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Articoli del 19/08/2007

Di Fabrizio (pubblicato @ 09:05:53 in media, visitato 1914 volte)

Parla molto di noi la questione "zingara"
Alberto Burgio

Ciclicamente, come le polemiche sui morti della strada o i roghi estivi (esempio non casuale), riesplode la questione dei campi nomadi. Che ci sia di mezzo il morto (i morti, come i bimbi arsi vivi a Livorno in quello che pare un ennesimo atto criminale) o le gesta squadriste dei padani (come l'anno scorso a Opera), cambia poco. Sta di fatto che di questa questione è impossibile liberarsi. Per nostra fortuna.
Perché? Perché la questione degli «zingari» parla di noi. Qualche giorno fa sul manifesto Enzo Mazzi diceva degli intrecci tra la loro e la nostra cultura. Si potrebbe scavare ancora e scoprire che c'è un legame profondo tra l'esperienza (e il disagio) della stanzialità e l'esperienza (lo stereotipo) del nomadismo. Che diventa un'icona del rimosso e catalizza (qui c'è una convergenza con l'antisemitismo) i furori razzisti della civitas christiana.
Ma non parla di noi solo per questo, la questione «zingara». È parte integrante della nostra storia politica. Di noi italiani (italiani come e non più delle decine di migliaia di rom e sinti cittadini di questa Repubblica), di noi europei (come altre decine di migliaia di rom e sinti e camminanti che vivono nelle nostre città). Faremmo bene a ricordarcene, e invece ce ne dimentichiamo. Perché si tratta di pagine cupe e pesanti come pietre.
La prima riguarda le guerre «umanitarie» nei Balcani. I rom di origine jugoslava (bosniaca e kosovara) sono profughi di quelle guerre di cui l'Italia fu sciagurata protagonista. Sono sfuggiti a vendette e «pulizie etniche» che hanno via via assunto le proporzioni di un pogrom. Si imporrebbe quindi, per cominciare, un bilancio serio dei conflitti che insanguinarono la Jugoslavia lungo gli anni Novanta. Un bilancio che non rimuova la destabilizzazione che li preparò con l'intervento di formazioni terroristiche sotto copertura occidentale.
La seconda pagina del nostro album riguarda le sistematiche persecuzioni inflitte a sinti e rom dopo l'89 in tutte le loro terre d'origine, dalla Slovacchia alla Boemia, dalla Moldavia alla Cechia, all'Ungheria, alla Romania. Nell'indifferenza generale della civile Europa.
La terza (sfondo alle altre) concerne lo sterminio nazista, cui il nostro paese partecipò con leggi e deportazioni. Si diceva delle convergenze con l'antisemitismo. Nel 1936 il Reich equiparò gli «zingari» - emblema di «asocialità» - agli ebrei. Lo sfondamento della Wehrmacht a est fu l'inizio di un calvario che mise capo allo sterminio di mezzo milione di sinti e rom. Ma anche l'Italia fece la sua parte. La persecuzione dei rom prese avvio qui, nei primi anni del fascismo. E le leggi del '38 riguardarono anche gli «zingari», non solo gli israeliti.
Storia? Non soltanto. Alla base di queste nefandezze operarono stereotipi che ancora impregnano le nostre discussioni. Di questo popolo si dipinge un ritratto che non è il suo. I rom jugoslavi avevano le loro case prima che esse venissero sottratte loro a forza. E all'est vivevano sì in condizioni disagiate, ma con un grado di integrazione che noi neppure immaginiamo.
Ma a chi interessa capire se urge giudicare? Si dice del degrado dei campi nelle nostre periferie. Quei campi che tanto spiacciono al cattolico onorevole Casini, ansioso per il decoro delle nostre «grandi città». Quei campi per i quali il democratico sindaco di Torino (come tanti altri dell'Unione, da Roma a Pavia) invoca «poteri straordinari» per i prefetti e interventi «anche oltre le regole pubbliche», pur di «ridurre il numero di rom». Allora bisogna dirlo chiaro: i campi come li conosciamo in Italia non si trovano in altri paesi europei perché altrove i rom vivono in comuni abitazioni grazie a un efficace sistema di sostegno, nel pieno rispetto delle regole.
Dopodiché siamo d'accordo: le prediche non bastano e nemmeno basta la memoria (che pure è un dovere politico, oltre che morale). Dunque che fare? Non si può scantonare da alcuni punti fermi. I rom rumeni non sono extracomunitari, sono europei come tutti gli altri. I rom italiani (70 mila) sono cittadini italiani, come tutti gli altri. A qualcuno potrà spiacere, ma è così. Quindi nessun diritto speciale, nessun trattamento ad hoc. Quanto agli apolidi, essi sono profughi, protetti dalla Costituzione, che riconosce loro (ancora) il diritto d'asilo. Piuttosto chiediamoci: quale risarcimento pensiamo si debba ai rom immigrati nel nostro paese l'Italia, oggi accusata dalla Ue di non applicare la direttiva «contro la discriminazione basata sulla razza e le origini etniche», ieri in prima linea nelle guerre balcaniche?
Veniamo al Kosovo. In questi anni, pur controllando militarmente parte del territorio, l'Italia non è stata in grado (per responsabilità bipartisan) di tutelare la presenza dei rom nella regione. Nel Kosovo di oggi, protettorato militare e luogo di loschi incontrastati traffici, le minoranze (i rom, ma anche la piccola comunità ebraica) non hanno possibilità di sopravvivenza e sono costrette a esodi di massa, che riversano centinaia di migliaia di persone nel resto dell'Europa e in particolare in Italia. Domanda: dopo aver bombardato case, ospedali e infrastrutture civili, dopo aver consegnato il territorio alla mafia kosovara (per tacere dello scandalo degli aiuti umanitari, delle tonnellate di beni di vario genere destinati alle popolazioni balcaniche e rimasti a Bari, dei legami con la malavita meridionale), quali programmi sociali ci impegniamo a sostenere? Quale tutela dei tesori storici e artistici, quale difesa delle minoranze, della vita e della cultura di ognuno?
Le forze di occupazione in Kosovo (di questo ormai si tratta) preferiscono assecondare l'irredentismo schipetaro-albanese e gli appetiti degli americani (che intanto hanno installato, in funzione antirussa, la più grande base militare della regione). In questo quadro si gioca la partita dell'indipendenza formale del Kosovo albanesizzato, per la quale anche il nostro governo pare propendere.
Non si finga di non sapere che, ove venisse concessa, l'«indipendenza» cancellerebbe qualsiasi possibilità di convivenza democratica e paritaria tra le popolazioni della regione. E negherebbe ai rom ogni speranza di fare ritorno nella propria terra.
Non si faccia il solito doppio gioco di causare disastri e poi lanciare accuse per le loro conseguenze.

 
Di Fabrizio (pubblicato @ 09:00:53 in Italia, visitato 1809 volte)

Ricevo sempre da Agostino Rota Martir

Se fosse avvenuta una tragedia simile ad una famiglia Livornese, mettiamo il caso dei genitori assenti perché occupati a lavorare fuori casa, o perché usciti per fare una veloce spesa al negozio più vicino, o per parlare con dei vicini…i loro bambini lasciati soli in casa davanti alla TV, e durante la loro assenza scoppia un incendio per una qualsiasi fatalità che provoca la morte di qualche bambino, ebbene come avremmo reagito se un P.M. decidesse di arrestare quei genitori con l’accusa di abbandono, condotti in carcere, messi in isolamento per una intera settimana, perché: “I bambini erano stati lasciati soli e con molta probabilità con il forno della cucina acceso…che per cause ancora da chiarire ha provocato l’incendio, quindi sui genitori pesano delle gravi responsabilità, perché al momento del rogo questi non sono intervenuti per tentare di mettere in salvo la vita dei loro figli, perché assenti.”

Quale sarebbe stata la nostra reazione?

Immagino che si sarebbe levata una ondata di sdegno contro quel Giudici disumani, accusandoli di insensibilità, l’assurdità della Legge che non solo ignora la causa principale della tragedia, ma addirittura impedisce ai genitori di poter piangere la morte dei loro figli… non ci apparirebbe tutto questo come un accanimento da condannare?

Ma è ovvio che questo non succederà mai se in questione c’è una “nostra famiglia”.

La cittadinanza senza alcuna eccezione, si stringerebbe attorno ad essa per piangere insieme la morte dei loro piccoli, mostrando la necessaria compassione e umanità come è giusto e doveroso in questi casi.

E’ una cosa normale.

Mi chiedo, allora perché la cittadinanza Livornese (ma non solo lei), eccetto qualche persona, non è stata capace di manifestare quegli stessi sentimenti di compassione cristiana e di umanità con la famiglia Rom coinvolta in questo dramma.

Perché in questi giorni non siamo stati capaci di piangere insieme ai famigliari Rom, che con pazienza ancora attendono invano di poter entrare nel carcere delle Sughere, per abbracciare e consolare gli affranti genitori?

Perché arriviamo ad impedire che il dolore di queste famiglie Rom potesse manifestarsi liberamente, anzi ci appare normale che questo dolore resti addirittura recluso dietro le sbarre di un carcere, volendo tenerlo a distanza in una specie di “fuori luogo”, forse per timore di contagiare le nostre coscienze?

Insieme ai campi Rom, ai loro accampamenti sempre provvisori e precari, insieme alle loro stesse vite, anche il dolore è condannato ad essere un ulteriore “fuori luogo”, che imbarazza se messo in prima pagina, meglio censurarlo e consegnarlo alla giustizia.

E’ forse normale questo?

Come se il loro dolore fosse diverso dal mio, come se il nostro fosse più vero di quello di una madre e di un padre Rom.

Lo dobbiamo ammettere: siamo arrivati tranquillamente a credere in questa assurdità!

Quali i motivi che ci fanno toccare così alti livelli di disumanizzazione?

Una tragedia del genere che doveva richiamare il silenzio, invece si è scatenato addosso ogni sorta di pregiudizio, di condanna, di indice puntato, di rancore…perché è ormai diffusa la convinzione che verso il popolo Rom in genere, tutto questo è lecito, doveroso, è normale, appunto!

Ma come può essere ritenuta normale la disumanizzazione?

Perché le Istituzioni laiche e religiose, le Chiese e noi semplici cittadini non arriviamo a sdegnarci di fronte a questa “normalità”, invece ci adeguiamo e non ci accorgiamo invece, che pian piano ci stiamo avvelenando dentro.

Ogni volta che permettiamo ad ogni essere umano di vivere ghettizzato, anche se nascosto sotto i cavalcavia alle porte delle nostre città, ben lontano dalla nostra vista noi accettiamo e contribuiamo al degrado intero della nostra società, quello stesso degrado che arma la mano non solo dei piromani che bruciano i nostri boschi, ma anche la vita dei più indifesi, che nella nostra società subiscono la sorte di essere di essere abbandonati sotto i cavalcavia prima, ma poi abbandonati anche attraverso i poteri giudiziari per non turbare i nostri pregiudizi.

p.Agostino Rota Martir
campo Rom di Coltano (PI) - 17 Agosto 2007

 
Di Fabrizio (pubblicato @ 08:51:09 in Italia, visitato 1960 volte)

Ricevo da Agostino Rota Martir:

Cari amici,

tutti voi sapete quello che è successo a Livorno una settimana fa: quattro bambine rom rumene sono morte bruciate vive sotto un cavalcavia della superstrada. Da allora le indagini per individuare le responsabilità dell'accaduto si sono mosse in molte direzioni. Inizialmente era stato detto che le fiamme si erano sviluppate per negligenza dei Rom, ma le testimonianze successive e coerenti dei Rom stessi, e alcuni indizi rimasti sul luogo hanno fatto emergere l'ipotesi di un attentato razzista. Si tratta, ovviamente di un'ipotesi sconvolgente. Se venisse confermata si tratterebbe di uno dei più gravi e feroci attacchi razzisti verificatisi in Europa dal dopoguerra, ed è perciò comprensibile che, prima di raggiungere tale conclusione, la magistratura livornese vagli con la massima attenzione ogni indizio, ogni testimonianza.
Contemporaneamente, però, proprio di fronte alla gravità del caso ed alla pena per le vittime ed i parenti, è necessario che tutti coloro che hanno a cuore la giustizia facciano sentire la loro preoccupazione e la loro partecipazione. Non vorremmo mai che forze politiche o singole personalita’, comprensive nei confronti degli eventuali attentatori o anche soltanto preoccupate per questione di immagine, svolgessero azioni di disturbo o di pressione per deviare le indagini. E' urgente perciò far sentire la nostra presenza e il nostro appoggio alla magistratura inquirente, manifestando tutti la nostra pena e le nostre preoccupazioni. Vi invitiamo a scrivere lettere ai giornali che più si sono occupati del caso affinché essi trasmettano il nostro pensiero a tutti, a cominciare dai magistrati.

Volendo concentrare le lettere ad un indirizzo possiamo scrivere a Franca Selvatici, che ha seguito il caso per la Repubblica (e che e' una giornalista seria e attenta), sia presso firenze@repubblica.it oppure, su carta, a: Cronaca de la Repubblica, Via A. La Marmora 45, 50121 Firenze.

Ciao a tutti
Sergio Bontempelli, Africa Insieme di Pisa

 

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