Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Articoli del 18/07/2006
L’AQUILA. Si terrà dal 17 al 23 luglio presso il salone polifunzionale del Complesso di Collemaggio, a L’Aquila, la mostra “Differenti identità”, percorsi di conoscenza della cultura Romanì.
Fortemente voluta dall’assessore provinciale alle Politiche sociali della Provincia dell’Aquila, Teresa Nannarone, in collaborazione con l’Associazione “Them Romanò, l’iniziativa, inserita nell’ambito di “Provincia in festival”, è stata presentata questa mattina nel corso di una conferenza stampa dall’assessore Nannarone e da Alexian Santino Spinelli, curatore della mostra, docente di cultura Rom e musicologo. Erano presenti anche il consigliere provinciale, Gabriele Perilli, in rappresentanza della Commissione consiliare Affari Sociali e il prof. Walter Tortoreto, presidente del Comitato tecnico del Forum delle Attività Culturali. La mostra, itinerante, farà tappa anche a Sulmona, dal 24 al 30 luglio, presso Palazzo della Provincia, in via Mazara. Toccherà Castel di Sangro, dal 7 al 13 agosto, presso la scuola elementare e si concluderà ad Avezzano, dove sarà allestita dal 21 al 27 agosto, presso la Scuola Media Statale “Camillo Corradini”. Composta da diverse sezioni, l’iniziativa ripercorre la storia del popolo Rom. Dal suo insediamento in Italia, ai primi del 1300, si passa al bando della Chiesa, nel 1557, che inflisse dure restrizioni e alle strategie di sopravvivenza, messe in atto dal popolo Rom. Una sezione a parte è dedicata all’Olocausto, che colpì più di mezzo milione di Rom. Grande attenzione è rivolta alla sartoria romanì e all’abbigliamento femminile e alla musica rom, da cui attinsero diversi musicisti, Schubert, Liszt, Stravinskij, Cajkovskij e oggi Goran Bregovic. In esposizione anche oggetti di rame e ferro, diapositive e proiezione di video. Nell’ultima sala del centro Polifunzionale di Collemaggio è stato interamente ricostruito un accampamento rom dei primi del ‘900. Attualmente sono 12 milioni i Rom nel mondo, 8 milioni in Europa, 120 mila in Italia. «Si tratta di una delle iniziativa più interessanti di Provincia in Festival- ha commentato Teresa Nannarone- tesa a far conoscere la cultura romanì e a lanciare un messaggio di tolleranza e di pace. Il popolo Rom, infatti è uno dei pochi, che non ha mai posseduto un esercito e di non ha mai avviato guerre». «Insieme per vincere il pregiudizio nei confronti di una cultura, da sempre messa ai margini, ma da cui hanno attinto musicisti e artisti vari», ha aggiunto Alexian Spinelli. Il 21 luglio a L’Aquila è previsto anche un concerto dell’Alexian Group al Parco della Transumanza, a Collemaggio, sulla musica romanì, che verrà replicato anche il 28 luglio a Sulmona (cortile interno SS Annunziata), l’11 agosto a Castel di Sangro ( Piazza Plebiscito), il 26 agosto ad Avezzano (Piazza S. Giovanni). 17/07/2006 15.00
di Nando Sigona, osservAzione
Al meeting antirazzista dell'Arci (Cecina, 8-15 luglio) quest'anno c'era un clima diverso dagli anni passati. Il successo elettorale di Prodi e compagni (colleghi e amici) ha ovviamente aperto nuove possibilità e spazi di intervento per un'organizzazione come l'Arci. Il meeting è stato quindi l'occasione per fare conoscenza con alcuni dei nuovi interlocutori al governo (con una discreta rappresentanza di ministri e sottosegretari), per testarne capacità, disponibilità e volontà politica, ma anche per lanciare proposte concrete sui temi storicamente cari all'organizzazione.
Anche quest'anno si è parlato di rom e sinti con un'intera giornata (12 luglio) dedicata ad affrontare il tema: ad un incontro mattutino aperto e ricco di interventi da varie parti d'Italia con il prezioso contributo di alcuni rom presenti, ha fatto seguito una tavola rotonda a cui hanno partecipato Cristina De Luca (Margherita), sottosegretaria del ministero alla solidarietà sociale, Gianni Salvadori, assessore alle politiche sociali della Regione Toscana, Lucia de Siervo, assessore all'immigrazione del comune di Firenze, Demir Mustafà dell'associazione Amalipè Romanó e il sottoscritto per OsservAzione - Centro di Ricerca Azione contro la Discriminazione di Rom e Sinti.
Al centro di entrambi gli incontri c'era il tema dell'abitare, in particolare "il superamento della logica dei campi nomadi", uno slogan che negli ultimi anni si è affermato nel mondo delle associazioni ma che fatica a trovare concreta attuazione. D'altro canto, va notato che l'espressione finisce con essere tanto vaga da prestarsi talvolta a facili manipolazioni da parte della destra, che fa dell'eliminazione tout court dei "campi nomadi" uno dei suoi cavalli di battaglia nelle campagne elettorali per le elezioni amministrative, quanto di un certo centrosinistra che vede in termini come "logica" e "superamento"' un'autorizzazione implicita ad infiniti rinvii e non una concreta direzione di intervento. E non sempre le associazioni che si occupano di rom e sinti e che collaborano che queste amministrazioni riescono (o volendo essere un po' cinici, vogliono) a spingere verso un superamento reale dei campi.
Superamento verso dove? La domanda è lecita, troppo spesso si immergono in un unico calderone gruppi e comunità molto diverse tra loro. Mentre per la maggior parte dei rom superare i campi dovrebbe significare promuovere attivamente l'inserimento abitativo nell'edilizia pubblica e privata, per molte famiglie sinte, superare i "campi nomadi" dovrebbe significare creazione di microaree attrezzate e flessibili dove sostare con la propria roulotte o casa mobile o la conversione di aree private agricole in terreni per servizi dove sostare senza la continua minaccia degli uffici urbanistici e delle ruspe. Può lo slogan "superare la logica dei campi" includere situazioni tanto diverse? La risposta è: forse. A patto che a questa frase si accompagnino azioni concrete centrate sulla partecipazione reale ed effettiva delle comunità, gruppi, famiglie interessate. Solo così, l'astrattezza di questa espressione può trovare una sua dimensione reale, ancorandola ai bisogni e alle esigenze di rom e sinti.
Ma, ha ricordato Nicola Solimano (Fondazione Michelucci), bisogna tenere conto anche del fatto che oggi l'emergenza abitativa in Italia non sono più solo i campi nomadi. Baraccopoli, spazi occupati, insediamenti improvvisati appaiono e scompaiono da un giorno all'altro, alcuni si radicano, altri si spostano, altri si espandono. Si tratta di una nuova realtà di cui il rapporto di UN-Habitat (2003) - The challenge of slums - ha rivelato la portata: 54 milioni di persone in Europa vivono in insediamenti precari e con standard abitativi insufficienti. È una realtà in crescita, acuita, dice UN-Habitat, dal forte ridimensionamento dello Stato voluto dalla dottrina neoliberale e che la mobilità interna nell'Unione Europea allargata potrà ulteriormente incentivare. È necessario allora ripensare le politiche sociali e abitative tenendo conto di questa realtà, riconoscendo al contempo la specificità dei gruppi e dei contesti e la portata globale dei fenomeni che si vanno ad affrontare. D'altra parte, è stato sottolineato all'ncontro, nei campi nomadi, nei centri di accoglienza, nei campi profughi c'è uno spaccato del mondo e dei suoi conflitti, cui i paesi occidentali non possono certo ritenersi estranei.
Nel suo intervento la sottosegretaria Cristina De Luca ha affermato che il Governo si impegna intraprendere tre iniziative specifiche per affrontare la situazione di rom e sinti:
- la costituzione di un osservatorio permanente sulle condizioni di rom e sinti in Italia (in realtà nell'intervento pubblico la sottosegretaria non ha citato l'osservatorio, che ha fatto la sua comparsa invece nel comunicato stampa post-incontro);
- l'insediamento di un tavolo di coordinamento tra enti locali e organizzazioni della società civile per il superamento dei campi nomadi;
- una mappatura delle buone pratiche di intervento da parte di enti locali e organizzazioni.
Per quanto si tratti di segnali importanti, è evidente che mancano ancora loro, rom e sinti, e che l'attenzione è tutta alle organizzazioni della società civile, possibili bacini elettorali. Manca la volontà di elaborare una strategia nazionale, un piano d'azione che coordini e monitori gli interventi locali, come invece ci viene richiesto dall'Europa.
Nella giornata successiva, dedicata alla lotta alla discriminazione, i rom sono spariti, nonostante siano, lo mostra il nostro rapporto "Cittadinanze imperfette" (Edizioni Spartaco) e la recente condanna del Consiglio d'Europa, tra i gruppi più discriminati in Italia, insieme agli immigrati musulmani.
Questa assenza rivela un'attitudine di fondo ben radicata in Italia che considera le questioni relative a rom e sinti come un caso a parte. E dire che tra i partecipanti al dibattito sulla discriminazione c'era anche l'UNAR che ha, tra i suoi assi di intervento prioritari, la lotta alla discriminazione razziale contro rom e sinti.
Questa assenza ci rinforza nella convinzione che per incidere realmente sulle attuali condizioni di vita di rom e sinti in Italia sia fondamentale mettere al centro la questione dei diritti e della lotta alla discriminazione. Le due cose vanno di pari passo. Non si può contrastare la discriminazione senza un riconoscimento sostanziale di rom e sinti in quanto portatori di diritti.
Dare centralità ai diritti è anche un antidoto contro il mercato della politica, degli interessi di bottega, partito, associazione, alla concertazione, in cui rom e sinti hanno raramente la parola, schiacciati in meccanismi e logiche in cui è difficile inserirsi.
Mettere al centro i diritti significa, infine, ridare senso alla battaglia per una giustizia sociale, che non sia un'etichetta vaga, aperta a mille negoziati - ai quali spesso proprio le vittime non sono invitate, ma di una giustizia strictu sensu, ancorata nei principi e nelle norme dell'ordinamento giuridico e che sia valida per tutti, rom e sinti compresi.
Dopo il racconto di domenica (spero non siate superstiziosi, altrimenti voltate pagina), qualcosa ancora sul funerale tra i Rom. La testimonianza (di 10 anni fa) è di Stefano (Stevi) Braidic, quando era redattore del bollettino "Il Vento e il Cuore". Volendo, si può rileggere anche il racconto di Marco Nieli del novembre scorso.
Il funerale è una cerimonia molto sentita, vissuta da tutta la comunità. Non esiste un rito comune a tutti i Rom, ogni gruppo ha le sue usanze. In alcuni casi, come l'anno scorso (1995 ndr) quando bruciarono dei bambini Khorakhané in via Corelli, il funerale coinvolge tutti i gruppi, al di là delle loro differenze.
Quando muore qualcuno tra i Rom Bulgari, il giorno o la sera stessi si raggruppano gli amici e i conoscenti. C'è l'usanza di "DARE NELLA MANO AI BAMBINI": ai bambini presenti alla veglia vengono offerte frutta e te, questo serve per far contenta l'anima del morto. Per la stessa ragione, si offrono alcolici agli adulti. La nottata passa in piedi per gli adulti, le donne preparano il caffé. La veglia del corpo, lasciato all'aperto tra le tende, dura tre giorni. Alcuni Rom Bulgari sono di religione cattolica, altri ortodossa e altri ancora evangelici. Dopo i tre giorni di veglia si svolge il rito religioso secondo la credenza del defunto.
Tra alcuni Rom Harvati sopravvive la tradizione di bruciare la roulotte e i vestiti del morto. I suoi oggetti invece erano messi accanto a lui. Durante il corteo funebre, la strada viene cosparsa di fiori. In testa vengono portate le corone di fiori, segue la bara ed infine il corteo. Gli amici del morto contribuiscono alle spese del funerale ed il morto viene accompagnato anche dalla banda funebre. Quando poi si va a visitare la tomba, gli si porta qualcosa che gli piaceva in vita da lasciargli. Si va a trovare il morto solo la mattina: il pomeriggio non va bene.
Tra i Rom Khorakhané è molto importante il rito della vestizione del morto, che dev'essere posto nella bara pulito, profumato e con un vestito nuovo. Il rito religioso è musulmano. Il corpo del defunto di solito veniva rimpatriato per la sepoltura (i Khorakhané sono di origine bosniaca), ultimamente questo è diventato quasi impossibile (nel 1996 si era nel pieno della crisi bosniaca ndr). Tra loro sopravvive l'usanza della "POMANA": la veglia funebre, che è convocata subito dopo la sepoltura e a cui partecipano amici, parenti, conoscenti. Si mangia, si beve, si consolano i vivi. La POMANA viene ripetuta dopo tre giorni e poi dopo altri quaranta giorni. Questa veglia avviene ancora dopo sei mesi e dopo un anno, seguendo gli spostamenti del gruppo. Per tre anni viene sacrificata una volta all'anno una pecora.
Per tutti i Rom ci sono poi norme che indicano come e per quanto va tenuto il lutto per il defunto: durante questo periodo non ci si deve fare la barba, o lavarsi col sapone, non si ascolta musica...
Questa è solo una ricostruzione parziale dei molti riti che sopravvivono tra i Rom. Invitiamo i lettori a segnalarcene ancora.
nella foto tratta da Flickr, la tomba di una "regina dei Rom" morta in Alabama nel 1915 e tuttora venerata
Fotografie del 18/07/2006
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