Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Sucar Drom (del 11/06/2008 @ 10:51:09, in blog, visitato 1375 volte)
Solidarietà a Giorgio Bezzecchi
Pubblichiamo alcuni dei 300 messaggi di solidarietà inviati a Giorgio Bezzecchi
(in foto), dopo l’iniziativa del Prefetto di Milano che ha schedato i
trentacinque Rom italiani che abitano nel “campo nomadi” di Via Impastat...
Un sondaggio razzista
Roberto Malini di EveryOne ha segnalato il sondaggio attivato da "Il Resto del
Carlino" che di fatto rappresenta un'odiosa istigazione all'odio razziale. E'
assolutamente pazzesco che nell'attuale situazione in cui versa...
Roma, Rom e Sinti chiedono rispetto
"Gli italiani non sono razzisti, ma c'è in questo paese una disinformazione
dilagante, una mistificazione". Lo ha dichiarato Alexian Santino Spinelli,
presidente dell'associazione Them Romano, promotrice del corteo svoltosi oggi
nella Capitale...
Il Governo approva la "Carta di Parma"
Una ventina di sindaci delle città medio-piccole e il ministro dell'Interno sono
d'accordo: ai primi cittadini servono più poteri in materia di sicurezza urbana
e più risorse per le politiche di re...
Ue, nuove norme a favore dei Rom e per il contrasto alle discriminazioni
Il commissario Ue per gli Affari sociali Vladimir Spidla (in foto) ha annunciato
lunedì a Lussemburgo ai ministri Ue un pacchetto di provvedimenti che prevede un
documento sulla popolazione Rom ed un...
Appello: "il sonno della ragione genera mostri"
Mai il titolo dell'acquaforte di Francisco Goya del 1797 è stato più attuale nel
rappresentare cosa stia avvenendo in Italia sul tema degli stranieri: una vera
...
Sgomberi & sgomberi
Nella mattinata di martedì scorso è stato completato lo sgombero di un
insediamento abitativo abusivo sul territorio di Orta di Atella, al confine con
Caivano, in Provincia di Caserta...
Striscia è in cerca di una velina rom
“Vorremmo una velina rom. La stiamo cercando ma finora non se ne è presentata
nessuna”. La provocazione-proposta è venuta da Antonio Ricci ed Ezio Greggio,
autore e conduttore di "Veline" (da martedì 10 su Canale 5) a Riccione per
regist...
Brescia, festa internazionale del circo contemporaneo
Con un omaggio controcorrente alla cultura sinta e rom, proprio nel momento
della "caccia" ai rom, torna a Brescia da domani al 22 giugno la "Festa
internazionale del circo contemporaneo", giunta alla n...
“Stato di emergenza” in relazione agli insediamenti "nomadici": una scelta
irrazionale e discriminatoria
Le ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3676, 3677 e 3778 del
30 maggio 2008 dispongono misure urgenti di protezione civile per fronteggiare
lo stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità sinte e rom nel
territorio delle regioni di Lazio, Lomb...
Rom: persone normali
La questione rom è emersa a livello nazionale, ancora una volta, attraverso
l'approccio che dipinge i rom come delinquenti, che alimenta lo scontro, invoca
i provvedimenti speciali e incoraggia l'esclusione sociale. Mentre la strada
giusta che ha g...
Di Fabrizio (del 11/06/2008 @ 20:12:02, in Italia, visitato 2436 volte)
Ricevo da Veniero Granacci
From: A.N.E.D. Torino - Cari
tutti,
nell'ultima settimana si sono intensificati anche a Torino episodi di
intimidazione e sopruso da parte di autorità preposte all'ordine pubblico nei
confronti di stranieri. Alcuni di questi hanno avuto spazio sui quotidiani,
mentre altri non sono stati resi noti.
Nei confronti dei rom, vi è stata lunedì mattina intorno alle 5 un'irruzione di
una sessantina di agenti in tenuta antisommossa nel campo comunale di sinti
piemontesi di via Lega. Gli abitanti sono stati fatti uscire dalle loro
abitazioni e radunati al centro del campo dove hanno atteso in piedi per ore che
venissero fatti i controlli sulle loro identità.
I sinti non hanno voluto coinvolgere i giornalisti e hanno scritto la seguente
lettera che ho avuto in dattiloscritto da Secondo Massano, presidente dell'Opera
Nomadi di Torino, e che prego di divulgare.
Maria Teresa Silvestrini
"Torino, 9 giugno 2008
Anche a Torino c'è stato un blitz rastrellamento, tipo Milano, nel vecchio campo
nomadi di via Lega, datata residenza di un gruppo di sinti piemontesi.
Operazione "antisommossa", all'alba, con spropositati agenti e mezzi agli
ingressi nonchè costrizione dei residenti di uscire dalle loro abitazioni per
confluire al centro del campo ed essere infine sottoposti a sfibranti controlli
personali.
Cose mai viste in un accampamento "regolare", ricco di potenziali indicazioni
per ulteriori insediamenti abitativi a misura di cittadini italiani, sì diversi,
ma decisamente radicati, dopo molte tribolazioni, sul territorio.
Uomini, donne e bambini del campo ritengono di essere stati bistrattati ed
offesi come persone e come cittadini: è anche uno sgarbo alla ospitale città di
Torino, "medaglia d'oro" alla Resistenza che ha fatto riacquistare la libertà a
tutti i cittadini dopo un periodo oscuro e autoritario decisamente cancellato
che non deve mi più ritornare.
Un gruppo di sinti con l'Opera Nomadi"
grazie a Claudio Sommaruga
Ricevo da Gianluca Carmosino
Ecco una piccola iniziativa per mandare a quel paese l’ondata di razzismo di
questi giorni e sostenere una bella occupazione rom a Roma [Quintiliani],
ma anche un gruppo di donne indiane...
CLICCA QUI
Un saluto a tutti
Gianluca Carmosino, CARTA
Di Fabrizio (del 12/06/2008 @ 09:33:46, in media, visitato 1511 volte)
Da
Roma_Daily_News
La commedia "Rromeo thaj Julieta" ha ricevuto il Premio per il migliore
spettacolo "off" del Festival della Commedia Nazionale festCo, organizzato dal
Teatro della Commedia di Bucarest.
Come presentato nel discorso di apertura degli organizzatori, "la commedia
affronta un argomento, troppo spesso considerato un tabù (l'argomento della
minoranza etnica Rom in Romania), trattato con humour ed ironia. Il testo
intende smantellare i clichés sociali sui Rom, portandoli assieme sotto un
ombrello comune, più o meno divertente, delle polarizzazioni e dei preconcetti
che tutti abbiamo sulla vita in generale."
Il ruolo di Romeo è stato interpretato dall'attore rom Sorin Aurel Sandu.
DIVERS – www.divers.ro
Di Fabrizio (del 13/06/2008 @ 08:45:20, in scuola, visitato 1740 volte)
Da Roma_Daily_News
5 giugno 2008, Budapest: ERRC accoglie con favore il giudizio emesso oggi dalla Corte Europea sui Diritti Umani (ECtHR) nel caso di Sampanis ed Altri contro la Grecia (application no. 32526/05). I richiedenti, di origine rom e residenti nell'area "Psari" di Aspropyrgos, Attica, erano rappresentati da Greek Helsinki Monitor (GHM), un'OnG ateniese. Il loro reclamo riguardava il rifiuto delle autorità scolastiche di accogliere i loro bambini nella locale scuola primaria durante l'anno scolastico 2004-2005 e il loro susseguente "parcheggio" in una dipendenza della scuola, frequentata soltanto da Rom e situata a cinque chilometri dalla scuola primaria.
Questo giudizio, adottato all'unanimità, viene in concomitanza con quello di D.H. ed Altri contro la Repubblica Ceca, della Gran Camera, un caso portato da ERRC e porta maggiore attenzione al tema della scolarizzazione permessa ai bambini rom. Il giudizio di oggi costituisce la prova conclusiva della dichiarazione nel giudizio D.H. ed Altri che "[...] La Repubblica Ceca non è la sola ad incontrare difficoltà nel fornire scolarizzazione ai bambini rom: altri stati europei hanno avuto difficoltà simili." (paragrafo 205).
La Corte ha trovato una violazione dell'Articolo 14 (proibizione di discriminazione) della Convenzione Europea dei Diritti Umani, in congiunzione con l'Articolo 2 (diritto all'educazione) del Protocollo 1, riguardo il reclamo dei richiedenti sul fatto che i loro bambini erano piazzati in una scuola segregata a seguito di un breve periodo in cui avevano frequentato la locale scuola primaria, a causa della reazione dei genitori non-Rom che non volevano che i loro bambini frequentassero la stessa scuola dei bambini rom e che per questo avevano inscenato numerose proteste, inclusa quella di minacciare il ritiro dei bambini dal frequentare la scuola. La Corte ha ritenuto che era necessario prendere in acconto questi "incidenti di carattere razzista" che hanno avuto luogo e concludere che questi eventi hanno avuto un impatto nella decisione delle autorità di mandare i bambini rom nella scuola segregata composta da container prefabbricati.
Considerando la legislazione domestica e la posizione vulnerabile dei Rom in Grecia che può richiedere misure speciali per assicurare il pieno raggiungimento dei loro diritti, la Corte ha ritenuto che il fallimento delle autorità statali nell'iscrivere i bambini rom durante l'anno scolastico 2004-2005 è stato attribuito a loro e quindi la loro responsabilità è stata riconosciuta.
Riguardo allo sviluppo della scuola segregata, la Corte ha sottolineato che l'aver messo gli scolari rom nella scuola annessa non è stato il risultato di un test speciale ed adeguato, ha dato risalto alla necessità di mettere a posto un sistema adeguato nella valutazione di bambini che affrontano sfide educative che assicuri di evitare che i bambini di una minoranza etnica che sono piazzati in scuole preparatorie speciali basate su criteri discriminatori.
Per ultimo, la Corte ha reiterato i principi esposti nel giudizio D.H. ed Altri riguardo il consenso non richiesto, e notato che uno dei richiedenti aveva esplicitamente affermato di aver dovuto scegliere tra il mandare i suoi bambini alla scuola primaria locale e compromettere la loro integrità fisica mettendoli nelle mani degli indignati "non-Rom" o mandarli nella "scuola ghetto".
ERRC quindi accoglie con favore questo giudizio che rinforza la posizione affermata nel caso D.H. ed Altri che la segregazione di bimbi rom in scuole e classi inferiori è illegale e che i governi europei devono assumersene la responsabilità.
Il testo completo del giudizio è disponibile in francese sul sito web della Corte.
Information on D.H. and Others v The Czech Republic is available on the ERRC website at: http://www.errc.org/cikk.php?cikk=2945 The European Roma Rights Centre is an international public interest law organisation which monitors the human rights situation of Roma and provides legal defence in cases of human rights abuse. For more information about the European Roma Rights Centre, visit the ERRC on the web at http://www.errc.org To support the ERRC, please visit this link: http://www.errc.org/cikk.php?cikk=2735 European Roma Rights Centre 1386 Budapest 62 P.O. Box 906/93 Hungary Tel: +36.1.413.2200 Fax: +36.1.413.2201
Di Fabrizio (del 13/06/2008 @ 09:32:12, in Italia, visitato 1631 volte)
Da
ChiAmaMilano
Schedati cittadini italiani la cui unica colpa è di essere zingari
Come su un piano inclinato il groviglio di pubblico panico e speculazione
politica scivola senza potersi fermare.
Come su un piano inclinato la discesa comincia in un momento ben preciso
ma nessuno sa quando si fermerà.
Come su un piano inclinato la velocità aumenta, pressoché incontrollabile e
quanto solo ieri sembrava inimmaginabile oggi è orinaria amministrazione.
Così come è stato ordinario per Palazzo Marino e la Prefettura quanto
accaduto alle 5 del mattino di venerdì 6 giugno nel campo nomadi autorizzato di
via Impastato, periferia sud ovest della città. Prima dell’alba settanta
poliziotti entrano in un campo regolare, abitato da una trentina di sinti
italiani per controllarne e fotografarne i documenti. Un blitz degno di miglior
causa, un'esibizione muscolare che non si era vista in altre situazioni
indubbiamente assai più meritevoli di una così attenta vigilanza.
Sul piano inclinato ordinaria diventa anche l’assuefazione a ciò che invece
dovrebbe evocare tetre immagini in bianco e nero e le circolari fasciste per
l’internamento degli zingari italiani.
La schedatura di cittadini regolarmente registrati all’anagrafe comunale non
ha suscitato, se non per le eccezioni di Caritas, Opera Nomadi, CGIL,
Rifondazione comunista e la Consigliera del PD Fracesca Zajczyk, particolare
sdegno e preoccupazione.
In un clima dove il vento dell’ossessione securitaria soffia inarrestabile e
gli imprenditori della paura fanno ‘affari’ d’oro, era forse inevitabile che si
arrivasse anche a questo. Non era però scontato il silenzio quasi assordante di
forze politiche che avrebbero dovuto evitare di scivolare lungo la linea di
massima pendenza della spirale paura-consenso. Il binomio magico del governo
dell’inquietudine contemporanea.
Poco importa che la paura sia la moneta falsa con la quale la politica paga e
continuerà a pagare le cambiali protestate delle speranze e dei bisogni cui non
ha saputo dare risposta.
Di Fabrizio (del 14/06/2008 @ 08:58:10, in media, visitato 1806 volte)
Si intitola così il libro che le edizioni BFS propongono, destinato non ai
cani ma ai loro padroni. È nato pensando al fatto che alcune cose, alcuni
concetti, siano molto semplici. E che in realtà non c’è nulla di complicato
nella questione “zingara”, se non le barriere mentali che noi stessi costruiamo.
Ne pubblichiamo qui l’introduzione.
Chiariamo subito una cosa. Questo libro non è destinato ai cani, ma ai
padroni dei cani. È importante dirlo. Non è scritto pensando che chi vuol capire
qualcosa in più sull’antiziganismo – ossia sui pregiudizi contro rom e sinti –
sia un cane. Anzi. Questo libro è nato pensando al fatto che alcune cose, alcuni
concetti, siano molto semplici. E che, in realtà, non c’è nulla di complicato
nella “questione zingara” se non le barriere mentali che noi stessi costruiamo.
Questo scritto, quindi, affronta alcuni luoghi comuni sugli “zingari” e cerca di
spiegare perché non hanno senso.
Gli “zingari”
Finora abbiamo scritto “zingari” tra virgolette. Cominciamo dai termini
corretti. Non si può, infatti, parlare di qualcosa e usare termini sbagliati.
Perché è sbagliato usare la parola “zingari”? Prima di tutto perché si tratta di
un eteronimo. Cioè di un termine attribuito dall’esterno, imposto. Se vogliamo
ragionare insieme e dialogare, dobbiamo chiamarci con il nostro nome.
La parola “zingaro” di per sé non è dispregiativa, come non lo sarebbe la parola
“negro”. Negro, una volta, non era un dispregiativo. Ora lo è diventato. E se il
termine “zingaro” non avesse un carattere negativo? Potrebbe pure essere
corretto se nella trattazione ci si riferisse ad un insieme di gruppi molto
eterogenei tra loro per lingua, cultura, valori, modi di vita. Se si vuole
invece far riferimento a gruppi particolari, è appropriato utilizzare termini
più specifici. Se poi desiderassimo essere aperti alla comunicazione, ancora di
più dovremmo rispettarci e chiamarci con il nostro nome. Se invece vogliamo
esprimere dei pregiudizi, va benissimo.
Se vogliamo riferirci ai gruppi presenti storicamente in Italia, dovremo parlare
di rom e sinti. Ogni gruppo ha poi denominazioni specifiche. Ci sono i rom
napulengre (di Napoli), i rom abruzzesi, i sinti piemontesi, lombardi, veneti,
teich (tedeschi), marchigiani, emiliani. E poi ancora ci sono i roma harvati,
detti anche istriani o sloveni, anch’essi cittadini italiani dal secondo
dopoguerra. Rispetto a questi ultimi, infatti, va considerato che il
rimescolamento geografico dei rom e sinti europei a causa delle due guerre
mondiali è stato forte. Durante il nazifascismo, poi, sono stati deportati e
sterminati, per non essere infine riconosciuti come vittime di persecuzione
razziale neppure al processo di Norimberga.
Negli ultimi anni ci sono anche state nuove migrazioni. Non stiamo parlando di
nomadismo, ma di migrazioni. Molti rom sono giunti da diversi paesi dell’ex
Jugoslavia, sono scappati dalle persecuzioni e dalle guerre. Recentemente molti
rom sono giunti dall’Est Europa, principalmente dalla Romania, ma anche dalla
Bulgaria e dalla Slovacchia. Migrano perché in questi paesi, oltre ad esservi
meno ricchezza economica, vi è molta discriminazione nei loro confronti. Non che
in Italia non ce ne sia, ma almeno c’è qualche opportunità in più di rifarsi una
vita.
I “nomadi”
Il termine “nomadi” andrebbe usato solamente nel caso in cui si stia parlando di
gruppi che effettivamente praticano il nomadismo. Pare un concetto nient’affatto
complicato. Eppure è un argomento difficile. Oltre il 95% dei rom e sinti
presenti in Italia non pratica il nomadismo. Anni fa i gruppi sinti si
spostavano molto di più, giravano per i paesi, praticavano vecchi mestieri. Ma
le cose cambiano.
Se non sono nomadi, perché i rom e i sinti vengono sempre etichettati come
nomadi? È uno dei temi interessanti da affrontare. Una delle ragioni dell’odio
nei confronti di rom e sinti è dovuto alla loro presunta non integrabilità. Il
nomadismo calza bene con questo concetto. In uno stato-nazione fondato sul
territorio, sulla sua difesa, sull’identità territoriale, uno che non è legato
al territorio è pericoloso. Più o meno inconsciamente il nostro ragionamento si
alimenta del fatto che questi “nomadi” non sono integrabili, che non lo sono
perché non sono legati ad un territorio. Quindi sono asociali. Sono infatti
asociali in quanto, si legge nelle carte del III Reich che giustificavano il
loro internamento e sterminio, possiedono il gene del nomadismo, il
Wandertrieb.
Come accennavamo prima, durante il processo di Norimberga non venne riconosciuto
il fatto che lo sterminio di quasi un milione di rom e sinti sia stato dovuto a
ragioni razziali. In fondo, si disse, erano stati perseguitati in quanto
asociali. Certo, ammisero i giudici, tutti gli “zingari” sono asociali per
vocazione innata. Razzialmente asociali allora? No, ma in fondo tutti sappiamo
che gli “zingari” sono asociali e non integrabili. Questa logica fa acqua da
tutte le parti, ma si comprende benissimo dove vada a parare.
È qui che lo “zingaro” cade a fagiolo. Perché in qualche modo ci fa comodo
identificarlo con il nostro peggior nemico. Sono i nomadi coloro che mettono in
pericolo il nostro ordine, coloro che ci derubano, che ci rapiscono i bambini,
che stuprano le nostre donne. Li odiamo. Oppure li vogliamo normalizzare,
rieducare. Ecco allora che siamo noi a voler portare via loro i bambini per
educarli, integrarli nelle leggi di ordine, proprietà e uniformità. Il termine
“nomade” è difficile da combattere per queste ragioni.
Ma forse i rom e sinti non si riconoscono in questo ruolo. Forse non sono i
razziatori. Forse non agiscono per danneggiare qualcosa o qualcuno. Insomma: e
se, invece, tutto fosse solo nella nostra testa?
I figli del vento
Il pregiudizio non è solo negativo. Quello positivo può essere altrettanto
dannoso. Infatti, non ci aiuta certo nella comprensione. Lo “zingaro” libero,
figlio del vento, l’artigiano nomade che lavora il rame, l’allevatore di
cavalli, appartenente al popolo anarchico per eccellenza, che balla e canta
melodie struggenti al chiaro di luna, che dorme sotto le stelle e vive alla
giornata. Sono in genere nient’altro che luoghi comuni dell’esotismo, proiezioni
romantiche di ciò che vagamente vorremmo essere. In ogni caso, sono costruzioni
arbitrarie e unilaterali.
L’idea del Wanderer (“viandante”) era centrale nel romanticismo tedesco di
inizio Ottocento. La fuga come desiderio poetico statico – desidero la fuga
perché sono incapace di realizzarla – è però ben diversa dalla fuga reale o
immaginaria, ma creativa e ricombinatoria, di chi ricerca e persegue la
trasformazione.
L’attrazione astratta ed asettica verso colui che è capace di lasciare tutto
(gli affetti, la casa, le proprietà) per mettersi in viaggio verso l’ignoto
rischia di essere il contraltare dell’odio e del desiderio di annientamento nei
confronti di chi incarna questa capacità. La staticità monolitica del III Reich,
apice dello sforzo omologante ed identitario sorge, non a caso, in seno alla
stessa società che ha generato l’idea romantica del Wanderer, a suo modo
nutrendosene. Da Wanderer a Wandertrieb il passo può essere breve.
Gli “zingari” vogliono integrarsi?
Se gli “zingari” vogliano integrarsi è una delle domande più comuni che
circolano. A chi chiede una cosa simile mi è capitato di rispondere di sì, che
in realtà la stragrande maggioranza dei rom e sinti che vivono in Italia
vogliono integrarsi. Ed è un dato di fatto. Se solo fossimo capaci di ascoltare,
ci verrebbe detto da loro stessi.
Se inoltre fossimo capaci di vedere, ci accorgeremmo che quelli che noi
etichettiamo come “zingari” sono solo una parte dei rom e sinti presenti in
Italia. Molti rom e sinti sono assolutamente “integrati” e mai si sognerebbero
di andare a dire in giro di essere “zingari”. Hanno una casa, un lavoro, le
donne non portano le gonne lunghe. Nessuna di queste caratteristiche in realtà è
fondamentale per essere rom o sinti.
Ma torniamo all’“integrazione”. Cosa intendiamo con “integrarsi”? Non facciamo
confusione. Non vuol dire assimilarsi. Se per un attimo prendiamo in
considerazione il fatto che in una società integrarsi significhi convivere
civilmente ed essere rispettati nella propria diversità, allora può andare bene.
Purtroppo le società aperte a questo tipo di integrazione sono rare. Assimilare,
invece, vuol dire pretendere dall’altro l’omologazione: un atteggiamento molto
più diffuso.
Pur essendo ottimista e considerando l’integrazione possibile in una società
aperta, quando sostengo che i rom e i sinti vogliono integrarsi provo sempre un
forte disagio. Proviamo anche solo un momento a dircelo da soli: “Sono
integrato”, “Mi sento pienamente integrato”. Deprimente. L’integrazione,
insomma, è una fregatura. Non prevede l’apertura verso l’altro, il diverso. Al
massimo lo tollera, se è disposto a sottomettersi alle leggi civili.
Famiglia e famiglie
Il nostro concetto di famiglia, poi, raggiunge il suo apice quando finalmente le
istituzioni cercano di dare risposte alle situazioni più critiche, spesso create
da loro stesse. Esempio. Un campo viene sgomberato per accorgersi solo dopo,
stranamente, che intere famiglie con bambini piccoli sono state lasciate per
strada, magari in pieno inverno. In tali casi, le istituzioni “cattive” che
hanno messo in strada le famiglie fanno un passo indietro, e subentrano quelle
“buone” – loro stesse, a volte – che per necessità devono intervenire. I bambini
vanno tutelati. Come se i bambini non fossero parte della famiglia. Come se la
tutela dei bambini non passasse attraverso i diritti dei genitori. Come a voler
dire che in realtà sarebbe meglio, per il bene dei minori, separarli dai loro
padri e madri incapaci, che forse li maltrattano e li sfruttano pure. In queste
circostanze imbarazzanti, spesso viene offerta una “soluzione” assistenziale
solo ai bambini e alle loro mamme. I nuclei familiari vengono in pratica
smembrati. I padri restano tagliati fuori e si trovano, da un giorno all’altro,
per strada. Riempiamoci la bocca di famiglia, allora, per usarla come randello e
strumento di coercizione e ordine, da tirare fuori quando è utile per poi
riporlo quando intralcia.
L’idea di integrazione di rom e sinti che coviamo nel profondo passa proprio da
questo. Dall’annullamento di ogni legame con i genitori, con il passato, con una
cultura rom e sinta che giudichiamo irredimibile.
Emergenza campi
L’assunzione dello stato di emergenza è un classico nella gestione del “problema
zingaro”. Così come sono dei classici le promesse fatte e non mantenute dalle
istituzioni. E anche la collocazione dei campi in “nonluoghi”, in prossimità di
frontiere, vicino ai cimiteri, accanto alle discariche, tra gli svincoli
autostradali. E, infine, l’utilizzo fallimentare del privato sociale per la
realizzazione di percorsi di scolarità e rieducazione.
Gli “zingari” vengono spesso trattati alla stregua di spazzatura. Nessuno li
vuole sul proprio territorio. I soldi spesi per i campi vengono buttati senza
controllo, senza alcun monitoraggio, vengono dati dalle istituzioni pubbliche al
settore del privato sociale per scaricare un problema, mai per risolverlo.
Puntualmente va a finire che la situazione non migliora per i rom, mentre il
privato sociale tende non a risolvere i problemi ma a campare di quello che ne
ricava, gestendo luoghi infami e badando bene a non criticare l’istituzione che
fornisce i finanziamenti.
Esiste un problema di logica elementare nelle politiche di “delocalizzazione”
dei rom. O si trova un luogo isolato da tutto e da tutti, oppure ci sarà sempre
qualcuno per cui la delocalizzazione è in realtà una localizzazione “a casa
propria”. Per questo si finisce sempre per destinare i campi a nonluoghi.
Andiamo al punto: chi non vuole gli “zingari” a casa propria dovrebbe ammettere
chiaramente che l’unica soluzione è sterminarli. O vogliamo ipocritamente
pensare che chi non li vuole a casa propria trovi qualcuno che li accolga
altrove?
Buone azioni o cattive pratiche?
Con queste premesse, come si può chiedere ai rom e sinti di “rispettare le
regole” in cambio della presunta concessione di diritti? Quali diritti? L’idea
di sedersi ad un tavolo e discutere con i diretti interessati per uscire da
condizioni spesso drammatiche, mettendo in gioco tutte le energie vitali
possibili, a nessuno passa nemmeno per la testa. La pianificazione nel sociale
(ovvero in ciò che ha a che fare con la dimensione della socialità, della
relazione) in Italia è quasi sempre un fallimento. Gli “zingari” rappresentano,
in questo ambito, una cartina di tornasole.
Insomma, questi esperimenti privi di strategia complessiva sembrerebbero puntare
alla rieducazione. Anche tralasciando il cupo retroterra di questo concetto, che
quantomeno rimanda ai gulag – sempre di campi si tratta – non è possibile tacere
sul fatto che la rieducazione, esplicita o implicita, è nemica del
coinvolgimento diretto. E se questo non viene perseguito è perché manca il
riconoscimento di base, quello al diritto di esistenza. Esisti, ti riconosco,
parlo con te, ti ascolto.
In questo vuoto comunicativo succede spesso che gli operatori impreparati si
fidino, per tenere sotto controllo i rom giustamente incazzati, di quei rom che
sui campi come terra di nessuno ci fanno affari. I furbi e i delinquenti che
tengono a bada coloro che si sentono schiacciati. Con il passare del tempo, i
campi diventano luoghi ingestibili, pieni di miseria e frustrazione, in cui
l’apatia è un peso che spinge sempre più in basso, là dove comandano i furbi.
Nel constatare un riprodursi perenne di problematicità, l’istituzione si
indigna. Vorrebbe che i derelitti che sta salvando fossero riconoscenti, e
vorrebbe vedere secoli di emarginazione svanire davanti ad una buona azione
caritatevole. Invece rom e sinti non accolgono la rieducazione e nemmeno
ringraziano. Magari sfasciano tutto. Nel frattempo, in genere, crescono le
pressioni da parte della “gente” e di chi alimenta l’odio per professione e, con
queste, anche l’astio e l’impotenza in chi pensava di poter risolvere il
problema. A questo punto si abbandona la via assistenzialista e si passa alla
repressione, all’espulsione, allo sgombero.
Il sospettabile mostro
Il semplice fatto di essere “zingaro” e di vivere in un campo fa cadere una
persona nella categoria dei sospettabili. Se poi un rom o un sinto infrange le
regole, i giornali, il sistema politico e l’opinione pubblica si scatenano.
Fa strano vedere come l’opinione pubblica sia scossa e spiazzata davanti al
gioco dei sospettabili. Gli “zingari” sono sospettabili. Anzi, colpevoli. Ma
quello, quello era uno dei nostri. Il marito che picchia la moglie, la signora
che uccide il figlio che frigna troppo, il figlio che uccide la madre e il
fratello, i pedofili che agiscono negli asili e tra le mura di casa.
Stranamente, mentre in Italia crescono i fatti di sangue e la violenza in
famiglia, la gente ha sempre più paura dell’altro, di chi appartiene alla
categoria dei sospettabili. Il cittadino integrato non si vuole chiedere perché
la nostra società partorisce crescente frustrazione e violenza, non si ferma a
ragionare sul tessuto sociale che si disgrega, sull’incertezza del lavoro e del
futuro, sulla banalità del successo dei meccanismi di potere che dividono i
cittadini integrati in coloro che fottono o sono fottuti, in winners or losers.
Se la paura rimane, lo sfogo si focalizza sul sospettabile, su colui che temo
possa rubarmi i privilegi accumulati, con o senza merito, o che possa rendermi
ancora più precaria ed insicura la vita.
Il nostro giudizio universale
Qualche anno fa ho lavorato ad uno studio sulla relazione tra la salute dei
bambini e le condizioni di vita in cinque campi di rom kosovari e macedoni. La
decisione di approfondire questo tema non era una mia idea, ma nasceva dal
confronto con le famiglie che vivevano nei campi: la questione della salute dei
bambini era la loro maggiore fonte di ansia. I genitori erano preoccupati per la
salute dei loro figli. Lo studio dimostrò che gli effetti di tali condizioni
sono devastanti. Non certo per colpa dei genitori. Quelle famiglie che vivevano
in campi regolari, messi in piedi dalle amministrazioni locali di cinque
capoluoghi di provincia, non potevano fare di meglio. I colpevoli erano e sono
le istituzioni, sole responsabili di un danno al futuro dei bambini rom che non
pagheranno mai.
Siamo sinceri. Possiamo dire che vi sono bambini (non necessariamente rom)
sfruttati dai loro genitori e/o da organizzazioni criminali. È tragicamente
vero. Ma attaccare i rom e i sinti su questo piano è operazione subdola e
razzista. I rom e i sinti amano i propri figli come ogni genitore. Con chiare
eccezioni, come ovunque nel mondo. Che vi siano rom e sinti che rubano è
innegabile. Il furto è sempre esistito (da sempre sanzionato) in tutte le
società e tanto più in quelle in cui è accentuato il divario tra benessere e
miseria. Poi ci sono anche gli insospettabili che rubano ben protetti in alto,
delle istituzioni (pubbliche o private) e che a molti possono persino fare
invidia per la facilità con cui accumulano successo e denaro.
La questione non è negare che vi siano rom e sinti che delinquono. Il problema è
quello di parlare di rom e sinti come dei delinquenti. Questo equivale a
stravolgere la realtà, a raccontare menzogne. I rom e sinti che vivono nei campi
sono le prime vittime di questo pensiero.
Eppure non basta mai
Intanto, comunque, i rom e sinti arrancano. Sfangarsi non è facile. La strada
per liberarsi dal peso del pregiudizio è in salita. Si può vivere come se non
esistesse? La letteratura scientifica è piena di studi sulle implicazioni
negative dell’appartenenza a gruppi emarginati, sulla difficoltà di credere
nelle proprie forze al di là dei meccanismi di oppressione. È facile chiedersi
perché i rom non escono dai campi e non trovino delle soluzioni alternative.
Ho visto un’opera di suore rifiutarsi di accettare donne rom in corsi per
collaboratrice domestica che avrebbero dato loro accesso al permesso di
soggiorno ed a un’eventuale occupazione. Le suore hanno una paura fottuta degli
“zingari” come chiunque altro. Figuriamoci un datore di lavoro medio. Un’amica
che fa la bidella ha una paura tremenda che si venga a sapere che è sinta.
Perché dovrebbe avere paura? Ha un lavoro regolare, paga le tasse. Eppure non
basta mai. Se non hai un lavoro è perché sei un disadattato, se lo hai sei
automaticamente sospettato di combinare guai. Non fa differenza se lavori, se
hai una casa, se i tuoi figli vanno alle superiori. Lo stigma dell’essere un non
integrabile continua a perseguitarti.
I rom e i sinti sono belli e brutti, intelligenti e stupidi, modesti e
arrivisti, sinceri e falsi, aperti e chiusi come tutti noi, come i nostri
parenti e i nostri vicini di casa. E si trasformano e si adattano al mondo. Ogni
volta che ho una certezza, le nuove conoscenze la spazzano via. Più vado avanti
e più mi accorgo che alle domande che mi pongono sui rom e i sinti rispondo:
«dipende». L’uomo nero è una nostra invenzione, è frutto del nostro sistema e
delle nostre proiezioni. Tocca a noi, e non a rom e sinti, comprendere cosa lo
genera e lo alimenta.
Lorenzo Monasta
Lorenzo Monasta è nato ad Embu (Kenia) nel 1969. Si è dottorato in
epidemiologia con una tesi sulla relazione tra salute dei bambini e condizioni
di vita in campi di rom macedoni e kosovari in Italia (vedi in
www.osservazione.org).
È tra i fondatori di OsservAzione, centro di ricerca azione contro la
discriminazione di rom e sinti. Sulla loro condizione ha pubblicato: Vite
Costrette (con B. Hasani, Ombrecorte 2003); Note sulla mappatura degli
insediamenti di Rom stranieri presenti in Italia (In Italia Romaní, Vol. IV., a
cura di C. Saletti Salza, L. Piasere, CISU 2004); Cittadinanze imperfette (con
N. Sigona, Spartaco 2006).
Di Fabrizio (del 14/06/2008 @ 09:21:43, in Regole, visitato 1443 volte)
Danze rom a Gjilan/Gnjilane, Sud Kosovo
Sono 12 milioni i rom che abitano in Europa. Si stima siano 500.000 nella
sola Serbia, dove grazie all'assistenza legale gratuita potranno ottenere
l'iscrizione anagrafica e il rilascio di documenti di identità
Fonte: UNHCR - Alto Commissariato
delle Nazioni Unite per i Rifugiati
elaborazione di
Osservatorio sui Balcani
Al via a Belgrado il primo progetto di assistenza legale gratuita per le
comunità rom che l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati attua
in Serbia e negli altri Paesi della regione.
Il progetto fa parte di un programma regionale finanziato dall’Unione
Europea che mira all’integrazione delle minoranze in questi Paesi, "Inclusione
sociale ed accesso ai diritti umani per i rom, gli ashkali e gli egiziani dei
Balcani occidentali", e verrà messo in atto in Bosnia-Erzegovina, Montenegro,
Macedonia e Serbia, incluso il Kosovo.
Obiettivo principale del progetto di assistenza legale è quello di aiutare le
comunità rom ad ottenere la registrazione presso l'anagrafe ed il rilascio dei
certificati di nascita in modo da poter richiedere i documenti di identità che
possono, a loro volta, aprire la strada a nuove opportunità in campo sociale,
sanitario, educativo e lavorativo.
Il programma durerà 18 mesi e sarà messo in atto da squadre mobili di operatori
UNHCR e dai partner dell'Alto Commissariato, tra cui le altre agenzie delle
Nazioni Unite, le ONG e le autorità locali e nazionali dei vari Paesi.
Nel progetto saranno coinvolti venti municipi serbi dove l'UNHCR, tramite il
proprio lavoro sul campo con rifugiati e sfollati nel corso degli anni, ha
incontrato il maggior numero di rom che non possiedono documenti di identità.
Tra queste comunità rom figurano quelle fuggite dal Kosovo e quelle rimpatriate
dall'Europa occidentale sulla base di accordi di riammissione oltre ai rom
residenti da sempre nelle varie località.
La situazione dei rom in Serbia è andata peggiorando in particolar modo con la
crisi del Kosovo, nel 1999, quando arrivarono gli sfollati in fuga dalla
provincia serba e molti registri anagrafici in Kosovo furono danneggiati,
distrutti o smarriti. Le comunità rom in Serbia sono inoltre relegate ai margini
della società in Serbia a causa dei loro spostamenti frequenti, della loro
povertà estrema e della discriminazione cui devono far fronte.
La mancanza di documenti di identità è un grave problema nei Balcani
occidentali, dove crea un mondo parallelo popolato da "invisibili" esclusi dai
sistemi statali. In molti casi alle autorità sono mancate la volontà o le
risorse per far fronte a questi problemi. Stando alle stime disponibili, in
Serbia attualmente vivono tra i 100 ed i 500mila rom. 23mila di loro sono
sfollati interni provenienti dal Kosovo registrati come tali. La maggior parte
di queste persone non è in grado di veder rispettati i propri diritti di base a
causa della mancanza di documenti di identità.
La Serbia si è impegnata a migliorare la situazione in base agli accordi
raggiunti nell’ambito del "Decennio per i Rom", un forum di cui il paese
assumerà la presidenza a giugno.
L'iniziativa "Decennio per i Rom 2005-2015" venne inaugurato nel 2005 in una
riunione tenutasi a Sofia a cui parteciparono i capi di Stato e di governo di 8
paesi del continente europeo e i presidenti dell'Unione europea e della Banca
mondiale. L'iniziativa - promossa dalla Banca mondiale - prevede uno sforzo
internazionale per migliorare le condizioni di vita e l'integrazione dei circa
12 milioni di rom che vivono in Europa. I problemi che colpiscono i rom, che
costituiscono il 2% della popolazione del continente, sono già da tempo
affrontate dall'OSCE, che ha messo in campo diversi progetti per la non
discriminazione ed il sostegno dei rom e dei sinti.
Un punto importante del problema è infatti l'educazione scolare, considerato uno
strumento fondamentale per l'integrazione di una comunità che presenta peraltro
un'età media molto bassa. Infatti il 70-80% dei giovani Rom ad oggi non completa
il primo ciclo di studi ed ha quindi difficoltà a trovare lavoro. Come
conseguenza i Rom sono segnati dalla povertà e dalla disoccupazione dieci volte
di più che gli altri popoli europei. Vi è poi l'aspetto della discriminazione:
essi vengono emarginati e fatti segno, talora, anche di gesti di intolleranza e
violenza. Contro tali gesti sono in atto anche programmi culturali dell'Unione
Europea.
Di Fabrizio (del 15/06/2008 @ 08:51:09, in Europa, visitato 1543 volte)
Da
Romanian_Roma
Bucarest, 9 giugno /Rompres/ - La Romania non può assumersi lei sola la
responsabilità di ciò che i cittadini della minoranza etnica rom fanno
all'estero, ha dichiarato lunedì a Bucarest il presidente rumeno, Traian Basescu,
durante una conferenza stampa congiunta col presidente finlandese, Tarja Halonen.
[Ndr: i Rom in Romania, secondo il censimento del 2002, sono stimati al 2,5%
della popolazione].
"La Romania non introdurrà mai delle restrizioni di circolazione per i suoi
cittadini. Tutti i cittadini potranno circolare in Europa e, fianco ai governi
degli stati dove i Rom [di Romania ndr] si stabiliscono, noi dovremo trovare
delle soluzioni", ha detto il presidente Basescu.
La problematica riguardante i Rom, la loro circolazione nello spazio
comunitario, ha costituito uno dei soggetti affrontati da Traian Basescu e Tarja
Halonen, durante i loro discorsi lunedì scorso a Bucarest. Secondo Basescu, la
Commissione Europea sta elaborando un documento per approntare soluzioni a
livello europeo.
Tarja Halonen da parte sua ha detto che la Finlandia può condividere con la
Romania la sua esperienza per quanto riguarda la situazione dei Rom.
"Anche noi, abbiamo una popolazione rom in Finlandia. Anche noi abbiamo
problemi da fronteggiare. Abbiamo acquisito parecchia esperienza per quanto
riguarda, per esempio, la situazione dei bambini rom che abbandonano la scuola.
Siamo coscienti che tutti i bambini debbano avere diritto
all'istruzione.
Concentriamo i nostri sforzi per portarli a seguire la scuola, ad imparare un
mestiere che fornisca loro i mezzi per vivere. La mendicità non è un mestiere ed
in Finlandia ci sono dei Rom rumeni che la praticano" ha dichiarato la
presidente finlandese.
Asserendo che la popolazione rom finlandese è assai meno numerosa, Tarja
Halonen ha proseguito: "Consideriamo pertanto che ci sono due aspetti principali
quanto alla situazione dei Rom. Assicurargli alloggio e l'accesso
all'istruzione, e noi agiamo in questo senso. La stessa cosa dovrebbe passare a
livello di comunità europea, dell'OCSE, occorre cercare soluzioni a riguardo.
Non possiamo accettare la mendicità che ci inquieta profondamente", ha
sottolineato Halonen. Da parte sua, Traian Basescu ha fatto conoscere
che la sua discussione avesse anche affrontato altri temi legati alla UE,
temi riguardanti il Kosovo, la zona del mar Nero o la sicurezza delle frontiere.
"Credo che l'esperienza della Finlandia in materia di buon governo sia
estremamente utile (...) Il sistema finlandese è il più efficiente per quanto
riguarda la scolarizzazione. Ci sono alcuni settori dove lo scambio d'esperienze
è molto importante", ha invece rimarcato il presidente Basescu. [Rompres]
www.Roumanie.com
Di Fabrizio (del 15/06/2008 @ 08:53:44, in Europa, visitato 4189 volte)
Da
Osservatorio sui Balcani
11.06.2008 scrive
Tanya Mangalakova [Български]
A maggio, sulla "Gora", in Kosovo, l'aria risuona di tamburi e zufoli. E' "Djuren",
la festa più sentita nella comunità dei gorani, slavi di religione islamica. Gli
emigranti ritrovano parenti e amici, per i giovani, veri protagonisti della
festa, è il momento di cercare la propria "dolce metà"
Foto di Tanya Mangalakova
Ermina ha diciassette anni. Bella come un quadro, vive tra la capitale
macedone Skopje e la cittadina di Petrich, in Bulgaria meridionale. I suoi
genitori sono gorani del villaggio di Brod, nella regione della Prizrenska Gora,
in Kosovo. La famiglia ha ereditato la professione di pasticcieri, tipica dei
gorani del Kosovo. Nel 2006 hanno aperto una loro pasticceria nel centro di
Petrich; prima lavoravano a Skopje, come fa almeno la metà degli abitanti di
Brod. Ermina studia a distanza in un istituto superiore di Skopje, e aiuta i
propri genitori in pasticceria. Suo fratello, Almir, 24 anni, è già famoso a
Petrich per la qualità del suo “burek”.
Per tutto l'anno Ermina ed Almir aspettano con impazienza che arrivi il mese di
maggio, quando sulla “Gora” si festeggia la grande festa di “Djuren”, il nome
con cui i gorani chiamano la festa originariamente dedicata a San Giorgio. Il 3
maggio i ragazzi viaggiano attraverso la Macedonia per andare a Brod, villaggio
dall'aspetto caratteristico disteso su un altopiano alle falde della Sar Planina.
E' il padre, Bilgaip, che rimane a Petrich per tenere aperto il negozio, dando
così l'opportunità ai giovani, che nel frattempo hanno riempito il bagagliaio
dell'auto fino all'orlo di vestiti all'ultima moda, di festeggiare “Djuren”
sulla “Gora”. Per tre giorni Ermina ed Almir sfileranno sul “corso” del paese,
indossando tutti i propri vestiti più belli. Sul “corso” nascono storie d'amore,
che di solito finiscono col matrimonio. E' “Djuren”!
"Djuren"
Donna gorana
“Djuren” è sicuramente la festa più importante, per i gorani, una festa che
unisce in modo eclettico elementi cristiani ed islamici. Dal 4 all'8 di maggio,
secondo un'antica tradizione, gli emigranti gorani tornano nei propri villaggi
della “Gora”, che durante l'inverno restano quasi disabitati. Ogni anni, in
questa occasione, la Sar Planina si riempie del suono di zufoli e tamburi, che
la trasformano, dandole un'atmosfera mistica, quasi fossimo in Tibet. Le donne
vestono i “noshni”, abiti tradizionali cuciti a mano. Aspettano tutto l'anno per
poter mostrare gli abiti, arricchiti da grosse monete d'oro. Ci si trucca per
ore, fino a che il viso non diventa una maschera preziosa.
“Djuren” comincia il 5 maggio, detto “travke”. Nella mattina di questo giorno si
raccolgono erbe (travke, appunto) che vengono poi immerse nell'acqua con cui si
lavano i bambini. Quest'anno a Brod c'erano due fidanzamenti ufficiali, il che
significa festa per tutto il villaggio. In serata, musicanti da Prizren hanno
suonato per alcune ore, sia nella parte superiore che in quella inferiore di
Brod. Le strette stradine fervevano di vita, giovani e vecchi ballavano lo
“horo” (o “kolo” ballo tradizionale comune in tutti i Balcani), sul “corso”
faceva mostra di se tutta la gioventù di Brod. I giovani che ancora non hanno
trovato una “verenica” (fidanzata) facevano mostra delle proprie possibilità,
spandendo denaro per far sì che i musicanti rom suonassero senza fine.
Il 6 maggio i gorani si danno appuntamento sui prati della “Vlaska”, località
vicina al villaggio di Vranista. Quasi ogni villaggio gorano ha un luogo
particolare dove festeggiare “Djuren”. Il 7 si festeggia in un campo vicino a
Rapca, il 9 a Brod, il 10 non lontano da Restelica.
Il 6 maggio sulla “Vlaska”
"Sul corso"
Il 6 maggio i gorani festeggiano all'aperto sulla “Vlaska”. Si raccolgono
ramoscelli di salice, si ballo lo “horo” al suono di tamburi e zufoli, si
arrostisce l'agnello. Nonostante il tempo brutto, anche quest'anno le ragazze e
le donne gorane hanno indossato i propri “noshni” e scarpe bianche abbellite da
migliaia di perline di vetro. Da Brod la gente è scesa prima in direzione di
Dragas per poi arrivare sulla “Vlaska”, dove il sole ha iniziato a far capolino
tra le nuvole. “Il 'corso' sulla 'Vlaska' è il più bello di tutta la 'Gora'”,
dicono convinti i gorani. Qui le giovani sfilano nei propri preziosi vestiti, ma
sempre accompagnate da un cavaliere, marito o fidanzato che sia. “Dal colore del
vestito”, raccontano le sorelle Javahida di Vraniste, “si può capire chi è
sposata e chi è libera”. Le donne sposate portano vestiti neri, quelle libere
invece indossano colori chiari, come fanno anche le ragazze fidanzate. Le donne
più anziane, come le sorelle Javahida, portano vestiti semplici, sempre neri. Le
donne più giovani impreziosiscono invece il proprio abbigliamento con seta,
broccato, ricami, ed indossano gioielli in abbondanza. Le donne gorane si
coprono la testa con la “basrama”, un grande e bello scialle, ornato anche
questo da migliaia di perline.
La tradizione vuole che le ragazze, durante il lungo inverno, tessano da sole
il proprio vestito, “per diventare da belle ad ancora più belle”. Oggi soltanto
una piccola minoranza ha conservato quest'arte. Vajda, 64 anni, ancora adesso
cuce e orna i “noshni”. Le giovani, comprano proprio da donne come lei. Un
vestito può costare anche più di mille euro, ma indossare gli abiti tradizionali
durante la festa di “Djuren” è obbligatorio. Le monete d'oro, anche queste parte
del completo da sfoggiare, vengono invece ereditate di generazione in
generazione. Vajda ricorda con nostalgia la propria giovinezza. Suo marito è
insegnante a Vraniste, sono sposati da 44 anni, quando ancora non c'era alcun
“corso” sul quale ragazzi e ragazze potessero scambiarsi sguardi ed innamorarsi.
“Il 'corso' è nato quando i giovani hanno cominciato a lavorare in città”,
racconta. “Dopo aver visto come si passeggiava a Belgrado, hanno portato qui
questa abitudine”.
La festa di “Djuren” è strettamente legata al modo tradizionale di vita dei
gorani: gli uomini in giro nei Balcani dove lavorano alla produzione artigianale
di dolci e “burek”, le donne a casa per badare ai figli. La tradizione vuole
quindi che a “Djuren” gli uomini tornino nei propri villaggi di origine, per
incontrare parenti ed amici. Gli scapoli, poi, tornano per trovare la propria
“dolce metà”.
Durante il periodo di festa, i caffè di Brod sono pieni di giovani. Anche oggi,
i gorani rispettano le antiche regole, che prevedono che alle donne non sia
permesso mettere piede in questi locali. Almir, come tutti gli altri giovani, va
a dormire solo a notte inoltrata, si sveglia tardi, cammina per le strade di
Brod come drogato di felicità. “Ho solo tre giorni a disposizione, e voglio
utilizzare ogni minuto, ogni secondo, per stare insieme ai miei amici. Viviamo
dispersi e lontani, chi a Skopje, chi a Nis, chi a Belgrado, chi in Bulgaria. 'Djuren'
e l'unico momento in cui riusciamo a riunirci tutti, e a stare insieme sulla
nostra 'Gora'”.
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