Segnalazione di Sarci Lm

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Tra nostalgia e miseria, ostacolati da criminalità e discriminazione, i 
gitani di Mosca faticano ad integrarsi nella società moderna. Russia Oggi è 
andata a trovarli
Ve lo dico io: il problema degli zingari, è che non ce n'è uno che lavori". 
Un giovane poliziotto russo sta visitando il villaggio rom di Possiolok 
Gorodishy, a circa 150 km da Mosca. Uniforme con giacca di pelle, capelli corti 
biondi e occhi chiari, assume un'aria sarcastica nel dire la sua a Georgij Šekin, 
alias Yalush in lingua rom, che lavora per l'organizzazione interregionale russa 
in difesa dei rom, e al vecchio Gendar, l'anziano del villaggio. 
Gendar si difende fischiando tra i denti che gli mancano mentre il poliziotto se 
ne sta andando: "I gitani non sono istruiti, ecco perché non trovano lavoro 
nella società di oggi".
Gendar è il baro, ossia "l'anziano" del villaggio. In questo tabor (parola 
antica per "accampamento") nella regione di Vladimir vivono gitani del gruppo 
etnico dei Caldarari, uno di quelli che ha meglio conservato i propri usi e 
costumi; erano tutti nomadi nel 1956, quando l'Unione Sovietica ha costretto gli 
zingari a insediarsi in modo sedentario. I Caldarari, originari dell'Europa 
orientale, erano per tradizione mercanti di cavalli o mastri ferrai. In seguito 
all'avvento del comunismo alcuni di loro hanno convertito le loro attività in 
aziende nel settore del riscaldamento. Ma qui, nel villaggio, nessuno ha avuto 
successo. "Non facciamo niente tutto il giorno. Stiamo ad aspettare che il tempo 
passi". Una dozzina di uomini vestiti di scuro con giacche di pelle sta in piedi 
con le mani in tasca. Dietro di loro corre la ferrovia che costeggia il tabor, 
fatto di case in legno allineate lungo la strada centrale, secondo la tradizione 
russa. Continua Gendar : "I pochi che hanno la macchina lavorano occasionalmente 
come fuochisti e riescono a sfamare la famiglia. Ma quelli che non hanno una 
macchina? Beh, rubano. È semplice, per i bambini".
Entriamo in casa di Gendar. "Tutto quello che c'è di bello qui dentro risale al 
comunismo. In quel tempo non c'erano né poveri né ricchi", racconta con 
rimpianto. "Quando non si aveva un lavoro si percepiva una disoccupazione". I 
muri sono tappezzati con lo splendore dell'epoca sovietica esaltato da tendaggi 
rosa e gialli, e i divani sono rivestiti con teli dai colori vivaci. Adagiata su 
un divano la madre, in abito blu, fuma e mostra un sorriso sicuro. "Vuoi vedere 
il filmato del matrimonio di mia nipote ?". Una bella ragazza di quindici anni 
fa una ruota con la sua gonna arancio e fa tintinnare le medaglie di cuoio: 
seguo la scena con la coda dell'occhio mentre la donna porta il tè, il burro e 
dei funghi marinati. "Dimenticavo… vedi, non abbiamo più corrente".
Pur non rappresentando più, in Russia, una popolazione nomade, l'inoperosità dei 
gitani è legata alla loro mancata integrazione nel sistema economico moderno, 
urbano e concorrenziale. Sin dai tempi del comunismo alcuni gruppi rom, in 
particolare i "Russka Roma", che sotto il regime zarista cantavano per i nobili 
e che oggigiorno sono il gruppo più integrato, si erano specializzati nel 
commercio di contrabbando, allora attività di nicchia. All'epoca le merci erano 
ridotte. Si trattava di un'attività illegale ma non criminale. "Ma in seguito 
alla Perestrojka in tutte le nazioni russe si è iniziato a commerciare e i 
gitani, per lo più analfabeti, non sono stati al passo", questa la spiegazione 
di Marianna Seslavinskaya, una dei dirigenti dell'unione interregionale russa in 
difesa dei rom, Roma Union. 
Marianna Sleslavinskaya e il marito, Georgij Tzvetkov, vedono nell'istruzione 
dei gitani una priorità assoluta per l'integrazione della cultura rom. Entrambi 
lavorano in un laboratorio di ricerca presso l'Istituto governativo di lingue di 
Mosca, ma i mezzi a loro disposizione sono davvero scarsi: sono solo due per 
tutto il territorio russo, su cui si stima la presenza di un numero di gitani 
tra i 180.000 e i 400.000. "Non siamo circoscritti a una regione, come la 
maggior parte delle minoranze in Russia e nessuno si occupa di finanziare la 
trasmissione della nostra cultura. Ai bambini rom che vanno a scuola a sei anni 
viene insegnato il russo come se fosse la loro lingua madre, mentre loro parlano 
la lingua rom". Nel 1927 le autorità avevano avviato un programma di 
insegnamento per i nomadi, ma Stalin l'ha revocato nel 1938 come preludio alla 
sua campagna anti-cosmopolita. 
Continua Marianna: "È necessario un programma che insegni ai gitani inizialmente 
la loro lingua e, in seguito, la cultura russa. Perché un gitano che perde la 
sua cultura non può nemmeno diventare un vero russo. Si trasforma in un escluso. 
Istruire i rom salvaguardando la loro identità è l'unica soluzione possibile per 
far sì che si adattino alla società attuale. Così potranno trovare lavoro senza 
essere ostacolati da problematiche identitarie né cadere nella povertà e nella 
criminalità".