Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Ricevo da Ernesto Rossi

(immagine da Facce del 25 aprile)
CON NOI NON SI PARLA credo sia il centro di questa nuova edizione 2007 del volantino che Aven Amentza ha distribuito al corteo milanese del 25 Aprile di quest’anno. Ma, purtroppo, anche di una più generale situazione dei rapporti che in Italia NON s’intrattengono con Rom e Sinti: con loro non si parla!.
Specialmente da parte delle pubbliche autorità. Fanno eccezione, speriamo duratura, quanto coraggioso ne è stato l’inizio, la storica visita del ministro Amato, lo scorso ferragosto, in un campo rom (scusate l’inevitabile bisticcio di parole, che tanto nessuno lo capisce) di Roma: non per sgomberare o arrestare, che un ministro non si scomoderebbe, ma per "vedere", e –appunto- parlare. E l’inserimento di Bruno Morelli, colto, e laureato perfino, Rom abruzzese, nel Comitato nazionale contro il razzismo e l’antisemitismo (verrà poi, speriamo, anche l’antiziganismo). E il progetto di legge in costruzione per la tutela delle popolazioni rom e sinte, a recuperare la vergognosa esclusione per alzata di mano dalla legge (brutta e inefficace) di tutela delle minoranze (?) del 1999. A queste cose risponde la costituzione del Coordinamento Nazionale Rom e Sinti, che ha preso vita a Mantova nei mesi scorsi. Così gl’interlocutori, finalmente, ci sono: e si parlino, finalmente.
Quest’anno la partecipazione di Rom e Sinti alla manifestazione è stata per la prima volta, verrebbe da dire, massiccia: cinquanta o sessanta i presenti –uomini, donne, giovani- provenienti da diversi ‘campi’, abruzzesi (Zama) e romeni (San Dionigi, Triboniano) e bosniaci (Triboniano): una festa nella festa. Con musicisti e balli improvvisati.
È il frutto di un lungo lavoro di anni, di Opera Nomadi nel passato, di Aven Amentza nel periodo più recente, ma anche della nascita di una sorta di coordinamento, partito dalla Lista Dario Fo delle ultime elezioni municipali milanesi. Ma soprattutto dell’impegno di due donne, Dijana Pavlovic, romnì serba, attrice di teatro e rom cabaret, già candidata della stessa lista nelle stesse elezioni, e di Lavinia (faccio i cognomi solo se autorizzato), mediatrice culturale romena, che hanno saputo parlare e spiegare e convincere.
Nulla di scontato: come far intendere a Rom e Sinti italiani, sempre da tutto esclusi, che il 25 Aprile li riguarda, e a romeni e bosniaci che il 25 Aprile è una festa di popolo in cui tutti possono parlare del passato e del presente? e presentarsi senza timore, anche se tra la sorpresa dei moltissimi che non sanno, ma sono indotti a giudicare dal pregiudizio.
Si dice da noi ‘se son rose, fioriranno’. Nonostante la strana primavera di quest’anno, o proprio per questo, conviene sperare.
26 aprile 2007 Ernesto Rossi, per l’associazione Aven Amentza – Unione Rom e Sinti
Da
Mundo_Gitano

Córdoba
Per la prima volta, le famiglie gitane ricevono educazione formale
Provengono da diversi quartieri della città ed hanno tra i 10 e i 65 anni.
Impareranno a leggere e scrivere attraverso un'iniziativa dell'OnG Amor por los
Marginados y Olvidados (AMO), e potranno anche insegnare il loro idioma
originario ai cordobesi che lo desiderano. Le classi si troveranno due volte la
settimana nel barrio Villa El Libertador, nella casa della famiglia Traico, una
delle più tradizionali di Córdoba.
Yanina Soria ysoria@lmcordoba. com.ar
La lavagna, i gessi, i quaderni, le matite e la maestra. E' tutto pronto.
Arrivano poco a poco nella piccola scuola improvvisata in casa della
famiglia Traico a Villa El Libertador.
Anche se provengono da quartieri distinti della città di Córdoba e hanno tra
i 10 e i 65 anni, tutti perseguono lo stesso obiettivo: imparare a leggere e
scrivere in castigliano.
Qualcuno è agitato e ha molte aspettative, alle 15 in punto si siedono
davanti alla lavagna per iniziare la classe che durerà due ore.
Con volontà e pazienza la maestra inizia con le basi: l'abbecedario ed i
numeri. Pochi minuti dopo, dall'altro lato della sala, Claudia di 51 anni, non
può evitare di sentirsi emozionata di mostrare alla sua "signorina" - così viene
chiamata la docente - che riuscì a scrivere il suo nome da sola.
Si tratta di un'esperienza unica per la comunità gitana di Córdoba, per la
prima volta distinte generazioni hanno avuto accesso al sistema educativo.
Per anni le famiglie gitane tradizionaliste hanno considerato la scuola un
buono strumento, ma non imprescindibile per il futuro dei loro figli.
Storicamente, si intendeva la scuola come totalmente aliena dai valori gitani
tradizionali e, nel contempo, non trovava fiducia nella sua funzionalità.
Ora per iniziativa dell'OnG Amor por los Marginados y Olvidados (AMO) e di
fronte all'interesse manifestato dagli stessi membri della comunità, i gitani
potranno alfabetizzarsi, senza distinzione per l'età o il sesso. Il progetto
messo in moto giovedì scorso, è avallato da un programma del Ministero
dell'Educazione e si basa sullo scambio culturale, per cui oltre che imparare il
castigliano, potranno insegnare l'ungherese - la loro lingua d'origine - ai
cordobesi che lo desiderano.
"Per questa comunità, il fatto che i loro bambini apprendano e che le donne
possano uscire dalle loro case per assistere alle classi, è qualcosa di molto
importante perché rompe con la tradizione che le ha sempre relegate in casa. Il
non sapere leggere e scrivere è per loro un grande svantaggio, di fronte ad una
società che si basa sulla preminenza del linguaggio scritto", dice Lita Hobre,
titolare di AMO.
Un cambio per l'integrazione
Nella comunità gitana, da vari anni, si registrano dei cambiamenti come parte
di un processo di adattamento alla società cordobese attuale. L'educazione è una
delle aree dove maggiormente si sentono queste trasformazioni.
"Non sono mai a scuola, perché i miei genitori non ci credevano. I miei figli
hanno frequentato solo per pochi anni. Ora, sentiamo tutti la necessità di
imparare e mi sento felice che possiamo studiare assieme, accompagnati dai
gitani di altri punti della città. Così potrò leggere libri e soprattutto,
scrivere la mia storia", ha detto Mónica Traico, la padrona di casa.
Gli adulti non hanno mai frequentato la scuola, i bambini lo hanno fatto sino
ai 10/11 anni. Soprattutto per le donne questa è una vera sfida, un "passo verso
il progresso del popolo gitano".
Vestita nel costume tradizionale e col foulard che caratterizza le donne
sposate, la donna ha aggiunto che molti e diversi fattori incisero negli anni,
riguardo al cambio di mentalità sull'istruzione.
Alcuni degli aspetti che esemplificano l'accelerata trasformazione sono il
passare dalla vita nelle tende a quella nelle case, e con ciò l'accesso ai
servizi pubblici come l'acqua, il gas e l'energia elettrica, la convivenza
vicinale con chi non appartiene alla comunità, la stabilità nel quartiere e
l'accesso alla salute pubblica.
Un'altra meta raggiunta ottenuta da queste nuove strutture sociali è stato il
contatto con individui alieni al loro popolo, mentre prima era una cosa
considerata rischiosa per la possibile perdita di identità che ciò implicava.
Donne, lavoro e tradizione
Così come gli uomini della comunità si dedicano esclusivamente ad attività
come il commercio e la compravendita di veicoli, anche le donne hanno un ruolo
definito che le lega alla gestione della casa.
"Noi siamo incaricate di tutto ciò che ha a che vedere con la casa: il pasto,
la pulizia, e naturalmente i figli. Possiamo uscire per la spesa, però alle otto
(di sera) dobbiamo essere a casa", spiega Mónica Traico, membro di una delle
famiglie gitane di Córdoba più tradizionaliste.
Senza dubbio, col proposito di rompere con gli stereotipi ed ottenere
un'uscita lavorale, le gitane di Córdoba assieme alla AMO sviluppano un progetto
micro-imprenditoriale.
"Si tratta di un progetto verso l'inclusione sociale sostenibile [...]. E' un
passo verso l'ingresso formale della donna gitana nel mondo del lavoro" dice Carlos Camargo,
membro dell'associazione.
Tramite questa iniziativa, le gitane potranno disegnare e confezionare
vestiti ad un prezzo più basso di quello dei negozi di moda.
"Inizieremo con alcune macchine da cucina, che ci stanno insegnando ad
adoperare. Poi al posto di portare i modelli dalla modista, lo realizzeremo noi
stesse in casa. [...] Ci costeranno la metà", dice Rosa Traico, che condivide la
casa di Villa El Libertador con nuove persone, tra cui tutta la famiglia di suo
fratello.
Così il micro-impiego significa una forma degna di affrontare la
discriminazione.
Per Monica "Le donne che uscirono in strada a cercare lavoro, non trovarono
niente. Vedono come sei vestita e ti ricacciano. Questo progetto significa una
sfida e un buon veicolo di inserimento".
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