Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 08/01/2006 @ 17:46:18, in Europa, visitato 1935 volte)
Ricevo e porto a conoscenza:
Dichiarazione al New York Times sottoscritta da otto sopravissuti omosessuali ai campi di sterminio: sono passati 10 anni da allora ma il velo di silenzio permane nella maggior parte dei media borghesi.
50 anni fa venimmo liberati dalle truppe alleate, dai campi di concentramento e di prigionia nazionalsocialisti. Ma il mondo che avevamo sperato non si avverò. Dovemmo perciò nasconderci e ci esponemmo a nuove persecuzioni. Il paragrafo 175 del 1935, antiomosessuale, rimase valido fino al 1969; le retate non erano una rarità. Alcuni di noi – liberati dai campi – furono condannati di nuovo a lunghe pene detentive.
Sebbene alcuni sopravvissuti tentassero di sostenere fino alla Corte federale il nostro riconoscimento come perseguitati dal regime nazista, non fummo però riconosciuti come tali e venimmo esclusi dal risarcimento economico a favore delle vittime del nazionalsocialismo. E il sostegno nazionale e la solidarietà dell’opinione pubblica non esistevano per noi. Nessun nazista delle SS è mai stato ritenuto responsabile in tribunale per l’omocidio di un omosessuale. Ma i primi appartenenti alle SS ricevono oggi per il loro “lavoro” una pensione, mentre a noi non vengono riconosciuti gli anni dei campi e così non vengono calcolati per la pensione.
Ora siamo troppi vecchi e stanchi per lottare per il riconoscimento del torto che ci è stato inflitto. Molti di noi non osano parlare di ciò. Molti di noi sono morti soltanto con ricordi pieni di tormento. Abbiamo inteso a lungo ma invano un chiaro gesto politico ed economico del governo tedesco e della Corte federale.
La nostra persecuzione è appena oggi menzionata nelle scuole e nelle università. Anche nei musei e nei luoghi di commemorazione qualche volta non veniamo neppure nominati come gruppo perseguitato.
Oggi, cinquant’anni dopo, ci rivolgiamo alla giovane generazione e a tutti coloro che non si vogliono fare guidare dall’odio e dai pregiudizi. Ci diano una mano a difenderci da una memoria della persecuzione degli omosessuali da parte dei nazisti ancor sempre incompleta e viziata da pregiudizi. Non fateci mai dimenticare, così come agli ebrei, zingari, testimoni di Geova, massoni, disabili, prigionieri di guerra russi e polacchi, omosessuali e a molti altri, i torti subiti. Fate che noi si impari dalla Storia e la generazione più giovane di donne e uomini omosessuali sostenga così le ragazze e i ragazzi a condurre la loro vita, con dignità e rispetto, insieme ai loro partner, amici e famiglie. Senza memoria non c’è futuro
(tratto da “Le ragioni di un silenzio”, a cura del Circolo Pink, Ombre corte)
Ecumenici
Leonhard Ragaz
http://ecumenici.altervista.org/html/
Un giorno il Lagerfuehrer mi chiese: “Senti frocio d’un kapò, sei già stato castrato?”
“No signor Lagerfuehrer”
“E non vuoi provvedere?”
“Signor Lagerfuehrer, voglio uscire di qui come come quando sono entrato”.
“Tu e tutta questa marmaglia di froci non tornerete mai a casa”, disse con tono stizzito.
Di Heinz Heger “Gli uomini col triangolo rosa”, edizioni Sonda, Torino
Invito
VENERDI 13 GENNAIO 2006- ore 16-19
SALA DEL CARROCCIO
(Palazzo Senatorio- CAMPIDOGLIO)
L’Assessore all’Ambiente del Comune di Roma
On. Dario ESPOSITO
PRESENTA
il libro di Giorgio Giannini
IL GIORNO DELLA MEMORIA
Edizioni Associate-Roma 2005
Intervengono :
- Prof. Antonello BIAGINI, Direttore del Dipartimento di Storia Contemporanea della Facoltà di LETTERE dell’Università “La Sapienza” di Roma;
- Massimo CONSOLI, giornalista e scrittore, autore del libro “Homocaust”, Kaos Edizioni, Milano 1991;
- Dott. Massimo CONVERSO, Presidente dell’OPERA NOMADI
Sarà presente l’Editore
Recensione di Homocaust
IL RUOLO DELL'IGNORANZA NELLA TRAGEDIA GAY
DURANTE IL NAZISMO
di Teresio Zaninetti
"Homocaust" - che porta debitamente scritto, come sottotitolo, "il nazismo e la persecuzione degli omosessuali" - è il libro con cui l'autore, Massimo Consoli, attivista e fondatore del movimento gay in Italia, con un'indagine accurata e documenti di prim'ordine, quanto mai precisi anche nei minimi dettagli, mette finalmente a fuoco ciò che è stato per troppi anni volutamente ignorato, eclissato, o anche soltanto mantenuto a debita distanza (in modo, forse, da non alterare i già compromessi equilibri del dopo-tragedia) su quanto sia stato enorme il ruolo dell'ignoranza - ma soprattutto quanto abbia potuto influire e pesare il pregiudizio a favore dell'ipocrisia- in merito alle tendenze omosessuali di Hitler e di quasi tutta la più alta gerarchia nazista. Ignoranza, pregiudizio, ipocrisia - pilastri, appunto, che hanno permesso ai nazisti di ascendere in una parabola pressoché unica nella storia -, i quali hanno infatti reso possibile lo sterminio non soltanto nel popolo ebreo, nei campi di concentramento appositamente creati allo scopo di punire o "rieducare" il diverso, ma anche da una grande massa di gay, cioè di centinaia di migliaia di "triangoli rosa" perseguitati e spogliati d'ogni forza psicologica e fisica fino alla morte esiziale - quando non venivano prima castrati, in rispetto delle cosiddette "cure" rieducative himmleriane - nei vari lager che furono addirittura l'orgoglio della coatta quanto stupida ferocia nazista.
Consoli costruisce in effetti il suo libro passando, punto per punto, i momenti essenziali dell'ascesa del Terzo Reich con il dito puntato sugli eventi cruciali, i quali si susseguirono senza sosta in un drammatico incalzare degno d'un thrilling né totalmente classico, né totalmente kitsch.
I quindici capitoli del volume che è suddiviso in tre parti e contiene una notevole appendice fotografica (da pag. 225 a pag. 275, con le foto di von Schirach, Ernst Röhm, Karl Ernst, Hitler, Göring, Hedmund Heines, Albert Forster, Gerhard Rossbach, Erich Ludendoff, il poeta omosessuale Stefan George, Heinrich Müller, Werner von Fritsch, Rudolph Hess e quella, fra le altre, del monumento di Berlino alle vittime omosessuali del nazismo) si snodano secondo un itinerario che si avverte preordinato con puntigliosa e anche scrupolosa attenzione. I titoli dei capitoli sono emblematici e, in un certo senso, didascalici, di modo che nulla possa essere abbandonato al caso ma, anzi, venga costantemente sottolineato e collocato in una ideale quanto esatta posizione cronologica: "Dagli zar ai bolscevichi", "La "Sturm Abteilungen", "Uccelli Migratori", "La gaiezza hitleriana' "L'iniziale tolleranza", "L'acqua Santa e il Diavolo", per la prima parte; "L'Articolo 175", "Omosessualità come arma di lotta politica", "Il Macellaio di Hannover", "L'ondata repressiva", "Il caso von Fritsch ", "La 'Notte dei Cristalli", per la seconda parte. Sostanziosa e nutrita, in particolare, la parte bibliografica, anch'essa testimonianza evidente di una ricerca fondamentalmente precisa e rigorosa.
Cio' che tuttavia emerge con maggiore spessore, prendendo corpo man mano che si procede nella lettura e nella conoscenza dei fatti specifici, è proprio, come s'era accennato, il valore che il ruolo dell'ignoranza, dell'ipocrisia e del pregiudizio ha avuto nel formarsi e nel trascinarsi del destino tragico e brutale del Terzo Reich. Senza alcuna ombra di dubbio, c'è una parte del libro che dà l'impressione di riassumere in se tutte quante le caratteristiche dell'ideologia nazista e del suo costante delirio.
Basterebbe infatti dare, per questo, una sia pur rapida lettura al discorso "segreto" di Heinrich Himmler, che egli tenne il 17-18 febbraio 1937 ai generali delle SS circa i "pericoli razziali e biologici dell'omosessualità"
- "Cari generali.." è il titolo di una delle tre appendici ("Hess, l'omosessualità e il Terzo Reich", "Zoroastro, Vecchio e Nuovo Testamento" sono i titoli delle altre due) del volume di Consoli , pubblicata a pagina 191 e comprensiva di una nota che subito mette l'accento sulle incongruità del discorso stesso: "Com'era costume di Himmler - scrive l'autore del libro -, questo suo sermone era infarcito di bugie, errori, falsi storici, ignoranza e grettezza. Già all'inizio c'era la prima menzogna ("Nel 1933, quando abbiamo preso il potere, abbiamo scoperto l'esistenza delle associazioni omosessuali": così in effetti, ha inizio il testo himmleriano in questione, n.d.r.): il Partito Nazista conosceva talmente bene le associazioni omosessuali tedesche - prosegue Consoli - che fin dalla sua nascita, attraverso il 'Völkischer Beobachter', seguiva costantemente Magnus Hirschfeld (direttore dell'Istituto per le Scienze Sessuali di Berlino interamente bruciato dai nazisti, e fondatore del Comitato Scientifico Umanitario, n.d.r.) per poterlo attaccare e additare al pubblico disprezzo" -. Basterebbe, si diceva, una solo, anche veloce lettura di questo suo testo per accorgersi immediatamente della falsa ingenuità e della pseudo-cultura con cui tutta quanta la stessa "cultura" nazista, se così vogliamo chiamarla, veniva via via infarcendosi ed impregnandosi. "Se ammetto - dichiarava Himmler ad un certo punto del suo discorso - che ci sono da uno a due milioni di omosessuali, vuol dire che il 7 oppure l'8 o addirittura il 10 per cento degli uomini sono omosessuali. E se la situazione non cambia, il nostro popolo sarà annientato da questa malattia contagiosa. A lungo termine nessun popolo potrebbe resistere a un tale sconvolgimento della propria vita e del proprio equilibrio sessuale". In primo luogo: se "addirittura" i1 10 per cento degli uomini "sono omosessuali" come è possibile parlare di una "malattia contagiosa"? In secondo luogo - si ha modo di vederlo con chiarezza, questo, nel capitolo quattordicesimo, che ha inizio a pagina 171 - le stesse cosiddette "cure" himmleriane per guarire gli omosessuali, effettuate da vari medici in vari campi di concentramento, oltre che rivelarsi del tutto inefficienti allo scopo, hanno avuto effetti disastrosi e quasi tutti mortali: segno che la strada era non solo sbagliata, ma addirittura assurda se non, più propriamente ridicola. Ma tant'è. Con ostinazione e pervicacia, Himmler proseguiva: "...non è solo la loro vita privata: il dominio sessuale può essere sinonimo di vita o di morte per un popolo, di egemonia mondiale o di riduzione della nostra importanza ai livelli della Svizzera". D'altra parte Hitler stesso non si preoccupava chi in misura irrilevante, e solo se necessario, di questo aspetto sociale, preso com'era dai suoi disegni di egemonia mondiale del nazismo. Himmler, imperterrito, conduce la propria battaglia senza tentennamenti, ben sicuro che una cosa può avvenire soltanto debellando l'altra, oppure portandosi appresso e la stessa cancrena e lo stesso problema irrisolto. E quindi ancora, e quindi ancora maggiormente esemplificativo della fermentante ipocrisia di cui egli si fa massimo interprete, accusa: "Il consigliere ministeriale "X" è omosessuale e cerca tra i suoi assessori un consigliere governativo. Però lui non segue il principio del rendimento. Non sceglierà il miglior giurista. Non dirà nemmeno: "L'assessore tal dei tali non è certamente il giurista migliore però ha buone votazioni, ha pratica e, quello che più conta, sembra essere di buona razza e avere una giusta concezione del mondo". No. Non sceglie un assessore qualificato, né di bella presenza. Sceglie quello che é anche omosessuale. Questa gente è capace di riconoscersi da un angolo all'altro della stanza. (...) Se voi trovate un uomo che ha questa inclinazione in qualunque posto e con un potere di decisione potete essere sicuri di trovare intorno a lui tre, quattro, otto, dieci persone o addirittura di più, tutte con la stessa inclinazione. (...) Quindi l'omosessualità fa fallire ogni rendimento, ogni .sistema basato sul rendimento; essa distrugge lo Stato nelle sue fondamenta". Parole sacrosante le sue, bisogna ammetterlo, poiché espresse senza dubbio con piena cognizione di causa.
Tant'è vero che, nella nota relativa redatta da Consoli , troviamo quest'altra significativa ed esauriente spiegazione: "La teoria himmleriana relativa agli omosessuali che fanno carriera grazie alle loro inclinazioni, e non ai meriti acquisiti, ampiamente esposta in questo discorso e in numerose altre occasioni sia prima che dopo il febbraio 1937, sembra piuttosto riflettere una problematica personale dello stesso Himmler, il quale era fisicamente ripugnante. I tratti del suo volto erano l'antitesi della tanto decantata "bellezza ariana", il che induce a ipotizzare che non sia mai stato richiesto quale partner sessuale da alcuno dei capi omosessuali delle SA o del NSDAP. Himmler era nazi apertamente detestato da personaggi quali Röhm, Heines e Ernst i quali - almeno secondo lo stesso Himmler - erano circondati da giovani dei quali favorivano la carriera grazie alle loro prestazioni erotiche. Himmler si considerava uno dei pochi, se non il solo tra i gerarchi nazisti, che doveva la sua posizione esclusivamente ai propri meriti e alle proprie capacità".
La "problematica" himmleriana e, d'altra parte, sicuramente "personale" in quanto nient'affatto in sintonia neppure con le più manifeste dichiarazioni hitleriane.
Ma questi, almeno privatamente, sapeva di potersi servire degli omosessuali in maniera quasi del tutto sicura; consapevole della loro arguzia e intelligenza, egli sapeva volgere a proprio favore qualsiasi circostanza - anche dietro opportuno suggerimento altrui - e sfruttare il momento opportuno per asservire un gay, o qualcuno con essi compromesso, oppure per liberarsi di lui - dopo averne sfruttato i servizi - senza alcuna remora o tanto meno scrupolo.
Gli stessi avvenimenti, che nel libro di Consoli sono assai più che eloquenti, rivelano pienamente questo aspetto strategico della personalità di Hitler il quale, molto presto, aveva d'altro canto imparato a conoscere la realtà omosessuale - il dottor Edward Bloch, medico di famiglia, rivelerà il "peccato sessuale" del dodicenne Adolf e l'amico d'infanzia August Kubizek pubblicherà, molto più in là con gli anni, un libro sui suoi rapporti omosessuali con il futuro Führer- fino a farla divenire una costante nel suo muoversi all'interno del Potere. L'ignoranza di Himmler, che è similare a quella stessa della gerarchia nazista, viene fuori tutta intera proprio da questo suo esemplare discorso, anche là dove, per fare un paio di esempi, il suo riferimento all'"Urningo" risulta storicamente inesatto e là dove all'omosessuale contrappone il "puro" animale - sappiamo ormai che persino il moscerino ha rapporti omosessuali e che tutta la specie animale ne ha. Né appare pedagogicamente, né psicologicamente adeguato ciò che egli viene quindi affermando a proposito dei metodi di "cura" dell'omosessualità. "Non ci dobbiamo illudere - egli afferma - Trascinare gli omosessuali davanti a un tribunale e farli internare, non risolve il problema. Quando esce dal carcere, l'omosessuale è tanto omosessuale quanto lo era prima. Quindi il problema rimane invariato. E' risolto, invece, nella misura in cui questo vizio viene stigmatizzato, mentre prima non lo era. Prima, durante e dopo la guerra, c'erano delle leggi su questo fatto, ma non succedeva niente".
Egli viene perciò elaborando, e mettendo e facendo mettere in pratica un modo alquanto perverso e degenere, in grado, anziché di debellarlo, di far pervertire e degenerare, attraverso la fobia e la persecuzione - un metodo che ricorda, fra l'altro, il celebre caso Schreber -, ciò che è in realtà un istinto innato e perciò naturale. Al punto che lui stesso, nelle circonvoluzioni del suo pensiero, arriva, e diremmo inevitabilmente, a dichiarare: "Noi mascolinizziamo le donne in tal modo che, a lungo andare, la differenza sessuale, le polarità, spariscono. Da questo momento in poi, non è molto lontana la via che conduce all'omosessualità. (...) noi mascolinizziamo troppo tutta la nostra vita. E mascolinizziamo troppo anche la nostra gioventù (...). E' catastrofico per un Paese che i ragazzi si vergognino delle loro madri o delle loro sorelle, oppure che siano costretti ad avere vergogna delle donne".
L'arguzia himmleriana - che peraltro è pari alla sua intrinseca perversione e degenerazione - è tuttavia, qui, innegabile; sebbene appaia lastricata di paradossali e grottesche contraddizioni che, come abbiamo fatto notare più sopra, sono peraltro inevitabili trattandosi, appunto, di dover discutere contemporaneamente su vari livelli che sono, di per se stessi, sì intraprendenti ma anche, spesso, inconciliabili con l'ottica ufficiale e ufficializzata del Potere nazista. Paradossale appare anche quest'altra successiva affermazione: "Conosco molto bene la storia del Cristianesimo a Roma, e ciò mi permette di giustificare la mia opinione. Sono convinto che gli imperatori romani, che hanno sterminato i primi cristiani, hanno agito esattamente come noi con i comunisti. A quell'epoca - egli prosegue - i cristiani erano la peggior feccia delle grandi città, i peggiori ebrei, i peggiori bolscevichi che vi possiate immaginare".
Appare del tutto scontato che, di questo passo e di conseguenza, la donna e il matrimonio non fossero, per essi, nient'altro che un "mezzo per sfuggire alla fornicazione", mentre i bambini non erano altro che un "male necessario". Una concezione davvero assai... aperta, cioè, nei riguardi della problematica sessuale, della mascolinizzazione o della femminilizzazione di cui lui stesso si lamenta e, infine, a proposito dell'etica riguardante gli aspetti più esistenziali del vivere. Le teorie di Himmler rimangono comunque, nella propria logica perversa, un caposaldo con la propria assurda, quanto stupida "concezione del mondo".
Si è ritenuto opportuno indugiare sul discorso di Himmler proprio perché in esso ci sembra sia contenuto il meglio della concezione nazista sul mondo e sul modo di governare e dirigere un popolo. In Himmler - che è, in effetti, una figura-prototipo del potere nazista- convergono e si assommano insieme tutte le degenerazioni, le incongruenze, le falsità, le ipocrisie e le ferocie che, con l'ignoranza, ne costituiscono l'ossatura portante. Il libro di Consoli - "Homocaust" - ci mette al corrente di questi piccoli-grandi fatti, che erano per cosi dire all'ordine del giorno, attraverso capitoli esaustivi ed inoppugnabili, tanto vengono a rivelarsi densi di documentazioni e di oculatezza critica anche nel porgere i fatti che sembrerebbero di minor rilievo.
La disamina di Massimo Consoli si basa, sostanzialmente, proprio sulla vastissima mole di documenti che egli si ritrova, disponibili fra le mani - Consoli , non si dimentichi, oltre ad essere giornalista e scrittore, ha organizzato il, più "esteso e prestigioso archivio di storia dell'omosessualità". La premessa, l'introduzione, la parte propriamente cronologica che permette di assimilare i singoli fatti con l'evolversi del potere nazista - "Adolf Hitler e il Terzo Reich" è, appunto, un ulteriore introduzione che precede la prima parte di "Homocaust" -, il concatenato succedersi dei successivi capitoli dimostrano la coordinazione di una struttura saggistica di tutto rispetto. Tesa a far parlare i fatti anche attraverso le cifre e le tabelle e, più in particolare, attraverso gli stessi personaggi che li costellano in qualità di protagonisti, maggiori o minori che siano, in una delle pagine più roventi della storia di tutti i tempi.
Massimo Consoli: "Homocaust", Ed. Kaos, Milano 1991, pp. 280
Per gentile segnalazione di Massimo Consoli (tratto da Jeronimus, Fuori del Sole Nero - Logos, N° 7, Maggio-Agosto 1996)
|
Pubblichiamo integralmente il RAPPORTO DI ALVARO GIL-ROBLES, COMMISSARIO PER I DIRITTI UMANI DEL CONSIGLIO D'EUROPA, SULLA SITUAZIONE DEI ROM E DEI SINTI IN ITALIA DOPO LA SUA VISITA DEL GIUGNO 2005 Strasburgo, 14 dicembre 2005
Nel 1999 è stata adottata la legge sulla tutela delle minoranze linguistiche storiche. La legge, in attuazione dell’articolo 6 della...
continua
Rif: Casa, lavoro, sanità, istruzione, sicurezza: diritti mancati per 3 milioni di europei appartenenti alle minoranze Rom, Sinti, Karakhané, Daxikhané, Manus, Gitani, Gypsies, Rudari, Travellers. L'analisi del Commissario Ue Gil-Robles
Di Fabrizio (del 31/12/2005 @ 04:30:35, in Europa, visitato 2716 volte)
22 Dicembre 2005
(articolo originale)
|
Communications Team
Town Hall
Peterborough
PE1 1HG
|
PETERBOROUGH CYTY COUNCIL
|
PHOTOCALL: SUNDAY 1 JANUARY 2006 AT 1 PM
HORSE FAIR MEADOW, PETERBOROUGH UNITED GROUND, LONDON ROAD, PETERBOROUGH
|
Telephone: 01733 452304
Facsimile: 01733 452369
Email: mike.lennox@peterborough.gov.uk
Our Ref: 05/12/ML
|
Attesi in centinaia alla Fiera Equestre di Capodanno a Peterborough
Sono attesi in oltre 1.000 alla tradizionale fiera equestre di Fair Meadow, accanto al campo di calcio. La fiera si terrà a Capodanno dalle ore 9.00 sino alle 16.00. Sono attesi visitatori dall'Irlanda, da Nottingham, Leeds, Londra e forse dall'America.
La fiera organizzata dal comune di Peterborough, da Cambridgeshire Constabulary ae Peterborough United, includerà vendita di cibi tradizionali e di artigianato. I Nomadi e Viaggianti che risiedono nell'area della fiera, stanno collaborando all'organizzazione, e per l'occasione hanno sgomberato il parcheggio da loro occupato, accordandosi con il comune per rimborsare il mancato ingresso delle tariffe di parcheggio.
Mike Heat, per il consiglio comunale, afferma: “Abbiamo lavorato con Nomadi e Viaggianti per assicurare il successo dell'iniziativa. E' la dimostrazione dell'impegno del comune nel valorizzare le differenze delle varie comunità, attraverso la loro cultura tradizionale.”
Organiser: Jack Cunningham Telephone: 07850 942601
Ends.
Media Contact: Mike Lennox, Media Relations Manager on (01733) 452304.
Note to editors
You are invited to send a photographer/film crew and/or a journalist to cover the horse fair at Horse Fair Meadow alongside Peterborough United football ground on Sunday 1 January 2006. Best time for photographs/film is 1 pm when organiser Jack Cunningham will be available.
segnalazione da British_Roma
Di Fabrizio (del 30/12/2005 @ 05:09:40, in Europa, visitato 3733 volte)
Con la caduta del comunismo, Antal Kovacs smise le scarpe da ballerino e divenne uno dei più ammirati cantanti Romani di Ungheria.
La sua banda stava programmando un nuovo disco, quando perse la sua voce solista. Le condizioni di Antal Kovacs erano rapidnmente peggiorate, dopo che gli era stato diagnosticato un cancro al fegato. Morì il 2 luglio, due settimane dopo la scoperta della sua malattia.
I componenti del suo gruppo, Romano Drom, e la famiglia di Kovacs dicono che il trattamento medico è stato umiliante e negligente: “Poveretto, cercava di parlare o di piangere, ma non riusciva. Per due settimane non ha avuto liquidi e così non riusciva più a muoversi,” dice suo figlio Antal Jr.
Mentre suo padre giaceva disteso, Kovacs Jr. si sentì dire da un dottore: “Andiamocene di qui, ragazzo mio. Guarda, tuo padre sta morendo. Basta perdere tempo!” Ma Romano Drom, la banda creata da suo padre, intende continuare. “Onoreremo la sua memoria. I nostri concerti inizieranno con una registrazione di una canzone che lui cantava sempre.”
PORTARE AVANTI LA TRADIZIONE
Antal Kovacs, soprannominato Gojma, era universalmente conosciuto come una star della musica e della danza ungherese gitana. Per gran parte della sua vita, aveva praticato il piccolo commercio ereditato dalla famiglia, come molti suoi vicini del quartiere di Kispest, uno dei più poveri di Budapest.
Kovacs era nato nel 1951 da una rispettabile famiglia di Kispest. Erano onorati tra i locali non solo per le loro condizioni economiche, ma anche perché lavoravano duro. La sua famiglia era una delle più rispettate. Erano collar, che esercitavano il commercio ambulante, una tradizione di secoli che perdura tuttora.
Dopo una vita nel commercio, Kovacs ebbe l'opportunità di dedicare più tempo alla passione per la musica. In questo settore, i ragazzi iniziano verso i 14/15 anni, quando sono considerati pronti per sposarsi e devono guadagnarsi da vivere. Invece il giovane Antal girava l'Ungheria con una borsa sulle spalle, vendendo coperte, profumi e altri prodotti. Un altro di questi commercianti itineranti, così ricorda oggi il coetaneo Antal: “Era amichevole e la gente gli dava fiducia per ogni cosa che diceva. Non si è mai fatto un problema dell'essere Zingaro.”
Antal girava per affari anche all'estero, soprattutto in Germania. Suo figlio si ricorda di quando negli anni '70, Antal assieme ad altri Rom venne fatto scendere a forza dal treno al confino austro-ungherese. La polizia confiscò loro la merce e li rispediì indietro con un altro treno. “Mio padre aveva investito tutto” ricorda Kovacs Jr. “Perdemmo tutto e dovemmo ripartire da zero. Ma mio padre non ci faceva caso. Diceva che la vita è così.”
Nei ricordi famigliari, Antal Kovacs era un bontempone, sempre pronto allo scherzo. Qualche volta, il suo ottimismo lo metteva nei pasticci. Ricorda ancora suo figlio: “Non era facile con mio padre. Gli piaceva giocare a carte, come a molti Zingari, ma non era particolarmente abile. Si giocò la fortuna dei suoi genitori e dovemmo traslocare in un piccolo appartamento.”
Ma Antal Sr. aveva un'abilità: i suoi piedi sembravano leggerissimi. Tutti in famiglia, soprattutto suo padre, erano conosciuti come ballerini. Quel tipo di ballo è originario di Szatmar, una regione ricca di radici folcloristiche nell'Ungheria nord orientale. I danzatori partono da un ritmo più lento di quello tipico delle tradizioni Rom. Tipico degli uomini è battere i piedi per terra durante il ballo. Quelli che si ricordano di Antal, lo descrivono come maestro di quel tipo di ballo, che trasmetteva emozioni e sentimenti con i sui movimenti.
|
ANTAL KOVACS SR.
|
FUORI DALLA “MAHALLA”
Il personale percorso di Kovacs da commerciante itinerante a ballerino e poi leader di un gruppo musicale, è stato percorso da diversi Rom di talento dell'Ungheria post 1989.
Mentre le istituzioni tra il 1980 e il 1990 iniziavano un lungo processo di scioglimento, i primi attivisti Rom si rendevano conto che sino allora le loro tradizioni culturali erano state tramandate da padre in figlio e che c'era la necessità di affiancare questa trasmissione a un diverso profilo e con progetti culturali. Sorsero gruppi di ballo, bande musicali, laboratori artigiani,allo scopo di trovare sbocchi nel mercato dove stavano affacciandosi i primi dollari, o invece cercare un proprio ruolo nel terzo settore.
Kovacs e la sua famiglia vivevano allora a Rakospalota, un quartiere della capitale che ospitava circa 5.000 Rom. Negli anni '90 i Rom di lì si diedero da fare negli affari comunitari, aprendo corsi per l'infanzia su musica e danza, e aprendo un centro comunitario. Antal Kovacs Jr. si coinvolse, assieme a suo padre.
Racconta Kovacs Jr. “Ho iniziato a fare musica da bambino, e mio padre mi accompagna al centro comunitario.” Lì e in altri locali simili si sono formati gli Ando Drom, il primo gruppo di suo padre.
“Quando un ballerino ascolta la musica, ha bisogno tanto di danzare che di cantare, è così che Antal scoprì di essere anche un grande cantante. Divenne la voce solista del gruppo. Non suonava strumenti, di quando in quando si accompagnava battendo tra loro due cucchiai, per divertimento” ricorda suo figlio.
UNA VOCE NERVOSA E BIRICHINA
Ando Drom – "sulla strada" – divenne presto un hit,e per Antal Kovacs si aprì una nuova carriera. Le sue prime esibizioni stupirono i suoi amici, che si ricordavano che da commerciante prendeva in giro i musicisti, perché per lui fare soldi con la musica era un'attività frivola. Il suo gruppo, a differenza dei Romungro che sono la comunità rom più estesa in Ungheria, non aveva tradizione nello spettacolo. Ando Drom fu qualcosa fuori dal comune, ma il suo successo e l'influenza in Ungheria e all'estero parlano da sole.
Kovacs non fu soltanto un uomo con una potente strumento vocale, ma anche un ambasciatore carismatico, un comunicatore che quando era in tournée amava parlare con tutti, dai politici agli studenti, senza far caso alla sua mancata conoscenza delle lingue straniere.
“L'atmosfera nei nostri concerti era molto amichevole” racconta Marina Pommier, manager dei Romano Drom, il suo secondo gruppo. “Quando si scendeva dal palco, la gente si fermava sempre a parlare con noi. Gojma in questo era speciale, amava parlare col pubblico”.
“Ha costruito con la sua arte un ponte tra maggioranza e minoranza.”
Ne strettamente tradizionalista ne innovatore, Kovacs ha aiutato la musica rom ungherese a prendere nuove strade. La sua voce possedeva qualità raramente ascoltate, su questo i colleghi concordano, era insieme acuta, vellutata, nervosa ed evocava il perenne vagabondare del suo popolo. Come ballerino, era rispettoso della tradizione, ma nel contempo aperto alle nuove idee, dice Zsolt Balogh, giovane ballerino e insegnante allo Szatmari Roma dance.
Lo scontro di personalità all'interno degli Ando Drom, spinse Kovacs a lasciare il gruppo nel 1998 per fondare, sempre assieme a suo figlio, i Romano Drom.
Non sarà facile compensare la perdita della voce inimitabile di Kovacs. “Penso che sarà necessario rafforzare e sviluppare il sound della banda” dice suo figlio.
I Romano Drom si erano già guadagnati fama come innovatori della "Gypsy music." I critici hanno elogiato il gruppo per il ruolo dato agli strumenti -chitarre, percussioni, a volte una fisarmonica – a complemento della virtuosità vocale di Kovacs Sr. Come descriveva lo Scotsman i loro show a Glasgow: ”Una diga muscolare di musica appassionata,guidata dalle chitarre e da una sezione ritmica tipicamente yugo”.
“Nella musica romani, gli strumenti sono usati tipicamente come accompagnamento,non come solisti. Questo l'abbiamo cambiato. Con noi gli strumenti musicali hanno una loro funzione.” dice Kovacs Jr. Arrangiatore e autore delle canzoni, oltre che prima chitarra, ama costruire le melodie con imprestiti dall'ampia tradizione romani.
Il nome del gruppo significa “strada romani” ed è sulla strada che hanno costruito la loro reputazione.
“Abbiamo fatto non ricordo quanti concerti” dice Pommier. “Romano Drom è popolare in Ungheria, ma suoniamo molto anche all'estero” Si sono esibiti in Francia, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Italia e Stati Uniti, dopo la morte di Kovacs Sr. non hanno interrotto in loro tour in Turchia. Gli spettacoli lasciano poco tempo alle registrazioni, ma Antal Kovacs ha inciso tre album con gli Ando Drom e due con i Romano Drom, ilpiù recente è Ando foro (In città).
Laszlo Zoltan è un giornalista con base a Budapest.
Translated by Daniel Vadasz. (e da io in italiano...)
Di Fabrizio (del 29/12/2005 @ 07:04:20, in Europa, visitato 2719 volte)
Traduit par Jasna Andjelic in francese e ritradotto in italiano (sì, insomma...)
In stampa: 15 dicembre 2005
In linea: 16 dicembre 2005
Sur la Toile |
|
Tra gli 80 e i 100.000 Rroms vivrebbero in Bosnia Herzegovina, uno dei paesi dei Balcani dove le discriminazioni sono più evidenti. Molti bambini non sono mai andati a scuola, ed i Rroms non hanno rappresentanti politici né un forte movimento di affermazione sociale (cfr precedente ndr).
Il rubinetto situato nel centro del quartiere rrom di Varda, nei dintorni di Kakanj (Bosnia Centrale), è l'unica fonte di approvvigionamento per 350 abitanti, che non hanno accessi all'acqua potabile e al sistema fognario.
"Qui i bambini non vanno a scuola. Quando si chiede loro perché, rispondono che senza acqua e sapone, gli altri bambini rifiutano di sedersi accanto a loro" spiega Fadila Memisevic, la presidente dell'Associazione per i Popoli Minacciati in Bosnia Herzegovina mentre illustra il progetto "Relazioni con i Rom senza pregiudizi".
Il quartiere di Varda non è un'eccezione, qui la discriminazione è più forte che in altri paesi dei Balcani. La loro situazione è diventata inquietante durante la guerra e le condizioni di vita fanno sì che pochissimi Rom vivano oltre i 50 anni.
I rappresentanti della missione OSCE pensano che la mancanza di vestiti e l'impossibilità di acquistare i libri scolastici, siano le ragioni più frequenti dell'assenza scolastica, anche quando i genitori sono favorevoli.
“Il basso livello di scolarizzazione dei Rrom si spiega con la discriminazione e la loro mancata accettazione come cittadini eguali, ma anche con l'incoscienza degli stessi Rrom nel rapporto con la scuola dell'obbligo”, spiega Sanela Besic, coordinatrice del Consiglio dei Rrom della Bosnia Herzegovina.
L'esclusione dal sistema scolastico comporta un alto tasso di disoccupazione, e a sua volta questo rende difficile la loro partecipazione alla società e il miglioramento della loro situazione economica. Secondo gli esperti, la creazione di programmi sociali e scolastici dev'essere una priorità nel tentativo di integrare i minori rrom.
“La debolezza politica è un altro svantaggio. Non sono attivi, la loro presenza nei partiti non è organizzata.” aggiunge Fadila Memisevic, che propone la trasmissione mensile di un programma in romanès sulla televisione pubblica.
I Rrom sono anche la minoranza più numerosa in Bosnia Herzegovina, che conta circa quattro milioni di abitanti. [...] Difficile dare cifre ufficiali, perché nelle statistiche ufficiali non esistono. Nel censimento del 1991, soltanto 8.864 si dichiararono di nazionalità rrom, molti di loro preferirono dichiararsi Musulmani, Serbi o Croati per rifuggire dalle discriminazioni.
tratto da: Roma_Francais
Di Fabrizio (del 28/12/2005 @ 10:48:04, in Europa, visitato 2231 volte)
Nessun dato sul numero dei Rom in Serbia
|
Jelena Markovic, Assistente del Ministero per i Diritti Umani e delle Minoranze |
Stime sul censimento del 2002, indicano la cifra di 108.000, ma le cifre ufficiose dicono che sarebbero tra 450.000 e mezzo milione, inclusi quei 250.000 che vivono nelle "mahalas" (insediamenti illegali) ai margini delle grandi città.
Jelena Markovic, Coordinatrice del Decennio dei Rom e Assistente del Ministero per i Diritti Umani e delle Minoranze, afferma che la Serbia è sul punto di trasferire "dalla carta all'implementazione fattiva" i piani d'azione adottati, che dipendono però da diversi fattori, inclusi i differenti livelli di interesse dei vari livelli governativi.
Enfatizza il bisogno di una grande partecipazione civile nello sviluppo del progetto, col supporto della comunità internazionale, tenendo presente la situazione specifica della Serbia, che tuttora ospita un numero enorme di profughi Rom dal Kosovo. |
"Qualsiasi sia la strategia da adottare, dobbiamo conoscere il numero delle persone a cui è rivolta. In mancanza di questo, continueremo a parlare in termini generici" dice Markovic, aggiungendo "Il Decennio dei Rom fallirà in mancanza di cifre e dati precisi". Markovic ricorda poi che lo sviluppo di un progetto sulla sanità, richiede la partecipazione e la formazione tanto dei Rom che degli operatori, rimarcando che nessun aspetto, neanche quello sanitario, dev'essere separtao dagli altri, come quelli dell'alloggio, della scolarizzazione ecc.
Djordje Stojiljkovic, coordinatore del Decennio dei Rom assieme al Ministero della Sanità, ha rimarcato che soltanto uno su 100 dei Rom in Serbia raggiunge i 61 anni di età.
Queste dichiarazioni, sono state rese nel corso di una conferenza organizzata dal Palgo Centar, che intendeva portare all'attenzione l'esigenza di fornire documenti di soggiorno temporaneo a quei Rom che si trovano in Serbia senza nessun permesso legale.
La conferenza si è tenuta al Centro Sava, promossa dall'Open Society Fund Serbia (FOSYU) e dall' Open Society Institute di Budapest.
Articolo originale riportato su Roma_Yugoslavia
Di Fabrizio (del 27/12/2005 @ 17:44:08, in Europa, visitato 2031 volte)
Pristina/Belgrado, 22 Dec. (AKI) - Marek Novicky, ombudsman per il Kosovo, ha criticato lo stato dei diritti umani nella provincia, sotto amministrazione ONU dal 1999, dicendo che è "lontana dagli standards internazionali". Novicky, nominato cinque anni fa' dalla comunità internazionale per supervisionare la situazione sui diritti umani in Kosovo, ha detto che le minoranze etniche nella regione, in particolare Serbi e Romanichals, "non sono ancora in grado di muoversi liberamente", cosa che limita le loro condizioni economiche e di vita.
Mercoledì scorso a Pristina, durante la conferenza stampa d'addio, Novicky ha ammonito che la situazione peggiorerà se la comunità internazionale non nominerà un nuovo controllore dei diritti umani.
Il capo dell'amministrazione ONU, Soren Jessen Petersen, che ha ampli poteri nella provincia, ha deciso di incaricare le locali autorità di etnia albanesi al controllo dei diritti umani, una mossa che Novicky considera prematura.
Petersen è stato critico anche verso le autorità di Belgrado, sui tempi di formazione dei ministeri degli interni e della giustizia, attualmente sotto il controllo dell'etnia albanese. Da quando i Serbi hanno abbandonato la regione, a seguito dei bombardamenti del 1999, questi poteri sono stati sotto il controllo internazionale.
Dusan Batakovic, in rappresentanza del presidente serbo Boris Tadic, replica che le sue competenze sono state invalidate da Petersen e che il suo trasferimento aumenterebbe la pressione sui 100.000 Serbi che rimangono nella provincia.
Sono oltre 200.000 i Serbi e gli appartenenti a etnie differenti da quella albanese, che hanno lasciato il Kossovo dal 1999. Ora l'etnia albanese chiede l'indipendenza, a cui Belgrado si oppone. non avendo più nessuna autorità nella provincia. I colloqui sullo status finale dovrebbero iniziare a gennaio.
(Vpr/Aki) 22-Dec-05 11:55
Di Daniele (del 23/12/2005 @ 19:58:53, in Europa, visitato 2576 volte)
da OSSERVATORIO SUI BALCANI 23.12.2005
Dopo il 1999 sono stati evacuati dalle proprie case e trasferiti in campi contaminati dal piombo a nord del fiume Ibar. L’emergenza, che doveva durare poche settimane, è giunta al sesto anno. Una situazione paradigmatica dello stato del Kosovo. Nostra traduzione
Di Martin Fisher, Transitions Online, 15 dicembre 2005 (titolo originale: “Camp Life”) Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall'Asta Budapest - Dopo i bombardamenti NATO in Serbia del 1999 nella città kosovara di Mitrovica, etnicamente composita, la popolazione albanese aggredì le comunità Rom. L’agenzia dell’ONU per i rifugiati (UNHCR) aiutò allora ad evacuarle a pochi chilometri di distanza, in una regione ora come allora controllata dai Serbi. L’idea era di porle fuori dalla portata degli Albanesi, che vedevano i Rom come alleati dei Serbi; ma i Rom finirono in un’area contaminata, non dall’odio etnico bensì dal piombo.
Di Fabrizio (del 23/12/2005 @ 12:33:10, in Europa, visitato 1831 volte)
E' uscito l'aggiornamento di dicembre 2005 di PICUM.org con le notizie e l'evoluzione politica riguardanti i diritti sociali fondamentali degli immigranti non documentati in Europa. Disponibile nel formato Word nelle seguenti lingue: inglese, tedesco, olandese, spagnolo, francese, italiano e portoghese.
Pubblichiamo un controverso e contraddittorio articolo apparso sul sito di Rinascita. A parte alcune inesattezze (l'Opera Nomadi fondata durante il fascismo ???) prova a leggere i rapporti con i complessi mondi rom e sinti, presenti in maniera sempre più numerosi con l'allargamento dell'Unione Europea (soprattutto Romania e Ungheria). Uno spunto di riflessione su ciò che è scritto al di fuori della ristretta schiera degli addetti ai lavori.
Con il prossimo allargamento a Romania e Bulgaria l’Unione Europea vedrà aumentare consistentemente il numero dei Rom all’interno dei propri confini. Oggi con piú di 10 milioni di persone sono la minoranza piú consistente dell’Europa allargata. Ma ancora oggi c’è molta ignoranza su di loro, sulla loro cultura e la loro storia. Molti associano Rom ai rumeni forse per cacofonia o perché molti dei Rom provengono da quel Paese ma sono due popoli totalmente distinti ed anche in Romania i Rom sono considerati una minoranza etnica, pur sempre molto numerosa. Spesso vengono chiamati in modo diverso: nomadi, gitani, zingari e raminghi, ad indicare comunque sia, persone senza terra e senza patria. Però si è soliti fa risalire all’XI (alcuni dicono XII) secolo l’arrivo di queste popolazione dal Nord dell’India, cacciate dal Re Mohamed Gazni perché considerate nemiche. D’allora vissero in Europa migrando in piú parti del continente, alcuni fanno differenza tra gitani spagnoli e zingari romeni e Rom bosniaci ma non la gente comune. E’ soltanto dal 1993 attraverso il Consiglio d’Europa ed i “Criteri di Copenhagen” che gli Stati europei candidati hanno cominciato definire meglio queste popolazioni. In Slovacchia ed Ungheria, dove vivono circa un milione di Rom, i governi hanno attuato delle riforme notevoli e la situazione ènettamente migliorata nel tempo, almeno per quanto scritto su carta bollata. La nazione magiara é stata la prima al mondo a riconoscere il diritto collettivo delle minoranze. In Ungheria le minoranze riconosciute sono 12 ed esse godono di diritti molto vasti: accesso all’insegnamento, rappresentanza nei consigli comunali, integrazione nelle strutture politiche internazionali, organizzazione delle manifestazioni culturali, creazione di un posto di commissariato alle minoranze ecc. Però recandosi a Budapest o Bratislava non si può non notare la netta differenza tra occidentali, locali, e Rom. La Repubblica slovacca sancisce nella sua costituzione i princìpi della salvaguardia delle minoranze ma in alcune zone del Paese, dove tali minoranze sono presenti, la percentuale di disoccupazione è al 100%. Qui, come in Ungheria, i Rom, per le loro attività non integrate, sono strettamente controllati dalla polizia, non godono di adeguati servizi sociali e vengono visti con disprezzo da gran parte della popolazione, un pó come avviene in quasi tutte le parti d’Europa. Ma se negli Stati dell’Est e balcanici si cerca in qualche modo di attenuare tali conflitti sociali, nei vecchi Paesi dell’Unione c’è un diffuso disinteresse verso i Rom, anche perché il comportamento degli zingari nelle cittá piú ricche ed industrializzate non è sempre molto corretto. Nonostante esistano associazioni pubbliche e di volontariato per favorire l’insegnamento e l’integrazione dei bambini Rom e per cercare di toglierli dalla strada, generalmente per quanto riguarda l’occupazione e l’integrazione culturale, il problema è di difficile soluzione, anche se grazie alle canzoni dei Gypsy Kings o ai film di Kustorica l’interesse per la cultura Rom nei Paesi occidentali è cresciuta. In Spagna vive la comunità Rom piú grande d’Europa (600.000) ma non esiste nessun deputato o senatore di tale etnia. Nella stessa Spagna, Inghilterra (dove godono comunque sia di buoni diritti rispetto ad altri Paesi europei), Germania ed Italia (dove fin dal fascismo è in attività l’Opera Nomadi) la nuova emergenza è la lotta fra poveri e i conflitti con le altre minoranze immigrate nel Paese ospitante. Aumenta cosí il disprezzo di coloro che vivono loro intorno. Se gli zingari oggi vogliono avere i diritti che spettano alle altre debbono però adeguarsi a seguire normali regole di convivenza. Sulla questione dei nomadi, comunque regna l’ipocrisia mascherata da perbenismo. Attraverso il riconoscimento, la difesa ed la garanzia dei diritti di tutte le minoranze si attua un processo giusto almeno sulla carta ma che tuttavia allo stesso tempo è indice di sgretolamento culturale. Tale sgretolamento porta addirittura alla creazione di piccole aristocrazie locali, vassallaggi e oligarchie interne alle etnie rette dunque da “nomenklature” più astute che si accaparrano i fondi che i Paesi ospiti offrono e ne regolano la distribuzione. E i rimedi diventano così peggiori dei mali.
G.L.
|