Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Articoli del 11/12/2010

Intervista ad Elisabetta Sardi – Ass. L.h.a.s.a.
A cura dell'Ambasciata dei Diritti/Falconara
L'Ambasciata dei Diritti - Falconara realizza un'intervista ad Elisabetta
Sardi, volontaria dell'ass. L.H.A.S.A. (associazione che si occupa della
questione Rom), che partecipa, insieme a molte altre, al coordinamento di
associazione cittadine "Falconara in rete", sorto lo scorso anno per contrastare
le politiche securitarie ed intolleranti messe in atto dall'Amministrazione Brandoni (PdL – UdC) nei confronti di varie questione legate ai disagi sociali e
della marginalità.
Elisabetta, cerchiamo insieme di delineare un quadro sull'attuale situazione
cittadina. A partire dalla questione di cui ti occupi.
Proviamo a gettare le prime linee di questo discorso e comprendere che, quando
si parla di campo nomadi a Falconara Marittima, si parla di un luogo peculiare e
dalle caratteristiche che lo differenziano dalla "tipica" struttura
stigmatizzata dai mass-media. Ora che il dibattito sulle popolazioni nomadi si
fa più intenso e dopo le azioni spettacolari del sindaco di Roma Alemanno, le
politiche spietate della Francia condannate dall'Unione Europea stanno mettendo
in pratica deportazioni e sgomberi etnici. Partendo da questo quadro, chi abita
il "campo Rom" a Falconara? Parlaci della storia del campo.
Il campo nomadi di Falconara nasce nel 1999 come luogo di transito/sosta dei Rom
già residenti in città in quanto figli di Rom già stanziali da alcuni anni, che
avendo famiglie numerose non hanno avuto la possibilità di acquistare case per i
propri figli. Non avendo, questi ultimi, altre possibilità giravano per la città
con roulotte o caravan e si stanziavano allo stadio, nei pressi dell'aeroporto,
a Fiumesino ed, infine, vicino alla piscina comunale (zona industriale). Su
pressione dell'associazione L.H.A.S.A. e del portavoce delle famiglie Rom (negli
anni 1997/98) è stato richiesto all'allora Sindaco di approntare un'area per
migliorare le condizioni di vita di queste giovani coppie, anche con figli, che
erano già cittadini di Falconara. I Rom falconaresi hanno fatto il loro ingresso
nella nuova area nel settembre del 1999, ma la loro presenza era già radicata
nel tessuto urbano della città poiché erano tutti già residenti presso le
abitazioni dei loro genitori.
A questo punto le giovani coppie si stanziarono nel campo, ottennero alcuni dei
prefabbricati, altre delle roulotte, il tutto con un contratto di locazione
stipulato con il Comune (3 prefabbricati e tre roulotte per un totale di sei
famiglie). Le famiglie nel corso degli anni si sono succedute, senza mai
superare la soglia di 6/7 nuclei familiari composti da marito, moglie e due,
massimo tre figli per coppia. Tutte le coppie, anche quelle che nel corso degli
anni si sono succedute, erano Rom già residenti in città. Nel corso degli anni
alcune famiglie hanno avuto la possibilità di acquistare una casa, altre hanno
avuto case d'emergenza abitativa comunali o ERAP (Ente Regionale per
l'Abitazione Pubblica della Provincia di Ancona) ed hanno lasciato il campo ed
il posto ad altre giovani coppie cittadine. Tuttavia i Rom si sono adattati,
loro malgrado. Diverse coppie hanno trovato altre soluzioni individualmente,
altre hanno lottato per avere una casa d'emergenza, altre hanno aspettato per
anni l'assegnazione di una casa ERAP. Nel frattempo i loro figli sono cresciuti
ed hanno frequentato le scuole cittadine.
Le Amministrazioni comunali non si sono mai occupate molto del campo, che nel
corso degli anni è stato abbandonato al degrado, con i relativi problemi
d'igiene e sanità. A oggi nel campo vi sono tre nuclei familiari, ma le coppie
non sono più composte di soli Rom, sono coppie miste (lei Rom e lui no e
viceversa). Una di queste ha figli e nel campo non avrebbe mai abitato, ma la
loro casa, prefabbricata e di loro proprietà, posta su un terreno sottostante un
ponte in zona Stadio (periferia) con il consenso del Comune, fu abbattuta
all'alba del 24 novembre 2009, senza preavviso. Questa famiglia si è trovata
senza tetto dal mattino alla sera con due figli, uno di due anni e uno di pochi
mesi. Hanno trovato riparo nel campo in un prefabbricato assegnato ad una
parente che l'aveva liberato dopo aver acquistato una casa.
Per via dei bambini molto piccoli la famiglia ha fatto richiesta di nuova
residenza dentro il campo, ma è stata loro negata. Subito dopo sono cominciate
le minacce d'immediato sgombero del campo. Dopo gli sgomberi forzati dei Rom
rumeni in Francia, i giornali locali hanno scritto articoli su un'immediata
chiusura del campo Rom di Falconara, apparsi due o tre giorni di seguito e con
titoli accattivanti, dove si paragonava il Sindaco Brandoni (PdL) a Sarkozy (!).
I cittadini falconaresi hanno immediatamente associato i loro concittadini Rom
ai Rom di provenienza rumena. In realtà, ripeto, nell'area vivono solo cittadini
di Falconara e, al cinquanta per cento, non di etnia rom, per un totale di tre
coppie ed una sola con figli (due).
Considerati, alla luce di questa fotografia generale della storia del campo, gli
sviluppi personali e collettivi di chi vi ha abitato e di chi vi abita, pare di
comprendere che le vicende europee abbiano in qualche modo influenzato, o per lo
meno accelerato, ciò che era in programma da anni nell'ente locale. Le politiche
comunali hanno sempre voluto rispondere ad un'opinione pubblica che,
condizionata dalla rappresentazione mediatica dell'etnia Rom, ha sempre chiesto
l'esclusione – o peggio, la cacciata – dal "proprio territorio" dei nomadi.
Tuttavia, nella realtà che emerge dalle tue parole, il problema sembra essere un
altro, perché comprende non solo i cittadini Rom, ma anche i non-Rom, che pur
non appartenendo a quell'etnia, da "autoctoni", s'imbattono nella questione "campo" e in definitiva nella più generale questione abitativa.
Emblematica in questo senso è la demolizione del prefabbricato di via Stadio:
sbandierata dalla stessa amministrazione comunale come una realizzazione degli
obiettivi definiti nel programma elettorale, include in sé una serie di
problematiche che andrebbero analizzate partendo, più che da un presupposto
etnico, da una volontà diffusa di emarginare i più deboli. A tuo avviso è
corretta una simile interpretazione?
Sì, e no. Mi spiego.
In questo caso, è vero, l'etnia non è il problema, se così fosse sarebbe
comunque grave.
Il problema è che i nostri politici vogliono rispondere, copiosamente,
all'opinione pubblica che chiede "la cacciata dal proprio territorio" dei "nomadi", di coloro che tutti chiamano zingari.
I nostri amministratori non hanno le idee chiare su chi siano i Rom, non sanno a
quale gruppo etnico appartengono ed identificano con la parola "zingaro" tutto
quello che ci può essere di negativo e becero nella loro rappresentazione
superficiale della realtà. Il problema è generale, l'opinione pubblica
identifica con la parola "zingaro", o Rom, un essere pericoloso e da evitare.
I nostri attuali amministratori hanno fatto tutta la campagna elettorale
parlando di sicurezza e di come questa sia messa in pericolo da extracomunitari
e Rom. Tra le altre cose hanno promesso di cacciare i Rom dal territorio,
chiudendo il "campo degli zingari" (come se tutti i Rom di Falconara vivessero
in tal luogo e clandestinamente: per giunta, loro sono falconaresi, residenti da
anni e molti vivono in abitazioni private). È dall'inizio dell'Amministrazione Brandoni (PdL) che promettono, da un mese all'altro, di chiudere l'area di
transito/sosta, ma la cosa ha presentato ostacoli complessi quali, appunto, la
residenza a Falconara degli stessi abitanti, la mancanza di altre soluzioni
abitative, le pressioni delle associazioni; insomma, per una serie di
circostanze non gli è stato facile attuare una chiusura dell'area in tempi
brevi.
Allora, dovendo dare un "contentino" agli elettori, è capitata a tiro la casetta
prefabbricata della famiglia che ho citato. Questa "casa", ubicata sotto un
ponte (in via dello Stadio, zona industriale), aveva, ripeto, un numero civico
ed un permesso temporaneo del Comune per stare in quel luogo. Nessuno ha mai
chiesto al proprietario del prefabbricato di trasferirsi dal terreno.
Una mattina sono arrivati, presto, con le ruspe ed hanno dato per scontato che
non fosse abitata. Nel frattempo sono arrivati i proprietari ed i parenti che
non hanno potuto visionare alcuna ordinanza di sgombero o abbattimento, lo
stabile è stato abbattuto, i loro beni personali portati in un luogo sconosciuto
e comunicato solo in seguito alle richieste di un Consigliere comunale
d'opposizione.
Il nostro malcapitato non è Rom, il suo prefabbricato non era un accampamento,
ma è servito ugualmente per farne due manifesti enormi, ai due ingressi
cittadini, Nord e Sud, riproducenti le foto dello "sgombero" e la seguente
dicitura: «Una città civile difende il proprio decoro. Le regole sono regole per
tutti». I manifesti recavano la seguente firma nell'angolo di destra: "Coordinamento Comunale di Falconara M.ma". In un grande tondo:
"Il Popolo della
Libertà BRANDONI SINDACO". Per quel Natale (i manifesti sono stati affissi verso
la fine di novembre e per circa 15 giorni) il Sindaco ha regalato ai suoi
elettori una cornucopia grondante sicurezza.
Detto ciò, però, non attribuirei ai nostri amministratori un compiuto disegno di
emarginazione e neutralizzazione dei più deboli, come in un disegno "politico";
sarebbe un piano quasi intelligente, se pur diabolico.
Come interpeti allora una gestione così intollerante e violenta di un problema,
che come ci hai fatto capire, non ha rilevanza sociale (e che più che altro è un
disagio sociale del quale la famiglia in questione è vittima, non artefice)?
La questione è più semplice di quanto sembri: loro dicono «dobbiamo accontentare
il "volgo" che ci ha votati e, in mancanza di una vera comunità di zingari
contro cui accanirsi, come a Roma o Milano, facciamo finta di aver un problema
anche noi e di affrontarlo con il "braccio di ferro"». Non hanno proprio la
fantasia per fare un progetto politico, nemmeno di annientamento. Per annientare
qualcuno bisogna conoscerlo, ma loro non conoscono, non sanno. Sono ignoranti!
Progetto semplice o complesso, nei confronti di tutto quello che sta accadendo a
Falconara, ora come ora possiamo per lo meno dire che le stanno sperimentando
tutte. Da ultimo, la proposta del coordinatore cittadino PdL Astolfi, che
vorrebbe «recinzioni elettrificate e militari pronti a sparare a vista» come
condicio sine qua non all'eventuale futura installazione di un C.I.E nel
territorio comunale. Nonostante non conoscano, i comportamenti e le azioni di
questo "centro-destra" falconarese si concretizza sempre in metodi violenti e
repressivi, che siano migranti, Rom o "falconaresi".
La rappresentazione mediatica della realtà che riesce ad ottenere attraverso
l'ideologia securitaria nazionale, un piccolo Comune la utilizza – per
governare, a prescindere dalla grandezza del fenomeno sottostante. Possiamo dire
che, se di eliminazione non si può parlare, siamo allora di fronte ad uno
sfruttamento della miseria per garantirsi potere?
Certo. Vogliono accontentare quella parte di elettorato che li vuole così:
aggressivi, violenti. Sono i rappresentanti, degni, di chi è razzista. Usiamola
pure questa parola: razzismo. Diciamo che la ragione, la cultura dovrebbe
mitigare questo sentimento irragionevole, tribale. Tuttavia oggi abbiamo una
classe politica, a Falconara, in Italia, in Europa che soffia sulla brace calda
del razzismo. Così risulta che se c'è "la crisi" è colpa dello straniero che
porta via il lavoro o che lavora sottopagato, talvolta ridotto in schiavitù.
Risulta una buona soluzione mandare via gli stranieri o impedire il loro
ingresso in Italia, piuttosto che stabilire nuove regole di lavoro e,
soprattutto crearne. Le case popolari sono poche (in Italia non si fa più
edilizia popolare come negli anni passati, a Falconara meno che mai) e coloro
che hanno bisogno di una casa si arrabbiano con gli stranieri che, a loro dire
hanno sempre la precedenza e così succede con i contributi sociali.
Ecco allora che viene fuori la questione inaudita dei "Falconaresi doc". E' la
solita politica "populista" che fomenta gli scontri, piuttosto che costruire una
società solidale. Il nostro Governo umilia i più deboli, li rende minuscoli e
appare sempre più forte e più grande. L'informazione, spesso, è faziosa:
ingigantisce alcune realtà, sminuendone altre. Resta difficile, per molti, farsi
un'opinione libera, non indotta dai mezzi di comunicazione. Tutto questo giova
alla nostra attuale classe politica.
Dobbiamo stare attenti agli indottrinamenti, alle trappole che ci tolgono la
libertà di pensare. Dobbiamo avere il coraggio di pensare e farlo in grande. Nel
"nostro" sogno di un altro mondo possibile, non c'è posto per ruspe, "recinzioni
elettrificate" e "militari che sparano a vista".
[martedì 7 dicembre 2010]
di Alberto Maria Melis

Mirko Levak Nato nel 1928, di etnia rom di origine italo-slava. La carovana
della sua gente viene fermata dai nazifascisti in Friuli, tutti vengono
rinchiusi in carcere a Trieste, quindi, dopo una sosta a Bolzano, deportati ad
Auschwitz. Mirko Levak, che all'epoca dell'arresto ha solo quindici anni, è tra
i pochi sopravvissuti di quell'arresto.
[...] Una vecchia intervista a Mirko Levak, tratta dal sito web dell'Anpi, ma
con una premessa. Rispetto all'originale, che è una trascrizione letterale del
parlato registrato per il video dell'Opera Nomadi, in molti punti di difficile
comprensione per le difficoltà che Mirko Levak incontrava nell'esprimersi in un
italiano corretto, questa che segue è stata adeguata e resa più comprensibile a
chi legge (la versione originale è scaricabile
QUI).
"Dunque, il nostro comune era Postumia di Grotte, provincia di Trieste. Quando i
tedeschi sono venuti a Postumia, e hanno occupato tutto il Carso, il mio povero
nonno, che conosceva i tedeschi, perché era stato in guerra dal '15 al '18, (per
questo conosceva la razza tedesca e austriaca), diceva: "Meglio che ce ne
andiamo di qua!".
Erano in tanti che scappavano da Postumia ma anche dalla Croazia. A Postumia
erano giunti in tanti, dalla Croazia, da tutta l'Istria, erano tutti rom, tutti
zingari. E allora mio nonno e i miei parenti hanno preso i carretti, hanno
attaccato i cavalli, e stavamo venendo verso l'Italia quando a un certo punto,
tra Portogruaro e Latisana, ci fermiamo vicino a una strada e vengono i
tedeschi, che hanno capito subito che eravamo zingari e ci hanno fatto una
specie di rastrellamento.
Non si muoveva nessuno, io ero ragazzino, ci domandarono dove andavamo.
"Giriamo il mondo" disse mio nonno, "gli zingari girano il mondo per vivere".
Allora ci hanno ci hanno presi tutti: cugini di mio padre, altri familiari, me,
due tre bambini, ci hanno
preso e ci hanno caricato sulle macchine o su un camion – non mi ricordo più
precisamente – e ci hanno sequestrato.
Certe donne invece, la mia mamma, certi familiari, mio nonno che era vecchio, li
hanno lasciati andare.
A noi ci hanno caricato e ci hanno portato, credo, verso Trieste. Là c'erano dei
treni, con quelle carrozze su cui ci si caricano i cavalli, le bestie, e ci
hanno messi tutti lì e ci hanno portato credo – credo – verso l'Austria, dove
siamo stati per un mese, pressappoco, e di là ci hanno caricati di nuovo e ci
hanno portati in Germania.
I tedeschi parlavano la loro lingua. Finché eravamo di qua, in Austria, ancora
c'erano italiani, c'erano fascisti e un po' si capiva, ma là…
Insomma dall'Austria ci hanno portato direttamente ad Auschwitz e ci hanno messo
in baracche... una specie di baracche, e lì ci domandavamo "cosa ci faranno?".
Tanti piangevano e io piangevo, chiedevo della mia mamma. C'erano altri parenti
(...) … C'erano ebrei e altri e anche loro ci davano coraggio.
Ci portavano a lavorare i campi, ma chi sapeva lavorare i campi? Si cavavano le
patate con le unghie. Lì siamo stati parecchio, un giorno qua un giorno là, dai
contadini, poi ci hanno rinchiuso proprio nelle baracche. C'era qualcuno che
cercava di scappare. (............................) Insomma, per dirvelo
francamente, quel che ho visto in quei campi non lo auguro neanche alle bestie.
Mi ricordo un giorno, si lavorava, si spostavano delle cose, un amico cadde
vicino a me e io mi avvicinai per sollevarlo, venne un tedesco e mi diede un
calcio.
"Non devi aiutare quell'uomo".
"Perché poverino?"
"No!" e di nuovo un calcio e una botta sulla testa.
Questo qua piangeva poverino e il tedesco "Ssst, sennò vi ammazzo"
"E ammazzateci, tanto ormai!".
Lì sono diventato come uno scheletro, ho dimenticato anche come parlare, non già
la lingua, ho dimenticato tutto. Non si poteva ricordare più niente (di ciò che
era stata prima la nostra vita) per tutto quello che si vedeva in questo
benedetto campo.
Troppo disastro!
Ho visto il cugino del mio povero padre, l'hanno buttato in un forno, e io
piangevo, e mi battevo le mani, e gli altri mi davano gli schiaffi e mi dicevano
"perché piangi?". "È mio parente…" e ancora schiaffi.
"Arbeit, Arbeit!" "Arbeit?", dicevo io. "Lavorare!".
Ma cosa facevo nel campo? Niente. Perché oltre a portare qualche
morto da qualche parte o seppellire (qualche cadavere)… Era difficile anche
seppellire.
Una volta, con un camion (...), ci hanno portato in mezzo ai campi. Li scavammo
una fossa grande e i morti li buttammo dentro, senza una coperta, senza niente
(nudi). Lì c'erano anche i miei parenti. A loro (ai tedeschi) non interessava.
Pestavano sopra. Pestavano, non gli faceva nessuna pietà. Ordinavano di fare la
fossa, li prendevano e li mettevano in fila indiana, e cercavano di ucciderne
tre, quattro, con una pallottola sola. E c'era uno che non sapeva fare niente...
Così un nazista - avevano le bombe con il manico, che me le ricordo sempre – con
quella (una bomba) gli ha dato una botta in testa che è rimasto secco. Gli
veniva quasi il cervello fuori. Mamma mia! Il sangue veniva fuori come … hai
visto quando ammazzano un bue, come il sangue scorre?
A Jasenovac, ce n'erano che erano venuti dalla Jugoslavia: erano fascisti e
ustascia e dicevano che facevano i …
Jasenovac si chiamava questo paese e c'erano là anche zingari, ebrei, ce n'erano
tanti in Jugoslavia di zingari e rom … e allora loro gli mettevano un chiodo
sulla zucca e (poi) poggiavano la testa di questo poverino e ( poi) con una
mazza (...)... e li prendevano come cani e li buttavano nel fosso, nelle fosse
comuni. Ho sentito di quelle cose che nessuno crede!
Quando (oggi?) vado a Auschwitz, (...) (e) a Jasenovac, dove c'erano tutti i
prigionieri rom, (e) pochi erano ebrei...(...) ogni volta (...) sento ancora un
rumore che è roba dell'altro mondo.
(Alcuni nuovi arrivati ad Auschwitz) mi [rac]contarono che venivano da Jasenovac
(...) e dicevano "ancora, ancora, qua… ma devi vedere là cosa c'è!". Ormai ci
eravamo conosciuti, eravamo rom, parlavamo la stessa
lingua "Ma tu Mirko devi vedere là cosa c'è!". Preghiamo … (...) "però vedrai
che faremo la stessa fine di quelli di Jasenovac!"
C'era chi si ribellava per tutto questo che ci facevano. Quel che succederà
succederà, dicevano. Tanti – e ce n'erano più anziani di me – dicevano "ormai
tanto, così o così, ci ammazzano lo stesso. Proviamo a ribellarci". E chi
pensava a ribellarsi – perché (i tedeschi) sapevano chi era colpevole, perché
c'erano sempre delle spie di mezzo – e veniva preso e lo buttavano nel forno.
Pane non ne facevano dentro (il forno). Era solo per i cristiani! Peggio delle
bestie erano (...) lì. E sapevamo (tutto quello che succedeva) , perché c'era il
forno, e si vedeva.
Hanno preso il cugino del mio povero padre, per una parola detta, (...) non
(...) ricordo la parola, (o) cosa ha fatto: non ha obbedito… L'hanno preso per i
capelli e l'hanno tirato vicino a quel fuoco e l'hanno buttato (dentro). Vivo!
Non ucciso. Vivo! Finché li buttavano, poverini, dopo averli fucilati, dopo
averli ammazzati… ma vivi li buttavano! Quello che mi ha fatto impressione e che
mi torna sempre in mente (ero ragazzino, ma mi ricordo) era quando li tiravano
fuori (i morti, dalle baracche?), sui carrettini e li buttavano
nelle fosse comuni. Quello sì mi ricordo bene. E quante volte ho tirato io quel
carrettino. Era pesante, bisognava avere un cuore forte, e bisognava farlo,
sennò ti spettava… spettava anche a noi finire così.
Ecco perché alle volte (...) i rom e gli ebrei si ribellavano, perché li si
obbligava a partecipare a quel massacro, noi altri stessi, ai nostri parenti.
Guarda, a me è toccato portare un mio parente, poverino, (e) buttarlo dentro
(una fossa) e (...).
Poi, tra compagni, si parlava dei parenti: "Ma guarda cosa ci tocca fare?".
Per due o tre volte è successo, che scoppiasse la ribellione, ma chi lo faceva
lo pagava salato.
Ho visto un giorno a uno, povero!, a una donna e un uomo, marito e moglie, mi
ricordo sempre, era brava gente, si vedeva… Si carezzavano. Era incinta, questa
donna, e le hanno sparato in pancia e l' hanno tagliata con il mitra, così, in
pancia. Una roba… che vedevi sto sangue; suo marito l'abbracciava (e) pam! E
dopo, sopra di lei con le baionette, con quelle cose lì li hanno massacrati.
Insomma, mi sento indignato a (ricordare) queste cose, non vorrei mai
(ricordare) queste cose.
"Adunata" dicevano, e dovevi essere presente. Contavano a uno a uno. Io credo
che facessero finta di contare. Con tanti come eravamo, come facevano a contare
col dito, così. (...) (........)
Poi ci buttavano (addosso) la soda caustica.
La facevano bollire e ce la buttavano sui vestiti, quelli tedeschi, quelli con
le righe. Per ammazzare i pidocchi.
1942, '43, '44, fino al '45. Due anni e mezzo sono stato là. Avevo sui 14 anni,
neanche. Te lo giuro se mi ricordo più! (...) Avevo sui 14 anni. Avevo anche
qualche pregio: avevo un sorriso. Ridevo sempre, ma c'erano tanti che non ce la
facevano, diventavano come stecchi, si vedevano le ossa, si vedevano le ossa
fuori dalla pelle.
Dopo che i tedeschi si ritirarono, restammo liberi. Siamo usciti fuori (dal
campo) da soli. Però tutti come stecchi. Come stecchi siamo usciti!
Adesso mi sento ancora… (....) ... mi sento "angosciato" a parlar di queste cose di cui non dovrei parlare. Mi dispiace, però, io
(per) quello che vedevo, ero diventato sciocco. (...) Ho sempre dentro
l'orecchio questo rumore qua benedetto. Mi sento sempre quel rumore dentro, che
è un rumore... una roba dell'altro mondo. Non voglio neanche più parlare
perché mi sento "angosciato". È un trauma.
(Dopo essere stato liberato) Sono andato a Postumia… non c'era più niente. (...)
Credevo che anche (tutti gli altri) fossero stati portati in altri campi. Perché
non c'era solo Sacvitz, c'erano tanti campi, c'erano altri campi. Poi cammino,
cammino, e sento la gente parlare, "di dove sei?", "dove non sei?", "sono di
qua"; "guarda che c'è della gente, degli zingari, a Casale sul Sile, in una
scuola, sono sfollati".
No, (cioé) li chiamavano "montenegrini", quella volta, "montenegrini" li
chiamavano.
Mah!, e vado in piazza, là a Casale sul Sile, alla scuola,e vedo una ragazzina e
mi dico "ma quella deve essere una rom, una zingara".
Io (allora) non sapevo nemmeno più parlare, mi tornava quel rumore negli
orecchi, tutti queibombardamenti, tutti quei mitra, tutte quelle cose. La vedo e le dico:"Tu chi
sei?", "E tu chi sei?" e
io: "Sei una zingara? Sei una rom?", mi risponde "Sì, sì". "Tu conosci (mio)
nonno?". "Sì, conosco sì". (…) "È qui". Sospirone.
Vedendomi mio nonno (…) mi ha abbracciato: "Ma sei tu caro? Ma sei tu caro
nipote?". Insomma coi denti, coi denti mi mangiava. Viene fuori mio padre, viene
fuori mia madre… Madonna santa!... Tu vedevi la gente lì, quando mi hanno visto
insieme: piangeva tutto il paese.
Insieme a me erano venuti altri due o tre di rom, da là (dalla Germania), quegli
altri non han trovato (la loro) famiglia (…). Quelli senz'altro li avevano
portati negli altri campi, li avevano sterminati.
(Come) i cugini del mio povero padre, tanti parenti…i miei bisnonni. Tutti. Li
hanno deportati perché erano sotto a Zagreb (Zagabria), era lì che abitavano,
tutti li hanno portati ad Auschwitz. Tutti li hanno
massacrati un po' a Sacvitz, un po' a Auschwitz.
Insomma gli zingari, io non so ancora, non ho capito perché ci odiavano 'sti
tedeschi così tanto? Perché ci odiavano tanto i tedeschi?
Ma gli zingari, cosa facevano? Perché non erano buoni a lavorareo perché si
chiamavano zingari?
Io ancora ho da capire perché uccidevano gli zingari.
Come oggi, perché non è ben visto, lo zingaro? È una persona come tutti gli
altri. Se tagli mio dito e il tuo che sangue viene fuori? Sempre rosso! E io non
perderei mai il mio carattere. Io sì, ho una
vita (diversa), come posso dire… (…) Ma, se io potessi firmare, firmerei per
essere ancora zingaro, come ero: Rom.
È triste ricordarsi tutto.
Fotografie del 11/12/2010
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