Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Articoli del 20/02/2013
Stranieriinitalia.it - Avv. Mascia Salvatore
Non è un opinione, è un crimine punito dalla legge. Ecco come riconoscerlo e
combatterlo
11 febbraio 2013 - Il convincimento che la razza, il colore, la discendenza, la
religione, l'origine nazionale o etnica siano fattori determinanti per nutrire
avversione nei confronti di individui o gruppi, è un pregiudizio, una forma
irrazionale di intolleranza, ma è anche e soprattutto un crimine punito dalla
legge italiana.
La costituzione italiana condanna ogni forma di razzismo, e all'articolo 3
recita: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla
legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". E per cittadini si
intendono anche quelli stranieri che si trovano nel nostro Paese.
Infatti, in base all'art. 2 del T.U. n. 286 del 1998, ai cittadini extraue
"comunque presenti sul territorio", lo Stato deve garantire il rispetto dei
diritti inviolabili dell'uomo, che rientrano nella categoria dei diritti civili.
L'uguaglianza tra le persone è alla base di ogni società democratica la quale
deve, quindi, provvedere attraverso le proprie istituzioni a prevenire e
tutelare l'intera collettività da atti o comportamenti discriminatori.
Espressione di questa esigenza sono le innumerevoli leggi a livello nazionale,
comunitario e internazionale, che nel corso degli anni hanno gettato le basi per
contrastare sempre più il razzismo (L. 654/1975; D. Lgs. 215/2003 e D. Lgs.
216/2003 attuativi di direttive comunitarie; D. Lgs. 198/2006).
Considerata la gravità di tale fenomeno, sono previste delle pene molto dure per
i colpevoli.
Secondo la legge n.654 del 1975 chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate
sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o
commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o
religiosi, è punito con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa
fino a 6.000 euro.Mentre chiunque commette o istiga a commettere atti di
violenza o di provocazione alla violenza per gli stessi motivi, è punito con la
reclusione da sei mesi a quattro anni.
Riconoscere le discriminazioni
Ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione,
esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore,
l'ascendenza, l'origine o la convinzione religiosa è considerato dalla legge
italiana discriminatorio (art.43 del d.lgs. 286/98).
Possono essere considerati fattori di discriminazione anche i motivi linguistici
o di provenienza geografica.
Si tratta di un comportamento illegittimo anche se non è intenzionale, perché
comunque distrugge o compromette il riconoscimento, il godimento o l'esercizio
dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
Spesso è difficile valutare ciò che è considerata discriminazione e quindi
razzismo. Per questa ragione la legge si è preoccupata di definire meglio questo
concetto oltre che di fornire una tutela specifica per quelle discriminazioni
che si verificano nei luoghi di lavoro e nei rapporti con le pubbliche
amministrazioni o con esercenti commerciali.
Compie un atto di discriminazione:
1) il pubblico ufficiale che nell'esercizio delle sue funzioni compia o ometta
atti nei riguardi di un cittadino straniero che, soltanto a causa della sua
condizione di straniero o di appartenente ad un determinata razza, religione,
etnia o nazionalità, lo discriminino ingiustamente;
2) chiunque imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire beni o
servizi offerti al pubblico ad uno straniero soltanto a causa della sua
condizione di straniero o di appartenenza ad un determinata razza, religione,
etnia o nazionalità (prezzi differenziati al bar);
3) chiunque illegittimamente imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di
fornire l'accesso al lavoro, all'abitazione, all'istruzione, alla formazione e
ai servizi sociali e socio assistenziali allo straniero regolarmente
soggiornante in Italia , soltanto in ragione della sua condizione di straniero o
di appartenente ad un determinata razza, religione, etnia o nazionalità
(locazione di immobili);
4) il datore di lavoro o i suoi preposti i quali compiano qualsiasi atto o
comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando, anche
indirettamente, i lavoratori in ragione della loro appartenenza ad una razza, ad
un gruppo etnico o linguistico, ad una confessione religiosa, ad una
cittadinanza.
Cosa fare quando si subisce una discriminazione
Azione Civile
Chi è stato vittima di un atto discriminatorio da parte di un privato o di un
ufficio pubblico può ricorrere all'autorità giudiziaria ordinaria per domandare
la cessazione del comportamento pregiudizievole e la rimozione degli effetti
della discriminazione.
A tal fine la vittima della discriminazione può presentare, personalmente o
avvalendosi di un Avvocato o di un associazione, un ricorso presso la
cancelleria del Tribunale Civile della città in cui dimora A supporto delle
prove fondamento del ricorso possono essere forniti anche elementi desunti da
dati di carattere statistico, dai quali si può presumere l'esistenza di atti,
patti o comportamenti discriminatori (es. assunzioni, regimi contributivi,
assegnazione delle mansioni e qualifiche, trasferimenti, licenziamenti, ecc.
dell'azienda interessata).Spetta poi al convenuto (colui che ha commesso l'atto
discriminatorio) provare l'insussistenza della discriminazione. Il giudice, una
volta accertato che c'è stato un atto discriminatorio, accoglie il ricorso
ordinando che si ponga fine al comportamento discriminatorio e che ne vengano
rimossi gli effetti. Potrà inoltre condannare il colpevole a risarcire i danni
eventualmente subiti, anche non patrimoniali Il giudice può, inoltre, ordinare
la pubblicazione del provvedimento, per una sola volta e a spese del convenuto,
su un quotidiano di tiratura nazionale. In caso di condanne a carico di datori
di lavoro che abbiano avuto dei benefici monetari sia statali che regionali, o
che abbiano contratti di appalto per l'esecuzione di opere pubbliche, servizi o
forniture, il giudice comunica i provvedimenti alle amministrazioni che hanno
disposto la concessione del beneficio o l'appalto. Il beneficio può, quindi,
essere revocato e, nei casi più gravi di discriminazione, può essere disposta
l'esclusione del responsabile per due anni da qualsiasi ulteriore concessione di
agevolazioni (finanziarie o creditizie) o da qualsiasi appalto.
Se l'ordinanza del giudice non viene appellata entro 30 giorni, diviene
definitiva a tutti gli effetti.
Azione Penale
Insieme al diritto di chiedere la cessazione del comportamento, è prevista la
possibilità di presentare una denuncia/querela al Tribunale Penale del luogo in
cui si è verificato l'evento oggetto del reato con cui chiedere l'arresto di chi
commette una discriminazione.
Anche in questo caso il giudice, dopo aver accertato la responsabilità di chi ha
commesso il reato, può disporre il risarcimento dei danni materiali e morali a
favore della vittima del reato che si sia costituito parte civile nel processo.
Inoltre il giudice può disporre, ulteriormente alla pena, sanzioni accessorie
che prevedono obblighi particolari per il colpevole.
Questi potrà essere obbligato a prestare attività non retribuita a favore della
collettività per finalità di pubblica utilità; potrà prevedersi la sospensione
della patente di guida, del passaporto e di documenti validi per l'espatrio per
un periodo non superiore ad un anno; potrà disporsi il divieto di partecipare ad
attività di propaganda elettorale per le elezioni politiche o amministrative.
Corriere Immigrazione - di Sergio Bontempelli
Allarmi strategici, politiche securitarie ed esclusione dei migranti: una
ricerca sul caso di Pisa, ex città rossa molto tentata ormai dal rosa cipria.
Corriere Immigrazione si
è già occupato del "caso pisano". Piccola città
dell'Italia centrale, roccaforte dell'elettorato "rosso" e con una robusta
tradizione di sinistra, a suo tempo "patria" del Sessantotto e dei movimenti
studenteschi, negli ultimi anni Pisa è divenuta l'epicentro delle "politiche di
sicurezza": Marco Filippeschi, Sindaco Pd eletto nel 2008, ha dichiarato guerra
a rom e venditori ambulanti senegalesi, facendo delle "politiche securitarie" la
cifra del suo agire amministrativo.
In un bel libro uscito da pochi giorni (Xenofobia, sicurezza, resistenze.
L'ordine pubblico in una città "rossa", edizioni Mimesis), il giovane
ricercatore Tindaro Bellinvia ha fatto di Pisa un vero e proprio "case study":
ricostruendo non solo gli eventi - ordinanze, campagne di stampa, sgomberi e
"retate" di polizia - ma anche il loro significato più ampio.
La volpe e il porcospino: due modelli di città
"Ci sono società urbane più simili alla volpe e altre che assomigliano al
porcospino: le prime favoriscono la varietà, la coltivano e la incrementano; le
seconde investono in una sola direzione, verso cui orientano il loro sviluppo".
Così l'antropologo Ulf Hannerz, citando un verso dell'antico poeta greco
Archiloco, identifica due modelli possibili di governo del territorio.
Secondo Bellinvia, le politiche locali a Pisa hanno guardato al modello del
"porcospino": hanno costruito cioè "un'economia tutta incentrata
sull'accoglienza dei turisti e delle élite in cerca di luoghi raffinati e
rassicuranti". Dismessa ogni vocazione industriale (Pisa è stata per decenni una
"città operaia" sede di importanti fabbriche), le politiche urbane si sono
rivolte al turismo, e ai connessi investimenti immobiliari: alberghi, ville,
residenze di lusso, persino un porto per gli yacht sul litorale tirrenico...
Il "marchio" della città e la sicurezza-spettacolo
In questo modello di governo locale, diventa decisivo il "marchio" della città.
O, per usare le parole di Bellinvia, il suo "rating". Si deve cioè diffondere la
fama di una sede tranquilla, immune da conflitti: un luogo ideale dove
un'azienda possa effettuare un investimento, una famiglia benestante trasferire
la propria residenza. L'"immagine" della città diventa un tassello decisivo per
il suo sviluppo.
In una logica di "marketing", bisogna quindi promuovere il "decoro", la
"rispettabilità". Le classi pericolose - i poveri, i migranti, i "marginali"
-
devono essere nascoste, come si nasconde la polvere sotto il tappeto:
allontanate dal centro, ammassate nei piccoli comuni del circondario, a loro
volta trasformati in "luoghi dell'eccedente umano".
Soprattutto, si dovranno mettere al bando le attività che compromettono
l'"immagine pubblica" di Pisa: l'elemosina, la vendita ambulante, i senza fissa
dimora che dormono alla Stazione, i rom che si "accampano" in periferia, i
poveri che fanno la fila alle mense della Caritas. E si dovranno compiere gesta
spettacolari: esibite al mondo, come si esibisce il "marchio" di un prodotto da
vendere.
Di qui la logica delle "ordinanze", finalizzate non al governo di fenomeni
sociali ma, appunto, all'esibizione spettacolare. Le "gesta"
dell'amministrazione comunale hanno un carattere provocatorio, a tratti persino
ridicolo (perché anche il ridicolo serve a far parlare di sé...). Per
allontanare i venditori ambulanti si emette l'ordinanza "antiborsoni", con
severissime sanzioni per chi si aggiri nel centro storico munito di grosse borse
(!); per cacciare i senza dimora si multa la suora che porta da mangiare ai
poveri della Stazione; per sbarazzarsi dei rom si fanno sgomberi in stile
militare; e per le prostitute si punisce l'abbigliamento femminile che "offenda
la pubblica decenza e il decoro".
"Volpi" pisane: c'è chi dice no
In questo modo Pisa - ma lo stesso fenomeno ha riguardato molte altre città - ha
perso una caratteristica fondamentale dell'"Italia di mezzo", cioè dei territori
"rossi" della Toscana e dell'Emilia: quella di "di far convivere diverse
tipologie di attività economiche e culturali". Per usare le parole di Hannerz,
Pisa diventa "porcospino" e dismette la sua storica identità di "volpe".
Ma le "volpi" continuano a esistere. Le politiche del Sindaco Filippeschi,
infatti, sono state fortemente contestate da un ventaglio molto ampio di
"cittadini attivi": studenti, professionisti ed esperti di urbanistica, docenti
universitari e intellettuali, organizzazioni di volontariato e comunità
migranti.
Il vero e proprio cuore pulsante di questa "resistenza" è stato, secondo
l'autore del volume, il Progetto Rebeldia: un network di trenta associazioni,
che fino al 2010 ha avuto sede nel quartiere della Stazione (molto frequentato
dai migranti e per questo "epicentro" degli interventi repressivi del Comune).
Le associazioni di Rebeldia hanno organizzato non solo un'opposizione radicale
alle politiche securitarie - avviando tra l'altro azioni legali contro le
ordinanze di Filippeschi - ma anche forme di socialità e di cultura alternative:
nel quartiere della Stazione, Rebeldia ha rappresentato un luogo di incontro tra
migranti e "nativi", concretizzatosi in momenti conviviali, feste, cene popolari
e competizioni sportive.
Una "guerra di simboli"
Rebeldia ha dunque mantenuto in vita l'idea di una città "volpe". Ma ha
soprattutto avviato quella che Anna Maria Rivera chiamerebbe una "guerra dei
simboli": ed è qui che l'analisi di Bellinvia si rivela particolarmente
originale e feconda. Per l'autore del volume, la "sicurezza" è un insieme di
discorsi e di significati socialmente costruiti. Solo per fare un esempio, non è
affatto naturale che un senza fissa dimora sia percepito come un problema di
"sicurezza", come una minaccia all'incolumità dei "cittadini": perché questo
avvenga, occorre che si diffonda un senso comune che associa la povertà alla
pericolosità. E proprio associazioni mentali di questo genere sono diffuse da
giornali e televisioni, così come da Sindaci e politici.
In altre parole, la "sicurezza" è un "codice simbolico": non un dato di fatto ma
una percezione, alimentata dalla comunicazione pubblica e dai mass-media. Per
contrastarla, dice Bellinvia, occorre "dotarsi di un codice simbolico
alternativo". E proprio questo hanno fatto le "volpi" che si sono opposte alle
politiche del Sindaco.
Per il momento, la guerra è stata vinta dai "porcospini", cioè
dall'amministrazione comunale. Ma Bellinvia dubita che si tratti di una vittoria
definitiva: "non crediamo", scrive, che "perseguitare sbandati e persone
sospette diminuirà l'insicurezza. Pensiamo piuttosto che questa ossessione per
il controllo porterà nuove paure e nuovi timori". La volpe, qui, sembra
destinata ad essere come la talpa di cui parlava Marx: avanza silenziosamente,
sembra sparita... e poi salta fuori quando meno te l'aspetti!
Fotografie del 20/02/2013
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