Richiediamo chiarezza. Di Rom si parla poco e male, anche quando il tema delle notizie non è "apertamente" razzista o pietista, le notizie sono piene di errori sui nomi e sulle località
Di Fabrizio (del 03/02/2013 @ 09:06:34, in Kumpanija, visitato 2461 volte)
Se ne può discutere anche quando il Giorno della Memoria è passato.
Discutere: non ho certezze o verità, ma alcune domande, che nascono da una mole
di dati e di citazioni che si sono sommati nella ricorrenza di un giorno. Lo
scopo di questa discussione è (al solito) prefigurare quale sarà il nostro
cammino.
Cos'è oggi la memoria
Ascolto le pubblicità alla radio. Grazie all'olio Esso vado tranquillo per
la strada dei sogni e mi dimentico del resto. Dimentico Hiroshima, dimentico
Auschwitz. Dimentico Budapest, il Vietnam, il problema degli alloggi. Dimentico
la fame in India, dimentico tutto, tranne che sono ridotto a zero. E da lì devo
ricominciare. Jean-Luc_Godard
"La memoria ha la funzione di mantenere ricordi, a mente, per iscritto, o in
altre forme" recita
Wikipedia.
La funzione è efficace, se è replicabile, altrimenti è memoria anche
festeggiare il natale o ferragosto: cioè una chiamata a raccolta per qualcosa
che non si ricorda più che significato abbia.
Anche il natale, suppongo, avesse un suo significato lontano, che per chi
crede dovrebbe avere un valore sempre. Averlo incasellato in un giorno preciso (non è la data
che ha importanza, ma i tempi della sua celebrazione), ne fanno un momento
di
unità,
di
fratellanza.
E dato che delle due cose ce ne sarebbe, oggi, un grande bisogno,
per forza si aggiunga il punto
di
ipocrisia.
Mi sentivo a disagio, su quella bacheca globale che è Facebook, leggendo in tempo
reale rimandi a una sfilza di articoli, guardando video, scorrendo
considerazioni banali o interessanti. Forse avrei avuto bisogno di silenzio, sarebbe
stato
l'unico modo per capire che questa GIORNATA DELLA MEMORIA è un momento diverso
dagli altri: quel coro continuo di notizie da gossip ed indignazioni le più
diverse (tutte legittime, beninteso), dalla partita di calcio
all'ultima candidatura ad un concorso od un'elezione. Quel coro che è ripreso
invariato da lunedì scorso per i prossimi 364 giorni.
I miei genitori, ad esempio, non hanno mai avuto bisogno di un giorno per
ricordare, e non è un discrimine politico. Loro:
internet
non sapevano neanche bene cosa fosse,
quegli
anni ce li avevano dentro, forse non Auschwitz, ma il ricordo delle impunità
fasciste, della fame per tutti, dello scappare, dei panni grezzi, dei pidocchi.
Questa era la loro coniugazione di guerra, e anche se non erano stati in campo
di concentramento (lui partigiano, lei sfollata), avevano nell'istinto e nella
memoria profonda quella empatia che poteva restituirgli l'odore del fumo dai
lunghi camini. E tanti come loro, non importa il colore politico, nei primi
30-40 anni del dopoguerra avrebbero fatto a pezzi chi avesse negato l'orrore dei
campi di sterminio, perché sarebbe stato negare se stessi, quello che avevano
patito, la possibilità che avevano avuto di ricominciare e di trasmetterci un
mondo diverso.
Ma erano loro, la loro storia. Oggi, dopo 70 anni, viviamo nel mondo che,
bene o male, abbiamo ereditato da loro. C'è chi per questa eredità può persino
dire che quell'orrore non è mai accaduto e, per la stessa eredità che dicevo,
c'è chi può addirittura essere votato per fare affermazioni simili, senza pagare
lo scotto, non dico di una guerra civile, ma neanche di una censura.
Ecco, mi torna uno sprazzo di memoria, chi è che pressappoco diceva: "E'
successo, e allora può succedere ancora"? E lo vediamo: non ci sono più le
camicie brune, ma gli eredi che hanno imparato da quei sistemi sono attivi e ben
pasciuti. E se c'è chi prova a negare quella memoria, quella memoria esiste, è
replicabile, non importa che si raggiunga o meno l'orrore dei campi di
sterminio, ma soprattutto è una memoria che può essere applicata dagli stessi
che la vorrebbero negare.
di
Mauro Biani
Intanto il mondo ereditato dai nostri vecchi, nel quotidiano ripete alcuni
(pochi, per fortuna) meccanismi sociali del tempo di guerra: sono sempre pochi
quelli che fanno qualcosa (ma quei pochi si sa che non molleranno), la
maggioranza guarda e gira la testa altrove, e poi ci sono quelli che, nel loro
piccolo, qualcosa di buono e generoso (anche pericoloso, a volte) lo fanno sempre, ma in silenzio e lontano dai
riflettori.
Come in tempo di guerra. Non è tanto importante quel ripetersi, ma perché si
stia ripetendo ancora, e chi possa impedirlo. "Chi
non conosce la storia è destinata a riviverla". Qualcuno l'ha detto di
sicuro, non ricordo chi e non ha nessuna importanza.
Questa è solo la metà dei ragionamenti, prendete fiato perché non finisce
qui. Le ceneri del camino e l'idea di nazione
Sempre settimana scorsa, mi sono imbattuto in questa tabella:
Ebrei: da 5.000.000 a 6.000.000
Omosessuali: da 10.000 a 600.000
Zingari: da 500.000 a 1.500.000
Testimoni di Geova: 25.000
Disabili: da 200.000 a 250.000
Massoni: da 80.000 a 200.000
Prigionieri Sovietici: da 2.000.000 a 3.000.000
Dissidenti politici: da 1.000.000 a 1.500.000
Slavi: da 1.000.000 a 2.500.000
L'approssimazione delle cifre sembrerebbe dare ragione ai negazionisti.
Ma la loro mole indica che la sintesi fu qualcosa di enorme, da ricordare,
perché sarebbe stato REPLICABILE (come in effetti è successo). Quali le
cause che hanno reso possibile (anzi: necessario) il replicarsi?
Il motivo razziale potrebbe essere una delle cause: ci sono stati prima, e
poi sono seguiti, pogrom, campi di concentramento, famiglie smembrate dall'odio
razziale. Concentriamoci sui soggetti, non sulle cifre, e sul periodo pre-guerra;
sono categorie diverse, apparentemente inconciliabili:
Ebrei: cosa distingueva un ebreo da un ariano? I capelli, il
naso adunco? Fandonie! La professione? Cosa aveva di minaccioso
un ebreo che faceva il sarto, il dottore, il commerciante
ambulante? Niente, se non appartenere ad un gruppo etnico che
già allora era messo in connessione (nella vulgata popolare) con
finanzieri e banchieri, bersaglio "popolare ed immediato"
per il popolo tedesco, in crisi ed alla fame nel I dopoguerra
(ricorda niente?);
Zingari: cittadini tedeschi come gli altri, al pari degli
ebrei alcuni avevano combattuto nella I guerra mondiale. I loro
lavori (già, gli "zingari" hanno sempre lavorato, allora
come oggi): stallieri, agricoltori, artisti, impagliatori,
piccoli commercianti, una specie di "piccolo mondo antico"
incastonato nel XX secolo;
Disabili: come zingari ed ebrei, non furono rinchiusi nella
sola Germania. Altre nazioni seguirono quelle politiche, alcune
la anticiparono persino. Pochi, rispetto alla popolazione
maggioritaria, e di certo non costituivano nessun pericolo.
Anzi, erano molti più vicini fisicamente ed affettivamente alle
normali famiglie.
Non solo, come diceva Levi, "tutti siamo Ebrei di qualcun altro" ma
potremmo parafrasare "ognuno è la minoranza di qualcun altro". E nella
Germania di allora, non c'era solo una maggioranza di socialdemocratici e
comunisti, con un popolo in crisi economica e di identità, ma una minoranza
nazista. Tralasciando per un momento la questione razziale, questa minoranza
pianificò la propria ascesa al potere, come se si trattasse di un business plan
(eccolo il XX secolo che fa il suo ingresso).
Certo, lavoravano "anche" zingari ed ebrei, erano nelle loro case i disabili,
ma: rinchiudere l'ebreo significò distruggere la concorrenza (die
Kristallnacht) e contemporaneamente confiscare soldi, fondi, proprietà,
accumulate in anni di lavoro. Non finirono nelle tasche dei gerarchi di partito
(come succederebbe oggi), ma finanziarono industria e politiche sociali
localizzate. Gli zingari non avevano potere economico o politico, ci fu poco da
confiscare, ma, a parte la questione razziale - dicevo, avevano una
caratteristica che li accomunava agli Ebrei: lavoravano ma non erano produttivi,
ed una che li accomunava ai disabili: non sarebbero mai stati un prototipo
positivo per una "futura" razza ariana superiore -
L'UOMO NUOVO.
Oggi sappiamo che un'impresa non si regge soltanto sul capitale e su come
viene prodotto, ma anche su quel termine intraducibile che passa sotto il nome
di "Mission" (che il più delle volte è solo l'artificio retorico che spinge
a produrre).
La Mission era IL NUOVO ARIANO, che per forza si doveva
distinguere fisicamente dai non-ariani per eccellenza (gli Ebrei),
ma anche dai proto-ariani per eccellenza (gli zingari), e non
essere contaminato da ariani-deviazionisti (i disabili, ma a
questo punto: anche gli oppositori politici e gli
omosessuali). Ma
Ebrei, zingari e disabili, per l'uomo della strada e per i decisori politici
avevano una caratteristica in comune, che li differenziava dalle altre minoranze
tedesche meglio ASSIMILABILI: il loro lavoro non era dedito alla produzione e
alla creazione di uno stato nuovo e nazionalsocialista, che potesse essere un
faro di civiltà e grandezza. Poco importa se alcuni di loro lavoravano nelle
fabbriche (e qualcuno fosse persino orgoglioso di questa INTEGRAZIONE), il loro
esempio andava spazzato via.
Ragionerei QUI e ORA, in tempi di crisi attuale, a cosa porta un'ideologia del
produrre ad ogni costo per la grandezza di una nazione. Allora fu la guerra, e
la Germania che si tramutò in una MACCHINA BELLICA (il termine "macchina" è
perfettamente appropriato), così la tabella iniziale può arricchirsi delle cifre
delle vittime dal fronte orientale.
I campi non erano solo sterminio, ogni prigioniero di guerra diventava un
operaio a costo zero da riciclare nell'industria bellica, magari trattato un po'
meglio di chi non era più in grado di lavorare.
Ma il campo era contemporaneamente la sintesi del destino di chi si opponeva
o era estraneo al destino dello STATO NUOVO: sfruttamento fisico sino alla
morte, ma anche annullamento come persona (certo: botte e violenze, ma anche le divise carcerarie,
la sporcizia, non poter
parlare la propria lingua, essere chiamati per numero e non per nome). Lì
si smetteva di essere considerate persone, l'unica definizione che un recluso
poteva avere di sé era solo di essere una rotellina (sempre sostituibile)
della GRANDE MACCHINA di questo stato che sfidava il mondo. Una macchina oliata
dove ognuno, dal semplice kapò, al soldato, agli alti gradi, agiva come
normalissimo esecutore di ordini.
Dove si legavano tanto "la banalità del male" di Hanna Arendt,
che l'angoscia di Primo Levi: "testimoniare senza essere creduto". E
nel contempo, la sfida di un popolo superiore raggiungeva l'apice: PER DEFINIRE
SE STESSI, OGNI FORMA DI ALTRO ANDAVA ANNULLATA. Guardate, se la stessa politica
la depuriamo dallo sterminio (e non è poco!),
l'annullamento continua, ma questo sarebbe un altro lunghissimo discorso.
E' stato, allora, il culmine di un processo storico nato in Europa, con i
pogrom anti-ebraici, ma anche le politiche persecutorie anti-gitane e anti-more,
nel 1500 con la Spagna appena diventata stato unitario. Processo storico che
abbiamo esportato in
Africa, Asia, Americhe, salvo proporci oggi come improbabili TUTORI DEI
DIRITTI UMANI E DEMOCRATICI.
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