Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Articoli del 13/06/2005
Di Fabrizio (pubblicato @ 22:11:16 in blog, visitato 2882 volte)
Ma solo per domani. Il programma prevede di incontrare, dal vivo stavolta, alcuni amici blogger: -a Cattolica -a Bologna -a Parma Nel frattempo, fate i bravi se vi scappa qualche commento...
Vi giro un pensierino che mi hanno spedito:
Il Vero Debito Estero (lettera di un capo amerindio ai capi europei)
Così sono qua, io, Guaicaipuro Cuatemoc, sono venuto a incontrare i partecipanti a questo incontro. Così sono qua, io, discendente di coloro che popolarono l’America quarantamila anni fa, sono venuto a trovare coloro che la trovarono cinquecento anni fa.
Così ci troviamo tutti: sappiamo chi siamo, ed è già abbastanza. Non abbiamo bisogno di altro.
Il fratello doganiere europeo mi chiede carta scritta con visto per scoprire coloro che mi scoprirono.
Il fratello usuraio europeo mi chiede di pagare un debito contratto da traditori che non ho mai autorizzato a vendermi.
Il fratello leguleio europeo mi spiega che ogni debito si paga con gli interessi, anche fosse vendendo esseri umani e paesi interi senza chiedere il loro consenso.
Questo è quello che sto scoprendo.
Anch’io posso pretendere pagamenti. Anch’io posso reclamare interessi. Fa fede l’Archivio delle Indie. Foglio dopo foglio, ricevuta dopo ricevuta, firma dopo firma, risulta che solamente tra il 1503 ed il 1660 sono arrivati a San Lucar de Barrameda 185mila chili di oro e 16 milioni di chili di argento provenienti dall’America.
Saccheggio? Non ci penso nemmeno!! Perché pensare che i fratelli cristiani disobbediscano al loro settimo comandamento.
Spoliazione? Tanatzin mi guardi dall’immaginare che gli europei, come Caino, uccidano e poi neghino il sangue del fratello!
Genocidio? Sarebbe dar credito a calunniatori come Bartolomeo della Casa che considerarono quella scoperta come la distruzione delle Indie, o ad oltraggiosi come il dottor Arturo Pietri che sostiene che lo sviluppo del capitalismo e dell’attuale civiltà europea sia dovuto all’inondazione di metalli preziosi.
No! Questi 185mila chili di oro e 16 milioni di chili di argento devono essere considerati come il primo dei vari prestiti amichevoli dell’America per lo sviluppo dell’Europa. Pensare il contrario vorrebbe dire supporre crimini di guerra, il che darebbe diritto non solo a chiedere la restituzione immediata ma anche l’indennizzo per danni e truffa. Io, Guaicaipuro Cuatemoc, preferisco credere alla meno offensiva delle ipotesi. Una così favolosa esportazione di capitali non fu altro che l’inizio del piano Mershalltezuma teso a garantire la ricostruzione della barbara Europa, rovinata dalle sue deplorabili guerre contro i culti musulmani, difensori dell’algebra, della poligamia, dell’igiene quotidiana e di altre superiori conquiste della civiltà.
Per questo, avvicinandosi il Quinto Centenario del Prestito, possiamo chiederci: i fratelli europei hanno fatto un uso razionale, responsabile, o perlomeno produttivo delle risorse così generosamente anticipate dal Fondo Indoamericano Internazionale?
Ci rincresce di dover dire di no. Dal punto di vista strategico le dilapidarono nelle battaglie di Lepanto, nelle armate invincibili, nei terzi Reich ed in altre forme di reciproco sterminio, per poi finire occupati dalle truppe yankee della Nato, come Panama (ma senza canale).
Dal punto di vista finanziario sono stati incapaci - dopo una moratoria di 500 anni - sia di restituire capitale ed interessi che di rendersi indipendenti dalle rendite liquide, dalle materie prime e dall’energia a basso costo che gli esporta il Terzo Mondo. Questo deplorevole quadro conferma l’affermazione di Milton Friedman secondo il quale un’economia assistita non potrà mai funzionare e ci obbliga a chiedere - per il loro stesso bene - la restituzione del capitale e degli interessi che abbiamo così generosamente aspettato a richiedere per tutti questi secoli.
Detto questo, vorremmo precisare che non ci abbasseremo a chiedere ai fratelli europei quei vili e sanguinari tassi d’interesse variabile del 20 fino al 30% che i fratelli europei chiedono ai paesi del Terzo Mondo. Ci limiteremo a esigere la restituzione dei materiali preziosi prestati, più il modico interesse fisso del 10% annuale accumulato negli ultimi trecento anni. Su questa base, applicando la formula europea dell’interesse composto, informiamo gli scopritori che ci devono, come primo pagamento del loro debito, soltanto 185mila chili di oro e 16 milioni di chili di argento ambedue elevati alla potenza di trecento. Come dire, un numero per la cui espressione sarebbero necessarie più di trecento cifre, e il cui peso supera ampiamente quello della terra.
Com’è pesante questa mole d’oro e d’argento! Quanto peserebbe calcolata in sangue? Addurre che l’Europa in mezzo millennio non ha saputo generare ricchezze sufficienti a cancellare questo modico interesse sarebbe come ammettere il suo assoluto disastro finanziario e/o la demenziale irrazionalità delle basi del capitalismo.
Tuttavia queste questioni metafisiche non affliggono noi indoamericani. Però chiediamo la firma immediata di una carta d’intenti che disciplini i popoli debitori del vecchio continente e li obblighi a far fede al loro impegno tramite un’immediata privatizzazione o riconversione dell’Europa perché ci venga consegnata per intero come primo pagamento di questo debito storico.
Dicono i pessimisti del Vecchio Mondo che la loro civiltà versa in una bancarotta tale che gli impedisce di tener fede ai loro impegni finanziari o morali. In tal caso ci accontenteremo che ci paghino con la pallottola che uccise il poeta.
Ma non potranno. Perché quella pallottola è il cuore dell’Europa.
E mi voglio sprecare! Per i fans della grammatica e della retorica leghista, consiglio un giro nella versione MADE IN SVIZZERA
Dall'archivio, una segnalazione dell'14 novembre 2004. Una comunità virtuale, Rom e Nativi Americani, sparsi tra la Florida e il Canada, dibattono su cambiamenti e tradizione, e sulle urgenze della loro situazione sanitaria. Mi sembra un tema attuale... Riporto quelli che per me sono i contributi + interessanti. La depressione tra i Rom - Tradizione, cause e rimedi
Stevie - frankiedallas56@yahoo.com - Fri, 12 Nov 2004 21:38:17 ... Secondo la mia esperienza i Rom (almeno da noi negli USA) tendono a nascondere i caratteri della propria depressione, perché la paragonano a qualcosa di simile a un "corto circuito mentale". L'unica cosa che è permessa per la loro testa possono essere le erbe mediche.
Il tradizionale augurio ""Baxt hai Sastimos!" rivela un'intima relazione tra Salute e Fortuna. La depressione viene spesso interpretata dagli altri come il risultato dell'essere anti-sociali, di cattivi comportamenti o pensieri... Una sorta di intruso alieno, impuro e distruttivo che porterebbe la rovina nella mente pura e in pace del Rom sofferente.
L'apparire della depressione in una comunità Rom è temuta come un'infezione contagiosa che minaccia la fortuna di tutta il gruppo. La depressione di un proprio componente rende tutta la comunità estremamente timorosa e disagiata. Questo specialmente prima dell'era dei "Born-Again" e del ritorno alla Madre Terra, quando la superstizione era diffusa e accettata come normale. Una situazione di "allarme" continuo verso la depressione, può tramutarsi in pulsioni suicide che lacerano tanto la famiglia nucleare, che quella estesa o l'intera kumpania. I Rom che soffrono di depressione sono considerati dilo (pazzi - in romanés nel testo) e d evitati dagli altri.
La depressione è anche considerata un disagio tipico dei gaje. I gaje depressi sono visti come facili prede di chi campa leggendo la mano, che ritiene che quello sia uno stato impuro proprio degli stanziali e da cui dipende il proprio reddito... Un Rom tradizionale (o tradizionalista?) negerà con tutte le sue forze di poter essere preda della depressione, sottintendendo così che se ciò dovesse capitare a un Rom, questi non sarebbe altro che un gajo travestito o potenziale.
I Rom che cadono in depressione, per prima cosa cercheranno aiuto di nascosto dai componenti tradizionalisti. Il limite è che proprio questi componenti sono quelli che meglio conoscono come curarsi con le erbe, ma per il loro pregiudizio tenderebbero a sbagliare la diagnosi: io potrei raccomandare il mosto di malto di St. John, ma è più che altro un placebo. Incidentalmente, quel mosto di malto è usato dai tradizionalisti come rimedio alla caduta dei capelli...
Spesso i tradizionalisti suggeriscono al Rom in preda alla depressione di cambiare aria. La cura in questo caso porta i maggiori benefici mentali non al malato ma al nucleo che rimane (i gaje esperti di risoluzione dei conflitti sarebbero d'accordo con l'interpretazione dei tradizionalisti: il problema è stato "dissolto" cambiandone lo sviluppo, cioè le circostanze in cui era emerso all'origine). Così molti Rom "depressi", senza chiedere ulteriori consigli, si spostano a Las Vegas o Atlantic City per cambiare Salute e Fortuna.
La depressione è legata al suicidio. Il tasso di suicidi tra le giovani non ancora sposate è più alto di quello tra le anziane e coniugate. Il suicidio tra i Rom risveglia i fantasmi e chiede vendetta, può fare effettivamnete GRANDI danni in una comunità. I Rom morti suicidi possono essere sepolti lontani dalle tombe di famiglia. D'altra parte, le pillole anti-depressive - prozac ecc. - sono presenti in quasi tutte le famiglie, perché lo stato di depressione o il suo possibile sviluppo è una paura più forte del ricorrere al sistema sanitario.Ma proprio per il suo carattere di "bisogno indotto", questo mi fa diffidare di tutte le statistiche governative sul problema della salute tra i Rom, basate sull'archivio delle richieste di medicine.
Sutherland (1975) a proposito, riporta che la "cura" più efficace tra i Rom contro la depressione giovanile è il matrimonio. Questo può essere un buon argomento a favore dei matrimoni tra giovani, combinato dalle famiglie Rom. Stevie
------- kajashey (Ileigha) - kajashey@yahoo.com - Sat, 13 Nov 2004 17:07:59 Baxt hai sastimos!
Ho seguito la discussione con molto interesse. Anche perché di lavoro faccio l'infermiera. Le statistiche della sanità sui Rom non sono buone. Muoiamo prima, l'80% di noi fuma ed è obeso, i tassi di depressione sono altissimi, come pure di disturbi bi-polari e di cataratta. Yahoo! Ora non mi sembra così bello essere "zingara". I problemi di salute delle donne sono talmente visti come lashav (impuri) che ogni giorno qualcuna muore di mali perfettamente curabili a causa dei tabù persistenti.
Quanti di noi sono dottori o infermiere sono guardati quantomeno con sospetto, non solo nella società dei bianchi ma tra noi stessi, quando non sono ritenuti degli imbroglioni. Nel frattempo muore il nostro popolo... senza cure e sppesso di morte immatura. Provo a spiegare cosa c'è di sbagliato, secondo me. I nosatri antenati, proteggendo e mantenendo vive le tradizioni, si sono esclusi anche da quegli aspetti che la vita contemporanea ha di positivo. Possiamo continuare anche noi su questa strada. D'altra parte, anche tra i nostri antenati ci sarà stato uno zingaro che per la prima volta ha caricato le sue cose su un carro, altrimenti vivremmo ancora nelle tende e seguendo gli asini.
Quanti nel nostro popolo intendano rimanere legati "all'ortodossia" hanno tutti i diritti di scegliere di non far parte del sistema sanitario o di qualsiasi altro moderno "trucco" che ritengono inappropriato per loro. Ma noto che quando ci rimproverano di voler "diventare gaje", lo fanno comodamente dietro a una macchina. Secondo me, con un po' di ipocrisia. Se le macchine, i furgoni e i motorhomes hanno preso il posto dei nostri vecchi mezzi tradizionali, perché lo stesso non è ammissibile per scuola e sanità?
Non credo che siamo così deboli ed indifesi, da abbandonare la nostra cultura perché attingiamo a quanto c'è di buono nella vita moderna. L'abbiamo già fatto tante volte nel passato, perché le cose stavano cambiando, siamo sicuri che farlo ancora sarebbe la rovina della nostra cultura? Lele
------- "M&M" - celtrom@uniserve.com - Sat, 13 Nov 2004 10:43:46 Non ho mai creduto che la depressione abbia a che fare con l'appartenenza etnica. Ma lo stile di vita può avere un ruolo importante, stress e fatiche non sono mai buone per il corpo. Oggi è provato che la depressione cronica è qualcosa di chimico, cioè bassi livelli di seratonina ecc., per cui niente di cui vergognarsi, niente a che fare con la storia della propria famiglia, non si tratta di debolezza, solo di un problema da trattare e capire correttamente. Margaret
------- Gourdnbead - gourdnbead@yahoo.com - Sat, 13 Nov 2004 18:56:03 Questa discussione è simile alle tante che si fanno nella comunità dei Nativi Americani, di cui sono parte. Abbiamo molto in comune.
Costantemente tra i Nativi Americani si dibatte su cosa sarebbe "tradizionale". Ma di che tradizione si tratta, cosa è "tradizionale" oggi, cos'era "tradizionale" 100 anni fa? 1000 anni fa? Penso che le culture vive, abbiano l'obbligo di cambiare, per mantenere un ruolo rilevante tra quanti vivano secondo le proprie tradizioni. Le culture che non ammettono il cambiamento, sono destinate a morire dimenticate dai loro stessi popoli.
Non fraintendetemi: amo le tradizioni, durante le cerimonie sono la più osservante che posso, e durante la vita quotidiana cerco di mantenere il mio stile secondo la tradizione, ma il concetto di tradizione è ingannevole. Non è facile, ma qualcosa dobbiamo cambiare se vogliamo sopravvivere. Altre cose invece dobbiamo preservarle ferocemente. Quali sono quei piccoli cambiamneti che dobbiamo affrontare senza che abbiano un effetto negativo sulla cultura? E quali non dobbiamo permetterci?
Io credo che le differenze "tribali" siano importanti. Guardatevi attorno: l'intera popolazione mondiale è sottoposta a una singolare cultura Wal-mart-e-McDonalds, soprattutto i giovani. Possiamo/dobbiamo differenziarci, e lo possiamo fare a partire dalla nostra cultura tribale, che sia una cultura tradizionale o un moderno "tribalismo". Vorrei che osservaste quanti, giovgani o vecchi, si muovono nel mondo come esseri persi e vuoti, perché hanno perso qualcosa di importante. Per me invece è naturale che nel cervello di ognuno ci sia spazio per l'appartenenza a una più piccola comunità tribale. anche se questo si manifestasse solo idossando vestiti tradizionali, è un modo perché il nostro corpo possa dire "Sono parte di una particolare tribù. Ho un'appartenenza."
Ognuno di noi deve sapere quale eredità culturale propria sia già andata persa, prima di creare una nuova identità funzionale al presente. Il folklore non c'entra niente con tutto questo. E' invece una tematica molto importante per il benessere futuro di tutto il genere umano. Suzanne
Fotografie del 13/06/2005
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