Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Articoli del 14/02/2007
Da IL VENTO E IL CUORE (Febbraio 2005)
Oggi, c'è chi ha festeggiato san Valentino e chi invece scrive (e probabilmente pensa) che è l'ennesima festa del consumismo... un po' come i vari natali, pasque ecc. Io credo che ognuno faccia mondo a sé e abbia diritto a sentirla come un festa più o meno propria. Certo, dipende anche dall'altra/o. Quanto al consumismo, è un convitato che possiamo invitare o meno alla nostra festa, ma di cui è sempre più difficile farne a meno. Penso a quando ho conosciuto la mia donna, sono passati quasi 25 anni, ma già allora la festa vera era per i produttori di cioccolatini. Mi sono fatto l'idea che tanto più il progresso avanza, con le sue tecnologie, gli SMS e i MMS, tanto più ci illudiamo di vivere in una società globale, mentre invece la nostra preoccupazione principale è di isolarci e vivere questi momenti in una dimensione privata e personale. Invece, un tempo remoto, queste occasioni venivano condivise non solo dai "fidanzati", ma coinvolgevano famiglie e amici, sancivano alleanze e patti destinati a resistere al tempo e alle difficoltà. Una società, più ristretta ma più coesa di quella in cui viviamo, sorvegliava e proteggeva i due ragazzi. E ne aprofittava, per interrompere una vita di stenti con feste da ricordarsi per tutta la vita. Anche da noi, in Italia, ma ne abbiamo perso il ricordo (o la necessità). Ho ritrovato un'intervista di nove anni fa ad Angelo e Anna Garnieri, Rom Abruzzesi di Milano, pubblicata su "Il Vento e il cuore" Tra noi Rom Abruzzesi è tradizione MANDARE LA SERENATA. Per questo si prende un complesso, adesso vanno di moda i cantanti napoletani. Qualche giorno prima un messaggero si reca dalla famiglia della ragazza, per annunciare la prossima serenata. La famiglia fa sapere tramite il messaggero se gradisce oppure no la serenata e sino a quel momento ancora nessuno si è impegnato: di solito la serenata è gradita e non viene rifiutata. I musicanti arrivano a mezzanotte. Passano prima dai genitori, per loro eseguono tre canzoni - poi dai fratelli già sposati, a cui fanno due canzoni, infine dagli zii, con altre due canzoni. Quindi vanno, di solito in un ristorante e aspettano. Di solito non bevono molto mentre aspettano, perché ci tengono a fare bella figura e alle quattro di mattina ritornano per ripetere le serenate, come la prima volta. L'orchestra o il cantante vengono pagati dalla famiglia del pretendente, che provvede anche ad affittare il ristorante dove tornano i musicisti. Qui il giorno dopo fanno preparare una lunga tavolata, con tante torte e beveraggi. A questo rinfresco la famiglia aspetta che la richiesta fidanzata e la sua famiglia si presentino. Nel frattempo l'altra famiglia con genitori, zii e fratelli si riunisce in consiglio per decidere sul fidanzamento, chiedendo naturalmente il parere della ragazza interessata. Se al rinfresco arrivano solo i genitori, la risposta è negativa, gli ultimi arrivati bevono solo un caffé e tutto quello che è stato preparato verrà consumato dai musicisti e da chi vuole consolarsi del rifiuto ricevuto. Se invece con i genitori c'è anche la figlia, la richiesta è stata accettata e i ragazzi si scambiano l'anello di fidanzamento. Viene stabilito anche il periodo del fidanzamento, che può essere di qualche mese o anche di due anni. Alla fine i ragazzi si sposeranno. Ma già una settimana dopo il rinfresco, le famiglie al completo si ritrovano per conoscersi meglio e per parlarsi con più tranquillità, in una grande festa. Tra i Rom di origine jugoslava, invece i fidanzati scappano per rifarsi vivi dopo un po' di tempo. Capita anche da noi che i ragazzi siano impazienti, allora si mettono d'accordo tra loro e con l'aiuto di un amico o un'amica (che viene scoperto sempre troppo tardi) scappano assieme per andare a convivere. I genitori ci rimangono male, ma quando dopo qualche mese i due fuggiaschi si rifanno vivi, di solito la rabbia è sbollita. Così chi paga le conseguenze della fuga è sempre la mezzana che ha aiutato. Però tanto i matrimoni che le convivenze che si creano sono duraturi e i divorzi sono rari: quello che a molti sembra un matrimonio combinato, in realtà è una scelta importante e felice che si vive tutti assieme. Se la serenata, il rinfresco e il pranzo di fidanzamento sono offerte dalla famiglia dello sposo, il pranzo di nozze, che deve soddisfare centinaia di invitati e il gruppo che suonerà al matrimonio, competono invece alla famiglia della sposa. Come molte tradizioni, anche questa della serenata di fidanzamento non si trova quasi più tra i Rom Abruzzesi presenti nei campi sosta in città. Sono poche le famiglie che ci tengono ancora. Forse perché nei campi sosta si vive a contatto di gomito, forse perché i soldi sono pochi e si impiegano in altre maniere. Non è proprio una tradizione Rom, ma è stata appresa dalla gente del Sud, lì ancora sopravvive. Ci sarà tra i lettori, qualche meridionale che si ricorda di fidanzamenti simili? Il piacere di saperlo Mandare la serenata = Buccivibé La fuga = Snippé Matrimonio = Clusivibbé Famiglia e tradizioni Il progresso? (quadro Tre)
Di Fabrizio (pubblicato @ 10:16:15 in casa, visitato 1791 volte)
Viaggio tra le roulotte e le case-mobili abitate da più di trecento zingari
I nomadi di via Gramsci: «Siamo con Delrio» Michela Scacchioli - L'Espresso - Gazzetta di Reggio «Questo campo è invivibile, siamo in troppi, sì alle micro-aree nei quartieri» «Il sindaco vuole smantellare il nostro campo nomadi, toglierci da via Gramsci e ricollocarci un po’ qua un po’ là nei vari quartieri della città? Ben venga, siamo con lui: qui sembra Auschwitz, manca solo il forno crematorio». Trecento sinti - poco meno della metà sono bambini - risultano raggruppati in trenta-quaranta famiglie. Tante, troppe per i 3mila metri quadrati a forma di lungo rettangolo che le ospita dal 1987, quando però le famiglie erano una decina e su quell’area ci stavano larghe: con gli anni sono nati i figli, e a seguire sono arrivati i figli dei figli. Tutti sono rimasti lì. Un mix di roulotte mezzo fatiscenti e di «case mobili» rigorosamente bianche sono collegate a rete idrica ed elettrica: «Acqua e luce - dicono - sono le uniche cose di cui non ci possiamo lamentare. Qui siamo stipati come topi. Anzi: anche i topi scappano da qui». E’ domenica mattina nel campo nomadi di via Gramsci numero 132 («Questo indirizzo è un marchio - lamenteranno poco dopo i suoi abitanti - che ti condanna di fronte a tutta la città. Quando scoprono che viviamo qui, e che quindi siamo zingari, i reggiani ci tolgono lavoro e saluto. Ma anche noi siamo reggiani, i nostri genitori sono nati in questa provincia, e noi siamo qui da sempre. Abbiamo fatto il militare e votiamo alle elezioni»). Il sole e il cielo azzurro mitigano - per quanto è possibile - le brutture di quello che, a tutti gli effetti, è un ghetto, asfaltato ma deturpato ovunque da buche grandi come crateri. I cattivi odori sono quelli che esalano dall’unica vera casa in cemento che svetta su tre piani al centro del campo: è inagibile anche se i più giovani ci salgono di nascosto. Al piano terra c’è il wc: «I nostri bambini giocano qui», raccontano due capi-famiglia, Nello Esposti, 54 anni, e Giuseppe De Barra, 56, mentre mostrano lo scenario desolante e grigio di una toilette - una per tutti - che reca sui muri le testimonianze scritte di quattro generazioni: nomi e date, date e nomi intrecciati a colori gli uni sulle altre. «Siamo in troppi, non riusciamo a tenere pulito», risponde De Barra quando gli si fa notare che, forse, se vivono così la colpa è anche un po’ la loro. «Se ognuno di noi potesse essere responsabile di un pezzetto di terra proprio, allora sarebbe diverso». Ma il fermento in via Gramsci comincia a farsi sentire attorno a mezzogiorno: Delrio vuol chiudere il campo e istituire i patti di legalità coi sinti. Gli uomini, tutti parenti tra loro, si radunano al centro del campo e discutono. «Siamo favorevoli alle micro-aree - spiegano mentre le donne stanno in disparte - a patto che i nuovi luoghi individuati dall’amministrazione siano quelli in maniera definitiva. Non siamo pacchi». E poi: «Dividerci nei vari quartieri a noi va benissimo. Sapremo farci apprezzare da chi vive già nella zona di insediamento. Se poi ci dessero anche una piccola casa con un bagno decente, sarebbe ancora meglio». Nessun timore, dunque, di perdere il connotato tipico di chi è nomade: «Una volta andavamo in giro per fiere - sottolineano -. Oggi non ci spostiamo più come un tempo. Di fatto siamo già stanziali. Ci interessa non perdere la cultura che sta alla base della nostra razza e del nostro essere sinti: ad esempio il rispetto per la famiglia. Noi non porteremo mai i nostri anziani in una casa di riposo». Dal coro, però, c’è una voce più giovane che si leva: «Non parliamo solo di casa, qua il problema è il lavoro. Io non voglio andare a rubare per mangiare, ma qualcuno dovrà pur aiutarci a non essere discriminati quando cerchiamo un impiego». Da qui l’appello al governo locale: «Abbiamo imparato a considerare il carcere come un ufficio di collocamento. Un detenuto in libertà è agevolato nella ricerca di un lavoro. Noi no».
(12 febbraio 2007)
Fotografie del 14/02/2007
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