Al Bar Righi dal 17 settembre al 3 ottobre come a Monaco, ci sarà l'Oktoberfest
con Birre, würstel, crauti a volontà (ma anche un menù tradizionale Sinto), non
perdetevi questi eventi MA SOPRATUTTO MUSICA DAL VIVO
18 Settembre dalle ore 19.30 - Musica varia
IL GATTO & LA VOLPE / Franco Zadra & Renzo.
24 Settembre dalle ore 19.30 - Musica e Menù Sinto
NEVES E IL SUO GRUPPO / Neves, Davide, Kam
30 Settembre dalle ore 19.30 - Musica da scoprire
OMNIBUS il Gruppo musicale
Su Facebook, le
foto dell'inaugurazione e l'appuntamento per l'Oktoberfest
Dal blog
della cooperativa Aquila: VOGLIO RICORDARE AI AMICI DEL
BAR RIGHI
CHE SI POSSONO ORGANIZZARE SU PRENOTAZIONE:
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Di Fabrizio (del 19/09/2011 @ 16:27:13, in Kumpanija, visitato 2425 volte)
E' iniziato circa mezz'ora fa lo sgombero di Dale Farm, dopo il fallimento della trattativa di
stamattina tra i residenti e il consiglio di Basildon. Sempre stamattina l'ONU
si era proposto come mediatore al governo inglese, ma la sua proposta è stata
rifiutata.
Chi vuole rimanere aggiornato tenga d'occhio questi siti:
Il
gruppo su Facebook (quasi una chat, si viaggia al ritmo di un messaggio
al minuto)
Il blog su Dale
Farm (attualmente non riesco a caricare completamente la pagina)
Il consiglio di Basildon, dopo il BIG WEEKEND di fine agosto, aveva rimandato
lo sgombero di Dale Farm dal 2 al 19 settembre, sperando che allora ci fossero
stati meno sostenitori. Quanti erano stamattina si può vedere in questa foto di
Stevie Stratton
Dichiarazione di Andrew George, parlamentare liberaldemocratico: "Non
capisco spendere tutti questi soldi, perché [Dale Farm] ritorni a quella che
sarà la più costosa discarica della storia"
Umorismo inglese : Cose che succedono al Camp Costant: "Ho perso
la mia borsa coi trucchi. Se qualcuno la ritrova me la riporti. Vorrei essere in
ordine quando gli ufficiali giudiziari mi spaccheranno la testa!"
Nota su Facebook di stanotte: Notte agitata prima del promesso
sgombero. Leggo che a Dale Farm stavano cantando, un modo per farsi coraggio e
sentire la vicinanza di chi domani potrebbe essere sbattuto per strada.
Per un momento ho immaginato la scena con gli occhi dei poliziotti che montano
di guardia lì attorno: freddo e pioggia, il buio della campagna illuminato da
qualche falò, il profilo incerto di una roulotte, il canto che sembra provenire
da una città fantasma...
Domani mattina sarà tutta un'altra storia, ma chissà cosa rimarrà loro in mente
di questa lunga notte?
Di Sucar Drom (del 01/10/2011 @ 09:35:42, in Kumpanija, visitato 2071 volte)
Amiche e amici di Articolo 3
vi aspettiamo giovedì 6 ottobre alle
ore 9.00
Presso l'aula magna della Fondazione Università di Mantova –
via Scarsellini, 2 - Mantova
in occasione della conferenza internazionale In Other Words
Discuteremo di stereotipi, rappresentazione delle minoranze e media con: Udo Enwereuzor, esperto COSPE Rosita D'Angiolella, magistrata, UNAR Verica Rupar, professoressa Università di Cardiff e ricercatrice Media Diversity
Institute Eva Rizzin, ricercatrice Articolo 3 Davide Provenzano, presidente ArciGay 'La salamandra' Porpora Marcasciano, presidentessa Movimento Identità Trans Mostafa El Ayoubi, giornalista e caporedattore 'Confronti' Saji Assi, giornalista Rai News 24 Daniel Reichel, giornalista 'Pagine Ebraiche' Tiziana Ferrario, giornalista Tg1, consigliera nazionale Ordine dei giornalisti
La conferenza è organizzata dalla Provincia di Mantova nell'ambito del progetto
europeo "In
other WORDS ", di cui Articolo 3 è partner.
Il programma completo è in allegato assieme all'appuntamento con Articolo 3
presso l'Altrofestival - l'Italia sono anch'io di venerdì 30 settembre alle
20.30 a Villa Brescianelli (Castiglione delle Stiviere) in occasione della
campagna CGIL per i diritti di cittadinanza delle persone straniere
Di Fabrizio (del 03/10/2011 @ 09:20:37, in Kumpanija, visitato 4024 volte)
venerdì 7 ottobre dalle 18.00 in Via Impastato 7 Rogoredo Milano
Il Museo del Viaggio, dedicato a Fabrizio De Andrè, fondamentale testimone
dell'incontro con la cultura Rom, sorge all’interno del campo di via Impastato,
quartiere Rogoredo. Il Centro raccoglie i cardini della cultura Rom per metterli
a disposizione di coloro che vogliono approfondire la conoscenza di questo
universo.
Il Campo si apre alla città ed è pronto ad accogliere scolaresche, studiosi,
ricercatori e visitatori di ogni genere.
Al suo interno un’importante raccolta di racconti, libri, documenti, fotografie,
dischi, oggetti della tradizione, filmati. Un percorso guidato attraverso la
storia di questo affascinante popolo, raccontato direttamente da Giorgio e Mirko
Bezzecchi e Maurizio Pagani.
Molte le sorprese in programma: interventi, filmati, ospiti, musicisti gitani,
cantautori italiani, gruppi folk, danze della tradizione, esposizione di capi
della sartoria Sinta e del laboratorio Romanì, il tutto accompagnato da un
rinfresco a base di specialità zingare.
Il Museo e Centro di Documentazione ha sede
all'interno di un locale, appositamente ristrutturato e arredato, nel campo
comunale di via Impastato 7, a Rogoredo.
Gestito da Opera Nomadi Milano e dalla Cooperativa Romano Drom, ha al suo
interno: libri, foto, scritti, materiali audiovisivi, tesi di laurea, sitografia.
E' un centro di ricerca e studi, sede permanente di corsi di lingua e
cultura rom e sinta coordinati da Giorgio Bezzecchi e di una scuola di musica
curata dal maestro Jovic Jovica.
Ospita scolaresche delle scuole dell’obbligo , studenti liceali e
universitari, ricercatori e sarà aperto al pubblico, previa prenotazione, due
giorni la settimana, il mercoledì pomeriggio e il giovedì mattina.
Un piccolo museo itinerante per ripercorrere la storia del popolo Rom.
Il percorso storico avrà inizio con la visita di una tradizionale carovana
(kampina) rom al cui interno si potrà scoprire, grazie al supporto di
audiovisivi, i molteplici aspetti di questo popolo. Il visitatore potrà così
rivivere la storia della comunità Rom dall’inizio del secolo fino ai giorni
nostri.
La ricerca dei contenuti etnologici, etnografici e storici ed il recupero
dei materiali del centro di documentazione saranno curati personalmente da
Giorgio Bezzecchi e da Maurizio Pagani che da oltre due decenni promuovono la
conoscenza della cultura romanì sul territorio nazionale.
Alcuni dei progetti in programma:
laboratori mirati per le scuole elementari, medie e superiori,
consulenze dirette per universitari, ricercatori e studiosi,
percorsi a tema su storia, usi e costumi,
incontri programmati con i maggiori studiosi ed esponenti della
cultura dei Rom e dei Sinti,
Di Fabrizio (del 14/10/2011 @ 09:14:22, in Kumpanija, visitato 2280 volte)
Lo confesso: non amo i convegni, le frasi fatte che conosco a memoria, le
polemiche che si tirano dietro. Qualche volta, qualcuno riesce a catturare la
mia attenzione: martedì scorso è successo con i discorsi di
Jovica Jovic e quello finale di Nicolae Gheorghe: magari
non ero d'accordo su tutto, ma si respirava (ecco: RESPIRARE è il termine
appropriato) una grammatica mentale romanì, indipendente dai modi di pensare e
di imporre il proprio pensiero, tipici di ogni cultura maggioritaria, come è
anche la nostra. Però, lo confesso , non so resistere ai convegni perché ogni
volta mi capita di incontrare amici vecchi e nuovi e mi incanta come in pochi
minuti si ricrei tra noi un clima cameratesco.
Dopo che timidamente in
Mahalla si era accennato ad Idea Rom di Torino, finalmente ci si è
conosciuti di persona. Ma lasciamo che si descrivano da soli, attraverso il
loro sito:
L'associazione:
IDEA ROM ONLUS è un'associazione di promozione sociale costituita nel 2009
che opera a Torino nelle sedi di via Garibaldi 13 e via Cavagnolo 7 e presso i
territori con i maggiori insediamenti abitativi di famiglie Rom della città. Nel
2010 l'associazione è stata premiata con una Targa d'Onore del Presidente
della Repubblica per l'opera tesa a favorire l'integrazione sociale della
propria comunità.
Da chi è formata:
L'Associazione è costituita da donne Rom appartenenti alle diverse
comunità presenti a Torino, alcune con esperienze professionali nel campo della
mediazione culturale.
A chi si rivolge:
Idea Rom Onlus ha una forte caratterizzazione femminile perché le principali
azioni hanno come attori, riferimenti e interlocutori soprattutto le donne e le
giovani Rom delle diverse comunità con cui condividere ed elaborare saperi e
competenze, creando e sostenendo sbocchi lavorativi e attività culturali.
Destinatarie e protagoniste degli interventi sono le famiglie Rom presenti in
città, nei "campi nomadi" e negli appartamenti, coinvolte direttamente nella
definizione dei bisogni, nella progettazione delle iniziative e nella loro
concreta realizzazione.
Obiettivi dell'associazione:
Idea Rom Onlus, pur non rappresentando i Rom della città, cerca di promuovere
progressive forme di rappresentanza diretta, formale e sostanziale, delle
diverse comunità.
Tutti i progetti e le attività sono ispirati ai seguenti obiettivi:
favorire l'integrazione e la partecipazione attiva dei Rom (e dei Sinti,
dei Kalé, dei gruppi e delle comunità viaggianti) nella società italiana ed
europea, nel rispetto delle diverse identità, della pari dignità e dei
valori fondamentali del vivere civile
contrastare i pregiudizi diffusi sui Rom e tutte le forme di
discriminazione, dirette e indirette verso questa popolazione
E poi, se vi garba, ci sarebbero molte altre cose da scoprire. In Home page troverete i link:
Jovica Jovic, secondo il programma, avrebbe dovuto parlare di "Lo
sterminio della mia famiglia". Educato e rispettoso com'è sempre, visto che agli
oratori precedenti erano stati riservati tempi biblici di intervento, ha chiesto
se per lui c'erano limiti di tempo, aggiungendo "se vi stancate, ditemelo,
che riprendo a suonare la fisarmonica".
Dopo i primi minuti di discorso, il moderatore della mattinata si stava
visibilmente preoccupando perché Jovica continuava a parlare d'altro. Gliel'ha
fatto notare, con garbo. Per tutta risposta, Jovica ha continuato, col medesimo
garbo, per la sua strada. Questo il resoconto di una parte dell'intervento,
riportato da
Balkan-Crew:
"Io sono solo un musicista, ma la mia testimonianza è una testimonianza
di vita vissuta in Bosnia, tra un campo e un altro a parlare con figli e nipoti
di chi è morto a Jasenovac eppure la mia fisarmonica non parla ne di fascismo ne
di razzismo, ma solo di pace. Tanti parlano per sentito dire o perché hanno
studiato e pensano di poter esprimere giudizi, io quello che racconto l'ho
vissuto e viene dal cuore. La Jugoslavia non c'è più e tutti a dire è colpa tua,
no è colpa tua, ma la Jugoslavia non c'è più!!! Ho suonato tante volte al
binario 21 a Milano, posto in cui i rom e gli ebrei e tante altre minoranze
venivano deportati per i campi di concentramento e ancora adesso, dopo tanti
anni e tanti morti, troviamo ancora chi vorrebbe fare le stesse politiche. Il
popolo rom meriterebbe un nobel, perché ha passato le peggiori cose e non si è
mai ribellato, non ha mai fatto guerra a nessuno, nonostante non ha una terra su
cui vivere. Che colpa ho avuto io a nascere da una zingara e che colpa ha avuto
mia figlia che è nata in Italia, è stata vaccinata, ha frequentato la scuola,
eppure non può avere la cittadinanza perché non può dimostrare la residenza ? Ma
come faccio a risiedere in un posto se dopo tot anni arriva l'ordine di sgombero? Ero in un campo in cui si rubava e ho cambiato la situazione. Ho fatto fare
una chiesa e veniva un prete a celebrare la Santa messa. Le persone erano
cambiate, non rubavano più, ma ci hanno detto di andare via e hanno distrutto la
chiesa e buttato la croce nel fango. Le persone le giudichi da ciò che dicono e
che fanno. Se fanno del male sono persone cattive, ma loro sono i primi giudici
di loro stessi"
Insomma, ha parlato ai suoi fratelli, di qualsiasi razza fossero.
Un personaggio apparentemente all'opposto di Jovica, è il dott. Nicolae
Gheorghe, che può vantare un
curriculum di tutto rispetto. In Italia si esprime in un misto di rumeno,
italiano, spagnolo, inglese e francese. Lui è un Rom che ragiona di alta (a
volte troppo) politica, con il raro dono di rendersi immediatamente
comprensibile. Gli toccava concludere il convegno, senza che i custodi ci
chiudessero dentro. Questo il sunto del suo intervento finale di 3 minuti:
"L'Olocausto ancora non è stato riconosciuto come fatto politico.
La povertà del nostro popolo, la capisco sino ad un certo punto, non
oltre: non siamo a chiedere l'elemosina agli altri. La nostra miseria da forza
ai nuovi nazisti, dobbiamo averne conoscenza per combatterli.
La nostra terra, il ROMESTAN, ci è stato copiata ed è diventato patrimonio dei
discorsi della destra. Ricordatevi: in Germania la prima misura dei nazisti fu
di togliere la cittadinanza ai sinti, e la loro prima richiesta a guerra finita
fu di riaverla. Allora: la cittadinanza EU, richiesta da molti, non può essere
una riparazione per la mancata cittadinanza nazionale.
Siamo una nazione culturale: IL NOSTRO SIMBOLO NON E' LO STERMINIO, MA LA
SOPRAVVIVENZA."
Per completare la mia personalissima cronaca, aggiungo anche un comunicato
sicuramente più oggettivo:
COMUNICATO STAMPA
CONVEGNO "LO STERMINIO DI ROM E SINTI E LE NUOVE INTOLLERANZE"
Lunedì 10 e martedì 11 ottobre si è tenuto presso la sala Lauree della Facoltà
di Lingue e Letterature Straniere il Convegno dal titolo "Lo sterminio di rom e
sinti e le nuove intolleranze", organizzato dall'Associazione Italiana Zingari
Oggi, che da 40 anni opera a difesa dei diritti e per la promozione dei doveri
della popolazione rom.
Il Convegno ha visto la partecipazione di relatori da tutta Europa, i quali
hanno arricchito il dibattito con riflessioni, non solo sulla tragedia dello
sterminio, ma anche sulle nuove intolleranze che stanno emergendo e sui problemi
che questa minoranza quotidianamente incontra nei paesi europei.
La prima mattinata del Convegno è stata dedicata alle celebrazioni dei
quarant'anni dell'Associazione, a cui hanno portato il proprio saluto, tra gli
altri, il Preside della Facoltà di Lingue, l'ex sindaco Diego Novelli e
l'attuale assessore alle Politiche Sociali, Elide Tisi, la quale ha anche
consegnato alla Presidente dell'A.I.Z.O., Carla Osella, una targa di
ringraziamento da parte del Comune di Torino per i 40 anni di proficua
collaborazione.
Il resto del Convegno è stato dedicato al ricordo dello sterminio del popolo rom
e sulle nuove intolleranze. Di particolare rilievo sono stati gli interventi
dell'on. Letizia De Torre, che ha presentato il Rapporto sulla condizione di
rom, sinti e caminanti, stilato dal Senato, facendo sorgere un vivo dibattito
sui problemi della minoranza rom in Italia e le azioni intraprese dal governo, e
il contributo dell'avv. Olga Marotti, dell'UNAR, la quale ha presentato gli
interventi dell'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali a tutela dei
diritti dei rom.
Tra gli interventi riguardanti lo sterminio perpetuato dai nazi-fascisti,
tragico e commovente il resoconto sugli esperimenti compiuti dal dott. Mengele e
il suo staff sui bambini detenuti nei campi, che è stato presentato dal dottor
Erasmo Maiullari, docente di chirurgia pediatrica dell'Università di Torino,
così come meticolosi ed interessanti gli interventi del dott. Claudio Vercelli e
della dott.ssa Rosa Corbelletto, che rispettivamente hanno presentato le basi
ideologiche dello sterminio di rom e sinti in Germania e dell'internamento in
Italia.
Tra i relatori internazionali, di particolare interesse sono stati i contributi
di Nicolae Gheorghe, attivista rom dalla Romania e di Dusan Mladen, presidente
della Camera di Commercio Romani degli Stati Uniti, che ha presentato i progetti
realizzati dal suo Istituto in Serbia.
L'ultima parte del convegno, dedicata alla situazione attuale ed alle
intolleranze che stanno emergendo, è stata arricchita dagli interventi della
prof.ssa Marcella Delle Donne, che con passione ha presentato casi di
emarginazione e di integrazione, richiamando con forza la necessità di un
riconoscimento della minoranza rom da parte delle istituzioni italiane ed
europee, e dall'intervento delle prof.ssa Mara Francese, che ha presentato una
riflessione sull'emergere di nuovi pregiudizi che, come i ghetti fecero durante
la seconda guerra mondiale, impediscono la conoscenza reciproca e
l'integrazione.
L'intero Convegno è stato animato dall'eclettico musicista Jovica Jovic, che ha
suonato alcuni pezzi con la sua celebre fisarmonica durante i momenti di pausa.
Lo stesso Jovica è intervenuto come relatore, portando la propria testimonianza
sullo sterminio della sua famiglia e sulle difficoltà che oggi lui e i suoi
figli incontrano nel percorso verso l'integrazione nella nostra società.
I relatori e il pubblico hanno condiviso la necessità primaria di riconoscere la
minoranza rom quale minoranza italiana da parte dello Stato e di rendere più
semplice l'accesso ai documenti e alla cittadinanza, requisiti fondamentali per
una completa integrazione. Altro argomento più volte emerso è il ruolo
dell'Unione Europea e del Consiglio d'Europa nella difesa della minoranza rom e
sulla necessità di fare pressione sul governo italiano affinché si muova per
avere accesso ai fondi messi a disposizione dall'UE per l'inclusione sociale.
L'alta partecipazione da parte delle istituzioni e dalla cittadinanza al
Convegno realizzato dall'A.I.Z.O., oltre ad essere motivo d'orgoglio per
l'Associazione, rappresenta una speranza per un incremento dell'interesse della
popolazione maggioritaria nei confronti delle questioni che toccano il popolo
rom e per un rafforzamento della collaborazione tra associazioni rom e gagjè e
enti locali.
Di Fabrizio (del 16/10/2011 @ 09:30:09, in Kumpanija, visitato 2174 volte)
Pannello esposto al Museo del Viaggio Fabrizio De Andrè
Domenica, finalmente. Il tempo per rilassarsi:
Mi piace
al calar del sole, davanti ad un fuoco acceso e seduti su sedie
sgangherate, ritrovarsi tutti assieme con nonni e
nipoti, in silenzio, gustandosi questa vicinanza. Il rito del caffè, che si
ripete;
un campo senza topi e ratti, ma dove i bambini crescono assieme a cani,
gatti, galline, capre, cavalli. Un bambino che cresce in un ambiente simile,
difficilmente diventerà cattivo;
guardare i figli dei bambini a cui vent'anni fa facevo da educatore.
Informarmi sulle malattie e sui progressi a scuola, coccolarli e viziarli
sotto gli occhi dei loro genitori, come se fossi uno zio, non più un
animatore;
fare a gara a chi è più bravo a prendere in giro chi ti è seduto di
fronte. Ridendo e guardandosi negli occhi, perché non c'è cattiveria nella
parole;
in una kampina con l'antenna satellitare, seduti in 5 o 6 con una
lattina di birra in mano, commentare le partite di calcio del campionato
rumeno, discutendo se
Nicolita sia una pippa o un campione. Forse ci manca il sacchetto di
popcorn nell'altra mano, per essere giudicati integrati o integrabili come
tutti.
In India vivono diversi gruppi zigani. Questi zingari che parlano lingue
differenti tra loro e vivono in regioni differenti dell'India, sopravvivono con
le occupazioni tradizionali dei loro antenati, lavori che le comunità locali non
svolgono più.
Musicisti Langhas, addestratori di animali Nats (inclusi incantatori di
serpenti) e ballerine Saperas, Banjaras che sopravvivono con occupazioni zingare
le più disparate, Birhors che producono corde, Korwas e Mahalis invece cesti,
Rabhas che sopravvivono con la tessitura, Parayiars musicisti di matrimoni e
percussionisti, calzolai Sakkiliyars, fabbri, intrecciatori di cesti e musicisti
Kotas, spazzini i Valmikis - sono alcuni dei più conosciuti gruppi zigani
indiani. Ma ce ne sono ancora altri.
L'India è un paese dove il sistema universale delle cast tra zingari e no è
più visibile. I membri delle caste superiori generalmente classificano gli
zingari come "intoccabili" e cercano di impedire qualsiasi tipo di relazione
personale tra le due caste. Il sistema universale di discriminazione di casta
tra zingari e no che tacitamente esiste in molte altre parti del mondo, qui
diventa visibile e tangibile.
Dr. Ambedkar:
scienziato sociale e politico. Ha contribuito alla stesura della Costituzione
indiana. Era un Dalit. E' stato membro della Gypsy
Universal Nation.
Source: Ali Mezarcıoğlu Çingenelerin Kitabı Cinius Yayınları 2010 ( The
Book of Gypsies; Cinius Publishing)
Di Fabrizio (del 03/12/2011 @ 09:23:25, in Kumpanija, visitato 2429 volte)
Al JazeeraLe comunità tradizionalmente nomadiche di fronte alla
discriminazione statale ed ai violenti tentativi di abolire il loro modo di vita James Brownsell and Pennie Quinton
Le comunità viaggianti come quella di Dale Farm sono spesso distrutte col
pieno appoggio delle autorità statali [GALLO/GETTY]
Viaggiate dovunque nel Medio Oriente e potrete essere accolti con queste
parole: Ahlan wa sahlan wa marhaban. Letteralmente "Benvenuti su
questo pezzo di terra", un ritorno al tempo in cui la cultura araba era per
natura tradizionalmente più nomade ed i visitatori potevano aver avuto un lungo
viaggio periglioso prima di raggiungere i loro amici.
Ma l'immagine romantica del viaggiatore errante è ben lontana dalla realtà
quotidiana sperimentata dalle comunità nomadi. Da Est ad Ovest, la loro è più
spesso una vita piena di discriminazioni, violenza ed oppressione portata avanti
dalle autorità di stato, che tentano di costringerle a conformarsi con lo stile
di vita urbano.
"E' stata un'esperienza che non dimenticherò più, la polizia che ci
attaccava, ci picchiava, usava le scariche elettriche," dice Pearl, della
comunità di Dale Farm.
Lei fa parte di un gruppo di oltre 200 Traveller irlandesi cacciati a forza
dai loro terreni vicino a Basildon nell'Essex, Inghilterra del sud-est, da una
serie di
sgomberi violenti che si dice siano costati sino a 18 milioni di sterline
($29m).
L'isolamento della loro comunità, fondata negli anni '70, ha paragoni
inquietanti con quella dei Beduini residenti nel Negev, che hanno subito
frequenti minacce dai funzionari di Israele sin dalla fondazione dello stato -
col diniego di servizi infrastrutturali ai villaggi "non riconosciuti" o
semplicemente rasi al suolo dalle ruspe.
Dale Farm è un'ex discarica, venduta dal consiglio di Basildon alla comunità
Traveller irlandese quando la loro vita nomade venne messa fuorilegge dal
Criminal Justice Act nel 1994, che abrogava le precedenti garanzie legali ai
diritti dei Traveller. Al suo culmine, Dale Farm ospitava circa 1.000 persone.
La legge del1994 abolì l'obbligo da parte dei comuni di fornire siti ai
Traveller, riducendo così drasticamente i posti dove le comunità nomadi potevano
sostare durante i loro spostamenti.
Attivista solidale a Dale Farm regge un crocifisso davanti alle barricate in
fiamme [GALLO/GETTY]
Le autorità locali incoraggiarono allora le comunità viaggianti ad acquistare
terreni per ovviare alla situazione: Dale Farm nacque appunto così. Ma la
comunità di Dale Farm non si aspettava ciò che hanno descritto come un
pregiudizio arbitrario mostrato dal consiglio di Basildon a guida Tory, che ha
rifiutato ripetutamente i permessi di edificabilità per parcheggiare rimorchi e
case mobili, e costruire casette sul sito, con la scusa che quell'ex discarica
inquinata facesse parte della fascia protetta detta "green
belt".
Si riferisce che durante lo sgombero, una cappella cattolica eretta in loco -
intitolata a san Cristoforo patrono dei viaggianti - sia stata distrutta dalla
compagnia degli ufficiali giudiziari, Constant & Co. Padre Dan Mason, il
prete del posto, era a Dale Farm quel giorno.
"Ero lì... a visitare i miei parrocchiani e vedere come stavano. E' stato
molto traumatico," ha detto all'Independent Catholic News.
"E' stata ferita una donna. Mi hanno detto che è stata spinta contro un muro
e presa a calci. Ha subito un infortunio alla schiena. Questo è quello che mi
han detto. E' stata portata in ospedale ma non l'hanno trattenuta perché non
c'erano posti letto. E' tutto completamente surreale. Conosco bene quel sito. Le
famiglie sono così ospitali. Ci siamo seduti in una roulotte per una tazza di
tè. Non credevo ai miei occhi. Dappertutto vedevo poliziotti, elicotteri,
manifestanti - sembrava una zona di guerra."
John Baron, eletto Tory al Parlamento nella circoscrizione di Basildon ed ex
banchiere, ha difeso lo sgombero come applicazione della legge sui suoli.
"Non dimenticate, queste sono famiglie che hanno infranto la legge,
ha
detto alla BBC. "Non possiamo permetterlo in questo paese... se dovessimo
semplicemente concedere a questi viaggianti di rimanere, dopo aver infranto
tutte le leggi, che messaggio arriverebbe a tutti gli altri? Chiunque direbbe
-Bene, se loro possono farla franca, perché non noi?- Ed avremmo il caos."
Durante lo sgombero a Richard Howitt, eletto Laburista al Parlamento Europea
nella circoscrizione Inghilterra Est, non è stato permesso di osservare lo
svolgersi delle azioni, dicendogli che il consiglio di Basildon aveva ordinato
al personale addetto alla sicurezza di farlo spostare nello spazio riservato ai
media, accanto a Dale Farm. Era stato invitato dalla televisione regionale, col
permesso scritto della polizia, ed aveva correttamente ed in anticipo informato
il consiglio di Basildon; quindi ha presentato una denuncia formale sulle azioni
del consiglio e sull'attacco alla sua persona.
Il parlamentare si era in precedenza offerto per mediare tra Traveller e
consiglio, come avevano fatto gruppi di chiesa ed organizzazioni statali.
Persino le Nazioni Unite avevano condannato l'azione prevista, "esprimendo il
profondo rammarico per l'insistenza del Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda
del Nord nel procedere con lo sgombero di famiglie zingare e viaggianti a dale
Farm nell'Essx, prima di identificare e fornire una sistemazione culturalmente
appropriata."
Distruggere le case di circa 86 famiglie senza fornire "sistemazione
culturalmente appropriata" va contro il diritto internazionale, ha detto Amnesty
International. Nel contempo, sono stati identificati due siti alternativi dalla Britain's Homes
and Communities agency, ma il consiglio di Basildon ha deciso lo stesso di
spingere per la liquidazione di Dale Farm, prima di considerare i permessi di
edificazione su questi siti.
I residenti di Dale Farm hanno dichiarato di non aver altro posto dove andare
dopo lo sfratto
[GALLO/GETTY]
Il clamore sullo sgombero aveva attirato al sito numerosi attivisti solidali.
Hanno aiutato i residenti a costruire barricate e si sono incatenati ad una
torre d'osservazione costruita in fretta da loro stessi.
"La prima cosa che è successa, la polizia antisommossa ha fatto irruzione
attraverso la recinzione ed hanno usato le pistole a scariche elettriche [Taser],
prima ancora che i loro piedi fossero sul sito," ha detto un'attivista di nome
Jenny durante un incontro alla
Fiera del Libro
Anarchico di Londra, una settimana dopo lo sgombero.
"Quelli che si erano incatenati alla torre, sono stati staccati da una
"squadra di arrampicatori" molto brutale ed è stata tagliata l'elettricità,
inclusa la casa di una persona che ne aveva bisogno per le apparecchiature
mediche che gli sono indispensabili... Altri che erano rimasti incatenati [al
cancello, alla torre] erano ancora lì 24 ore dopo. I lucchetti sono stati
scardinati in una maniera rischiosa - quando le televisioni ed i media se ne
erano andati. [...]"
Il giorno dopo, i Travellers decisero che era giunto il momento di andare.
Racconta Jenny: "Non volevano vedere nessun altro colpito. Hanno deciso di
andare con dignità e ci hanno chiesto di uscire assieme a loro... Siamo partiti
in dignità e solidarietà."
Tony Ball, leader del consiglio di Basildon, ha detto alla stampa: "E' molto
incoraggiante vedere i Traveller ed i loro sostenitori lasciare Dale Farm in
maniera pacifica e dignitosa, cosa che ho sempre sollecitato ed auspicato.
Purtroppo, questo si sarebbe potuto ottenere molti anni fa e senza le scene di
violenza a cui abbiamo assistito nelle ultime 48 ore, e con queste spese a
carico dei contribuenti."
Residenti, testimoni ed attivisti lamentano che lo sgombero si è svolto in
maniera illegale e che, nonostante le battaglia legale condotta dai residenti,
le regole di condotta emanate dall'Alta Corte non siano state seguite dalla
polizia o dagli ufficiali giudiziari - che ora stanno rendendo il sito
inabitabile, accumulando macerie e rifiuti sui terreni di proprietà della
comunità. La compagnia [degli ufficiali giudiziari] dedica un'intera sezione del
suo sito alla rimozione dei Traveller, evidenziando che "i procedimenti del
tribunale significano ritardo" e promettendo "un'azione alternativa e veloce".
Contesto internazionale
Il Comitato ONU sull'Eliminazione della Discriminazione Razziale
ha notato [PDF] che "Tuttora Viaggianti e zingari subiscono notevoli
discriminazioni ed ostilità da parte della società maggioritaria... e quesyo
potrebbe peggiorare a causa delle azioni intraprese dalle autorità nell'attuale
situazione".
Infatti, un
rapporto del 2008 [PDF] di Human Rights First nota che parte delle
discriminazioni viene approvata dallo stato stesso:
[in Italia] Migliaia di Rom sono stati allontanati dalle loro case nel
2007, quando la folla ha attaccato. picchiando i residenti ed incendiando i
loro insediamenti che sono stai rasi al suolo, mentre viene riferito che in
diversi casi la polizia non è intervenuta a protezione delle vittime. Alcuni
politici italiani hanno favorito quanti chiedevano che i Rom fossero espulsi
dalle città e deportati.
Episodi di violenza sono stati riportati anche in Bulgaria, Repubblica
Ceca, Federazione Russa, Serbia e Slovacchia.
Lo stesso rapporto annota anche le dichiarazioni razziste espresse
ufficialmente dal prefetto di Roma, Carlo Mosca, nel dichiarare i propri intenti
di firmare i decreti di espulsione senza esitazioni. "E' necessaria la linea
dura," dice, "per agire contro queste bestie".
Sono stati firmati "Patti di sicurezza" dai sindaci di Roma e Milano, che
"prevedono lo sgombero forzato di 10.000 Rom" dalle due città, ignorando le
regole di migrazione UE.
Nella Repubblica Ceca, Liana Janáèková, senatrice e sindaco, ha detto che il
problema degli insediamenti rom potrebbe essere risolto con "la dinamite", che i
Rom hanno troppi bambini, e che dovrebbero essere ""tenuti dietro una recinzione
elettrica".
Tuttavia, è in Israele che lo stile di vita nomade è stato maggiormente
criminalizzato, col pretesto di "aiutare" le comunità nomadi a diventare più
"civilizzate".
Sono state dispiegate le guardie di frontiera, mentre le ruspe demolivano il
villaggio beduino di al-Arakib [GALLO/GETTY]
Khalil al-Amour ha 46 anni ed insegna matematica ad al-Sira, uno dei 45
villaggi beduini "non riconosciuti" nel deserto del Negev, Israele meridionale.
"[I funzionari israeliani] hanno ordinato la demolizione di tutte le case del
villaggio nel 2006," ha detto ad Al Jazeera. "Ci sono circa 70 famiglie e 500
persone ad al-Sira."
Le loro case non sono state ancora demolite (a differenza di
altri villaggi beduini) ed il caso viene dibattuto in tribunale. Ma la loro
comunità resta senza nessuno dei servizi statali che collegano i villaggi
attorno, come la rete elettrica o le strade asfaltate.
"La gente ha usato i generatori per anni," dice. "Ora sto cercando di
convincere sempre più persone ad usare sistemi e pannelli solari - che [sono]
molto costosi. D'altra parte, anche il carburante usato per i generatori è molto
caro."
Ci sono circa 80.000 beduini che vivono nei villaggi "non riconosciuti".
La loro comunità è sempre stata semi-nomade; migrano stagionalmente con le
loro mandrie in cerca di pascoli e tornano ai loro villaggi ogni anno.
Ma quando Israele ha approvato le sue leggi su pianificazione e sviluppo nel
1965, vennero esclusi i villaggi beduini del Negev, "anche se i beduini erano
una popolazione indigena e lì vivevano da secoli," dice Doni Remba,
co-direttore della Campaign for Bedouin-Jewish Justice in Israele.
La sua campagna, un progetto dei Rabbini per i Diritti Umani in America del
Nord e della Jewish
Alliance for Change, sottolinea che, oltre a non avere servizi di
infrastrutture, i beduini vivono sotto minaccia costante di sgombero forzato che
[...] "si basa su una legge fondamentalmente discriminatoria".
"L'esempio più recente sono state una serie di demolizioni nel villaggio
beduino di al-Arakib, nel Negev," dice Remba ad Al Jazeera.
"In questo caso, il governo israeliano ha inviato ben 1.300 poliziotti
paramilitari, per espellere violentemente oltre 300 uomini, donne e bambini. Il
villaggio è stato distrutto e ricostruito quasi 30 volte, soltanto nell'ultimo
anno e mezzo."
Una donna beduina seduta sulle macerie della sua casa ad al-Arakib, distrutta
dalle ruspe israeliane [GALLO/GETTY]
In più, sono in corso piani che secondo i funzionari israeliani saranno una
risoluzione completa sullo status dei beduini di tutto il Negev.
"Il Piano Praver [dal nome dell'ex collaboratore di Netanyahu, Ehud Praver]
riguarda la demolizione di 20 villaggi non riconosciuti e l'espulsione di
20-40.000 residenti, se questi non accettassero un'offerta di compensazione
piuttosto scarsa ed inadeguata," dice Remba.
L'obiettivo del piano, aggiunge, era di concentrare l'intera comunità beduina
in sette "riserve" riconosciute dal governo, nella regione che attualmente
ospita circa 100.000 persone che, aggiunge, sono già state sgomberate dalle loro
terre.
"Il governo li discrimina e trascura, perché i beduini sono tra le
popolazioni di Israele più economicamente svantaggiate sotto ogni parametro
socio-economico."
"Anche nei villaggi approvati dal governo, quindi legali e non a rischio di
demolizione... i tassi di disoccupazione, povertà, criminalità, istruzione e
mortalità infantile sono tra i più sfavorevoli."
"Il tasso di mortalità infantile è quattro volte superiore a quello delle
comunità ebraiche lì accanto, ad una o due miglia di distanza - e tutto a causa
dell'estrema discriminazione delle condizioni di vita."
"Il governo intende "cancellare" i villaggi beduini e rimpiazzarli con
comunità ebraiche, "per controllare il territorio... in collegamento a ciò
che il primo ministro Netanyahu chiama - mantenimento della maggioranza ebraica
nel Negev-," ha detto Rembo ad Al Jazeera.
Come nel caso dei residenti di Dale Farm, i funzionari dicono che la
rilocazione "aiuterà" i residenti a rispettare le leggi di pianificazione. Ma,
mentre lodava il suo nuovo piano, persino Netanyahu notava che i beduini sono
stati allontanati dalla terra su cui hanno vissuto per generazioni.
"Dopo anni in cui i loro bisogni non erano trattati sufficientemente, questo
governo ha deciso di prendere in mano la situazione ed arrivare ad una soluzione
a lungo termine della questione," ha detto.
"Il piano permetterà ai beduini, per la prima volta, di stabilizzare i loro
beni e tramutarli da capitale morto a vivo - di essere proprietari della terra,
cosa che permetterà loro di costruire case nel rispetto della legge e lo
sviluppo di imprese e posti di lavoro. Questo sarà un progresso per la
popolazione e darà loro l'indipendenza economica."
"Il nostro stato sta balzando verso il futuro e voi dovete essere parte di
questo futuro. Vogliamo aiutarvi a raggiungere l'indipendenza economica. Questo
piano è volto allo sviluppo ed alla prosperità. E' un'opportunità storica che
non dobbiamo perdere."
Comunque, questo tipo di retorica non piace a molti beduini.
"Il problema del piano è che ci sradicherà tutti dalla nostra terra
ancestrale, per metterci nelle città più povere," dice al-Amour, leader beduino
di al-Sira.
"Stiamo per essere sradicati, per perdere le nostre tradizioni, la nostra
vita, la cultura ed i valori - andando in queste città - questa è l'antitesi del
nostro essere, come beduini. E' per questo che ci opponiamo al piano. Gli ebrei
hanno il diritto di scegliere dove vogliono vivere. Possono vivere in città, in
un villaggio, in un moshav, in un kibbutz. Ora i beduini dovrebbero vivere solo
in città. E' ridicolo, è incredibile."
Ridicolo forse, ma non incredibile. Difatti, molti beduini ed i loro
sostenitori dicono che il Piano Praver è soltanto la continuazione della
politica di stato portata avanti da decenni.
Nel 1963, l'allora ministro dell'agricoltura Moshe Dayan mostrava il suo
disprezzo per i beduini ed il loro modo di vita, dicendo ad Haaretz:
"Dobbiamo trasformare i beduini in lavoratori urbani... Significa che il
beduino non vivrà più sulla sua terra col suo gregge, ma si urbanizzerà,
tornerà a casa nel pomeriggio e si metterà le pantofole. I suoi figli si
abitueranno ad un padre che indossa pantaloni, senza un pugnale, che non si
spulcia in pubblico. Andranno a scuola con i capelli pettinati. Sarà una
rivoluzione, ma si può fare in due generazioni. Senza coercizione, ma con la
guida dello stato. La realtà è che i beduini spariranno."
Campagna in corso
Al-Amour è stato insegnante per 28 anni, ed è anche docente di sistemi
informatici di rete, ha un master in amministrazione dell'istruzione ed ha
appena terminato il secondo anno di studi in legge.
Dice ad Al Jazeera che continuerà a lottare per la sua comunità, senza
abbandonare mai il suo stile di vita nomade.
"Andrò a Ginevra per prendere parte alla riunione del Comitato ONU per i
Diritti Economici, Sociali e Culturali, e dopo a Berna, ed incontrerò dei
sostenitori a Losanna. Sarò sempre in movimento, per rappresentare la mia
comunità ed il mio popolo."
Difatti, lui - e migliaia come lui - hanno sostenitori in tutto il globo.
Doni Remba, di New York, ha detto che la discriminazione contro i beduini
deve finire.
"Se noi crediamo che Israele sia una democrazia, come pretende di essere, il
minimo che deve ai propri concittadini beduini è dar loro gli stessi diritti ed
opportunità dei cittadini ebrei."
"E' ciò che Israele promise nella sua dichiarazione d'indipendenza - di
sviluppare il paese per il beneficio di tutti i suoi abitanti... [il Piano
Praver] è una violazione dei principi democratici base israeliani, e del suo
impegno per l'eguaglianza - lo vedo come una violazione dei valori morali base
ebraici."
"Penso anche che sia estremamente negativo e che infiammerà le relazioni tra
ebrei ed arabi in Israele - e questo non può portare ad un buon finale."
Tornando all'Essex, una volta usciti da Dale Farm, gli ex residenti hanno
reso omaggio ai loro sostenitori e richiesta una solidarietà continuata con le
comunità viaggianti, dato che gli ufficiali giudiziari hanno continuato a
distruggere le loro case:
"Stanno facendo cose che non si immaginava potessero fare," dice un
residente di nome Clen. "Stanno sfasciando tutto, gli ufficiali giudiziari
stanno facendo un gran casino nel mezzo del sito. I residenti stanno
gridando. Ma se siete venuti a Dale Farm, siete venuti ad appoggiare una
causa, perché sapevate che quanto stava accadendo era sbagliato. Vi voglio
bene con tutto il cuore. Prima d'ora nessuno si era erto per i Traveller,
avete fatto la storia."
Conclude Pearl: "Voglio bene a qualsiasi attivista nel mondo, senza di loro
il mondo sarebbe un posto duro e malvagio."
Se mi si domanda di definire la prima generazione di immigrati, oserei dire
"silenziosa, invisibile e individualista per troppo tempo". Ne sono consapevole
che una tale definizione non susciterà troppe simpatie e consensi.
Sia per un po' d'orgoglio, sia perché come tutti gli umani, siamo più propensi a
gettare le colpe sempre sugli altri, in pochi condivideranno questa mia
opinione.
Essere schietti e leali, prima di tutto vuol dire esserlo con se stessi. Fare un
bel esame di coscienza individuale e generazionale non guasterebbe, anzi,
aiuterebbe ad uscire prima possibile da quel guscio in cui ci siamo rifugiati
dal momento in cui siamo approdati in questa terra, ancora succubi delle
condizioni socio-politiche che avevamo lasciato nei paesi d'origine.
Era ovvio che la paura e le diffidenze non ci avrebbero abbandonato subito.
Educarsi con la nozione e la realtà "Democrazia" non è fenomeno che si realizza
automaticamente appena metti piede in un paese democratico. È un processo lungo
e non sempre facile se non aiutato da politiche adeguate per l'integrazione. Ma
siamo arrivati in Italia, paese che storicamente va avanti a forza di decreti
legge per le emergenze..emergenza abusivismo, emergenza corruzione.
Persino emergenza mafia, anche se la mafia esiste da un bel po' di tempo ormai.
Sempre emergenza in vista. Così fu e ancora lo è con il fenomeno immigrazione.
L'emergenza albanesi che ha liberato i polacchi dal peso della definizione "il
male dell'Italia", passandoci la staffetta . Poi i jugo, (le popolazioni della
ex- Yugoslavia che scappavano dai feroci conflitti che stavano sprofondando la
penisola balcanica in una guerra senza fine) e poi e poi di nuovo gli albanesi,
i rumeni, cinesi, subsahariani nordafricani rom un'eterna emergenza.
Sono entrata in questo paese con la legge Martelli..e non mi si domandi se
ricordo tutte le leggi che si sono susseguite risponderei di no. Ho perso il
filo nella giungla di leggi e decreti speciali. Un immigrazione alquanto
selvaggia per il fatto che le politiche per l'integrazione erano totalmente
assenti. L'integrazione era questione di noi altri.
"Se vogliono, che s'integrino" - la frase più ricorrente che usciva come perla
di saggezza dai politici, i giornalisti, persino dal panettiere sotto casa.
L'integrazione, al massimo era una questione che dovevano risolvere le varie
associazioni e organizzazioni non governative.
Qualche spiraglio c'era in qualche realtà di amministrazioni locali, ma molto
fiacca per mancanza di mezzi e di conoscenza del fenomeno. E non ne parliamo
degli attacchi immediati provenienti dalla politica e dai media,rivolti ad una
nazionalità specifica, in caso che un membro di essa compiva un crimine, minore
o grave che fosse. Iniziava (e inizia ancora ),una campagna denigratoria senza
fine. A tal punto che la nazionalità in questione emetteva un sospiro di
sollievo in caso di altro crimine compiuto da italiani o da membri di
nazionalità diverse.
Incredibile, offensivo e fuori da ogni logica umana ma vero!!! Era l'unico modo
per salvarsi almeno per un po' da definizioni diffamatorie che toglievano le
forze Dopo aver detto tutto ciò, può nascere spontanea la domanda:- "Che c'entra
la prima generazione in questa situazione caotica?"
Penso che noi, cittadini di origine non italiana, dobbiamo riconoscere la nostra
colpa per la formazione e lo sviluppo di questo terreno fertile di attacchi a
più non posso dei media e della politica, specialmente nei momenti cruciali
della nazione. Un terreno fertile anche per un certo indifferentismo e apatia
nel trattare la questione Immigrazione come un problema, una questione scomoda
da prendere con le pinze.
La nostra colpa? Subire in silenzio per anni, cercando di proteggere noi stessi.
Subire in silenzio, non reagire in maniera organizzata rispondendo agli attacchi
in modo immediato e difendendo la parte sana, (che è anche la maggioranza) degli
immigrati che non ha niente a che fare con la delinquenza e le azioni lesive
verso la società. Aspettare che le cose cambiassero in positivo passivamente e
che questi cambiamenti arrivassero dagli altri come la mana del cielo, non
riconoscendo subito il nostro ruolo da veri cittadini di questa nazione e
permettere che fossimo trattati solo come braccia da lavoro Ecco, questo è in
parole povere la nostra colpa.
Subire e indignarci in silenzio, rischiando di ghettizzare persino l'anima,
senza reagire adeguatamente, basandosi sui mezzi che la democrazia ci concede.
La mancanza per molti lunghissimi anni dell'attività reale e organizzata,
appoggiando le lotte quotidiane di quella parte della società italiana che aveva
ed ha le stesse aspirazioni, gli stessi concreti ideali per una società
migliore, non era di certo la strada giusta per combattere l'inadeguatezza delle
politiche sull'immigrazione e integrazione, e per non permettere l'uso da parte
dei media dell'immigrato come il male che infetta questo paese. Per moltissimo
tempo abbiamo permesso passivamente di vedere buttarci addosso le colpe delle
vari momenti difficili della nazione, abbiamo permesso che l'integrazione sia
trattato come un problema e non come una strada da percorrere insieme. Abbiamo
aspettato troppo.
Abbiamo aspettato troppo per gridare BASTA!! con la nostra voce potente che è
ugualmente valida e ha la stessa forza di quella dei nostri compagni di viaggio
italiani, nella giusta strada del miglioramento e dello sviluppo di questa
società. Perché..perché spesso e volentieri abbiamo avuto
la percezione che questa società non ci apparteneva, e non appartenevamo ed
essa.
Sì, sono molto critica, prima di tutto verso me stessa e verso tutti noi, verso
il silenzio e la rassegnazione della cosiddetta prima generazione degli
immigrati. Troppi silenzi, testa nascosta nella sabbia come lo struzzo,
rassegnazione e paura di esprimersi.. Facile nascondersi dietro l'alibi delle
mancanze legislative ma noi proprio noi, cosa abbiamo fatto per rispondere
adeguatamente a queste mancanze? Parlo di una generazione, nella maggior parte
con un bagaglio culturale e d'istruzione molto alta rimasta nascosta per troppo
tempo.
Ci siamo ribellati..sì..è vero, ma una ribellione bisbigliata dentro le mura
delle proprie abitazioni, oppure spesso neanche bisbigliata ma solo soffocata.
Abbiamo mormorato BASTA solo dentro di noi, in silenzio, mettendo maschere
d'indifferenza e non abbiamo fatto i conti che, un giorno, i nostri silenzi
sarebbero caduti sulle spalle dei nostri figli.
Le parole del Presidente Napolitano sul diritto di cittadinanza per i ragazzi
nati e cresciuti in Italia ci rincuorano, ci danno ottimismo. Si parla dei
nostri ragazzi, di coloro che vengono definiti seconda generazione.
Ma di noi di noi che siamo i genitori, gli zii o semplicemente amici di
famiglia, non se ne parla. Quasi come se questa seconda generazione fosse nata
dal nulla. E questo nulla lo abbiamo creato anche noi, con la nostra
indifferenza, i nostri silenzi la nostra non partecipazione.
Abbiamo cercato di integrarsi con le nostre forze, con la nostra grande volontà.
Questo fatto ci fà onore. Abbiamo educato i nostri figli con dei principi sani,
occupandosi di dare a loro anche una giusta istruzione, pretendendo i risultati
massimi a scuola. Abbiamo cercato di vedere in loro il nostro riscatto per le
ingiustizie subite in tanti anni. E non ce ne siamo accorti che forse
l'ingiustizia più grande lo abbiamo fatto noi a se stessi, con i silenzi
prolungati nel tempo, con la rassegnazione, rischiando di diventare fantasmi
viventi.
Se domandi ancora oggi giorno un natìo italiano chi sono questi esponenti della
prima generazione, all'inizio lo vedrai pensarci su, e poi spesso ti
risponderà:- "Quelli che venivano in gommoni, in barconi semidistrutti.. Eh loro
portavano la droga, le donne per venderle in strada" e altre cose del genere.
Spesso lui ignora la presenza del muratore straniero che ha ristrutturato la sua
casa, la colf che gli ha cucinato il ragù meglio di una massaia emiliana, la
babysitter che gli ha cresciuto i figli con tanto amore, insegnando a loro a
scandire bene la parola "mamma" e a fare i primi passi verso quella cosa così
bella che si chiama vita.
Perché perché il muratore o la colf sentivano in silenzio i commenti che si
facevano nelle case su questi stranieri, (e non aggiungo le definizioni non
proprio simpatiche che accompagnavano il termine stranieri), su questi stranieri
che "vengono qua e dettarci legge e a rubarci il lavoro e i mariti ". In
silenzio e senza fiatare inghiottendo spesso le lacrime. Ecco il massimo della
ribellione di noi, la prima generazione. E in silenzio abbiamo costruite le case
nel paese d'origine, dove andiamo una volta all'anno e dove ci fermiamo sempre
di meno.
E ce ne siamo resi conto solo tardi, molto tardi che, la vera costruzione della
nostra vita noi lo facevamo lì dove producevamo ogni giorno, lì dove i nostri
figli crescevano e si formavano come persone e come cittadini in una società, la
quale ancora non se ne rendeva conto della nostra voce, della nostra esistenza,
del nostro contributo nello sviluppo della società stessa.
Ce ne siamo accorti molto tardi che stavamo diventando immigrati a tempo
indeterminato, rischiando che i nostri figli diventassero una seconda
generazione di immigrati a vita. Ci ha dovuto pensare il Presidente per dare una
scossa alle nostre coscienze che ormai si stavano svegliando dal letargo ma un
po' apatiche, ancora non trovano la strada giusta per attivarsi nella lotta
quotidiana per i diritti.
Per dirla tutta e all'onor del vero, negli ultimi 3-4 anni, la partecipazione
sempre più numerosa e sempre più attiva dei cittadini di origine non italiana
nelle varie manifestazioni, iniziative concrete, nelle lotte quotidiane dimostra
che finalmente il risveglio delle coscienze è una realtà. Abbiamo iniziato a
riconoscerci il ruolo importante di membri attivi di questa società.
Un tardivo risveglio?? Forse sì! Ma forse, forse proprio questo dà ancora più
forza alla nostra voce. Perché difendiamo il nostro diritto di essere trattati
alla pari nei doveri e nei diritti con i cittadini italiani. Così agendo,
facciamo comprendere alla società che questo paese lo rispettiamo, lo amiamo, lo
chiamiamo CASA. È la casa dei nostri figli e nipoti,la maggior parte dei quali
qui ci sono nati, crescono e maturano. E la casa la si difende e la si migliora
continuamente, investendo energie concrete, investendo il proprio lavoro, il
proprio sudore, la propria mente e la propria passione.
Ce ne ribelliamo più apertamente e in modo attivo verso le leggi discriminatorie
della Destra, (la legge Bossi-Fini, con il suo contenuto disumano è un ostacolo
quasi insormontabile per una vera e naturale integrazione), e ci rallegriamo per
l'attivazione concreta della Sinistra nel cercare di dare al fenomeno
immigrazione la dignità e l'attenzione che merita, senza abbassare la guardia e
il tenore degli sforzi quotidiani a questi intenti. Sto cercando di rimanere il
più possibile neutrale e razionale su questo punto, perché in queste mie
personali riflessioni non vorrei fare un'analisi politica né dell'una e né
dell'altra parte, anche se a chi mi conosce è noto il fatto su da che parte sto
per quanto riguarda lo sviluppo politico italiano. Non è stato mai un segreto e
ne sono consapevole delle mie scelte e le mie convinzioni.
Ma, anche dalla parte politica che io stessa appoggio, c'è una certa falla per
quanto riguarda la prima generazione. Forse il mio è un richiamo a noi e proprio
a loro. Siamo dei quarantenni, con delle risorse ancora inesplorate e non messe
alla disposizione.
Abbiamo un mondo ricco dentro di noi, che si può sfruttare in tutti i campi. Il
futuro è dei nostri figli, dei giovani ma noi esistiamo in questo presente.
Esistiamo e viviamo non siamo dei vegetali.
Abbiamo molto da dare prima di tutto la nostra energia e il nostro sapere, la
nostra esperienza inestimabile. Abbiamo coscienza e per di più siamo degli
adulti che come dovere primario conosciamo il ruolo di guida per i nostri
ragazzi. Non siamo solo una definizione di un aspetto dell'immigrazione, siamo
attivi. Non scordate la nostra presenza, perché siamo proprio noi le radici di
questa seconda generazione.
Ci siamo!!! E vogliamo che si riconosca il nostro ruolo attivo in questa
società, in tutti i campi per preparare un terreno fertile per la crescita e lo
sviluppo delle nuove generazioni. Rendiamo attiva questa prima generazione,
rendiamola utile proprio ora che la sua coscienza è risvegliata. Perché si è
lasciata ed è stata lasciata per troppo tempo in disparte per ragioni sopra
menzionate. Sennò rischiamo di vedere una seconda generazione riconosciuta come
cittadini in tutti gli effetti, che come radice ha una generazione ghettizzata.
L'esempio dei ragazzi di origine nord-africana di cittadinanza francese che
fischiano l'inno nazionale, ci deve fare riflettere. Già il mondo lavorativo
tratta i quarantenni e i cinquantenni come peso morto Che la politica non faccia
lo stesso errore!!!
Chiudo queste riflessioni personali, prendendo spunto da due passaggi che
citerò:
1. "Ho provato ad affermare un principio: l’integrazione non riguarda gli altri.
Riguarda noi, tutti. Noi tutti che condividiamo il destino di vivere nello
stesso spazio e nello stesso tempo. Indipendentemente da dove siamo nati, in
quale lingua sogniamo, quale sia il nostro credo religioso, il nostro
orientamento sessuale, la nostra età, il nostro genere o la nostra condizione
sociale ed economica. Noi che usiamo gli stessi mezzi pubblici, le stesse
piazze, gli stessi luoghi di lavoro, gli stessi giardinetti dove giocano i
nostri figli
2. Lavoriamo perché l'Italia sia un paese per tutti, per i bimbi e per i loro
genitori, qualsiasi sia la loro origine.
Visti così, sembrano i passaggi dello stesso discorso, della stessa persona.
Invece appartengono a momenti diversi e a persone diverse. Il primo è di Ilda
Curti, Assessore delle Politiche per l'Integrazione di Torino. E il secondo
appartiene a Marco Pacciotti, Coordinatore Nazionale del Forum Immigrazione PD,
in un intervento congiunto con Piero Ruzzante, Vicepresidente della Commissione
Bilancio di Regione Veneto.
Comunque la si pensi dal punto di vista politico, si può trarre la conclusione
che, la società che vogliamo è proprio questa, dove c'è un posto e un ruolo per
tutti, e dove la politica mette in centro del suo lavoro il cittadino.
Noi, di prima generazione lo siamo!!! E vogliamo riconoscere e vedere
riconosciuto il nostro ruolo nella società e nello sviluppo di essa. Ne vale il
nostro presente e il futuro delle generazioni che verranno.
Esmeralda Tyli Ha studiato "Letteratura
italiana" presso l’Università di Tirana
Di Fabrizio (del 20/12/2011 @ 09:28:01, in Kumpanija, visitato 1465 volte)
Dopo i recenti avvenimenti che hanno coinvolto i Rom che abitano nella Cascina
Continassa di Torino, occorre aiutare e supportare in questo tragico momento le
famiglie che hanno perso l'unica casa che conoscevano.
Superata la prima emergenza, è prioritario ridare dignità e speranza a uomini,
donne e bambini che, in pochi istanti, hanno visto andare a fuoco tutta la loro
vita e che ora si trovano ad affrontare il freddo e la disperazione di non avere
più niente.
Di grande aiuto sono stati, in questi primi giorni, coloro che hanno portato la
loro solidarietà e che hanno contribuito a migliorare le condizioni materiali in
cui si sono ritrovate a sopravvivere le vittime dell'attacco razzista: le
associazioni di volontariato, le autorità politiche e religiose, i funzionari
pubblici e, soprattutto, i tantissimi cittadini fra i quali molti residenti nel
quartiere da cui si è mosso il corteo che ha assaltato il campo nomadi.
Adesso è però necessario dare un indirizzo alla spontanea solidarietà dei tanti
che ancora vorrebbero manifestare concretamente la loro solidarietà.
Le famiglie rimaste nella cascina hanno una enorme, principale, necessità:
un'ABITAZIONE VERA nella quale poter vivere dignitosamente.
Per questo motivo facciamo un appello ai cittadini, alle associazioni, agli enti
religiosi e alle istituzioni affinché si adoperino per l'unica vera soluzione
alla gran parte dei problemi innescati dalla presenza di campi nomadi nelle
città: un'abitazione per le poche famiglie costrette a restare nel luogo in cui
sono state aggredite e messe in pericolo di vita.
Si tratta di 3 famiglie, 7 persone in tutto, quelle che hanno finora trovato il
coraggio di rivolgersi alla Magistratura per ottenere quella giustizia che gli
aggressori hanno tentato d'oltraggiare durante il linciaggio.
Chi vuole dare il suo sostegno può:
mettere a disposizione locali per l'ospitalità delle famiglie;
offrire un lavoro;
versare un contributo economico al Centro Studi Sereno Regis di Torino
specificando la causale AIUTO FAMIGLIE ROM INCENDIO CONTINASSA:
con bonifico sul conto corrente postale 23135106 intestato a Centro Studi Sereno
Regis – via Garibaldi 13 – 10122 Torino - IBAN IT 67 G 076 0101 0000 0002 3135
106
con vaglia postale
in contanti presso la segreteria del Centro Studi (sarà rilasciata ricevuta)
I fondi raccolti saranno consegnati direttamente alle famiglie per provvedere
alle necessità materiali e alle spese per le abitazioni che speriamo di poter
reperire. Sarà data completa trasparenza alla gestione dei contributi.
Disclaimer - agg. 17/8/04 Potete
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