Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Articoli del 14/12/2008
Da
Tg Roseto. altre notizie su
Coopofficina
12 Dicembre 2008 - Martedì 16 dicembre alle ore 15.00 si svolgerà
presso il Centro Polivalente per Immigrati "Melting POinT", in via C. Battisti
31 a Martinsicuro, un incontro pubblico di approfondimento sulla cultura Rom.
Fonti storiche segnalano l’arrivo dei Rom in Abruzzo già nel XIV secolo, eppure
i Rom costituiscono ancora "cittadinanze imperfette".
La parola "rom" suscita ancora timore e troppo spesso rappresenta causa di
allarme sociale.
Per cercare di ovviare a questo "stato di emergenza", la Provincia di Teramo
e la Casa Circondariale di Teramo organizzano un incontro pubblico di
approfondimento sulla cultura Rom, rivolto a cittadini, operatori sociali e
famiglie Rom.
All’incontro parteciperanno:
§ MIRELLA DI GIORGIO - Rinnovare le pratiche e le parole: zingaro o Rom?
§ ANNA RITA SILVESTRI - 60 anni e 6 giorni dalla Dichiarazione Universale dei
Diritti dell’Uomo: raccomandazioni, leggi e progetti per promuovere la dignità
di ciascun individuo
§ ERNESTO RUSSO - La presunta non integrabilità: casi di Rom al lavoro
E’ tutto a posto con i Rom?
La parola "rom" fa ancora timore quando viene espressa nella società italiana, e
per vari politici rappresenta causa di grande allarme sociale con possibili
gravi ripercussioni sull’ordine pubblico e la sicurezza, in una parola
costituisce "uno stato di emergenza".
Prima di arrivare a queste affermazioni, i politici dovrebbero farsi la domanda…
Quanto conosciamo di questo popolo? Già, con la legge 482 del 1999 che riconosce
le minoranze linguistiche, all’ultimo momento i rom e i sinti vennero cancellati
e purtroppo, finora niente non è mai stato fatto.
La missione a Roma, il 18 e 19 settembre scorsi, di un gruppo di
europarlamentari ha già prodotto un rapporto in cui si legge, tra le molte
osservazioni: "le azioni perpetrate contro i rom dalle autorità italiane violano
diversi obblighi dell’Italia rispetto alle norme internazionali sui diritti
umani".
Al termine delle 40 pagine della bozza di rapporto, scritto da Gèrard Deprez
eurodeputato belga liberale e presidente della Commissione libertà pubbliche si
legge: "le autorità italiane devono abrogare immediatamente tutte le normative e
ordinanze che hanno come bersaglio i Rom. Oltre ad abrogare, il governo italiano
viene invitato anche a fare, a non dire e a condannare".
E’ un richiamo verso tutte le istituzioni a un impegno per ricercare, con il
tempo, un dialogo costruttivo che prevede un processo di integrazione a lungo
termine, e non un processo di colpevolezza.
La legislazione europea afferma che soluzioni abitative che emarginano, dal
punto di vista geografico, comunità minoritarie come i rom e i sinti sono
soluzioni razziste; e tanto altro è previsto ancora.
Il cambiamento può avvenire dentro di noi. Liberarsi dei pregiudizi, lavorare su
noi stessi, rispettare i diritti degli altri, accogliere le diversità come una
risorsa non come una minaccia, è poi, chiedere di essere rispettati.
Un noto scrittore sottolinea:" i rom e i sinti sono belli e brutti, intelligenti
e stupidi, modesti e falsi, aperti e chiusi come tutti noi, come i nostri
parenti e i nostri vicini di casa".
E si trasformano e si adattano al mondo. L’importante è crescere insieme,
conoscersi e fare tesoro delle nostre diversità.
Finora, però, le risposte ancora mancano; per questo, ci associamo anche noi
alla domanda; E’ tutto a posto con i Rom?
Di Fabrizio (pubblicato @ 09:09:19 in casa, visitato 4607 volte)
CityRom ha ripreso la presentazione di alcuni campi sosta
comunali del milanese. Oggi si parla del campo di
via Bonfadini, domani di quello di via Impastato.
(@2008 google - Immagini @2008 digitalGlobe, Cnes/Spot image, GeoEye)
L'"area abitativa comunale per cittadini di origine rom e sinti" di via
Bonfadini occupa un triangolo di 5.000 metri quadrati nei pressi
dell'Ortomercato, i cui lati sono definiti dai binari del passante
ferroviario. Vi si accede con una strada cieca che, dopo aver attraversato
un'area di stoccaggio dell'Ortomercato, passa al di sotto della ferrovia e sbuca
in un'isola tra i binari occupata interamente dal campo. Emergendo dal
sottopassaggio – che è l'unico accesso all'"isola" da quando, qualche anno fa,
due passaggi a livello sono stati eliminati – Milano scompare e ci si trova
improvvisamente in un altro continente. Progettato dal Comune nel 1987 come
"area di sosta attrezzata per roulotte e case mobili", per alcune famiglie di
rom abruzzesi che dagli anni sessanta si erano stabiliti in un terreno nelle
vicinanze, il campo si presenta oggi come uno slum costituito da un denso
agglomerato di case mono-famigliari autocostruite, alcune in muratura, altre in
legno e qualche casa mobile e roulotte. Varcato l'ingresso – costituito da uno
spazio libero che interrompe la schiera di case rivolte verso l'interno del
campo che ne recintano il perimetro, - ci si trova in un villaggio brulicante di
vita. Tra le case e le auto parcheggiate i bambini giocano mentre gli adulti si
dedicano alle più svariate attività: chi aggiusta una motocicletta, chi cucina,
chi pialla in un laboratorio di falegnameria a cielo aperto, chi semplicemente
chiacchiera in gruppo seduto davanti a casa. Dappertutto fervono lavori di
ristrutturazione, manutenzione e ampliamento delle casette. Il disegno delle
piazzole di 200 mq originariamente assegnate ad ogni famiglia per parcheggiare
l'auto e la roulotte o la casa mobile non si riconosce più. Come racconta M. A.-
una giovane abitante del campo in attesa di essere riconfermata mediatrice
culturale dal Comune - non appena il campo comunale fu pronto, nel 1987, e
furono assegnate alle famiglie le piazzole in cui dovevano trasferirsi per
liberare l'area dove vivevano da vent'anni, tutti cominciarono a costruire
casette di legno e da allora nel villaggio i lavori per renderle sempre più
confortevoli non si sono mai interrotti. Il Comune aveva predisposto il campo
come un campeggio, con la possibilità di collegarsi alla rete elettrica e con un
blocco di servizi comuni - gabinetti e docce con l'acqua fredda - ma la maggior
parte delle famiglie ha provveduto in proprio ad allacciare la propria
abitazione alla rete fognaria e all'acqua. Ora quasi tutte hanno l'acqua
corrente e il gabinetto in casa. Secondo le informazioni fornite dal Nucleo
problemi del territorio della Polizia locale, la maggior parte delle costruzioni
abusive sono state condonate per “stato di necessità".
Nel campo vivono oggi 25 famiglie, per un totale di circa 120 persone, tra cui
moltissimi minori. Secondo Valerio Pedroli dei Padri Somaschi, l'associazione
che si occupa di assistenza e mediazione sociale nel campo di via Bonfadini, la
posizione e la struttura del campo ne fanno un ghetto destinato fin dalle
origini ad essere un vivaio di disagio e asocialità. Il tentativo
dell'associazione è quello di mettere in comunicazione il campo e il territorio,
soprattutto attraverso progetti che coinvolgono i bambini del campo che
frequentano le scuole del quartiere e i loro genitori.
M.A.: La mia famiglia è venuta dall'Abruzzo negli anni Sessanta in cerca di
lavoro. I genitori di mia madre in Abruzzo vivevano da sempre in casa, quelli di
mio padre si occupavano di cavalli e si spostavano con la roulotte. Noi non
siamo nomadi, siamo sedentari e ci siamo dovuti costruire da soli questa casa,
con il bagno, la cucina e lo spazio per vivere in sei persone. I bambini vanno a
scuola e hanno bisogno di spazio. Abbiamo già ricevuto una denuncia per abuso
edilizio ma siamo stati assolti perché abbiamo fatto i lavori per necessità, per
avere una casa dove vivere. Ora stiamo facendo altri lavori e abbiamo paura di
ricevere un'altra denuncia. Non capisco perché ci denunciano, noi abbiamo reso
la nostra casa a norma, ora i soffitti sono dell'altezza giusta, l'impianto
elettrico è a norma e abbiamo usato materiali a norma per gli incendi. Qui tutti
sistemano continuamente la propria casa, per renderla più comoda. Fanno il bagno
con l'acqua calda, la ampliano perché i figli si sono sposati. In questo campo
vivono le stesse famiglie che c'erano quando è nato, ma i figli sono cresciuti,
si sono sposati e hanno avuto dei bambini. C'è ancora l'abitudine di sposarsi
giovani - questi che si stanno costruendo la casa qui a fianco hanno vent'anni e
tre figli - e per tradizione la nuova famiglia resta a casa dei genitori dello
sposo. A me piace vivere qui perché sto vicino ai miei parenti e perché ora che
abbiamo sistemato la casa mi trovo bene. Ogni tanto c'è qualcuno che va a vivere
fuori dal campo, in una casa normale, come una ragazza che fa la mediatrice
culturale come me. Ma sembra che il Comune non le rinnovi più il contratto
perché da quest'anno solo chi vive nel campo può fare la mediatrice culturale.
Trovo che sia assurdo: lei al campo conosce tutti, viene sempre, non è
necessario abitare nel campo per fare il lavoro di mediazione culturale. Noi rom
abbiamo la nostra cultura e il nostro lavoro di mediatrici coi bambini che vanno
a scuola, i loro genitori e le maestre è molto importante. La mia collega aveva
un lavoro e poteva pagare l'affitto fuori dal campo e ora che le tolgono il
lavoro che cosa fa? deve tornare ad abitare nel campo?
Valerio Pedroni: Il campo si trova ai margini di una zona storicamente
indigente e disagiata di grandi case popolari. Nella zona più decentrata e
marginale di una zona marginale, chiuso tra i binari della ferrovia. Questo
significa che è destinato all'emarginazione. Tra gli adulti c'é una percentuale
impressionante di persone in carcere o agli arresti domiciliari. C'è una
situazione di povertà non certo materiale, perché a nessuno manca da mangiare,
ma immateriale, di disagio sociale. Nel campo ci sono due tendenze opposte: da
una parte una tendenza centrifuga, che riguarda le donne e i minori che
rifiutano fortemente di vivere in campo e che vorrebbero una situazione
abitativa diversa. Dall'altra una tendenza centripeta, di chi cerca di rimanere
nel campo, un po' perché ha paura di quello che c'è fuori, e il campo diventa
una forma di protezione dai pericoli esterni, e un po' anche perché per certi
versi costituisce una zona franca. Il campo sicuramente favorisce il formarsi di
percorsi devianti e rappresenta un ostacolo alla riuscita un percorso positivo
di uscita dall'emarginazione.
Alcuni degli abitanti del campo ora vivono in case popolari – alcuni le occupano
abusivamente, altri invece ne hanno ottenuta una –, altri hanno provato ad
andare a vivere in una casa popolare, non ci sono riusciti e sono tornati al
campo. Sicuramente il campo, sia per quelli che ci vivono, sia per quelli che
abitano nelle case popolari, costituisce ancora il centro nevralgico della
comunità sociale.
Dal momento che il problema è che questo campo è un esempio di esclusione
sociale allo stato puro e non ha nessun tipo di comunicazione con il territorio,
quello che intendiamo fare col nostro intervento è portare il territorio nel
campo e il campo nel territorio. Il territorio è ossigeno e noi dobbiamo fare in
modo che le due realtà, campo e territorio, si parlino. La prima cosa che
abbiamo fatto è stato conoscere molto bene il territorio - i comitati
d'inquilini, le parrocchie, gli oratori, le varie associazioni di volontariato,
le istituzioni – e cercare di portare gli adulti a usufruire dei servizi che
questo offre, creando alcune prime occasioni di conoscenza reciproca. Nello
stesso tempo stiamo cercando di creare occasioni per portare persone del
territorio all'interno del campo attraverso il volontariato, in modo tale che
questo circuito di ossigeno cominci a funzionare. Lavoriamo molto con i minori e
la scuola: ci sono, tra elementari e medie, circa trenta minori iscritti.
Lavoriamo insieme a due mediatrici culturali del campo e gestiamo uno “sportello
scuola" con alcuni insegnanti delle elementari e delle medie, cercando di
proporre ai minori anche attività extra-scolastiche sul territorio, concertate
insieme alle scuole stesse. E gli adulti, in un certo senso, si ancorano alle
traiettorie dei minori. Per cui, se un ragazzo del campo inizia a frequentare il
doposcuola e conosce un altro ragazzo, le due famiglie riescono a parlarsi più
facilmente. Questo moto che abbiamo cercato di innescare sembra dare i primi
risultati, tenendo conto che siamo in questo campo solo da febbraio. Ma il
percorso evidentemente è molto lungo e il lavoro da fare è con tutte le
istituzioni, il Comune di Milano in primis.
(Il sopralluogo al campo è stato effettuato il 17 ottobre 2008, l'intervista a
Valerio Pedroni il 25 ottobre 2008)
Ricevo da Roberto Malini
Favola di Natale a Pesaro: Marco, un 44enne italiano, perde il
lavoro, quindi la casa. I servizi sociali ignorano il suo caso e si ritrova in
mezzo alla strada, povero, al freddo e senza un futuro. Gruppo EveryOne: "Quando
tutto sembrava perduto, un "carabiniere buono" l'ha aiutato e le famiglie Rom di
Pesaro l'hanno accolto, condividendo con lui un tetto sulla testa, un po' di
zuppa e tutto il loro calore umano. La favola di Marco deve essere un monito
perché le Istituzioni e la gente ritrovino la via della solidarietà".
Pesaro, 13 dicembre 2008. Natale si avvicina e in Italia vi sono migliaia di
senzatetto che sopravvivono in condizioni socio-sanitarie tragiche. Gli ospedali
sono pieni di un'umanità dolente, sopraffatta dalla fame, dal freddo, dalle
malattie, dall'indigenza. Il 10 novembre scorso ha destato orrore il caso di
Andrea Severi, senzatetto di Rimini aggredito mentre riposava su una panchina e
dato alle fiamme da quattro giovani italiani di buona famiglia. E' ancora in
gravi condizioni, con ustioni estese e terribili. Ma l'odio che circonda i
poveri è vivo e palpabile in tutta Italia, tanto che spesso le cittadinanze
accusano i volontari della Caritas di essere "un ricettacolo di barboni,
alcolizzati e sbandati". Da mesi i dirigenti dell'associazione cristiana
lanciano l'allarme: "Il razzismo e l'intolleranza dilagano; hanno vinto gli
impresari della paura".
"Natale 2008 sarà ricordato dai 'clochard', dai Rom e dai migranti più
svantaggiati che vivono in Italia come un giorno di emarginazione, povertà e
gelo," affermano preoccupati Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau,
leader del Gruppo EveryOne. "Le Istituzioni non solo hanno abbandonato a se
stessi i disagiati, ma fanno a gara per emanare ordinanze atroci, la cui
crudeltà è sempre più raccapricciante". In questo clima di intolleranza e
sofferenza, però, si è verificata anche una commovente "Favola di Natale",
all'insegna dell'amore e della solidarietà. "E' una vicenda che si svolge tra
Fano e Pesaro," raccontano Malini, Pegoraro e Picciau, "due città in cui
purtroppo l'intolleranza verso i poveri, gli stranieri e i Rom raggiunge punte
fuori controllo di persecuzione, avversione e indifferenza. A Pesaro siamo
costretti a lottare ogni giorno, fra mille difficoltà, per salvare la vita a
cittadini Rom romeni in condizioni spaventose, abbandonati a se stessi e
sgraditi. Fano è nota per le ordinanze contro i senzatetto, che obbediscono alla
linea dura del governo italiano, ma violano di fatto tutte le leggi
internazionali sui diritti dell'uomo. In questo clima che non ha niente di
natalizio né di civile o cristiano," proseguono gli attivisti, "il sentimento di
solidarietà, che è alla base della vera civiltà, non è però morto". A Fano è
iniziato il calvario di un uomo, Marco Ripanti, 44 anni, che dopo aver lavorato
per tanti anni con coscienza, gli ultimi nove alla Berloni - dove i colleghi lo
ricordano ancora per la sua attività svolta sempre con puntualità e sacrificio -
si è separato dalla famiglia, a causa di un matrimonio sfortunato ed è rimasto
disoccupato, dopo i tagli del personale effettuati dal mobilificio pesarese.
"Marco, che è nato a Fano e risiedeva da sempre in città, si è trovato così in
mezzo alla strada, senza casa e senza mezzi di sostentamento," continua EveryOne.
"Ha chiesto aiuto ai servizi sociali, ha presentato una domanda di alloggio
popolare, ha cercato disperatamente un nuovo lavoro, anche umilissimo.
Nonostante la chiara situazione di urgenza, però, le Istituzioni locali hanno
incredibilmente respinto tutte le sue richieste, lasciandolo nella condizione di
senzatetto".
"Quando si è abituati a una vita normale, la vita di chi lavora per mantenere
la propria famiglia, va in chiesa e al cinema con i propri cari, fa il tifo per
una squadra di calcio o di basket, abituarsi all'esistenza del 'clochard' è
difficile," dice Marco, sconsolato. "Vivendo nelle strade, mi sono accorto di
quante ingiustizie esistano, di quanto dolore ci circondi. La gente guarda i
poveri con diffidenza e paura, non sa che quello che è capitato a me può
succedere a chiunque, da un giorno all'altro". Marco trascorre giornate
durissime. E' difficile, per lui che vuole mantenersi una persona onesta,
procurarsi il pane quotidiano e un tetto sulla testa, quando scende la notte, la
temperatura diventa gelida e il mondo esterno è pieno di insidie. A Fano le
Istituzioni, le autorità di ordine pubblico e una parte della cittadinanza
mostrano una vera e propria avversione per i poveri. Un gruppo di cittadini è
giunto a sequestrare le panchine su cui i derelitti si coricavano la notte.
Episodi di intolleranza, in città, sono piuttosto frequenti e i 'clochard' sono
guardati a vista, mentre i servizi sociali, la cui missione dovrebbe essere
proprio quella di aiutarli, girano la faccia altrove. Così si è spostato a
Pesaro, dove incontra, è vero, disprezzo e rifiuto da parte di molti, ma anche
un barlume di accoglienza. "Abbiamo battezzato Pesaro 'la città dal cuore di
metallo' in riferimento alla celebre scultura di Arnaldo Pomodoro," proseguono i
leader EveryOne, "ma soprattutto all'atteggiamento intollerante e alla mancata
assistenza da parte delle Istituzioni verso i poveri, i migranti in difficoltà e
i Rom. Questi ultimi suscitano addirittura una fobia irrazionale, da parte del
sindaco e di molte autorità locali, che non solo li condannano all'esclusione,
ma rifiutano persino di ricevere i nostri rappresentanti quando si verificano
emergenze umanitarie. Marco però ha conosciuto, proprio a Pesaro, anche i
'buoni' di questa Favola di Natale. Il primario dell'Ospedale San Salvatore, che
ha aperto tutte le porte ai bisognosi, senza eccezioni né distinzioni. Poi, un
carabiniere, che svolge il suo dovere con coscienza, ma non ha mai rinunciato ad
amare il prossimo, a 'servire e proteggere' i più deboli. E' lui che ci ha fatto
conoscere il caso di Marco. Ma i veri protagonisti della nostra fiaba natalizia
sono... i Rom di Pesaro. Quando sono venuti a sapere della situazione in cui si
trova Marco, povero come loro, emarginato come loro, esposto ai pericoli del
freddo e dell'intolleranza come loro, le famiglie Rom romene che vivono fra
mille difficoltà in città hanno fatto a gara per accoglierlo. Non posseggono
niente, sopravvivono in due edifici abbandonati - una casa colonica fatiscente e
una fabbrica dismessa - ma sono ancora capaci di solidarietà e amore per il
prossimo".
"Nessuno deve vivere da solo e senza un rifugio," ha detto la signora Mariana
Danila, quando ha saputo delle vicissitudini di Marco. "Qui nella fabbrica c'è
ancora posto e almeno potrà vivere al sicuro. Un piatto di zuppa e un po' di
pane non gli mancheranno e di notte potrà dormire ben coperto e senza timore.
Siamo poveri anche noi, perché nessuno dà un lavoro né a me né ai miei figli e
il Comune ci ha detto che non ha la possibilità di aiutarci, ma siamo buoni
cristiani". Da oggi Marco vive con i Rom di Pesaro, che gli hanno teso la mano
proprio quando la disperazione era divenuta insopportabile e gli hanno offerto
il calore umile di un desco e di una famiglia. "Un altro dramma è stato
scongiurato," concludono gli attivisti, "nella 'città dal cuore di metallo'. Ora
dobbiamo continuare a dialogare con Istituzioni che sembrano insensibili come
pareti di ghiaccio, perché si torni sulla via della civiltà e del rispetto dei
Diritti Umani. La 'favola' di Marco e dei Rom non deve toccare i cuori solo per
un attimo, come se fosse un film di Natale, ma deve indurre tutti, a partire da
chi ci governa e dalle autorità locali, a cambiare atteggiamento verso gli
emarginati e comprendere che la solidarietà non è solo 'assistenzialismo', ma un
aspetto basilare della società umana, fondamento della democrazia e della
civiltà. La solidarietà produce la vera sicurezza e il vero benessere, mentre
l'intolleranza semina odio, dolore e morte".
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Fotografie del 14/12/2008
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