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La redazione
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 04/11/2010 @ 09:55:38, in Italia, visitato 1637 volte)

Tra reticenze e mezze verità, continua lo scaricabarile mentre si avvicina la scadenza del 31 dicembre (e fa pure freddo, a questo non ci pensa nessuno?)

Lo Stato e il Viminale, attraverso il Prefetto, "hanno fatto la loro parte" sull"'emergenza rom" a Milano, "ora il Comune, che sin qui ha fatto moltissimo, dovra' continuare a fare la sua. Nel rispetto dei propri diritti, ma anche di quelli dei rom. Perché ci sono situazioni, e quella cui mi riferisco e' tale, che non sono risolvibili con uno sgombero".

Lo afferma Gian Valerio Lombardi, prefetto di Milano, in un'intervista al Corriere della Sera. Lombardi, nella veste di commissario straordinario per l'emergenza rom, si riferisce in particolare all'area di via Triboniano, periferia nordovest di Milano. "Oggi ospita oltre 500 persone, ma ora l'area serve per l'Expo 2015 – spiega -. Solo che l'istituzione di quel campo era stata disposta e regolamentata dal Comune stesso: la maggior parte di coloro che vi risiedono ha tuttora diritto di starci e la condizione per chiuderlo e' che si trovi una soluzione per loro.

Per questo il Comune la scorsa estate aveva individuato 25 alloggi dell'Aler, l'istituto milanese delle case popolari, con le caratteristiche di cui sopra: da destinare ai rom, ma senza sottrarli ad alcuna graduatoria". Tuttavia "una parte politica della maggioranza del Comune di Milano, preoccupata di un possibile messaggio negativo per i cittadini milanesi, ha deciso di rivedere gli impegni gia' presi". Lombardi spiega allora di aver trovato "soluzioni alternative" interpellando "i privati".

Ora, prosegue, "risulta decisivo il ruolo del Comune: queste case andranno usate per il fine cui sono state destinate, e il compito di gestire i passaggi successivi spetta appunto al Comune". Lo sgombero del Triboniano non sara' comunque "automatico": "e' un campo regolare, e nessuno potra' presentarsi qui a chiedermi semplicemente di sgomberarlo. Il Comune dovra' fare un decreto e motivarlo. Presentare anche agli abusivi un regolare provvedimento di allontanamento. E farsi carico di trovare una sistemazione provvisoria per i ‘regolari' ancora eventualmente presenti".

30 ottobre 2010 | 16:56

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Di Fabrizio (del 05/11/2010 @ 09:12:21, in Italia, visitato 2878 volte)

COMUNICATO STAMPA
DENUNCIA NEI CONFRONTI DEL SINDACO E DEL VICESINDACO PROTAGONISTI DEI RIPETUTI SGOMBERI DEI CAMPI ROM A MILANO

[...]

CONFERENZA STAMPA
MARTEDI' 9 NOVEMBRE 2010 ALLE ORE 11,00
SALA STAMPA DEL TRIBUNALE DI MILANO (atrio centrale piano 3°)

Del testo della denuncia daremo copia in quell'occasione

Interverranno alcuni sottoscrittori della denuncia ed i legali che li hanno assistiti, oltre ad alcuni Rom che abitavano i campi ripetutamente sgomberati .

In allegato:
§ Breve presentazione del campo Rom Forlanini/Cavriana e del Gruppo di Sostegno Forlanini;

Milano, 3 novembre 2010

IL CAMPO ROM FORLANINI-CAVRIANA E IL GRUPPO DI SOSTEGNO

Chi percorre il viale Forlanini in direzione aeroporto, alla periferia est di Milano, a un certo punto, sulla sinistra, vede un muro; è l'ultimo rimasuglio di una caserma in disarmo. Alcuni anni fa, ospitava circa 150 profughi del Corno d'Africa (erano i reduci da via Lecco, e poi si sono dispersi, tra Bruzzano, piazza Oberdan e altri luoghi più o meno nascosti di questa metropoli inospitale).

Il nostro Gruppo di sostegno Forlanini nacque allora, andando lì a conoscere le storie tremende di uomini e donne in fuga dalla guerra, dalla repressione e dalla fame, prodigandosi per le elementari necessità di quegli "ospiti", per la maggioranza in possesso del permesso temporaneo perché rifugiati, ma come sempre disperati, discriminati, obbligati a star nascosti e a non rivendicare alcunché.

Con un grande e diffuso sforzo di solidarietà, garantito da alcune associazioni e soprattutto da "cittadini e cittadine attive", riuscimmo a garantire un'esistenza un po' meno penosa a quegli uomini e donne, ma sempre nella latitanza delle istituzioni. E arrivò lo sgombero, preavviso della svolta sempre più militare impressa dalle autorità alla questione immigrazione, tanto che la caserma fu abbattuta. Adesso, appunto, restano solo il muro frontale e due corpi di guardia in muratura, nel frattempo resi inagibili dall'accanimento dei successivi sgomberi.

E' in quest'ambiente, tra le radure e la campagna retrostante, tra il fango e le sterpaglie, che si sono poi venuti a insediare alcuni piccoli nuclei di rom, composti da coppie di anziani, famigliole più o meno allargate con bimbi piccoli, ragazzi soli, reduci da altri sgomberi, oppure in fuga da una Romania che ci viene raccontata come tremenda, ma forse a suo modo non tanto diversa dalla Milano ringhiosa di questi anni.

Ed è ricominciata, da circa due anni una catena di solidarietà ancora più larga. Ora il Gruppo svolge la sua attività umanitaria all'interno del campo Rom in collaborazione con altre Associazioni di volontariato sociale milanesi; ha una quarantina di componenti, che acquistano generi di prima necessità, fanno accompagnamento sociale verso il pronto soccorso o gli ambulatori medici (per una salute di grandi e piccini che è sempre più minata dalle pessime condizioni ambientali), aiutano nelle minute pratiche burocratiche, tentano l'approccio alla scuola, garantiscono la fornitura di tende, coperte, vestiti, nella quotidianità come nelle punte più acute degli sgomberi, quando viene distrutto tutto, dalle baracche agli affetti personali o ai beni di proprietà - come per esempio un prezioso generatore -, ma soprattutto si insulta la dignità. Con il nostro operato siamo riusciti ad avviare un contatto fiduciario, con soggetti che da tempo hanno perso ogni riferimento con la cittadinanza, le istituzioni, il potere.

Durante la seduta del Consiglio di Zona 4 del 11 febbraio 2010 abbiamo letto un comunicato con il quale chiedevamo di fermare gli sgomberi e denunciavamo le continue violazioni degli elementari diritti umani, contemporaneamente abbiamo dichiarato pubblicamente "dopo ogni sgombero continueremo a garantirei beni essenziali, quelle poche cose a cui ogni volta questi dannati della terra devono rinunciare; torneremo a portare tende, coperte, farmaci e cibo e quant'altro possa servire".

Le famiglie che risiedono in questo campo hanno trovato nel nostro gruppo sostegno concreto: generi alimentari, abbigliamento, medicine, coperte, tende, oltre all'accompagnamento verso le strutture pubbliche (ospedali e pronto soccorso, per la cura delle malattie, e consultori familiari e pediatrici, per quanto concerne le vaccinazioni dei bimbi e la maternità delle donne). Infatti, molti abitanti del campo soffrono di varie patologie (respiratorie, reumatiche, traumatologiche) proprio per le cattive condizioni di vita in questa situazione, nel totale disinteresse degli organi preposti alla tutela della salute anche di questi cittadini/e.

Grazie al lavoro di due anni in questo campo, siamo riusciti ad avere un rapporto di totale fiducia ma, soprattutto, ad essere un riferimento certo, nell'assenza totale di ogni contatto positivo con le istituzioni di questa città. Ci stiamo adoperando per il loro inserimento lavorativo, ostacolato da molte rigidità, e per l'inserimento scolastico, da settembre scorso infatti un bambino ha iniziato a frequentare una scuola elementare in zona dove sta sperimentando nelle maestre e nei compagni finalmente dei soggetti che lo riconoscono e collaborano positivamente con lui.

In data 20 ottobre 2010 si è svolto l'ultimo sgombero: dalle 7,00 di mattina gli abitanti del campo hanno atteso l'arrivo della Polizia locale insieme a una decina di componenti del Gruppo di sostegno Forlanini. Nonostante la presenza di minori (due bambine di 15 e 19 mesi e un maschio di 7 anni, tutti peraltro nati in Italia) e di anziani con seri problemi sanitari – presenze già verificate da precedenti accertamenti e in ultimo dal sopralluogo svolto dalla Polizia la sera precedente - la procedura di sgombero è stata avviata comunque e con la totale assenza dei servizi sociali. Il Gruppo di sostegno ha preteso, ma inutilmente, l'esibizione di un titolo scritto per lo sgombero, oltretutto in assenza di una chiara individuazione del proprietario del fondo.

Gli abitanti del campo sono stati allontanati e denunciati per occupazione abusiva; successivamente sono entrate in funzione le ruspe per distruggere le baracche, le tende e tutti quei beni che gli abitanti del campo non sono riusciti a portarsi dietro nel loro ennesimo esodo.

Ora gli abitanti del campo vagano di nuovo nel quartiere e nella città, in una città in cui non vengono riconosciuti a questa categoria "speciale" i diritti di base: la casa, la salute, l'assistenza sociale e sanitaria, l'istruzione, un lavoro.

Siamo ormai al quattordicesimo sgombero di questa realtà, che non ha mai impensierito realmente gli abitanti del quartiere, cui basta il traffico frenetico del viale e quel muro per non vedere quel luogo di perdizione. Eppure gli "ospiti" di quel campo non si vogliono nascondere: ad aprile 2009, poco prima del primo sgombero, a un'assemblea in piazza Ovidio con De Corato, indetta sulla sicurezza, convincemmo due di quelle donne a intervenire pubblicamente; davanti a una platea prima tumultuante e poi raggelata nell'ascolto, parlarono della loro vita grama, della loro insicurezza, del degrado in cui non volontariamente vivevano, dimostrando quanto erano "normali" gli "alieni" da cui ci sentiamo "minacciati".

Ora il nostro gruppo intende intensificare la lotta a questa politica degli sgomberi continui senza alcuna reale alternativa abitativa, contro questa politica disumana ed illegittima; saremo presenti agli interventi che lì si preannunciano, abbiamo già raccolto materiale per altri sgomberi, in modo da non lasciare sguarnite le dotazioni; e intendiamo denunciare questi comportamenti inumani nelle sedi ufficiali, alla stampa e agli organi nazionali e internazionali a ciò preposti. Perché i "loro" diritti sono i "nostri" diritti.

Gruppo di Sostegno Forlanini - scendiamoincampo@gmail.com

Milano, 3 novembre 2010

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Di Fabrizio (del 05/11/2010 @ 09:31:53, in musica e parole, visitato 2109 volte)

L'ideale (altre informazioni QUI)

Questo "diario di sopravvivenza e resistenza al tempo della seconda guerra mondiale" verrà presentato dalla casa Editrice Irradiazioni il 10 novembre (ore 18.30) a Roma

L' Editrice Irradiazioni organizza il 10 novembre alle ore 18.30, in collaborazione con l'Ufficio della Commissione Europea in Italia a Roma in via IV novembre n. 149- all' interno dello Spazio Europa, una riflessione sul popolo rom, con la presentazione del libro di Jan Yoors "Crossing -diario di sopravvivenza e resistenza al tempo della seconda guerra mondiale", edito Irradiazioni.

In "Crossing", seguito del libro "Zingari sulla strada con i rom lovara", J.Yoors racconta la sua implicazione personale nella guerra e la parte attiva che molti zingari hanno giocato nello svolgimento della guerra di resistenza.

Verrà proiettato un bio-documentario di 13 minuti sulla storia unica di jan Yoors realizzato dal figlio Kore Yoors: Weaving two worlds, Jan Yoors 1922-1977 (2008);

  • saranno esposte in mostra 16 foto degli anni 30, ritratti fotografici eseguiti da J.Yoors durante il tempo passato con i rom;
  • parteciperanno la dott.ssa Clara Albani, Parlamento Europeo, il dott. Emilio Dalmonte Commissione Europea ed il prof. Patrick Willams, antropologo del CNRS direttore di ricerca, membro del Laboratorio di Antropologia Urbana del CNRS di Parigi.

Interverranno anche Kore Yoors autore del bio-documentario e figlio di J. Yoors; Nazzareno Guarnieri- presidente della Federazione Romanì; Emanuela Gargallo - Editrice Irradiazioni

Partecipazione straordinaria del violinista Ion Stanescu, (Violinista classico e gypsy), abile virtuoso del repertorio tzigano in stile rumeno ed ungherese che ha fatto parte per anni dalla Filarmonica di Craiova (Romania).

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Di Fabrizio (del 06/11/2010 @ 09:33:52, in casa, visitato 1573 volte)

quiBrescia.it venerdì 05 novembre 2010

(red.) Potrebbe finalmente trovare una soluzione la questione che ha visto contrapposti comune di Brescia e comunità sinti sulla questione del campo di via Orzinuovi (leggi qui, qui e qui).

La parola fine potrebbe essere definitivamente messa con il cosiddetto "Patto di cittadinanza", un documento, approvato da entrambe le parti, che consente la permanenza temporanea delle famiglie di sinti nel campo alla periferia della città e obbliga l'Amministrazione a bonificare l'area entro febbraio 2011.

Secondo quanto previsto nell'accordo, che è al centro di un incontro promosso da Arciragazzi, Cgil e Fondazione Piccini in programma sabato alle 21 nella Casa del Popolo di via Risorgimento 18, la Loggia "procederà alla chiusura del campo allo scadere dell'anno di validità del Patto, prorogando eventualmente i tempi dello sgombero per massimo tre mesi, in funzione del rispetto o meno delle regole stabilite e dell'impegno assunto nella ricerca di proposte alternative di collocazione".

Il Patto ha ottenuto il sì anche di Damiano Galletti, segretario della Cgil di Brescia (leggi qui) che si era battuta per una bonifica del campo, e da Donatella Albini, consigliere comunale.

Le venti famiglie attualmente nel campo di via Orzinuovi vi potranno rimanere fino al completamento dei lavori, al termine dei quali cinque di esse saranno trasferite in un altro contesto con il supporto del comune.

I sinti, per rimanere nel campo, saranno tenuti a rispettare il pagamento di alcune quote (leggi qui).

L'accordo prevede anche che in ogni piazzola possano sostare due caravan, mentre nell'area attrezzata per famiglie non potranno fermarsi altri mezzi.

Una volta avvenuta la bonifica dell'area, ogni nucleo familiare dovrà versare al comune 150 euro al mese per i consumi elettrici. 50 euro in più nel caso in cui nella piazzola fosse presente più di una famiglia.

La spesa per l'acqua, invece, sarà suddivisa in base al numero degli occupanti, calcolato al 50% per i bambini al di sotto dei 12 anni e secondo i consumi effettivi.

Inoltre, i sinti dovranno pagare 47 euro mensili per lo spazio occupato. La manomissione e/o il danneggiamento delle strutture presenti nell'area comporteranno invece l'allontanamento delle famiglie responsabili.

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Di Fabrizio (del 06/11/2010 @ 09:52:27, in Regole, visitato 1577 volte)

Da Slovak_Roma, un caso che aveva avuto eco anche in Italia

Košice, Slovakia, 5.11.2010 12:56, (ROMEA) - Oggi i 10 poliziotti slovacchi accusati di molestie contro bambini rom, la primavera scorsa in un commissariato di Košice, si sono tutti dichiarati innocenti alprimo giorno del loro processo. Si sono anche rifiutati di testimoniare. I nove uomini ed una donna rischiano tra i 4 e i 10 anni di prigione. L'incidente era emerso quando alcuni video registrati da telefonini erano trapelati alla stampa.

I poliziotti avevano arrestato sei ragazzi del complesso edile Luník IX a Košice con l'accusa di aver attaccato delle donne anziane. Secondo l'accusa, avevano poi obbligati i ragazzi, di età tra i 10 e i 16 anni, a picchiarsi l'un l'altro. La polizia è anche accusata di averli terrorizzati con cani, e tre dei ragazzi sarebbero stati morsi. Sarebbero poi stati portati nel seminterrato del commissariato, dove sarebbero stati obbligati a spogliarsi e continuare a picchiarsi tra loro. Un agente avrebbe premuto la canna della sua arma contro la testa di uno dei ragazzi, e gli avrebbe chiesto se doveva sparare. I poliziotti avrebbero anche obbligato i ragazzi a leccare i loro stivali e a picchiarsi con una pala.

Il procuratore generale ha classificato il comportamento dei poliziotti particolarmente grave e razzialmente motivato. Gli ispettori della polizia che hanno indagato sul caso non lo ritengono a sfondo razziale. Non è stato possibile raggiungere un accordo immediato sulla colpevolezza dei poliziotti o negoziare una condanna, dato che i poliziotti non hanno confessato di aver commesso il reato.

In passato la polizia slovacca ha affrontato critiche per l'uso sproporzionato della forza contro i Rom. L'anno scorso, la corte suprema ha mandato in prigione i poliziotti che avevano causato la morte per tortura del Rom Karol Sendrei nel 2001. Questo luglio la polizia ha rigettato l'accusa di essere responsabile della morte di un Rom di 64 anni, all'inizio di maggio. Secondo la sua famiglia e diversi media, la polizia aveva contribuito alla sua morte usando una quantità sproporzionata di gas lacrimogeni, quando sono intervenuti sulla scena di un litigio.

Czech Press Agency, translated by Gwendolyn Albert

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Di Fabrizio (del 07/11/2010 @ 09:04:18, in Kumpanija, visitato 2163 volte)

foto di Ivana Kerecki

Lo scorso 8 ottobre è morto per un ictus Franco Pasello, anarchico, amico di molti rom, fotografo e panettiere.

Per ricordarlo, gli amici e i compagni si ritroveranno domenica 14 novembre dalle ore 13.00 presso la Cascina autogestita Torchiera, piazzale Cimitero Maggiore 18 - Milano

Siamo franchi
ricordando il nostro Franco Pasello

Dalle ore 13 (pranzo) a tarda sera si terrà Siamo franchi, una giornata in ricordo di Franco Pasello, il nostro compagno morto l'8 ottobre scorso.

Come lui desiderava, lo ricorderemo in allegria con un bel pranzo, musiche rom e non-rom, canzoni del suo amato De André, testimonianze, vendita di stampa e libri anarchici, brindisi, chiacchiere, ricordi, progetti, aperitivo serale, ecc. ecc.. Chi vuole, porti roba da mangiare e da bere (anche se ci mancheranno le famose pizze di Franco), giornali, libri, idee.

Fin d'ora, chi vuole farci avere una sua testimonianza scritta su Franco, un ricordo, un breve testo, lo invii ad arivista@tin.it anche in vista di una pubblicazione dedicata a Franco che certamente faremo, ma di cui non abbiamo ancora il progetto preciso.

Per info, contattateci.

rivista anarchica "A"
cas. post. 17120 – Mi 68
20128 Milano
tel. 02 28 96 627
fax 02 28 00 12 71
arivista@tin.it

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Di Fabrizio (del 08/11/2010 @ 09:59:03, in Europa, visitato 1720 volte)

Da Czech_Roma

European City Ruolo della scena artistica ad Ostrava nel perpetuare gli stereotipi "Rom", by Kathrin Buhl(1)

Premessa: Questo articolo riguarda la mutua relazione tra gli stereotipi persistenti e l'esperienza vissuta dei Rom ad Ostrava. L'autrice esamina aspetti della scena artistica alla ricerca di quale particolare dimensione sociale contribuisca o si discosti dagli stereotipi, ed in che misura i componenti delle comunità rom siano coinvolti nel processo della creazione artistica. Un punto chiave è che quando la popolazione non-Rom presenta i Rom nell'arte, il prodotto si afferma come arte. Ma quando i Rom, "l'oggetto" dell'arte, sono attivamente coinvolti nel processo di creazione artistica, appaiono maggiormente il rifiuto e la discriminazione. Questo paradosso esistente rivela un meccanismo attraverso il quale vengono mantenuti nei discorsi pubblici e nelle arti il razzismo e la discriminazione.

La storia dei membri delle comunità rom in Europa(2) è stata caratterizzata per secoli da persecuzioni, discriminazioni ed esclusione sociale. Vivendo ai margini della società, in molte nazioni il quadro "dei Rom" incontra uno stereotipo comune che differisce solo leggermente da regione a regione. Conosciuti come "Gypsy", "Zigeuner", "Gitans" o "Cíngaros", per molti questi termini evocano quadri di persone scure in abiti colorati che continuamente danzano e suonano di fronte alle loro carovane. Ma oltre a queste spesso distorte immagini romantiche, gli "zingari" sembrano anche avere una vasta gamma di esperienze sociali negative, come povertà, senza fissa dimora e criminalità.

Ostrava, come pure un gran numero di altre città nella Repubblica Ceca, ha una numerosa popolazione rom. Con quasi 320.000 abitanti, la città post-industriale è la terza città della Repubblica Ceca, ed ha una popolazione rom stimata tra i 20.000 e i 30.000 abitanti(3), pochi - anche se il numero non è certo. Questo perché molti di origine rom che vivono ad Ostrava non intendono identificarsi pubblicamente come tali, ma invece si considerano e si dichiarano pubblicamente come Cechi. Questo fatto sfida i tempi "moderni", un periodo apparentemente caratterizzato da democrazia, leggi anti-discriminazione, la retorica dei diritti umani, ed il molto lodato arricchimento della popolazione con "diversità" culturale ed un'aperta conversazione con la storia, si senta ancora la necessità di nascondere le proprie origini.

Una ragione per cui molti Rom non possono identificarsi come appartenenti alle comunità rom è che spesso incontrano il rifiuto o la discriminazione nelle società in cui vivono. Nel passato recente ci sono stati ripetuti esempi di brutalità contro le famiglie rom, da parte di sconosciuti e talvolta (nei casi diventati pubblici) da parte della polizia, in tutta Europa. Ma i membri della comunità rom non sono esclusi dalla società maggioritaria tramite la sola violenza, o l'aperta discriminazione e le offese. Ci sono anche ragioni più profondamente radicate per cui i gruppi etnici continuano ad essere socialmente esclusi(4).

In quanto tale, ritengo che nelle società sia nascosto un sofisticato sistema di discriminazione che nasconda come lavori o avvenga su base giornaliera la discriminazione dei componenti delle comunità rom. Tra l'altro, lo scopo di questo articolo è dimostrare questa tesi. Ciò che farò sarà presentare alcuni esempi che possano servire a sostanziare la mia affermazione. Questi esempi offrono modi suggestivi di avvicinarsi alle più ampie - e più difficili da risolvere - questioni sociali, quali il perché quel popolo con origini differenti non sia in grado o sia incapace di diventare parte integrata della società, nonostante le politiche sociali in atto. O, per dirla differentemente, come le diverse dimensioni della società contribuiscano a perpetrare le diseguaglianze esistenti tra i gruppi sociali.

Mi avvicino alle questioni con una ricerca nel settore artistico di Ostrava e come si leghi alla comunità rom. Mi chiedo se ed in quale misura le arti, che tradizionalmente hanno ricoperto il ruolo di rappresentare le rivendicazioni dei popoli e dar loro una voce, accendano una luce sulla situazione dei Rom da prospettive insolite o differenti. Per fare questo, ho tenuto la traccia di mostre che hanno affrontato ad Ostrava varie questioni dall'anno 2002(5).

Ho trovato che rispetto alla relativamente ricca scena artistica e culturale di Ostrava, l'arte connessa a "questioni rom" è sottorappresentata. Da un lato, ciò si applica all'arte "su" o "circa" i componenti delle comunità rom, e dall'altra all'arte nei cui processi creativi sono coinvolti gli stessi Rom in quanti artisti, consulenti o registi. Dato che i Rom costituiscono quasi un decimo della popolazione totale di Ostrava, diventa particolarmente urgente la ragione di questa sottorappresentazione.

Mentre raccoglievo materiale da esaminare, ho parlato con persone collegate in differenti contesti con membri delle comunità rom. Tra gli altri, inclusa la preside di una scuola pubblica, dr. Soňa Tarhoviská, ed un'insegnante, Blanka Kolářová, della stessa scuola "Církevní základní škola a mateřská škola Přemysla Pittraand". Con 300 bambini iscritti, di cui solo due non sono rom, la scuola è unica nel suo concetto artistico pedagogico. Dato che la scuola serve una comunità che sotto molti aspetti è socialmente svantaggiata, la scuola, sin da quando è stata fondata nel 1993, ha ospitato o partecipato a diversi progetti artistici, che vanno dalla pittura alle produzioni teatrali, o spettacoli di musica e danza.

Poiché il raggio d'influenza della scuola ed il gruppo coinvolto dall'arte prodotta dai bambini non è il grande pubblico ma le famiglie degli alunni, non fa parte dell'auto-concezione della scuola di contribuire a formare l'opinione pubblica sui Rom. Secondo Blanka Kolářová i progetti artistici, di cui una decina finanziati dalla città o dall'Unione Europea, hanno più lo scopo di aiutare i bambini invece che dar loro la possibilità di esprimersi. Un secondo e forse più importante obiettivo dei progetti artistici è che i bambini, che nei progetti presentano le vite delle loro famiglie, imparino di essere accettati come figli di famiglie rom. Secondo Blanka Kolářová, la maggior parte dei bambini si vergogna di se stessi e di essere parte di famiglie rom. I progetti artistici servono come approccio nel trattare il concetto di identità e a sviluppare l'accettazione sino ad un certo grado di autostima.

La scuola non solo si comprende come un contributo al lavoro esplicativo rivolto ad una sfera di pubblico più vasta. Diventa invece evidente che il suo approccio si basa sul livello base per un miglioramento dei bambini interessati e delle loro reali situazioni familiari.

Poiché la scuola non raggiunge il pubblico, la risposta non è esattamente valutabile. Però la preside stima che, se raggiungessero il pubblico coi loro progetti, la risposta sarebbe positiva. Sono conclusioni tratte dalle reazioni del pubblico alle esibizioni dei bambini nelle tradizionali danze e musiche rom che hanno avuto luogo ad un festival annuale di Ostrava.

Ci fu una motivazione simile nell'aiutare le famiglie dei bambini a sviluppare e rafforzare il senso di autostima e identità, secondo il direttore del teatro "Divadlo Jiřího Myrona". Ha fatto recitare i figli delle delle famiglie rom colpite dall'inondazione di Ostrava nel 1997 per l'esecuzione del musical "AIDA". La risposta del pubblico fu, come riportata dai media, abbastanza buona.

In passato, ci sono stati progetti artistici che in qualche modo hanno coinvolto membri delle comunità rom, non solo come soggetti delle opere artistiche, ma soprattutto come designer attivi delle mostre o degli spettacoli. In questi progetti, la risposta del pubblico è stata  differente da quella dei progetti in cui i Rom (soprattutto bambini) hanno partecipato in quanto persone socialmente svantaggiate o vittime.

Un esempio è un'esposizione che ha avuto luogo nel Museo di Belle Arti "Dům umění" di Ostrava, nel 1999-2000. Un gruppo di studenti universitari ed una stazione radio erano responsabili della mostra che presentava fumetti disegnati da bambini rom. Originariamente era programmata alla Galleria Nazionale di Praga, ma in seguito il direttore rifiutò di esporre "arte rom" nel suo museo. Soltanto dopo il forte impegno di persone influenti, il progetto venne finalmente finanziato ed esposto nel Museo di Belle Arti "Dům umění". Nonostante la resistenza del direttore, il pubblico ha risposto positivamente alla mostra e le persone coinvolte hanno detto di sentire un senso di rispetto da questa esperienza.

L'idea dietro quel progetto era di aprire un sito importante di cultura pubblica, come un museo, perché i Rom mostrassero i loro lavori come artisti e come visitatori del museo interessati nel vedere l'arte dei Rom. Le difficoltà di accesso che gli iniziatori hanno dovuto affrontare per entrare in un campo come quello del Museo di Belle Arti, rappresenta solo un'idea dell'assenza di qualsiasi accettazione del livello intellettuale per chi appartiene alla comunità rom.

Se questi esempi possono essere considerati rappresentativi, confrontando i differenti approcci all'arte rom ed ai differenti livelli in cui l'arte rom è rappresentata, diventa ovvio quanto segue:

Quando il progetto artistico viene inquadrato sia per aiutare un relativamente passivo protagonista (una vittima o un bambino) o inteso come un progetto più o meno pedagogico, come parte di un festival che ha luogo soltanto in un determinato periodo, la rappresentazione di una cultura (nel caso dei Rom, danze e musiche) stereotipata (che arriva assieme agli aspetti "noti") volta all'intrattenimento, sembra essere accettata. Ma appena il coinvolgimento dei Rom è trasformato da oggetto di assistenza in soggetto attivo, o quando sono percepiti come partecipanti alla creazione artistica in quanto artisti o come parte della popolazione generale - come un potenziale visitatore - che era antecedentemente riservato ai non rom, i Rom sembrano avere più difficoltà nell'essere accettati o legittimati. Accettare persone in questa seconda dimensione sociale, dove ci si incontra in posti come gallerie d'arte, significherebbe accettarsi come uguali. Fintanto che la società interagisce con "i Rom" soltanto nel perpetuare gli stereotipi, attraverso questi si mantiene il controllo. Per esempio, possiamo parlare di loro, ma non con loro. Così, è facile mantenere una certa immagine, uno stereotipo che ci permette di trattarli in un certo modo. Fintanto che la società non permette ai Rom di parlare in prima persona e quindi di poter generare un'(auto)concezione di se stessi, noi non avremo da temere che possano variare la loro immagine, costruita e manifestata attraverso discorsi che controllino e giustifichino il modo in cui la società agisce con i Rom.

Lascerò alla discrezione del lettore considerare se il suggestivo argomento fatto sull'arte recipiente nel museo, possa essere applicabile alle differenti sfere della società, quali i luoghi di lavoro, il vicinato, o le istituzioni educative. Inoltre, rimane la questione di come questa assegnazione di ruolo manifestata da Rom e non Rom possa risolversi attraverso i discorsi pubblici e le regole istituzionali.

1) Kathrin Buhl studia scienze culturali e scienze politiche all'Università di Brema

2) Seguendo l'esempio di Rainer Mattern userò in tutto questo articolo i termini "comunità rom" o "popolo rom" riguardo a Sinti e Rom, Askali ed Egizi, citato in Mattern, R. (2009). Swiss-Aid-to-Refugees-Country analysis, Kosovo: About the Repatriation of Roma. Bern, Swiss-Aid-to-Refugees-Country Analysis.

3) Agarin, T., Brosig, M. (2009). "Minority integration in Central Eastern Europe: between ethnic diversity and equality." Editions Rodopi B.V. Last accessed October 4, 2010 at http://books.google.de/books?id=182K1gZFAuoC&pg=PA307&dq=ostrava+population+statistics&ei=BuHmS_iUAoyqywSLhNDKCQ&cd=9#v=onepage&q=ostrava%20population%20statistics&f=false

4) Come esempio, è stato pubblicato un documento sulla discriminazione dei Rom, sulla base di un lavoro sul campo nel 2008 in un rapporto della Commissione Europea: Discriminazione nell'Unione Europea, Percezioni, Esperienze ed Atteggiamenti.

5) Informazioni ricevute da Kumar Vishwanathan - Vivere Insieme, OnG di Ostrava sui diritti dei rom.

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Di Fabrizio (del 09/11/2010 @ 09:59:16, in Europa, visitato 1604 volte)

Segnalazione di Sarci Lm

(clicca per vedere le foto)

Tra nostalgia e miseria, ostacolati da criminalità e discriminazione, i gitani di Mosca faticano ad integrarsi nella società moderna. Russia Oggi è andata a trovarli

Ve lo dico io: il problema degli zingari, è che non ce n'è uno che lavori". Un giovane poliziotto russo sta visitando il villaggio rom di Possiolok Gorodishy, a circa 150 km da Mosca. Uniforme con giacca di pelle, capelli corti biondi e occhi chiari, assume un'aria sarcastica nel dire la sua a Georgij Šekin, alias Yalush in lingua rom, che lavora per l'organizzazione interregionale russa in difesa dei rom, e al vecchio Gendar, l'anziano del villaggio.

Gendar si difende fischiando tra i denti che gli mancano mentre il poliziotto se ne sta andando: "I gitani non sono istruiti, ecco perché non trovano lavoro nella società di oggi".
Gendar è il baro, ossia "l'anziano" del villaggio. In questo tabor (parola antica per "accampamento") nella regione di Vladimir vivono gitani del gruppo etnico dei Caldarari, uno di quelli che ha meglio conservato i propri usi e costumi; erano tutti nomadi nel 1956, quando l'Unione Sovietica ha costretto gli zingari a insediarsi in modo sedentario. I Caldarari, originari dell'Europa orientale, erano per tradizione mercanti di cavalli o mastri ferrai. In seguito all'avvento del comunismo alcuni di loro hanno convertito le loro attività in aziende nel settore del riscaldamento. Ma qui, nel villaggio, nessuno ha avuto successo. "Non facciamo niente tutto il giorno. Stiamo ad aspettare che il tempo passi". Una dozzina di uomini vestiti di scuro con giacche di pelle sta in piedi con le mani in tasca. Dietro di loro corre la ferrovia che costeggia il tabor, fatto di case in legno allineate lungo la strada centrale, secondo la tradizione russa. Continua Gendar : "I pochi che hanno la macchina lavorano occasionalmente come fuochisti e riescono a sfamare la famiglia. Ma quelli che non hanno una macchina? Beh, rubano. Č semplice, per i bambini".

Entriamo in casa di Gendar. "Tutto quello che c'è di bello qui dentro risale al comunismo. In quel tempo non c'erano né poveri né ricchi", racconta con rimpianto. "Quando non si aveva un lavoro si percepiva una disoccupazione". I muri sono tappezzati con lo splendore dell'epoca sovietica esaltato da tendaggi rosa e gialli, e i divani sono rivestiti con teli dai colori vivaci. Adagiata su un divano la madre, in abito blu, fuma e mostra un sorriso sicuro. "Vuoi vedere il filmato del matrimonio di mia nipote ?". Una bella ragazza di quindici anni fa una ruota con la sua gonna arancio e fa tintinnare le medaglie di cuoio: seguo la scena con la coda dell'occhio mentre la donna porta il tè, il burro e dei funghi marinati. "Dimenticavo… vedi, non abbiamo più corrente".

Pur non rappresentando più, in Russia, una popolazione nomade, l'inoperosità dei gitani è legata alla loro mancata integrazione nel sistema economico moderno, urbano e concorrenziale. Sin dai tempi del comunismo alcuni gruppi rom, in particolare i "Russka Roma", che sotto il regime zarista cantavano per i nobili e che oggigiorno sono il gruppo più integrato, si erano specializzati nel commercio di contrabbando, allora attività di nicchia. All'epoca le merci erano ridotte. Si trattava di un'attività illegale ma non criminale. "Ma in seguito alla Perestrojka in tutte le nazioni russe si è iniziato a commerciare e i gitani, per lo più analfabeti, non sono stati al passo", questa la spiegazione di Marianna Seslavinskaya, una dei dirigenti dell'unione interregionale russa in difesa dei rom, Roma Union.

Marianna Sleslavinskaya e il marito, Georgij Tzvetkov, vedono nell'istruzione dei gitani una priorità assoluta per l'integrazione della cultura rom. Entrambi lavorano in un laboratorio di ricerca presso l'Istituto governativo di lingue di Mosca, ma i mezzi a loro disposizione sono davvero scarsi: sono solo due per tutto il territorio russo, su cui si stima la presenza di un numero di gitani tra i 180.000 e i 400.000. "Non siamo circoscritti a una regione, come la maggior parte delle minoranze in Russia e nessuno si occupa di finanziare la trasmissione della nostra cultura. Ai bambini rom che vanno a scuola a sei anni viene insegnato il russo come se fosse la loro lingua madre, mentre loro parlano la lingua rom". Nel 1927 le autorità avevano avviato un programma di insegnamento per i nomadi, ma Stalin l'ha revocato nel 1938 come preludio alla sua campagna anti-cosmopolita.

Continua Marianna: "Č necessario un programma che insegni ai gitani inizialmente la loro lingua e, in seguito, la cultura russa. Perché un gitano che perde la sua cultura non può nemmeno diventare un vero russo. Si trasforma in un escluso. Istruire i rom salvaguardando la loro identità è l'unica soluzione possibile per far sì che si adattino alla società attuale. Così potranno trovare lavoro senza essere ostacolati da problematiche identitarie né cadere nella povertà e nella criminalità".

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Di Fabrizio (del 10/11/2010 @ 09:38:58, in Regole, visitato 1844 volte)

Riferimento

COMUNICATO STAMPA
Conferenza stampa di presentazione della denuncia nei confronti del Sindaco e del ViceSindaco protagonisti dei ripetuti sgomberi dei campi rom a Milano

Milano, 9 novembre 2010 - Questa mattina nella Sala Stampa del Tribunale di Milano è stata illustrata la denuncia penale presentata da 39 cittadini presso la Procura della Repubblica nei confronti del Sindaco di Milano Letizia Moratti e del Vice Sindaco di Milano Riccardo De Corato su iniziativa dei volontari del Gruppo di Sostegno Forlanini.

La denuncia è stata sottoscritta dai volontari del Gruppo di Sostegno Forlanini e da alcuni genitori che seguono le famiglie Rom di Rubattino, oltre che da alcuni rappresentati del mondo politico e culturale milanese attivi sotto diversi aspetti per la difesa dei diritti umani e delle minoranze.

Stefano Nutini, Fiorella D'Amore e Paolo Agnoletto - volontari del Gruppo Sostegno Forlanini - nel presentare l'iniziativa hanno condannato "la volontà persecutoria di questa Amministrazione nei confronti della popolazione Rom, con gli oltre 360 sgomberi di campi Rom senza alcuna alternativa abitativa (14 sgomberi solo del campo Rom Forlanini / Cavriana), e gli oltre cinque milioni di euro spesi per gli sgomberi, in assenza totale di progetti di accompagnamento ed integrazione (…) Gli sgomberi avvengo spesso alla mattina presto, con qualsiasi tempo atmosferico, gli abitanti del campo – adulti, anziani malati e bambini anche di pochi mesi - vengono identificati , denunciati ed allontanati; subito dopo intervengono le ruspe che distruggono le baracche, le tende e tutti quei poveri beni che gli abitanti del campo non sono riuscisti a portarsi dietro nel loro ennesimo esodo".

E' quindi intervenuto un Rom che abitava uno dei campi ripetutamente sgomberati: "voglio rimanere qui perché solo così posso garantire a mio figlio di proseguire la scuola .. ieri sera ero con mio figlio lungo la strada sotto il lampione a vederlo finire i compiti … ma ogni volta che ci sgomberano è sempre più difficile .. finirà che sarò costretto a mettere una tenda davanti alla scuola … "

I volontari del Gruppo Sostegno Forlanini - che opera in Zona 4 da oltre due anni - hanno poi ribadito: "dopo ogni sgombero continueremo a garantire ai nostri amici Rom beni essenziali, quelle poche cose a cui ogni volta questi dannati della terra devono rinunciare; torneremo a portare tende, coperte, farmaci e cibo e quant'altro possa servire .(…) perché i 'loro' diritti sono i 'nostri' diritti" …"In questi anni abbiamo scelto di incontrare queste volti, queste persone, di costruire con loro rapporti di vicinanza, sono i nostri nuovi vicini di casa; abbiamo cercato di costruire dei rapporti di fiducia superando diffidenze e magari anche incomprensioni o paure reciproche" …"Siamo semplicemente dei cittadini che hanno scelto di vivere il loro ruolo di cittadinanza attiva per costruire una città più vivibile e quindi più sicura per tutti perché più accogliente, una città che deve tutelare i diritti di tutti al di là di appartenenze etniche e culturali"

Francesca Federici e Lorenzo Mandelli del gruppo di Genitori che affiancano le famiglie Rom di Rubattino hanno dichiarato "Noi - maestre, genitori e cittadini - siamo giunti a presentare questa denuncia come estremo tentativo di salvaguardare quello che è un diritto inalienabile: il diritto all'istruzione, l'unica possibilità per questi bambini di poter pensare ad un futuro diverso. Un diritto che viene continuamente messo in forse e negato dai continui sgomberi. I bambini senza diritto di istruzione sono bambini privati anche del diritto di sapere che si può vivere diversamente".

Elena Guffanti del Gruppo Sostegno Forlanini ha raccontato "grazie ad una attività di mediazione e facilitazione quest'anno siamo riusciti ad iscrivere in una scuola elementare della zona un bambino del campo. Nonostante i continui sgomberi il papà e la mamma cercano con umiltà di garantire un futuro al loro unico figlio accompagnandolo ogni giorno a scuola. .. Quando la mamma mostrandomi l'orario delle materie di insegnamento mi ha chiesto cosa significasse ' Educazione alla convivenza civile' ho provato imbarazzo e vergogna, lo stesso Stato che pretende di insegnare questi principi, nei confronti dei Rom mette in pratica solo segregazione ed emarginazione (…).
Nel corso della conferenza stampa è stato anche ricordato che "ai bambini Rom, in quanto 'non residenti' il Comune non garantisce la mensa scolastica, per poter usufruire del servizio devono infatti pagare la quota della fascia massima pari ad €. 680,00; mentre ai ragazzini Rom che frequentano la scuola media non viene dato il 'buono' per l'acquisto dei libri che pertanto devono essere pagati interamente dalla famiglia".

L'avv. Gilberto Pagani l'avv. Anna Brambilla hanno illustrato i punti essenziali su cui si fonda la denuncia: "Il comportamento tenuto dagli amministratori comunali viola apertamente le leggi esistenti, che prevedono misure destinate all'integrazione delle popolazioni Rom e Sinti. Al contrario il Comune di Milano utilizza risorse ingentissime al solo scopo di rendere la vita di queste persone insostenibile e di indurle così a lasciare la città. Questa è l'invocata soluzione definitiva del problema dei Rom, che non solo è disumana ma configura gravi reati, in particolare l'abuso d'ufficio, l'interruzione di pubblico servizio (fine del percorso scolastico per decine di bambini e ragazzi) e la distruzione dei beni delle famiglie sgomberate."

[...]

Per il Gruppo di Sostegno Forlanini
Paolo Agnoletto - cell. 333.8611303
Elena Guffanti - cell. 347.7179254
scendiamoincampo@gmail.com
Avv. Gilberto Pagani – cell. 347.2257078


Rassegna stampa (aggiornata 9 novembre 2010 ore 20.30):

http://milano.repubblica.it/cronaca/2010/11/09/news/moratti_denunciata_per_gli_sgomberi_odio_etnico_e_razziale_verso_i_rom-8914182/

http://notizie.virgilio.it/notizie/cronaca/2010/11_novembre/09/milano_sgomberi_rom_volontari_denunciano_moratti_e_de_corato,26919327.html

http://www.asca.it/news-MILANO_ROM__MORATTI_E_DE_CORATO_DENUNCIATI_PER_SGOMBERI-964453-ORA-.html

http://www.agi.it/milano/notizie/201011091154-cro-rmi0015-nomadi_sgomberi_associazioni_denunciano_moratti_e_de_corato

http://lombardia.indymedia.org/node/33296

http://it.peacereporter.net/articolo/25181/Sgomberi+dei+campi+Rom:+denunciati+la+Moratti+e+De+Corato

video: http://it.peacereporter.net/videogallery/video/12292

con qualche confusione tra Vittorio e Paolo Agnoletto... : - P

e per finire...

ROM, DE CORATO: "SU SGOMBERI SEMPRE SEGUITE PROCEDURE CORRETTE" by Omnimilano

"Sono serenissimo". Così il vicesindaco, Riccardo De Corato, ha commentato la denuncia depositata questa mattina da 39 cittadini guidati dal Gruppo di Sostegno Forlanini, nei confronti del sindaco, Letizia Moratti, e del vicesindaco, per i reati di abuso di ufficio, interruzione di servizio pubblico e danneggiamento, nel corso degli sgomberi dei campi rom e in particolare di quello di via Rubattino.
"Abbiamo sempre seguito tutte le procedure corrette - ha spiegato De Corato - tanto che diamo sempre un'alternativa a donne e bambini, che alcune volte accettano e altre volte no". La denuncia è stata sottoscritta dai volontari e dai genitori che seguono le famiglie rom.
"Non hanno di meglio da fare, queste denunce servono solo ad alimentare il can-can mediatico", ha aggiunto il vicesindaco, che ha ricordato che quella depositata questa mattina e' la terza denuncia arrivata in poco più di un anno e mezzo. Come spiegato da De Corato, le altre due denunce riguardavano lo sgombero del campo di Chiaravalle, "per cui fu tutto archiviato", e per il censimento avviato con la Prefettura, "archiviata anche quella".

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Di Franco Bonalumi (del 11/11/2010 @ 09:07:43, in Italia, visitato 1772 volte)

Dopo la nostra conferenza stampa di ieri, abbiamo letto i commenti che il vicesindaco De Corato ha dedicato alla denuncia che in quell'occasione abbiamo presentato. Notiamo per prima cosa che non c'è un punto, nelle sue dichiarazioni, che smentisca le fattispecie sollevate nella denuncia, ossia – lo ripetiamo – l'abuso d'ufficio (anche con l'utilizzo di ingenti soldi pubblici solo per gli sgomberi senza progetti di accompagnamento ed integrazione), i danneggiamenti a beni di proprietà (con l'intervento delle ruspe e la distruzione di ogni bene), l'interruzione di pubblico servizio (nello specifico, l'interruzione della frequenza scolastica).

Il vicesindaco dichiara che è sempre stata osservata la correttezza delle procedure; lo smentiamo, sulla scorta anche dei più recenti sgomberi. Lo dimostrano:
- le procedure ultimative: sgombero intimato solo a voce con rudezza e intimidazione all'alba o a tardo pomeriggio, nell'incombere dell'imbrunire, senza preavviso, in presenza di maltempo con pioggia o neve;
- l'assenza dei funzionari dei servizi sociali, negli ultimi episodi, malgrado il fatto che appunto i ripetuti censimenti e controlli effettuati sul microcampo Cavriana-Forlanini avessero rilevato la presenza di minori anche di pochi mesi;
- continuiamo a pensare che quella della frattura del nucleo familiare (madri e bambini da una parte e padri per strada) non sia la soluzione; in una Milano che celebra in questi giorni, in un apposito evento, la sacralità della famiglia, suonano stonati questi interventi che dal legame familiare prescindono.

Rifiutiamo con forza la designazione del nostro gruppo come facente parte di "associazioni pseudobuoniste" che "non hanno di meglio da fare" che indulgere al "can can mediatico".

Noi qualcosa di meglio lo abbiamo da fare, e sta nel nostro impegno quotidiano di cittadini e cittadine, nell'affiancamento a queste storie difficili ma ricche, nel tentativo arduo di forzare gli ostacoli che si oppongono a una piena socializzazione di questi soggetti, nell'esigere diritti e prestazioni pari a ogni altro cittadino di questa città (scuola, servizi, salute, casa), nella ricostituzione paziente di un ambiente vitale dopo che ogni effetto personale è stato regolarmente degradato a "spazzatura". Non c'è nulla di spettacolare in tutto ciò; si tratta invece di un laboratorio di cittadinanza sociale, che dovrebbe stare a cuore alle autorità.

Il "can can mediatico", invece, imperversa ai danni di queste fasce di popolazione come su altre (i migranti, ma non solo), identificate come "capri espiatori" di una crisi e di una sua gestione politica in senso autoritario.

Non siamo affezionati al fatto che, come afferma il vicesindaco, chi vive in questo come in altri campi scorrazzi "tra amianto, topi e quintali di rifiuti"; a parte il fatto che questo richiama lo stato di tante aree dimesse, lasciate a marcire in attesa d'interventi speculativi, non possiamo accettare che le autorità pensino che chi ci vive abbia piacere di condurre la sua esistenza in questi ambienti.

Il vicesindaco sa bene - avendolo ascoltato di persona dalla viva voce di due donne abitanti di questo campo, in un'assemblea in piazza Ovidio, dell'aprile del 2009, che hanno preso la parola e non sono rimaste nascoste - quanto sia avvilente per un essere umano e il suo ambito di affetti vivere in non-luoghi degradati; quelle due donne ebbero il coraggio di venirlo a dire davanti a una platea che le ascoltò muta e attenta, e che si sentì dire che la "sicurezza" di cui tanto si ciancia parte per prima cosa dalla dignità del proprio vivere e lavorare in una società e in un ambiente non ostile, se non solidale.

Insostenibile è poi l'affermazione secondo cui agli insediamenti di nomadi si correlino immediatamente e immancabilmente "la criminalità predatoria e il degrado"; in due anni di affiancamento continuo non abbiamo mai avuto segnali anche lontani di criminalità, né sono dimostrabili in nessun modo. In queste affermazioni categoriche risuona un pregiudizio razzista che è quello che abbiamo ravvisato in molti comportamenti posti in essere dai decisori politici di questa città e che abbiamo esposto nella nostra denuncia.

Milano, 10 novembre 2010
Gruppo Sostegno Forlanini e genitori di Rubattino firmatari della denuncia

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