunità, associazioni, amministratori e le forze politiche - aggiunge Ricci -
per evitare di creare divisioni».
Marianna Bruschi , "La Provincia pavese", 27
agosto 2009
Nomadi o no? Decidiamo sui Sinti di Irene Campari
Il tema del
campo nomadi sarebbe stato argomento da affrontare nel passato entro i termini
di un contesto civile che si propone una reale integrazione di gruppi solo
apparentemente "diversi" da quelli radicati. Le direttive europee prevedono
l'accoglimento di comunità di passaggio in luoghi attrezzati con servizi
adeguati per la tutela della salute e dei diritti fondamentali. Tuttavia, le
amministrazioni civiche dovrebbero decidere come considerare le comunità Sinti:
sono "nomadi" o non lo sono? Quali stili di vita definiscono i cittadini "nomadi"? E' sufficiente un'autocertificazione? Il rispetto delle consuetudini
delle culture e gli atteggiamenti antidiscriminatori passano tramite la
chiarezza su quel punto, che deve darsi senza infingimenti o opportunismi. Una
comunità che risiede in città da più di quarant'anni non può plausibilmente
dirsi "nomade". Basta voler vivere in roulotte per confermarsi tali? Non mi
pare altrettanto plausibile. Negli ultimi anni ho osservato piuttosto un gioco
delle parti tra istituzioni locali e comunità Sinti tendente a dar per scontato
quel carattere accettando la soluzione del "campo" come scontata e senza
alternative. E' probabile che ci fosse una reciprocità conveniente, che però
non ha fatto altro che alimentare sentimenti negativi dei cittadini pavesi "stanziali" nei confronti dei cittadini pavesi
"nomadi". Da sempre presentati
così, hanno attirato su di sé il pregiudizio della diversità antelitteram,
quella fondata sulla proprietà della terra. Per chi è stanziale questa
struttura l'habitus; chi è nomade apparterrebbe invece ad una cultura altra e
sfuggente, che appare nell'immaginario antropologico come quella che minaccia i
"radicati" proprietari in virtù della propria libertà dai vincoli del bene
fondiario. Sarebbe ora di affrontare fino in fondo questo nodo. L'Amministrazione comunale uscente aveva stanziato 90 mila euro per un progetto
di nuovo campo per i Sinti. Non ha mai specificato dove l'avrebbe collocato.
Tantomeno lo faranno in campagna elettorale; è tema che toglie consenso. Ma
rimane lì come idea territorialmente vaga, per accontentare da una parte i
Sinti e dall'altra non inibirsi il favore dell'elettorato. Circa 35 mila euro
sarebbero andati ad associazioni per "mediare" e fare accettare la comunità
Sinti "nomade" da quella radicata. E' un circolo vizioso da interrompere. Se
risiedono a Pavia da tanti anni, i figli hanno studiato qui, lavorano qui, qual
è la necessità che spinge a dichiararne il "nomadismo"? I diritti sono diritti,
e si realizzano anche nello spazio. I campi hanno da sempre richiamato qualche
tratto più o meno marcato di "extraterritorialità", o, nei peggiori contesti, i
"ghetti". Ritengo che a Pavia non si debbano più sperimentare né i primi né i
secondi, come all'ex Snia. Se bisogno ci sarà di accogliere comunità indigenti
di cittadini europei, saranno necessarie aree attrezzate e regolamentate per
una sosta breve in attesa di soluzioni a lungo termine, per evitare che le aree
dismesse diventino specchio della nostra vergogna ed incapacità di gestire l'umanità, e ciò valga anche per i rapporti tra cittadini Sinti e cittadini Rom.
Per le comunità residenti finora nei campi cittadini vedo la proposta del
Prefetto Buffoni - distribuire gli insediamenti in piccole e distribuite aree -
come temporanea. I cittadini europei di origine Sinti dovrebbero accedere ad
abitazioni reperibili sul libero mercato. Il "nomadismo" autentico temo che si
esprima con altre modalità da quelle fin qui mostrate dai nostri concittadini
europei di origine Sinti. Una posizione come quella espressa disinnescherebbe
anche l'uso strumentale che dei campi per le comunità Sinti potrebbe essere
agevolmente fatto nell'imminente campagna elettorale.
Irene Campari, Circolo
Pasolini Pavia
"La Provincia pavese", 28 febbraio 2009
Nessuna fotografia trovata.