Di Fabrizio (del 02/01/2013 @ 09:07:00, in Kumpanija, visitato 1482 volte)
Da ateo vorrei fare una domanda a chi ne capisce
più di me: esiste una differenza tra religione e credo? (i fondamentalisti
possono astenersi dal rispondere)
Ho un ricordo confuso di un missionario, una foto
che ritrae un giovane Gasparri (sì, proprio lui!) in un campo nomadi della
capitale. I missionari che ho conosciuto, credo fossero di una chiesa
concorrente, all'inizio in giacca e cravatta, poi hanno capito che l'abito da
lavoro andava cambiato. La testa no, quella era più difficile da cambiare.
Era difficile, perché c'è chi si avvicina ai Rom e
Sinti (o meglio, a quelli di loro che stanno oggettivamente male) pensando di:
avere di fronte una massa di
bambini troppo cresciuti da rieducare (esiste anche la versione
"missionario da combattimento": quello che vuole insegnare loro
come si deve comportare uno zingaro);
avere comunque a che fare con
gente che vuole assomigliare a loro, pensare come loro, parlare
come loro.
Senza calcolare che:
Zingaro non è sinonimo di
deficiente. Se qualcuno vuole assomigliare, pensare, parlare
come un missionario, è in grado di impararlo anche da solo;
ma si sa che al missionario piace
credersi indispensabile.
I Rom e i Sinti che stanno oggettivamente male,
chiedono una risposta IMMEDIATA ai loro bisogni. Il missionario offre per forza
soluzioni a lungo termine; e ce n'è bisogno, PER DIAMINE, ma occorre per forza
instaurare un DIALOGO, o un codice condiviso, altrimenti non si va da
nessuna parte.
Allarghiamo un momento il discorso: sento sempre
di più parlare di disaffezione alla politica: ecco... diciamo che io mi
fiderei poco di qualcuno che vedo una volta ogni uno-sei mesi, ma è talmente
innamorato della mia causa e della mia miseria da voler parlare e progettare
(progettare significa pensare) al posto mio. Un po' come essere soci: a
me la miseria e a lui i discorsi.
Ieri notte mentre in via Idro festeggiavamo
assieme un ennesimo san Silvestro, erano questi i pensieri che mi guastavano la
festa. Esattamente
un anno fa avevo scritto una cronaca piena di speranze ma, a parte abbracci,
bevute e scherzi, quest'anno si sentiva la differenza. Nessuna delle promesse
fatte si è realizzata in questo anno e la gente è stufa sino alla disperazione.
E' stufa e vede complotti e nemici ovunque. Non ci si fida dei vicini con cui si
è trascorsa una vita, ci sono genitori che di certe cose non parlano neanche coi
loro figli. Difatti quest'anno ognuno ha festeggiato per conto suo, mancava il
solito corteo di visite. Se questa è la situazione interna, che fiducia può
esserci verso chi è esterno?
Tutta la fatica di anni nel progettare ASSIEME è a
rischio, non tanto per il valore di quello che è stato raggiunto, ma perché le
due mentalità che non si sono incontrate potrebbero portare ad un risultato del
tipo:
i missionari insisteranno (fuori
campo) su quello che ora potrebbe diventare il LORO progetto;
e se pure questo si realizzasse
(in tempi biblici, suppongo) non ci sarà più nessuno degli
abitanti;
perché quello che attualmente è un
mantra (IL SUPERAMENTO DEI CAMPI) senza fondi a disposizione, si
sta realizzando gratuitamente rendendo i campi superstiti ancora
più invivibili del passato.
Poi, come in ogni credo, ci saranno (anzi, ci sono
già) guerre di religione: i Rom sfiduciati che tornano ai vecchi atteggiamenti,
associazioni che se la prendono col comune, comune che se la prende con qualcuno
dei due. Ecco, questo sì mi ricorda i bambini, quando in Idro facevo l'animatore
e non fare picchiare tra di loro le diverse fazioni era già un successo.
Ma sono passati vent'anni buoni, e nel mio doposbornia sto pensando di essere ancora allo stesso punto di allora. Non è neanche l'alcool: è da ottobre che ho cominciato a mandare affanculo a destra e sinistra. Adesso non saprei dove voltarmi, colpa dei vaffanculo, ma soprattutto di aver contribuito a mettere in moto tutto 'sto casino, senza sapere risolverlo. Servirebbero amici, dentro e fuori campo, ma amici veri. O che si mantenesse, ogni tanto, qualche impegno.
Di Fabrizio (del 23/01/2013 @ 09:04:01, in Kumpanija, visitato 1483 volte)
...
Dalla prefazione di Jean Léonard-Touadi:
... Un inferno con tanti gironi e ciascuna consorteria pro-Africa che si
impadronisce di un girone e lo spaccia per il tutto. Ogni associazione ha la
"sua Africa": quella dei lebbrosi, dei bambini soldato, dell'Aids, dei pozzi da
scavare, delle mutilazioni genitali da combattere, delle periferie degradate
degli "street boys" e delle masse da evangelizzare. Tutte battaglie sacrosante.
Ci può essere il pericolo, però, che diventi l'Africa della messa in scena,
della spettacolarizzazione e dello sfruttamento della sofferenza altrui a fini
di "fund raising". La fibra emotiva qui è di rigore. Si tratta di suscitare la
"pietas" del donatore eventuale, senza minimamente preoccuparsi di fare capire
le cause remote e attuali delle situazioni. Qui gli africani sono passivi, oltre
che pazienti, in attesa che irrompa il "deus ex machina" europeo che tutto sana,
tutto risolve e salva. E gli africani, grati di tanta generosità, vengono
mostrati mentre ballano e cantano inni di ringraziamento. Quest'Africa della
drammatizzazione della bontà europea ignora la soggettività di popoli che da
sempre si sono caratterizzati per la loro precipua capacità di resistenza e di "debroullardise"
(arte di arrangiarsi). Donne, giovani e intere comunità - tramortiti dai
meccanismi infernali della globalizzazione neoliberale e da poteri locali
conniventi - che cercano di dare un senso alla loro esistenza ridotta a una
ginnastica individuale e collettiva di sopravvivenza. Cambiare l'immagine
dell'Africa non significa dare voce a quelle realtà, come spesso si sente dire;
ma tendere un megafono perché queste voci arrivino il più lontano possibile. In
altri termini, l'immagine delle Afriche che hanno smesso di guardare il cielo
degli aiuti rende giustizia alla realtà di un continente che ha imparato a
"ottimizzare l'anarchia" della politica e dell'economia ufficiali. Forse ciò
servirà poco alle operazioni di raccolta fondi ma è più aderente al vissuto
individuale e collettivo degli africani.
[...]
Dall'introduzione di Daniele Mezzana
... quest'immagine dell'Africa a Sud del Sahara è, purtroppo, rintracciabile
nei molti punti di vista che si occupano, a diverso titolo, delle vicende di
tale continente. Non solo i "cattivi" pensano a un'Africa stereotipata e, per
così dire, araldica, ma anche, spesso, i "buoni", o addirittura i buoni
"intelligenti". Tutto ciò ha come conseguenza una concezione asimmetrica delle
relazioni internazionali, a svantaggio dei Paesi africani, e una forma, in
qualche modo crudele, di forte isolamento di tali Paesi, che si risolve in una
sostanziale, spesso involontaria, negazione dell'umanità africana. Questo
accentua, se possibile, il dolore che l'Africa già patisce, poiché aggiunge ai
suoi numerosi problemi la sofferenza, del tutto inutile ed evitabile, prodotta
dall'incomprensione e da uno stigma neanche tanto nascosto. La realtà, in
effetti, è profondamente diversa, o quanto meno più complessa di quanto non
pensino tante persone, anche colte e avvertite.
[...]
Penso che sarebbe un libro indicato a chi si interessa alle tematiche
solitamente trattate in MAHALLA
Il fatto che la rappresentazione delle genti di colore - e delle donne di
colore, in particolare - sia stata esotizzata e finanche sessualizzata nella
percezione occidentale, non e' una novita', e i Rom non sono sfuggiti a questo
fenomeno. Scrive Borrow (1841): "Le donne e le ragazze zingare sono in grado di
accendere passione piu' che nelle descrizioni piu' audaci, in particolare in
coloro che non sono zingari, perche', naturalmente, la passione diventa piu'
violenta quando e' nota l'impossibilita' quasi assoluta di gratificazione".
Alcune premesse storiche. I Rom sono originari dell'Asia, i cui antenati,
lasciato il nord-ovest dell'India a seguito di una serie di incursioni islamiche
nell' XI secolo, sono stati progressivamente spinti in Europa sud-orientale,
dove quasi la meta' si sono stabiliti nei Balcani, e dove sono stati tenuti in
schiavitu' fino al 1864. Mentre l'altra meta' in grado di andare avanti si e'
sparsa nel resto dell'Europa. Ci sono oggi circa dodici milioni di Rom, di cui
piu' o meno otto milioni vivono nel vecchio continente e due o tre milioni si
sono stabilizzati in America e altrove, costituendo cosi' la piu' grande e
diffusa minoranza etnica del mondo. Quasi il doppio di quanti siano i danesi o
gli svedesi.
Quando i Rom sono apparsi per la prima volta in Europa, tutti credevano che
facessero parte della diffusione islamica all'interno della cristianita', e sono
stati quindi identificati con i turchi ottomani. La parola "turchi" riferita ai
Rom e' infatti ancora oggi diffusa in molti luoghi. Altra definizione impropria
usata per i Rom e' stata anche "egiziani", da cui sono derivati appunto i
termini Zingari, Gitani, Tzigani, eccetera.
Benche' esistano moltissimi riferimenti medioevali e rinascimentali riguardanti
la vera origine indiana del popolo Rom, questo fatto, col passare del tempo e'
stato dimenticato anche dagli stessi Rom. Di conseguenza, un gran numero ipotesi
errate, a volte bizzarre, sono state formulate. Tra queste, ce n'e' una che li
fa originari delle profondita' della Terra, o della Luna o di Atlantide, o li
identifica come i resti di una razza preistorica. A seconda del periodo storico
e delle credenze del momento sono stati Nubiani, o Druidi, oppure ebrei venuti
allo scoperto dopo i pogrom medioevali.
La vera origine e' stata scoperta casualmente nel 1760 quando in una universita'
olandese, uno studente che aveva imparato un po' di Romani (la lingua dei Rom)
da operai che lavoravano nella tenuta di famiglia in Ungheria, una volta
ascoltati i discorsi di alcuni studenti provenienti dall'India, che parlavano
una lingua simile, si convinse della reale provenienza del popolo Rom. Questo
porto' al primo libro mai scritto sul tema (Grellmann, 1783).
La pubblicazione del libro di Grellmann, durante l'Illuminismo, che apparve in
una edizione inglese del 1807, coincise con l'emergere di una serie di
discipline scientifiche, tra cui la botanica e la zoologia, e la necessita' di
classificare le piante e gli animali che venivano scoperti durante
l'esplorazione delle nuove colonie europee d'oltremare. Cosa che rapidamente
porto' anche alla classificazione delle popolazioni umane non europee.
E' stato proprio in quel tempo che l'idea che "mescolare le razze", sia
geneticamente che socialmente, fosse pericoloso. Un'idea che si e' diffusa
sempre piu' nella cultura e che e' stata, poi, la causa che nel XX secolo ha
portato al nazismo e alle terribili e ben note conseguenze. Ma proprio per la
sua natura proibita, l'incrocio tra razze ha acquisito anche quell'elemento
morboso di attrazione che soprattutto durante l'epoca vittoriana, ha trovato la
sua espressione in una certa arte e letteratura, con la rappresentazione di
rapporti sessuali tra colonizzatori e schiave, ovvero tra donne di colore e
maschi bianchi. La fotografia erotica del tardo XIX secolo e' infatti
caratterizzata principalmente da donne nude africane o asiatiche, e non
includeva mai immagini di donne bianche svestite.
Una parentesi curiosa: la piu' antica organizzazione che si e' dedicata allo
studio del popolo Rom e' stata la Gypsy Lore Society, fondata nel 1888 e che
ancora esiste. Alcuni dei suoi membri di sesso maschile - tutti non Rom - si
riferivano a loro stessi come "Ryes"; un'auto-designazione interpretata come
"chi aveva guadagnato una posizione privilegiata nel mondo Romani". In lingua
Romani "Rai" significa infatti "persona che ha autorita'", quindi puo' essere
"signore" oppure anche "poliziotto". Ma ha anche un altro specifico significato,
e si riferisce a chi, pur essendo non Rom, e' in grado di portarsi a letto una
donna Rom.
Per varie ragioni, gli occidentali hanno avuto (ed hanno tuttora), una maggiore
familiarita' con la schiavitu' degli africani nelle Americhe di quanta ne
abbiano avuta con la schiavitu' dei Rom in Europa. Per questo motivo, le
rappresentazioni inesatte degli zingari descritti nei cliche' letterari
dell'epoca, che delineavano in termini stereotipati un certo tipo di schiavo a
un pubblico vittoriano, e' sempre stato quello che ha incontrato il maggior
successo in letteratura.
In uno scritto di Ozanne (1878), si legge che gli schiavi Rom in Valacchia
avevano "labbra spesse e capelli crespi, con una carnagione molto scura, e una
forte somiglianza con la fisionomia e il carattere dei negri". Anche St. John
(1853) descrive i Rom cosi': "Gli uomini sono generalmente di alta statura,
robusti e muscolosi. La loro pelle e' nera o color rame, i capelli, densi e
lanosi, le loro labbra hanno la pesantezza dei negri, e i loro denti sono
bianchi come perle; il naso e' notevolmente appiattito, e il volto e' tutto
illuminato, per cosi' dire, dal vivo degli occhi".
Uno degli stereotipi piu' diffusi e' stato legato per lungo tempo a una
"preoccupazione sessuale" concentrata sugli uomini di colore, ritenuti essere
ossessionati dal desiderio per le donne bianche. Questo ha portato, poi, negli
anni '20 in America, alla pratica razzista di castrare gli afro-americani,
sottolineando una paura sessuale e un'insicurezza profonda insita nei maschi
bianchi di quel periodo. Anche i Rom nei Balcani venivano, ovviamente, visti
come una minaccia alla femminilita' bianca. Tra di loro vi era una categoria
chiamata "skopitsi", uomini che erano stati castrati da ragazzi il cui compito
era quello di guidare i mezzi delle donne dell'aristocrazia senza che ci fosse
paura di molestie per queste ultime. Tutto cio' lo si trova riflesso anche nel
codice civile moldavo dell'epoca, in cui si affermava che "se uno schiavo
zingaro avesse violentato una donna bianca, sarebbe stato bruciato vivo". Mentre
un rumeno che avesse "incontrato una ragazza per strada e avesse ceduto all'amore...
non avrebbe potuto essere punito".
E' questa castrazione del maschio di colore che si ritrova spesso nella
tradizione letteraria dell'epoca, e che e' ben espressa dalle parole di Gayatri
Spivak, in cui si percepisce la necessita' di "salvare le donne dagli uomini
neri". Ma questa fobia razzista riguardo alla mescolanza etnica non e' qualcosa
che riguarda solo il passato. Anche nel 1996 Shehrezade Ali ha fortemente
criticato il film di Disney "Il gobbo di Notre Dame" per la creazione di un
impulso subliminale a sfondo razziale negli atteggiamenti sociali in via di
sviluppo dei bambini. Ecco cio' che scrive:
"Ad oggi, nessuno dei personaggi femminili bianchi di Disney sono stati
accoppiati con pretendenti neri o non bianchi, mentre le donne di colore sono
esclusivamente legate a uomini bianchi, ignorando totalmente la loro etnia. E'
questo il modo che ha la Disney di essere tollerante? Perche' la Disney mette le
donne di colore in situazioni romantiche con uomini bianchi al posto di uomini
di colore? E che tipo di messaggio subliminale si pensa che recepiscano le
ragazzine nere o zingare quando e' ripetutamente implicito che l'unico eroe
salvatore che hanno e' un maschio bianco? E che dire dei piccoli ragazzi neri o
zingari che non hanno ancora avuto modo di vedere se stessi in un ruolo di eroe
protagonista in un film Disney? Che cosa si puo' dire circa la loro autostima?
Cio' rende visibile la continuazione del mito razzista per cui ogni donna del
pianeta, sia nera o bianca, abbia un solo eterno eroe: un uomo bianco".
Un'altra caratteristica che ricorre in questo tipo di messaggio che Shehrazade
Ali definisce razzista, e' che, alla fine, l'oggetto d'amore si rivela non
essere una Rom, dopotutto, ma una ragazza bianca che e' stata "rapita dagli
zingari" da bambina, e successivamente salvata, rendendo cosi' la relazione
romantica accettabile e persino ammirevole, in quanto entrambi i protagonisti
risultano appartenere alla stessa etnia.
Ma oltre a questa "preoccupazione sessuale" (tuttora presente anche se latente
nell'inconscio del maschio bianco) e' sempre esistito nei confronti delle
popolazioni di colore anche un profondo pregiudizio igienico oltre che morale,
in quanto viste come impure, sia spiritualmente che fisicamente. Hoyland (1816)
ha ribattuto a lungo sulla convinzione elisabettiana che la pelle scura dei Rom
fosse semplicemente a causa di sporcizia. "Gli zingari, privi della loro
carnagione bruna", scrive, "sono quelli che molto tempo fa hanno interrotto il
loro modo sporco di vivere". E Celia Esplugas (1999), nel suo grossolano saggio
pieno di inesattezze e disinformazione, rincara la dose e ribadisce che "la
pulizia e l'igiene degli zingari non e' mai riuscita a soddisfare lo standard
inglese".
Kenrick e Puxon (1972) ritengono che l'attuale odio per i Rom sia una memoria
storica che risale alla loro prima apparizione in Europa, e nasce dalla
convinzione medioevale che il nero denoti l'inferiorita' e il male che erano ben
radicati nella mente occidentale. La pelle scura di molti zingari fa dunque
essere questo popolo vittima di un pregiudizio. Il folklore europeo contiene,
infatti, una serie di riferimenti alla carnagione dei Rom. Un proverbio greco,
ad esempio, dice: "Andare dai bambini zingari e scegliere il piu' bianco". E in
yiddish esistono proverbi come: "Lo stesso sole che sbianca il lino scurisce lo
zingaro" oppure "Nessun lavaggio rende mai bianco lo zingaro nero".
A indicare il colore della pelle, una diffusa auto-ascrizione in Romani e' "Kale'",
che significa appunto "neri", mentre i gage' (i non-Rom) sono indicati nella
stessa lingua, anche da Rom dalla pelle chiara che potrebbero essere fisicamente
indistinguibili da loro, come "parne'" o "parnorre'", vale a dire "bianchi."
Questi tratti sono stati rimarcati dal viaggiatore francese Félix Colson (1839)
che visitando la Romania, dov'era prassi consolidata offrire schiave Rom come
intrattenimento sessuale ai visitatori [1], scrisse: "La loro pelle e' quasi
marrone, e alcune di loro sono bionde e belle".
Ma anche se poteva essere utilizzata sessualmente, una donna Rom non poteva
diventare la moglie legale di un uomo bianco. Un tale matrimonio veniva
considerato "un atto malvagio e cattivo", e un sacerdote che l'avesse celebrato
sarebbe stato scomunicato, come indicato in un proclama anti meticciato del 1776
da Constantin, principe di Moldavia:
"Zingari che sposano donne moldave, e anche uomini moldavi che prendono in
moglie ragazze zingare, compiono un atto che e' interamente contro la fede
cristiana, non solo perche' queste persone sono tenute a passare tutta la loro
vita con degli zingari, ma soprattutto perche' i loro figli rimarranno per
sempre in schiavitu'. Un tale atto e' odioso a Dio, e contrario alla natura
umana. Qualsiasi prete che ha avuto l'audacia di celebrare un tale matrimonio,
che e' un grande atto malvagio ed eterno, verra' rimosso dal suo incarico e
severamente punito". (Ghibanescu, 1921)
Coloro che in passato hanno scritto a proposito del trattamento degli schiavi
hanno creduto, probabilmente per liberarsi la coscienza, che i Rom fossero
effettivamente ben disposti a tale condizione. Lecca (1908) sosteneva che "una
volta fatti schiavi... sembra preferissero quello stato", e Paspati (1861) si
chiedeva se i Rom non fossero "di per se' predisposti volontariamente alla
schiavitu'". Emerit (1930), dal canto suo, riteneva che "nonostante le punizioni
che i proprietari di schiavi infliggevano a caso, gli zingari non provavano del
tutto odio per questo regime tirannico, che di tanto in tanto aveva anche qualita' paterne".
Fu Bayle St. John (1853), che baso' il suo saggio interamente su cio' che aveva
scritto Grellman e che (come il creatore di Carmen Bizet) non aveva mai
incontrato un Rom in vita sua, che per primo scrisse che gli zingari erano "una
razza molto bella, le donne in particolare. Queste formose, scure di pelle,
bellissime donne, riescono a stupirci solo a pensare a come certi occhi, certi
denti e tali figure possano esistere nell'atmosfera soffocante delle loro
tende". Preoccupandosi pero' di aggiungere, secondo la morale pudica dell'epoca
vittoriana, che era "dispiaciuto di dover ammettere la loro indole estremamente
dissoluta". Al carattere lussurioso delle donne zingare accenna anche Celia Esplugas (1999): "La sfiducia nel comportamento morale degli zingari e' estesa
al loro comportamento sessuale e gli uomini non Rom vengono attratti dal mistero
di questa razza, dalla bellezza delle donne, e dal loro stile di vita molto
libero".
La presunta mancanza di morale tra gli zingari e' stata esplicitata con veemenza
nelle critiche alle loro pratiche sessuali che hanno sempre descritto un totale
disinteresse per la decenza e il rispetto verso il corpo, in particolare da
parte delle donne zingare. Per questo, in gran parte nell'arte, nella musica e
nella letteratura del XIX secolo, la zingara e' stata caratterizzata da
stereotipi quali lo spirito libero, forte, deviante, esigente, sessualmente
eccitante, seducente, e indifferente ai sentimenti altrui [2]. Questa
costruzione romantica della donna zingara puo' essere letta come una
contrapposizione alla donna bianca, corretta, controllata, casta, e sottomessa
come l'ideale vittoriano europeo richiedeva.
Certi atteggiamenti maschili, come quelli di St. John ed altri, cioe' di parlare
della donna zingara senza averne mai incontrata una, sono ancora oggi presenti.
Nel 1981, sulla rivista Cosmopolitan, e' apparso un articolo scritto dallo
specialista in arti marziali Dave Lowry, dal titolo: "Che cosa si prova ad
essere una ragazza zingara", dove mentre l'autore sostiene di aver consentito a
una ragazza Rom, Sabinka, di raccontare la propria vita, e' chiaro fin
dall'inizio che Sabinka e' Dave Lowry stesso. Un indizio per la motivazione che
puo' spingere un uomo bianco adulto ad affrontare un tema del genere e' in primo
luogo da riferirsi alla "libido maschile" e alle "fantasie erotiche senza fine".
Ma in nessun luogo la diffusione di questa immagine erotica della donna zingara
e' piu' evidente come sul sito d'aste eBay, dove le "sexy camicette zingare"
vengono offerte ogni giorno, pubblicizzate da procaci modelle dalle
caratteristiche tutte Rom. Un altro sito, "La Zingara", informa il visitatore
che gli zingari sono normalmente di pelle scura con audaci occhi lampeggianti,
ma non e' raro trovarne dai capelli oro o cremisi... la maggior parte vivono in
carri chiamati
vardo, perennemente in viaggio... il fuoco e' il centro della vita
familiare zingara... e tante altre piccole o grandi stronzate spacciate per
verita'.
Due altri siti che forniscono dettagli del tutto inventati della cultura Romani,
appartengono a Morrghan Savistr'i, una donna che si dichiara Rom nata in
America, e Allie Theiss, una sedicente discendente dei Rom provenienti dalla
Transilvania. Sul
suo sito (adesso non piu' funzionante e in vendita, dato lo
strepitoso successo avuto - ndr), la signora Savistr'i, affermava di essere una
Maga del Caos e una
Shuvani, la cui occupazione principale sarebbe stata quella
di elaborare alcuni rituali Rom per la pulizia e la purificazione, piu' recenti
e meno complessi di quelli tradizionali che per la maggior parte i Rom non sono
in grado di fare a causa della scarsita' dei materiali, nonche' per la quantita'
di tempo richiesta per svolgerli adeguatamente. La signora Savistr'i ci faceva
anche sapere che aveva due gatti, di nome Fuzz Face e Mr. Pants, dei quali ci
raccontava tutte quante le peripezie.
Allie Theiss, invece, scrive libri di
magia gitana e amore. Confessa al lettore di non sapere di dove i Rom siano
originari (e' una che ha studiato molto - ndr), ma non importa quali siano le
loro vere origini, perche' gli zingari sono apprezzati per le loro notevoli
abitilita' psichiche e per il dono che hanno di attirare la buona fortuna,
oppure per rovinare una vita con una maledizione. Tutti, dice la signora Theiss,
sono nati con tale dono, ma cio' che rende innati i loro poteri e' il rapporto
che hanno con la natura. Il loro legame con gli spiriti della vita all'aria
aperta permette al loro dono di evolversi in modo naturale. Inoltre non vagano
piu' per il mondo in una roulotte trainata da cavalli, ma si sono modernizzati e
viaggiano in auto, in autobus e in aereo".
Tre libri che raccontano stupidita' piu' o meno simili sono: "Cuore zingaro" di
Sasha White. (Puo' un uomo piegato alla sedentarieta' convincere una donna dallo
spirito libero a rischiare il suo Cuore Zingaro? Attenzione: questo libro
contiene immagini esplicite di sesso con linguaggio contemporaneo). Isabella
Jordan: "Zingari, Vagabondi e Calore: un'Antologia del Romanzo Erotico"
(Perdetevi negli occhi scuri e nella sfera di cristallo di un'amante zingara!) E
infine la serie di Alison Mackie "Cronache zingare" ("In ogni letto matrimoniale
che Tzigany de Torres costruisce insieme alla moglie, gitana, egli conferisce un
fascino potente: quello che garantisce per una vita il piacere di fare l'amore...")
E poi aggiunge: "Quello che mi qualifica a scrivere di zingari? Ebbene, ho avuto
una tata andalusa che si chiamava Ahalita"; una giustificazione non infrequente
tra gli scrittori bianchi che vogliono scrivere di non bianchi (si veda ad
esempio Sue Monk Kidd: "La vita segreta delle api"). E' in questo modo che l'identita'
Romani rimane ancora in gran parte controllata dal mondo non Romani, dal cinema
di Hollywood e da romanzieri e giornalisti della domenica come quelli che ho
citato.
In ogni caso, per concludere, che un'etichetta etnica possa essere
metaforicamente applicata non e' necessariamente offensivo. Spesso puo'
accadere, ma gli stereotipi non sono dannosi fintanto che sono riconosciuti come
tali. E' noto infatti che nella filmografia i mafiosi non rappresentano tutti
gli italiani, e che l'Italia ha dato anche Botticelli, Leonardo e Michelangelo.
Oggi, con una maggiore copertura dei media e l'accesso a siti web informativi,
l'ignoranza non puo' piu' essere usata come una giustificazione. La gente deve
arrivare quindi a capire che il termine letterario "zingari" e' qualcosa di
molto diverso dai Rom, la cui vera storia e' complessa e in costante movimento.
Percio' le ragioni che portano alla perpetuazione inesorabile del mito della
zingara in quanto oggetto di desiderio sessuale devono essere cercate altrove,
ed esaminate a parte. Non per questo dobbiamo dire addio a Carmen, Esmeralda e
alle loro sorelle di fantasia, pero' dovremmo riconoscerle per chi e per quello
che realmente sono.
Note:
[1] E 'stata proprio questa consuetudine ad essere in gran parte responsabile
del fatto che molti zingari sono ormai di pelle chiara. Tra le belle ragazze, le
piu' gradite erano quelle di pelle piu' chiara e bionde, e le figlie
indesiderate di queste unioni sessuali automaticamente diventano schiave,
facendo aumentare nelle successive discendenze i tratti parne', rendendo sempre
meno visibili quelli kale'.
[2] Il fascino per il mondo proibito e tabu' delle donne zingare, in musica
e'caratterizzato al meglio con l'opera Carmen, che ne' e' l'immagine
predefinita: gitana spagnola disponibile sessualmente e promiscua e nei suoi
affetti.
Di Fabrizio (del 03/02/2013 @ 09:06:34, in Kumpanija, visitato 2456 volte)
Se ne può discutere anche quando il Giorno della Memoria è passato.
Discutere: non ho certezze o verità, ma alcune domande, che nascono da una mole
di dati e di citazioni che si sono sommati nella ricorrenza di un giorno. Lo
scopo di questa discussione è (al solito) prefigurare quale sarà il nostro
cammino.
Cos'è oggi la memoria
Ascolto le pubblicità alla radio. Grazie all'olio Esso vado tranquillo per
la strada dei sogni e mi dimentico del resto. Dimentico Hiroshima, dimentico
Auschwitz. Dimentico Budapest, il Vietnam, il problema degli alloggi. Dimentico
la fame in India, dimentico tutto, tranne che sono ridotto a zero. E da lì devo
ricominciare. Jean-Luc_Godard
"La memoria ha la funzione di mantenere ricordi, a mente, per iscritto, o in
altre forme" recita
Wikipedia.
La funzione è efficace, se è replicabile, altrimenti è memoria anche
festeggiare il natale o ferragosto: cioè una chiamata a raccolta per qualcosa
che non si ricorda più che significato abbia.
Anche il natale, suppongo, avesse un suo significato lontano, che per chi
crede dovrebbe avere un valore sempre. Averlo incasellato in un giorno preciso (non è la data
che ha importanza, ma i tempi della sua celebrazione), ne fanno un momento
di
unità,
di
fratellanza.
E dato che delle due cose ce ne sarebbe, oggi, un grande bisogno,
per forza si aggiunga il punto
di
ipocrisia.
Mi sentivo a disagio, su quella bacheca globale che è Facebook, leggendo in tempo
reale rimandi a una sfilza di articoli, guardando video, scorrendo
considerazioni banali o interessanti. Forse avrei avuto bisogno di silenzio, sarebbe
stato
l'unico modo per capire che questa GIORNATA DELLA MEMORIA è un momento diverso
dagli altri: quel coro continuo di notizie da gossip ed indignazioni le più
diverse (tutte legittime, beninteso), dalla partita di calcio
all'ultima candidatura ad un concorso od un'elezione. Quel coro che è ripreso
invariato da lunedì scorso per i prossimi 364 giorni.
I miei genitori, ad esempio, non hanno mai avuto bisogno di un giorno per
ricordare, e non è un discrimine politico. Loro:
internet
non sapevano neanche bene cosa fosse,
quegli
anni ce li avevano dentro, forse non Auschwitz, ma il ricordo delle impunità
fasciste, della fame per tutti, dello scappare, dei panni grezzi, dei pidocchi.
Questa era la loro coniugazione di guerra, e anche se non erano stati in campo
di concentramento (lui partigiano, lei sfollata), avevano nell'istinto e nella
memoria profonda quella empatia che poteva restituirgli l'odore del fumo dai
lunghi camini. E tanti come loro, non importa il colore politico, nei primi
30-40 anni del dopoguerra avrebbero fatto a pezzi chi avesse negato l'orrore dei
campi di sterminio, perché sarebbe stato negare se stessi, quello che avevano
patito, la possibilità che avevano avuto di ricominciare e di trasmetterci un
mondo diverso.
Ma erano loro, la loro storia. Oggi, dopo 70 anni, viviamo nel mondo che,
bene o male, abbiamo ereditato da loro. C'è chi per questa eredità può persino
dire che quell'orrore non è mai accaduto e, per la stessa eredità che dicevo,
c'è chi può addirittura essere votato per fare affermazioni simili, senza pagare
lo scotto, non dico di una guerra civile, ma neanche di una censura.
Ecco, mi torna uno sprazzo di memoria, chi è che pressappoco diceva: "E'
successo, e allora può succedere ancora"? E lo vediamo: non ci sono più le
camicie brune, ma gli eredi che hanno imparato da quei sistemi sono attivi e ben
pasciuti. E se c'è chi prova a negare quella memoria, quella memoria esiste, è
replicabile, non importa che si raggiunga o meno l'orrore dei campi di
sterminio, ma soprattutto è una memoria che può essere applicata dagli stessi
che la vorrebbero negare.
di
Mauro Biani
Intanto il mondo ereditato dai nostri vecchi, nel quotidiano ripete alcuni
(pochi, per fortuna) meccanismi sociali del tempo di guerra: sono sempre pochi
quelli che fanno qualcosa (ma quei pochi si sa che non molleranno), la
maggioranza guarda e gira la testa altrove, e poi ci sono quelli che, nel loro
piccolo, qualcosa di buono e generoso (anche pericoloso, a volte) lo fanno sempre, ma in silenzio e lontano dai
riflettori.
Come in tempo di guerra. Non è tanto importante quel ripetersi, ma perché si
stia ripetendo ancora, e chi possa impedirlo. "Chi
non conosce la storia è destinata a riviverla". Qualcuno l'ha detto di
sicuro, non ricordo chi e non ha nessuna importanza.
Questa è solo la metà dei ragionamenti, prendete fiato perché non finisce
qui. Le ceneri del camino e l'idea di nazione
Sempre settimana scorsa, mi sono imbattuto in questa tabella:
Ebrei: da 5.000.000 a 6.000.000
Omosessuali: da 10.000 a 600.000
Zingari: da 500.000 a 1.500.000
Testimoni di Geova: 25.000
Disabili: da 200.000 a 250.000
Massoni: da 80.000 a 200.000
Prigionieri Sovietici: da 2.000.000 a 3.000.000
Dissidenti politici: da 1.000.000 a 1.500.000
Slavi: da 1.000.000 a 2.500.000
L'approssimazione delle cifre sembrerebbe dare ragione ai negazionisti.
Ma la loro mole indica che la sintesi fu qualcosa di enorme, da ricordare,
perché sarebbe stato REPLICABILE (come in effetti è successo). Quali le
cause che hanno reso possibile (anzi: necessario) il replicarsi?
Il motivo razziale potrebbe essere una delle cause: ci sono stati prima, e
poi sono seguiti, pogrom, campi di concentramento, famiglie smembrate dall'odio
razziale. Concentriamoci sui soggetti, non sulle cifre, e sul periodo pre-guerra;
sono categorie diverse, apparentemente inconciliabili:
Ebrei: cosa distingueva un ebreo da un ariano? I capelli, il
naso adunco? Fandonie! La professione? Cosa aveva di minaccioso
un ebreo che faceva il sarto, il dottore, il commerciante
ambulante? Niente, se non appartenere ad un gruppo etnico che
già allora era messo in connessione (nella vulgata popolare) con
finanzieri e banchieri, bersaglio "popolare ed immediato"
per il popolo tedesco, in crisi ed alla fame nel I dopoguerra
(ricorda niente?);
Zingari: cittadini tedeschi come gli altri, al pari degli
ebrei alcuni avevano combattuto nella I guerra mondiale. I loro
lavori (già, gli "zingari" hanno sempre lavorato, allora
come oggi): stallieri, agricoltori, artisti, impagliatori,
piccoli commercianti, una specie di "piccolo mondo antico"
incastonato nel XX secolo;
Disabili: come zingari ed ebrei, non furono rinchiusi nella
sola Germania. Altre nazioni seguirono quelle politiche, alcune
la anticiparono persino. Pochi, rispetto alla popolazione
maggioritaria, e di certo non costituivano nessun pericolo.
Anzi, erano molti più vicini fisicamente ed affettivamente alle
normali famiglie.
Non solo, come diceva Levi, "tutti siamo Ebrei di qualcun altro" ma
potremmo parafrasare "ognuno è la minoranza di qualcun altro". E nella
Germania di allora, non c'era solo una maggioranza di socialdemocratici e
comunisti, con un popolo in crisi economica e di identità, ma una minoranza
nazista. Tralasciando per un momento la questione razziale, questa minoranza
pianificò la propria ascesa al potere, come se si trattasse di un business plan
(eccolo il XX secolo che fa il suo ingresso).
Certo, lavoravano "anche" zingari ed ebrei, erano nelle loro case i disabili,
ma: rinchiudere l'ebreo significò distruggere la concorrenza (die
Kristallnacht) e contemporaneamente confiscare soldi, fondi, proprietà,
accumulate in anni di lavoro. Non finirono nelle tasche dei gerarchi di partito
(come succederebbe oggi), ma finanziarono industria e politiche sociali
localizzate. Gli zingari non avevano potere economico o politico, ci fu poco da
confiscare, ma, a parte la questione razziale - dicevo, avevano una
caratteristica che li accomunava agli Ebrei: lavoravano ma non erano produttivi,
ed una che li accomunava ai disabili: non sarebbero mai stati un prototipo
positivo per una "futura" razza ariana superiore -
L'UOMO NUOVO.
Oggi sappiamo che un'impresa non si regge soltanto sul capitale e su come
viene prodotto, ma anche su quel termine intraducibile che passa sotto il nome
di "Mission" (che il più delle volte è solo l'artificio retorico che spinge
a produrre).
La Mission era IL NUOVO ARIANO, che per forza si doveva
distinguere fisicamente dai non-ariani per eccellenza (gli Ebrei),
ma anche dai proto-ariani per eccellenza (gli zingari), e non
essere contaminato da ariani-deviazionisti (i disabili, ma a
questo punto: anche gli oppositori politici e gli
omosessuali). Ma
Ebrei, zingari e disabili, per l'uomo della strada e per i decisori politici
avevano una caratteristica in comune, che li differenziava dalle altre minoranze
tedesche meglio ASSIMILABILI: il loro lavoro non era dedito alla produzione e
alla creazione di uno stato nuovo e nazionalsocialista, che potesse essere un
faro di civiltà e grandezza. Poco importa se alcuni di loro lavoravano nelle
fabbriche (e qualcuno fosse persino orgoglioso di questa INTEGRAZIONE), il loro
esempio andava spazzato via.
Ragionerei QUI e ORA, in tempi di crisi attuale, a cosa porta un'ideologia del
produrre ad ogni costo per la grandezza di una nazione. Allora fu la guerra, e
la Germania che si tramutò in una MACCHINA BELLICA (il termine "macchina" è
perfettamente appropriato), così la tabella iniziale può arricchirsi delle cifre
delle vittime dal fronte orientale.
I campi non erano solo sterminio, ogni prigioniero di guerra diventava un
operaio a costo zero da riciclare nell'industria bellica, magari trattato un po'
meglio di chi non era più in grado di lavorare.
Ma il campo era contemporaneamente la sintesi del destino di chi si opponeva
o era estraneo al destino dello STATO NUOVO: sfruttamento fisico sino alla
morte, ma anche annullamento come persona (certo: botte e violenze, ma anche le divise carcerarie,
la sporcizia, non poter
parlare la propria lingua, essere chiamati per numero e non per nome). Lì
si smetteva di essere considerate persone, l'unica definizione che un recluso
poteva avere di sé era solo di essere una rotellina (sempre sostituibile)
della GRANDE MACCHINA di questo stato che sfidava il mondo. Una macchina oliata
dove ognuno, dal semplice kapò, al soldato, agli alti gradi, agiva come
normalissimo esecutore di ordini.
Dove si legavano tanto "la banalità del male" di Hanna Arendt,
che l'angoscia di Primo Levi: "testimoniare senza essere creduto". E
nel contempo, la sfida di un popolo superiore raggiungeva l'apice: PER DEFINIRE
SE STESSI, OGNI FORMA DI ALTRO ANDAVA ANNULLATA. Guardate, se la stessa politica
la depuriamo dallo sterminio (e non è poco!),
l'annullamento continua, ma questo sarebbe un altro lunghissimo discorso.
E' stato, allora, il culmine di un processo storico nato in Europa, con i
pogrom anti-ebraici, ma anche le politiche persecutorie anti-gitane e anti-more,
nel 1500 con la Spagna appena diventata stato unitario. Processo storico che
abbiamo esportato in
Africa, Asia, Americhe, salvo proporci oggi come improbabili TUTORI DEI
DIRITTI UMANI E DEMOCRATICI.
Di Fabrizio (del 04/02/2013 @ 17:32:08, in Kumpanija, visitato 1439 volte)
Iniziativa per La Giornata della Memoria 7 Febbraio 2013 - inizio ore 9.00
Aula Magna Liceo Manzoni -
via G. Deledda 11 - Milano (MM1-2 Loreto)
Jovica Jovic non sa se sta ancora fuggendo dai nazisti, o se è rimasto senza
casa, o sia semplicemente in tourneé.
Jovica Jovic oggi è un fisarmonicista di talento, conosciuto in Europa, che
insegna ai bambini a suonare ad orecchio.
La sua storia parte dalla Jugoslavia degli anni '40, e la MEMORIA di allora si
lega alle guerre degli anni '90, sino all'arrivo e alle incertezze in Italia.
La sua storia personale è quella del suo popolo, i Rom, testimoni mai ascoltati
di eccidi lontani.
Suonerà e discorrerà col pubblico, ridendo, ragionando, sperando assieme a voi.
Progetto Memoria Storica: Il Popolo Rom e L'Olocausto
- Commissione Cultura - Consiglio di Zona 2
Motivo: Mentre si parla molto delle vittime Ebree della persecuzione
Nazi-Fascista nell'Olocausto, molto meno si parla di altre loro vittime: gli
oppositori politici, gli omosessuali e i Rom. Questa lezione/spettacolo/concerto vuole cercare di spiegare cos'è successo e continua a succedere
a quest'ultimo gruppo etnico, storicamente vessato e perseguitato.
Abbiamo voluto così fare conoscere un'altra tessera dell'enorme e
terribile mosaico dell'Olocausto.
Obiettivo: Informare e sensibilizzare i giovani. Saranno invitati i ragazzi
di alcune scuole della Zona 2 dalle medie ai licei, inclusi gli studenti
dei Licei Manzoni e Carducci, per una lezione/spettacolo coinvolgente
sull'argomento.
L'invito è soprattutto per le scuole ma l'entrata è libera per tutti.
Di Fabrizio (del 26/02/2013 @ 09:02:37, in Kumpanija, visitato 1855 volte)
Nella foto: foto e oggetti di Rita Prigmore
CORRIERE IMMIGRAZIONENel racconto di Alessandra Ballerini, la testimonianza di Rita Prigmore,
sinta sopravvissuta all'olocausto - 24 febbraio 2013
Sono a Palazzo Ducale. In ritardo, come sempre. La sala è già piena. Di ogni
tipo di persone. L'immancabile Genova "bene", rappresentanti attuali e passati
delle istituzioni, ma anche studenti o comunque giovani. Un'età media
incredibilmente bassa per essere a Genova. Anche molti stranieri in sala: per lo
più sudamericani e africani. E poi ci sono loro: "gli zingari". In realtà li
distingui solo dopo un po'. E solo se già li conosci. Sono tutti raccolti a
vedere ed ascoltare Rita Prigmore, una delle ultime donne "zingare"
sopravvissute all'Olocausto - e alle sperimentazioni mediche dei nazisti sui
bambini, invitata dalla Comunità di Sant'Egidio.
Sono in ritardo, ma in tempo per ascoltare Andrea Chiappori mentre spiega alla
platea che il genocidio inizia sempre con teorie e pregiudizi ed uccide le
persone non per quello che fanno ma per quello che sono. Queste parole mi
suonano familiari. Sono le stesse utilizzate da noi giuristi per eccepire
l'incostituzionalità delle norme sull'immigrazione che puniscono come reato la
clandestinità e infliggono la pena della prigionia nei Cie per 18 mesi per gli
stranieri irregolari, colpevoli, appunto, di essere (stranieri) e non di fare.
Rita parla, ferma e appassionata. Ricorda le leggi razziali tedesche che per
debellare la "personalità antisociale" dei rom, si inventano il sistema crudele
e insulso della prevenzione delle malattie ereditarie tramite la loro
sterilizzazione e gli esperimenti sui neonati, in particolare sui gemelli. La
neonata Rita viene strappata dal ventre materno insieme alla gemella che perirà
dopo poche settimane di "esperimenti". Rita subirà interventi alla testa e agli
occhi per tutto il suo primo anno di vita da parte degli "scienziati della
razza", convinti di poter creare una specie eletta e monotona con occhi azzurri
e capelli biondi. Rita non si compiace, come a volte fanno le vittime, della sua
sofferenza. Racconta con dolorosa memoria la storia della sua famiglia e della
sua "gente" perché vuole lasciare un messaggio: "voi che potete costruire il
vostro paese, guardate gli altri senza pregiudizio, riconoscete in loro sempre
un essere umano. Ogni essere umano è l'immagine di Dio, per questo nessuno può
condannare un'altra persona".
E detto da lei, che di condannare i suoi aguzzini ne avrebbe ben donde, questo
monito fa una certa impressione. Le persecuzioni razziali sono state sempre
avallate da leggi la cui emanazione è stata (ed è) possibile perché è stato
creato ad arte il consenso sociale. "Ma se ancora oggi è possibile considerare
intere categorie di esseri umani come non persone allora la storia non è
salvifica. Basta guardare la rabbia, il disprezzo e la paura che ancora ci
appartengono e stanno dentro la nostra cultura".
Lo so. È una frase di un pessimismo estremo. Non è mia ma di Luca Borzani,
presidente della fondazione Palazzo Ducale. E l'autorità dell'autore la rende
ancora più indigesta. "La storia non salva se non porta ad una responsabilità
individuale" ed infatti, in questa platea così "mista", quando ci scambiamo gli
sguardi durante il racconto di Rita, vergogna è il sentimento che ci unisce.
Vorremmo salire sul palco e chiederle scusa. Perché da esseri umani ci si
vergogna del male che siamo in grado generare.
Anche Ariel Dello Strologo (Presidente del Centro Culturale Primo Levi) ritiene
che non bastino la storia né la cultura per non ricompiere gli errori del
passato. Oltre alla storia e alla cultura servirebbe una costante e cosciente
responsabilità individuale e collettiva per ogni nostra scelta, anche la più
banale e quotidiana. E lo dice fiero nel ricordo di quella prima volta in cui si
celebrò il 27 gennaio a Genova dodici anni fa e lo si fece ricordando lo
sterminio dei rom e sinti.
Chiude l'incontro Pino Petruzzelli che i rom li conosce, li narra e li ama e che
in poche ma precise parole ricorda le nefandezze compiute dagli scienziati e dai
medici nazisti. Nel 1936 in Germania, nel centro per l'igiene e la razza, nasce
la teoria della "pericolosità degli zingari" causata dal "gene dell'istinto al
nomadismo". Nel 1935 iniziavano le ricerche per rendere potabile l'acqua del
mare ed il capo della polizia criminale decide di utilizzare come cavie i rom
(chiamati ariani decaduti) geneticamente più simili ai tedeschi, sottoponendoli
a dementi esperimenti di inutile crudeltà. Al processo di Norimberga i medici
mentono e si giustificano esaltando i risultati (inesistenti) degli esperimenti.
Alcuni di questi medici, nonostante si siano macchiati di tali imperdonabili
crimini, hanno continuato a svolgere la loro attività, sono stati promossi e
agevolati nella carriera universitaria. E a me viene in mente il medico e
l'infermiera condannati per le torture di Bolzaneto durante il G8 del luglio
2001, che ancora esercitano indisturbati la professione in strutture pubbliche.
E poi penso alle parole. Alla loro manomissione (come direbbe Carofiglio). Lo
sterminio, il genocidio vengono artatamente trasformati, nella propaganda
razzista, in ricerche per migliorare la "razza". Gli "zingari" seppure cittadini
tedeschi (o italiani) vengono rappresentati come un problema sociale. Ieri come
oggi. Penso ai continui ed odierni sgomberi dei campi rom, ai fogli di via
notificati a cittadini comunitari privi di stabile reddito e perciò considerati
automaticamente minacciosi per l'ordine pubblico.
Concetti insidiosi come "personalità antisociale" o "predisposizione a
commettere reati" sono utilizzati da sempre, senza alcun criterio, per
discriminare intere fasce di popolazione. Oggi, a chi chiede la cittadinanza
italiana dopo decenni di regolare residenza nel nostro Paese, viene eccepita la
"contiguità a movimenti aventi scopi incompatibili con la sicurezza dello
stato". Formula ambigua e discriminante visto che viene utilizzata per negare la
cittadinanza a persone immuni da qualsiasi problema penale ma "colpevoli" di non
essere di religione cattolica.
Oggi si deportano in Libia o si respingono in alto mare naufraghi richiedenti
asilo. Si sono chiusi i lager e si sono aperti i Cie. Si vota in Parlamento, in
nome della sicurezza, una norma di legge (poi fortunatamente dichiarata
incostituzionale) che sancisce il divieto di matrimonio per gli stranieri
irregolari (i non ariani dei giorni nostri) ed un'altra (poi mitigata da una
circolare) che impedisce agli irregolari di ottenere atti dello stato civile
(compresi certificati di morte e di nascita) con la conseguenza sciagurata per i
genitori irregolari di non poter riconoscere i propri figli e dunque di
rischiare di vederli dati in adozione a famiglie italiane.
La portata evidentemente nefasta ed abnorme di questa norma, votata dal nostro
Parlamento all'interno del cosiddetto "pacchetto sicurezza" (a proposito di
mistificazione delle parole!) nell'agosto del 2009, è stata successivamente
contenuta grazie ad una circolare ministeriale emessa in risposta alle proteste
di giuristi, assistenti sociali e della società civile cosciente e informata.
Altre norme, come il divieto di accesso alle cure mediche e all'istruzione
scolastica per gli stranieri irregolari, seppure già scritte, non hanno
fortunatamente visto la luce solo in seguito all'accesa protesta di medici e
insegnanti.
Penso al susseguirsi negli ultimi anni di insensati decreti governativi per
fronteggiare un'inesistente "emergenza nomadi" (parliamo in realtà in tutta
Italia attualmente di circa 60 mila persone, per metà cittadini italiani ed in
massima parte minori) come fosse una "calamità naturale", legittimando sgomberi
ed espulsioni.
Forse ha ragione Borzani: la storia non ci salva. Ma le storie e i testimoni
narranti possono comunque aiutarci a comprendere, ricordare e scegliere.
"L'importante è un'altra cosa - diceva Basaglia -, è sapere ciò che si può fare.
È quello che ho già detto mille volte: noi, nella nostra debolezza, in questa
minoranza che siamo, non possiamo vincere. È il potere che vince sempre; noi
possiamo al massimo convincere. Nel momento in cui convinciamo, noi vinciamo,
cioè determiniamo una situazione di trasformazione difficile da recuperare".
"Abbiamo deciso di donare gli organi, così la nostra Natalia rivivrà in altri
bambini". Questa la decisione dei genitori della piccola Natalia, la bimba rom
di 14 mesi caduta nel Tevere giovedì 21 febbraio e morta al Policlinico Gemelli
di Roma sabato 23 febbraio. La piccola stava giocando sulla sponda del Tevere
sotto Ponte Testaccio, dove viveva con i genitori in una baracca di fortuna. É
scivolata nel fiume, il padre l'aveva subito salvata e portata in ospedale, ma
le sue condizioni erano apparse da subito gravissime per problemi cardiaci
legati all'ipotermia. I giovani genitori hanno deciso di donare gli organi. Ora
però non hanno i soldi per il funerale e per riportare il corpo in Romania.
Nessun sostegno dal Comune. L'Associazione 21 Luglio ha lanciato una raccolta
fondi per aiutarli.
Questo l'appello dell'Associazione 21 luglio:
Sabato 23 febbraio è morta presso il Policlinico Gemelli di Roma, Natalia, la
bimba rom di 14 mesi caduta giovedì 21 febbraio nel Tevere, mentre giocava sulle
sponde dove la sua famiglia vive in una baracca di fortuna sotto Ponte
Testaccio. I giovani genitori rom rumeni, colpiti da questa tragedia, hanno
espresso il desiderio che il sacrificio della loro bimba servisse a salvare
altre piccole vite, dando il consenso alla donazione degli organi della figlia.
A distanza di giorni la famiglia, che ancora vive nella baracca lungo il fiume,
non ha ricevuto alcuna assistenza dal Comune di Roma ed è in attesa di espletare
le pratiche per il funerale di Natalia che verrà celebrato in Romania. Il giorno
dopo la morte di Natalia le forze dell'ordine hanno preavvisato la coppia
dell'imminente sgombero dell'area. La loro povera baracca verrà distrutta.
L'Associazione 21 luglio ha deciso di offrire al nucleo assistenza legale. Per
sostenere i giovani genitori nelle spese per il funerale e per il rimpatrio
della figlia l'Associazione 21 Luglio ha lanciato una sottoscrizione. É
possibile aderire alla sottoscrizione tramite Bonifico bancario presso
Bancoposta Codice IBAN: IT48 J076 0103 2000 0000 3589 968 o attraverso il
Bollettino postale al conto n. 3589968 intestato ad Associazione 21 luglio. Sul
sito dell'Associazione
21 luglio è possibile fare un versamento attraverso la carta di credito.
Ogni versamento dovrà avere come causale: Per Natalia.
A Roma il tasso di mortalità infantile dei bambini rom è del 24 per mille contro
il 9 per mille dei minori non rom, come evidenziato nel libro "Roma
Underground. Libro bianco sulla condizione dell'infanzia rom a Roma",
presentato proprio il 19 febbraio scorso a Roma dall'Associazione 21 Luglio. La
ricerca ha analizzato le conseguenze delle politiche capitoline degli ultimi tre
anni, ovvero quelle realizzate in seno al Piano Nomadi, sull'esistenza dei
minori che vivono a Roma in emergenza abitativa.
Di Fabrizio (del 05/03/2013 @ 09:05:28, in Kumpanija, visitato 1534 volte)
YOUR MIDDLE EASTGli zingari d'Irak - incontro con un popolo in
isolamento - di
Nizar Latif (giornalista freelance da Baghdad)
Il villaggio di Fuwwaar si trova presso la città di Diwaniyah, 180 km a sud
di Baghdad, ma rimane isolata dal mondo esterno - parte è dovuto al suo stile di
vita zigano e parte alla considerevole presenza dei militari, che
controllano il traffico in entrata e in uscita.
Uomini armati osservano con attenzione chi entra, in cerca di prostitute e
altri piaceri proibiti. Gli stranieri che tentano di entrare nel villaggio
vengono uccisi, sulla base di semplici sospetti, da militanti dei gruppi armati.
Fuwwaar assomiglia ad un sito archeologico nel deserto; abbandonato dalla
gente e con poche case - distrutte o in via di distruzione. Rimangono rifiuti e
poche persone, devastate da migliaia di anni di guerra. Una famiglia qui e una
lì. Le pareti delle case sono di fango e il tetto, le poche famiglie che ne
hanno uno, è di argilla. Le case rimanenti sono aperte al sole e alle
intemperie. Il villaggio manca di scuole, centri medici o di acqua potabile.
C'è una lotta in corso. Sono stati messi in discussione e combattuti da
tutti: lo stato, il governo, la costituzione, la legge, religione, costumi,
tradizioni e persino la società. La lotta segna i loro volti e corpi. Sono
invecchiati molto più velocemente rispetto alla loro controparte nella società
maggioritaria.
Sono vivi ma sopravvivono. La loro unica colpa è di essere nati così. Gli
zingari, in Irak in generale e a Diwaniyah in particolare, affrontano il
confinamento sociale e la mancanza di servizi. Il capo degli zingari di Diwaniyah,
che per ragioni di sicurezza si fa chiamare Abu Saleh, ci dice: "Patiamo
numerosi problemi e questioni: soprattutto la non esistenza di qualsiasi
servizio. Non c'è acqua, elettricità o altri servizi, oltre al confinamento
sociale e alla malevola percezione degli zingari nella società. D'estate
soffriamo la calura, in queste povere case senza elettricità. Alcuni bambini per
rinfrescarsi si gettano nelle acque dei liquami. Il nostro unico accesso
all'acqua viene dagli scarichi contaminati per uso non-domestico."
Tutta la regione affronta difficoltà simili, puntualizza Abu Saleh,
specialmente dopo l'assalto armato al villaggio di cinque anni fa.
"Ma non abbiamo altra scelta," aggiunge. "Quanti sono emigrati avevano
possibilità finanziarie ed erano di famiglia benestante, con i mezzi per
guadagnarsi da vivere. Noi non abbiamo una professione, né un lavoro, né un
salario o qualche altra fonte per guadagnarci da vivere."
Dice che la prostituzione e le altre forme di corruzione sono terminate
cinque anni fa, e che le famiglie che gestivano queste attività sono emigrate.
Quelle che ora sono qui, dice, sono estremamente povere e non hanno lavoro né
altri mezzi per vivere.
"Mendicano per mangiare!" dice. "Sono le stesse famiglie che si sono
insediate nel villaggio negli anni '70 e sono rimaste sino a oggi."
Il problema degli zingari riguardo il lavoro va oltre la mancanza di
competenze o i contatti con i reclutatori. Viene loro rifiutato a causa
della stigmatizzazione sociale. Socialmente, sono disprezzati e gli stranieri
rifiutano di socializzare con loro. Sono spalle al muro sul piano sociale,
tribale, religioso e governativo, e non viene loro permesso di condurre i propri
affari. Sono anche esclusi dai servizi della sicurezza sociale, lanciati dal
governo iracheno a protezione dei poveri nel paese.
Abu Aysir siede accanto alla strada che attraversa il villaggio, vende della
verdura appoggiata a terra. Serve per mantenere la sua famiglia di due mogli e
quattro bambini. "Nonostante tutte le sofferenze, l'assenza di servizi, la
disoccupazione, la povertà e tutte le nostre difficili condizioni," dice "la
verità è che non abbiamo praticato il terrorismo o agito contro la sicurezza del
paese."
"Non abbiamoi mai preso partito, anche nelle circostanze più dure, causando
problemi, il ché ci rende molto patriottici," aggiunge, "eppure ci sono stati
dei martiri tra il nostro popolo, che hanno perso la vita in atti di terrorismo
e violenza. Neanche per un giorno abbiamo pensato di ricorrere alla violenza e
al terrorismo, non ci apparttengono. E oggi qui, viviamo nella marginalizzazione
e nel totale disprezzo delle nostre esigenze di base, come la disponibilità di
un minimo di lavoro, di cui vivere. Non è giusto che beviamo acqua sporca dal
torrente, senza acqua potabile, elettricità e altri servizi."
Gli zingari sono stati soggetti di numerosi brutali attacchi da parte di Al
Qaeda e di militanti sciiti, in diverse città dell'Irak. Attacchi che hanno
lasciato migliaia di morti; donne, bambini e uomini, senza alcun intervento da
parte del governo, che è rimasto in silenzio.
Una giovane di ventotto anni, Shakir, dice: "Cinque anni fa, fanatici delle
milizie sciite hanno lanciato centinaia di attacchi contro il nostro villaggio,
e hanno bruciato le nostre case. Con le loro spade hanno macellato brutalmente
le nostre donne, uomini e bambini. Hanno smembrato i loro corpi e tagliato le
teste dalle nuche. Nel contesto sociale delle tribù arabe, tagliare la testa
dalla parte posteriore del collo rappresenta il più basso grado per morire e che
il valore è zero. E' una forma di odio e disumanizzazione essere uccisi
brutalmente. Questi militanti sciiti si distinguevano nell'ucciderci e
torturarci."
Aggiunge: "Il governo e i funzionari iracheni furono ciechi e sordi ai
crimini brutali di cinque anni fa. Secondo me, li hanno persino appoggiati, dato
che la maggioranza dei politici sono fanatici sciiti." Secondo Shakir, dozzine
di famiglie lasciarono il villaggio per stabilirsi in città più sicure, e molte
di quelle rimaste hanno perso, almeno, due o tre componenti, uccisi dalle
milizie estremiste sciite.
La famiglia di
Abu Saleh è tra queste. Ha diviso il resto del suo clan in 22 piccoli gruppi,
mandandoli a mendicare, una dura soluzione, ma l'unica che permettesse di
mantenersi uniti.
"Ho diviso il mio clan in piccoli gruppi, composti da una o due famiglie, e
li mandati in diverse provincie irachene," spiega. "Era l'unico modo per
guadagnare qualcosa senza essere riconosciuti dalle milizie che cercano sempre
di ucciderci, o da altra gente che potesse riconoscerci e rifiutarsi di darci
qualcosa. Uno zingaro non è in grado di ottenere un lavoro, perché la gente
comune si sentirebbe in disgrazia e disonorata, se lo facesse. Inoltre, il
governo iracheno è sempre più dominato da islamisti fanatici, e mai assumerebbe
degli zingari. Ci trattano come animali."
Il gruppo sarà via per un mese e oltre. Al loro ritorno nel villaggio,
dovranno condividere quanto guadagnato con le altre famiglie che mancano di un
reddito. Prima del 2003, Fuwwaar ospitava oltre 1.700 zingari. Oggi sono meno di
200.
"L'isolamento mi fa sognare il momento che sentirò di appartenere al resto
della razza umana e dell'umanità," dice Sama, 22 anni. "La solitudine di questo
posto senza vita, ti fa vivere un dolore e una pena che uccidono lo spirito. La
sera vado verso il deserto qua vicino e penso a cosa ci riserva il futuro. La
scena di bambini miseri e vecchie stanche seduti in circolo di fronte a una
delle case del villaggio, che ricordavano i giorni passati e ora, mentre si
chiedevano dove sarebbero finite, tra le altre cose, è stato una dei motivi che
mi ha spinto a lasciare la mia amara realtà e cercare la solitudine, solo per
scoprire che noi tutti non siamo responsabili della tragedia che stiamo
vivendo."
Perché pagare per errori mai commessi, si chiede. Ma è anche preoccupa anche
di lasciare la comunità, perché neanche fuori ci sarebbero garanzie di successo.
Dov'è la speranza, si chiede.
"Abbiamo il diritto di rimproverare i nostri antenati?" si chiede un'anziana
che da giovane vendeva il proprio corpo. "No, non li biasimo. Siamo destinati ad
essere zingari ed in questo modo dobbiamo vivere."
Molte delle donne del villaggio sono disposte a fare tutto il necessario per
provvedere alle loro famiglie. Dentro il villaggio possono lavorare e sentirsi
rispettate, lontano dagli insulti e dalle umiliazioni del mondo esterno. Dice Um-Suhair,
sarta: "Qui c'è un'infinità di donne che sanno cucire e tessere benissimo, e
sono pronte a lavorare in qualsiasi professione decente, per guadagnarsi da
vivere e aiutare le loro famiglie. Soffriamo la percezione della comunità, in
quanto siamo considerate estranee al quadro dello stato e dell'umanità, inoltre
non siamo Iracheni. Il mio lavoro sono il cucito e la maglieria, ma gli affari
non sono più quelli di una volta. L'immigrazione, la povertà e l'indigenza
prevalente nel paese, trasformano ogni attività artigianale in fallimentare e
non redditizia."
La sofferenza si estende alle strade che portano al villaggio, dice, e degli
attacchi da parte delle tribù che lo circondano, che rendano pericoloso entrare
ed uscire dal villaggio. Molte donne sono state violentate o uccise.
Gli zingari iracheni, conosciuti anche localmente come Kaulia, hanno radici
che affondano in India e Spagna. Secondo il ministero iracheno dei diritti
umani, questi zingari formano una minoranza etnica tra le 50.000 e le 200.000
persone. Sono insediati in villaggi e insediamenti, di solito isolati ai margini
delle città e paesi, sono presenti nelle provincie di Baghdad e AlBasra,
Ninawa e Diyala, inoltre in alcuni villaggi delle pianure del sud, come
Al-Muthanna and Diywaniyah.
Erano tribù nomadi sino agli anni '70, l'Irak riconobbe loro la cittadinanza nei
primi anni '80. Erano parte della comunità irachena, in quanto si occupavano
dell'intrattenimento. Le piccole comunità hanno tradizioni e costumi molto
differenti dal resto del paese.
Ma, nonostante il loro rifiuto da parte della società, l'arte zingara ha
catturato l'interesse degli iracheni e trovato una strada attraverso la TV e le
stazioni radio, queste ultime popolari soprattutto nell'Irak rurale. Prima che
arrivassero alle trasmissioni TV, gli Iracheni avevano l'abitudine di chiedere
agli zingari l'intrattenimento per le feste di matrimonio e le celebrazioni
all'aperto, dove le donne zingare ballavano e cantavano dietro compenso. Le
femmine zingare diventarono delle star nella scena artistica irachena. Le
canzoni zingare sono parte fondamentale di quelle irachene, e i cantanti zingari
sono sinonimo di cantanti folk. Raramente c'è una festa senza che venga
suonata una melodia gitana.
Dice Laith Abdul Latif, ricercatore ed esperto di genealogia: "Il termine Al-Kaulia
si applica alle tribù indiane le cui donne guadagnavano di vivere con
l'adulterio, la danza nr il clero durante i servizi religiosi, altre cercando
piacere. Altre provenivano dal tempio indiano di re Kaul, da cui il nome. Le
origini degli zingari Kauli vengono dall'India."
Nonostante il fatto che parlino arabo e che siano musulmani, come loro stessi
dichiarano, continua Laith Abdul Latif, la carnagione scura e i tratti affilati
li distinguono dal resto della popolazione. Gli zingari si lamentano della
discriminazione riguardo a terminologia, le loro caratteristiche di spicco
indiane, e le loro pratiche della danza, prostituzione, intrattenimento e di
affittare le donne. Dice Widad Hatem, presidente della commissione sui diritti
umani della provincia di Diwaniyah: "Dalle ricognizioni che effettuiamo attorno
al villaggio degli zingari, abbiamo scoperto diversi problemi che sono gli
stessi degli altri residenti nella regione: assenza di elettricità e acqua
potabile, disoccupazione dovuta a discriminazione etnica e disprezzo sociale. In
quanto funzionari, assieme alla commissione sui diritti umani, dobbiamo fornire
soccorso alla regione, assieme ai servizi necessari, quali energia elettrica,
acqua potabile e presidi medici."
Aggiunge che, la chiave è spostare l'interesse dalle autorità preposta e
dalla presidenza del consiglio, verso la direzione del prendersi cura e
interesse di questo gruppo sociale, che ha sofferto sia il disprezzo comunitario
che le difficoltà di vita.
"L'area è stata rifornita di tre serbatoi di acqua potabile, installati in
diverse posizioni del villaggio. Inoltre, la direzione municipale sta
progettando di rimuovere i detriti ed eseguire la manutenzione stradale. I
nostri sforzi congiunti, combinati con quelli delle organizzazioni della società
civile, cercano di introdurre agevolazioni per cucito e tessitura, laboratori,
un progetto di riciclaggio dei rifiuti o qualsiasi altro schema nell'area,
perché la loro interazione con la società esterna non passi attraverso
sofferenze o molestie, dovendo mendicare - una pratica che blocca qualsiasi
strada.
Ma dice che il lavoro nel cercare di migliorare le loro condizioni è reso più
difficile a causa dello stigma sociale. Vede barriere, non solo politiche, ma
anche con i leader civili e politci. E' dice che tutto è diventato più
impegnativo dopo la partenza delle organizzazioni USA che avevano contribuito
sinora. Ora si sta affrontando una battaglia in salita nell'aiutare un gruppo
così marginalizzato, in un paese dalle poche risorse.
"Ciò che mi rattrista," dice, "è quando si parla degli zingari, si parla di
loro come qualcosa di sporco e ripugnante. Siamo tutti esseri umani e dovremmo
essere trattati ugualmente. Questo dice l'Islam."
Di Fabrizio (del 09/03/2013 @ 09:08:23, in Kumpanija, visitato 1367 volte)
"I Rom uccidono i cavalli"
Mediaroma(NdR: conosco allevatori rom di cavalli, in
Lombardia e altrove. Magari non sarà così per tutti, ma per loro è quasi un
tabù: non alleverebbero mai un animale, ma neanche un pollo - per fare un esempio,
per macellarlo. Lettura consigliata
Raccontino)
La dichiarazione di Nihal Kobal, presidentessa della Camera dei Macellai di Sakarya,
in cui lamenta che i Rom macellerebbero cavalli, ha suscitato reazioni tra
gli stessi (regione di Marmara). Il presidente dell'associazione locale dei Rom, Orhan Tanyel,
ha detto che presto faranno una denuncia in merito a tale dichiarazione.
La dichiarazione di Nihal Kobal nasce da voci secondo cui carne di cavallo
verrebbe venduta di nascosto ad un ristorante di Sakarya.
Secondo lei i cavalli verrebbero macellati dai Rom del posto. Orhan Tanyel,
presso la sede della sua associazione, ha fatto una contro-dichiarazione stampa
sulla questione, in cui afferma: "Perché Kobal se la prende solo coi Rom? E'
possibile che qualcuno tra di noi che macelli cavalli. Potrebbe fornire i loro
nomi, senza stigmatizzarci tutti. Non c'è necessità di sottolineare l'origine
etnica di questa gente. D'altra parte, sappiamo che non ci sono Rom tra i
macellai conosciuti per vendere carne di cavallo."
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