Rom e Sinti da tutto il mondo

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Gli Zingari fanno ancora paura?

La redazione
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\\ Mahalla : VAI : Europa (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 05/02/2008 @ 08:55:29, in Europa, visitato 2591 volte)

Sono recentemente apparsi a Praga manifesti con testi basati sulle leggi naziste contro gli ebrei durante il Protettorato di Boemia e Moravia, mettendo in guardia contro il razzismo e la xenofobia, in una campagna organizzata dal Museo Ebraico di Praga.

I testi in colore giallo sono un'ironica interpretazione degli assurdi divieti, riguardanti gli Ebrei, a dozzine emessi durante l'occupazione nazista.

"Agli skinheads è vietato visitare le librerie pubbliche", "Le persone con gli occhi azzurri non possono usare i telefoni pubblici", "Alle persone adulte di bassa taglia non è permesso lo shopping tra le 15.00 e le 17.00" dicono alcuni slogan.

Sono stati ideati per ammonire i Praghesi sulle attuali discriminazioni contro certi gruppi di popolazione. La campagna è organizzata per la commemorazione del Giorno della Memoria, che ricorda i sei milioni di Ebrei che morirono durante l'Olocausto nella II Guerra Mondiale.

La parola Yom Hashoah o Ricordo dell'Olocausto ricorda il27 gennaio, giorno della liberazione del campo di sterminio di Osvetim (Auschwitz).

La campagna di manifesti avviene a due mesi da quando la polizia ha proibito una marcia neonazista attraverso lo storico quartiere ebraico il 10 novembre scorso, nell'anniversario della Notte dei Cristalli, il pogrom nazista del 1938.

[...]

 
Di Fabrizio (del 01/02/2008 @ 10:32:16, in Europa, visitato 2200 volte)

Da Roma Daily News

La parlamentare europea Viktória Moháksi (Ungheria) è in disaccordo con i cambiamenti dell'ultimo minuto ad una risoluzione che richiede una strategia europea per il popolo rom.

Nonostante il vasto appoggio ad una risoluzione che chiede una migliore integrazione per i Rom, Moháksi critica l'emendamento posposto dal gruppo UEN (Unione per l'Europa delle nazioni) che collega maggiori livelli di scolarizzazione con la lotta al crimine.

"Secondo me, non c'è relazione tra criminalità e livelli educativi" dice la parlamentare.

"Questo emendamento mette in relazione etnia con criminalità... e purtroppo sarà compreso nella relazione finale," dice in conferenza stampa a seguito dell'adozione parlamentare di giovedì.

Moháksi dice di essere rimasta colpita del voto parlamentare di questo emendamento e continua dicendo che persone istruite come i politici sono comunque capaci di crimini come ad esempio frode e corruzione.

La risoluzione sulla strategia EU per i Rom segue diverse mozioni orali dei parlamentari alla commissione europea che chiedevano perché non si fosse ancora sviluppato un piano globale per affrontare le tematiche rom.

Rudko Kawczynski, presidente dell'European Roma and Travellers’ forum, è pure in disaccordo sulla risoluzione e sul fatto che il forum non è stato menzionato nel testo.

Dice "Non è un buon inizio, per combattere la discriminazione... senza integrare le infrastrutture rom come il forum."

Kawczynski è anche arrabbiato con l'emendamento, aggiungendo che dovrebbe essere focalizzato nel combattere il razzismo piuttosto che nelle dichiarazioni dei "cosiddetti auto-nominati esperti" circa la lotta al crimine attraverso una migliore educazione.

Sono profondamente in disaccordo su questo emendamento, dobbiamo combattere il razzismo e le attitudini anti-zigane, questo è il problema base del nostro popolo..." aggiunge. "Dobbiamo stare attenti che le buone intenzioni non producano cattivi sbocchi."

 
Di Fabrizio (del 29/01/2008 @ 09:33:38, in Europa, visitato 2696 volte)

Da Roma_Francais

Si attende una nuova ondata di rifugiati

I cantoni svizzeri stanno preparandosi ad un arrivo di immigrati dal Kosovo, dovuto alla potenzialmente esplosiva situazione che sta sviluppandosi nella provincia serba. I sondaggi danno l'ultra nazionalista Tomislav Nikolic vincente domenica prossima al secondo turno delle elezioni presidenziali in Serbia. Nikolic ha proclamato che il Kosovo è la "culla" della Serbia e che mai sarà separato dalla patria. Nel frattempo, Hashim Thaci, presidente del Kosovo, ha indicato che la provincia, la cui popolazione è soprattutto albanese, è prona a dichiarare l'indipendenza.

I passati conflitti nella regione hanno portato all'esodo di un gran numero di persone, cosa che è stata messa in risalto dai giornali svizzeri. A seguito del collasso della ex Jugoslavia (di cui Serbia e Kosovo erano parte) nel 1991, 200.000 rifugiati arrivarono in Svizzera in diversi anni. Ma i cantoni dicono di non essere pronti ad ospitare questa volta un'altra ondata di richiedenti asilo. Karin Keller-Sutter, vice-presidente della conferenza della giustizia cantonale e della direzione di polizia, dice che i centri per rifugiati sono stati chiusi.

Ed all'iniziativa di Christoph Blocher, l'ex ministro della giustizia di estrema destra, i cantoni hanno smantellato le loro infrastrutture per salvare le finanze. Al momento, i cantoni fanno conto sui 340.00 originari dai Balcani che ora vivono in Svizzera per aiutare alcuni dei rifugiati che si aspettano.

Le caserme offriranno l'unica altra soluzione per sistemarli. In un proprio rapporto, il dipartimento dell'immigrazione federale dice che dal 40 al 70% dei richiedenti asilo conti sui contrabbandieri per attraversare i confini- Per questo pagano 75.000 SFr, dice Brigitte Hauser, portavoce del dipartimento. Su 10.000 richieste annue per essere ammessi nel paese, solo 500 sono presentate al confine.

Tribune de Genève, 28.01.08

 
Di Fabrizio (del 12/01/2008 @ 17:38:26, in Europa, visitato 1907 volte)

Da Mundo_Gitano

IL PARLAMENTO EUROPEO, RISPONDENDO ALLA PETIZIONE DI UNION ROMANI, HA RIVOLTO UNA SANZIONE POLITICA AL COMMISSARIO FRANCO FRATTINI, PER LE SUE DICHIARAZIONI VESSATORIE CONTRO IL POPOLO GITANO

Il Presidente del Parlamento Europeo, Hans-Gert Pötttering, si è rivolto al Presidente di Unión Romaní, Juan de Dios Ramírez Heredia, dando risposta alla petizione a cui risponde asserendo che faciliterà qualsiasi iniziativa parlamentare che moderi il contenuto del Decreto promulgato dal Governo italiano, in relazione all'espulsione immediata dal suo territorio dei gitani provenienti dalla Romania.

Il presidente di Unión Romaní insiste sul contenuto della Direttiva 2004/38/CE del Parlamento e del Consiglio Europeo del 29 aprile 2004, relativo al diritto dei cittadini dell'Unione e dei membri della propria famiglia a circolare e risiedere liberamente nel territorio degli Stati membri, ricordando che "i gitani europei sono la miglior espressione della cittadinanza europea dal momento che sono una comunità estesa in tutto il territorio dell'Unione e che hanno saputo combinare l'appartenenza al paese dove sono nati con la comune condizione di riconoscersi cittadini dell'Europa e del mondo."

Quello però che allarma maggiormente furono le parole pronunciate da Franco Frattini, Commissario della Giustizia e dei Diritti del Cittadino, che dichiarò: "Quello che si deve fare è semplice: si va in un campo nomadi a Roma, ad esempio sulla Cristoforo Colombo, e a chi sta lì si chiede: tu di che vivi? se quello risponde: 'non lo so', lo si prende e lo si rimanda in Romania. Così funziona le direttiva europea. Semplice e senza scampo".

Il Presidente del Parlamento Europeo è stato molto sensibile alla richiesta, quando si dice "Siamo preoccupati che un così alto rappresentante politico dell'Unione Europea possa dire"prendeteli ed inviateli in Romania". "Prendeteli" ci porta il ricordo della più triste e nera storia d'Europa. "Prendeteli" han sempre detto i dittatori. "Prendeteli" dicevano i nazisti per portarli ai campi di concentramento e poi alle camere a gas. "Prendeteli" è quel che piace dire all'estrema destra così evidentemente rappresentata in questo Parlamento.

Come conseguenza della petizione, Hans-Gert Pötttering ha affermato quanto segue:

Il Parlamento Europeo ha inviato una sanzione al Commissario della Giustizia e dei Diritti del Cittadino ed ha considerato, nel testo parlamentare del giorno 15 novembre 2007, che le parole pronunciate dal Signor F. Frattini sono "contrarie allo spirito e alla lettera" della Direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei membri delle sue famiglie a circolare e risiedere liberamente nel territorio degli Stati Membri.

Con questa risoluzione adottata con 306 voti a favore, gli eurodeputati hanno anche invitato la Commissione Europea perché presenti, senza indugio, una valutazione esaustiva dell'applicazione della direttiva 2004 nei 27 Stati Membri.

 
Di Fabrizio (del 11/01/2008 @ 21:06:04, in Europa, visitato 2255 volte)

Una lunga segnalazione di Marco Brazzoduro

di Alessio Marchetti
Il collasso del comunismo ha lasciato nei paesi dell’ex blocco sovietico una serie di tensioni etniche e sociali che la nuova Europa allargata ad est si trova ora a dover affrontare. L’ingresso dei dieci nuovi paesi nell’Unione Europea, ha portato con sé, di riflesso, anche un undicesimo silenzioso paese che nazione non è, senza confini né governo, senza bandiera né inno nazionale: quello dei Rom.
La questione della minoranza etnica della popolazione Rom, infatti, una volta isolata nell’est europeo e quasi completamente sconosciuta in occidente, dallo scorso primo maggio è diventato un problema dell’intero continente. Gli zingari, come volgarmente vengono chiamati anche se loro preferiscono il nominativo di Rom, contano, nell’Europa centro - orientale, qualcosa come 6 milioni di individui su un totale calcolato intorno agli 8-9 milioni di presenza complessiva su tutto il Vecchio Continente (il censo della popolazione nomade è, per evidenti motivi, non di semplice determinazione).
Alla vigilia del primo maggio 2004, data dell’allargamento dell’Europa a 25, la minaccia di una migrazione di massa dei Rom verso quei paesi occidentali, Gran Bretagna e Irlanda in testa, che avevano promesso l’apertura immediata delle frontiere ai lavoratori dei nuovi paesi, ha messo in movimento un tam tam di notizie allarmistiche sulla stampa britannica, la quale, riferiva di orde di zingari provenienti dall’est Europa che a decine di migliaia, se non addirittura a milioni (Daily Express) erano pronte a invadere il Regno Unito.
La notizia della clamorosa iniziativa “minacciata” dai Rom, che ha naturalmente spaventato molti governi e opinioni pubbliche europee e che si è rivelata infondata, voleva provocatoriamente denunciare la situazione di estrema difficoltà economica e sociale che questa minoranza vive nei paesi centro-orientali.
Malgrado la questione in occidente sia quasi del tutto sconosciuta, già da tempo la Commissione Europea lavora per ottenere dai governi locali rassicurazioni su una soluzione del problema, tanto da averlo posto a suo tempo come una delle discriminanti per l’ingresso di Polonia, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Slovenia e Ungheria nell’UE. Anche Bulgaria e Romania, paesi di prossimo accesso nei cui territori è concentrata una presenza di oltre due milioni e mezzo di nomadi, dovranno affrontare lo stesso esame molto presto.
Un recente rapporto delle Nazioni unite, infatti, ha descritto le condizioni di vita dei Rom del centro-est Europa come “più vicine a quelle delle popolazioni dell’Africa Sub-Sahariana che non a quelle degli standard europei”, a causa della miseria in cui vivono, caratterizzata dal basso tasso di scolarità e dall’altissima disoccupazione. Sempre secondo questo studio, inoltre, almeno un nomade ogni sei è in costante stato di fame, mentre il 40% vive in abitazioni senza acqua corrente e servizi igienici.
Quale sia l’esatta origine storico-geografica dei Rom è ancora in discussione, ma sembra che il loro arrivo in Europa, provenienti dalle lontane regioni dell’India attraverso la Persia, possa essere fatto risalire attorno al VII-X secolo. Arrivati dalla lontana India in Europa nel lontano XIV secolo (secondo altre fonti anche prima), non cristiani, scuri di carnagione, senza terra ne nazione, fortemente indipendenti e orgogliosi della propria cultura, senza mai una vera volontà di integrazione, nella loro forte idea di mantenere una distanza tra rom e “gadjé” (non rom), si scontrarono subito con il pregiudizio di una cultura europea troppo diversa dalla loro.
Gli zingari tedeschi chiamano se stessi Sinti. La maggior parte di essi si stabilì nell’Europa centro-orientale, mentre altri proseguirono il loro viaggio verso la Germania, la Francia, l’Italia e soprattutto la Spagna. I Rom non hanno mai tentato di costruire un loro proprio Stato, preferendo vivere sempre nelle zone di frontiera, orgogliosamente a difesa della loro specificità culturale e sociale, ottenendo però come risultato l’emarginazione e la discriminazione della maggioranza. Fin dal loro primo arrivo in Europa i nomadi sono stati percepiti dagli Stati come un problema da risolvere, attraverso l’assimilazione, il contenimento, l’esclusione o l’espulsione. Dai secoli di schiavitù in Romania tra il XV e il XIX secolo alla strage di oltre mezzo milione di Rom nei campi di concentramento nazisti durante la seconda guerra mondiale, la loro storia nell’est europeo è caratterizzata da repressione e discriminazione. In Germania, come un po’ in tutta l’Europa centro-orientale, le persecuzioni iniziano ben prima del periodo nazista: già nel 1721 l’imperatore Carlo IV ordinò lo sterminio dei rom, con una legge che depenalizzava l’assassinio di uno zingaro. Nel XIX secolo “studiosi” tedeschi definivano zingari ed ebrei come razza inferiore e “escremento dell’umanità”. Una ricerca sulla popolazione nomade in Germania del 1905 condotta dallo studioso tedesco Alfred Dillmann stabiliva che i rom erano una “piaga” e una “minaccia” e che la Germania doveva difendersi da essa, evitando una possibile e pericolosa commistione tra le due razze.
La grande differenza tra i Rom dell’Europa centro–orientale e quelli occidentali consiste nello stile di vita ormai quasi definitivamente sedentario dei primi. La politica di integrazione iniziata da Maria Teresa d’Asburgo alla fine del XVIII secolo, volta a eliminare il nomadismo e a incoraggiare la sedentarietà, è stato solo il primo passo verso l’assimilazione completa a cui sono giunti i regimi comunisti circa due secoli più tardi.
Quella dei rom, comunemente chiamati zingari, è stata l’unica altra popolazione, insieme agli ebrei, ad essere obbiettivo di uno sterminio su basi razziali programmato nella logica della “Soluzione Finale” del Nazismo. La storia dell’olocausto rom, “Porrajmos” secondo la lingua zingara, è forse una delle pagine della seconda guerra mondiale meno conosciute ed analizzate.
Su una popolazione che, secondo il censo molto approssimativo del 1939 del partito nazista, contava circa 2 milioni di individui, sparsi in 11 paesi d’Europa, ne furono sterminati almeno 500 mila.
La particolarità della cultura rom rende le cifre molto imprecise: si tratta di una popolazione nomade, largamente analfabeta, conservatrice di una tradizione orale trasmessa da padre a figlio. Da qui la mancanza di fonti scritte dirette, di testimonianze difficilmente reperibili. C’è anche da aggiungere che il Porrajmos fu organizzato in maniera molto meno organizzata e meticolosa rispetto all’olocausto ebraico, per cui anche da parte nazista non abbiamo quel gran numero di fonti, documenti e informazioni che invece ci hanno permesso di ricostruire la tragedia ebrea.
Il fatto che i rom siano degli stranieri, comunque e ovunque, che fossero alieni ed estranei in qualsiasi luogo si muovano, ha permesso la forte crescita del pregiudizio nei loro confronti, che è duro a morire anche nei nostri giorni.
Durante gli anni ’20, in piena e democratica Repubblica di Weimar, ai rom era già proibito di entrare nei parchi e di usare i bagni pubblici. Una pubblicazione di quegli anni di Karl Binding e Alfred Hoche riprendeva una definizione coniata 60 anni prima da Richard Liebich che definiva i rom “non meritevoli di vivere” e classificati sotto la categoria dei “malati mentali incurabili”. La stesa frase comparve in una legge ad hoc emanata dal partito nazista qualche anno più tardi. Dunque tutto inizia prima delle leggi di Norimberga per la difesa della razza del 1935, che va a colpire, specificatamente, ebrei, neri e rom.
Tutti noi sappiamo della notte dei cristalli che segnò simbolicamente la persecuzione degli ebrei. Ma nello steso anno, 1938, esattamente nella settimana tra il 12 e il 18 giugno un altro evento segnò l’inizio della fine: la cosiddetta settimana della pulizia zingara.
Nel gennaio 1940 ha luogo il primo genocidio di massa con l’uccisione di 250 bambini, che vennero utilizzati come cavie nel campo di concentramento di Buchenwald per testare il tristemente famoso Zyklon – B, il materiale usato nelle camere a gas. Himmler fu convinto dell’idea di risparmiare la vita ad alcuni di loro per poterli utilizzare come strumento per studiare la genetica di questi “nemici dello Stato”, ma alla fine il regime respinde l’idea.
L’8 dicembre 1938, il primo riferimento alla “Soluzione finale alla questione zingara” apparve in un documento firmato dallo stesso Himmler. E’ ancora Himmler , il 16 dicembre 1940, a ordinare la deportazione di tutti gli zingari d’Europa ad Auschwitz-Birkenau. Qui tra l’1 e il 2 agosto 1944, nella notte degli zingari, furono gasati 2897 tra uomini, donne, vecchi e bambini in una sola azione. I forni crematori impiegarono giorni a smaltire la moltitudine di cadaveri.
Molto spesso, specialmente nelle terre orientali ed in Polonia, i rom non venivano portati nei lager ma uccisi sul luogo. Dopo aver fatto scavare le fosse con le loro mani li allineavano sul bordo per l’esecuzione. Operazione questa non semplice, secondo un rapporto delle SS. Uccidere un ebreo era, infatti, molto più facile, in quanto rimaneva dritto e stabile, mentre “gli zingari piangono, si lamentano, si muovono costantemente, anche quando sono già in linea per l’esecuzione. Alcuni di essi saltano addirittura nella fossa prima che venga sparato il colpo, facendo finta di essere morti”.
Era lo stesso Adolf Eichmann ad organizzare la logistica delle spedizioni ai campi, come descritto in un suo telegramma diretto alla direzione della Gestapo, in cui parla di vite umane come di merce da trasporto: “Riguardo al trasporto degli zingari bisogna sapere che venerdì 20 ottobre 1939, il primo carico di ebrei lascerà Vienna. A questo carico devono essere attaccati 3-4 vagoni di zingari. Treni successivi partiranno da Vienna, Mahrisch-Ostrau e Katovice. Il metodo più semplice è attaccare alcuni vagoni di zingari a ogni carico. Perché questi carichi devono seguire un programma, per cui ci si aspetta una rapida esecuzione del problema”.
Sui rom vennero eseguiti esperimenti di ogni sorta: a Sachsenhausen si cercò di provare che il loro sangue era diverso da quello tedesco; le donne vennero inizialmente sterilizzate in quanto “non meritevoli di riproduzione umana” per poi essere uccise. La legge sulla cittadinanza tedesca emanata nel 1943 non menziona neanche la popolazione rom. D’altronde perché nominare un’etnia che da lì a breve sarebbe dovuta scomparire dalla faccia della terra?
Nel resto d’Europa il destino dei rom variò a seconda del paese.
Il regime collaborazionista francese di Vichy internò 30.000 rom, molto dei quali finirono nei campi di Dachau, Ravensbruck e altri. Gli ustascia croati ne uccisero circa 26.000, molte migliaia furono uccisi dai serbi, altri furono deportati dagli ungheresi, dei 6.000 zingari cecoslovacchi ne sopravvisse solo un decimo.
In Italia, inizialmente, le leggi razziali del 1938 dimenticarono gli zingari, ma ben presto una circolare del Ministero dell’Interno del 11 settembre 1940 rimediò alla dimenticanza decretando l’internamento dei rom italiani e, successivamente, anche di quelli stranieri.
I nomi di questi campi ci sono assolutamente poco familiari: Pedasdefogu in Sardegna, Monopoli Sabina, Tossica, vicino Teramo, Pieve (Viterbo), Isole Tremiti e Collefiorito. E’ vero che pochi degli internati italiani furono deportati nei campi di sterminio. La precedenza veniva, infatti, concessa agli ebrei. Dopo la guerra la discriminazione contro i Sinti in Germania e i rom nel resto d’Europa continuò.
Nella Germania Occidentale, fino agli anni ’60, i tribunali acconsentirono a risarcire e a riconoscere gli zingari come vittime della follia nazista solo per i fatti che avvennero dopo il 1943. Nessuno fu chiamato a testimoniare per conto delle vittime rom al Processo di Norimberga e nessuna riparazione di guerra è mai stata pagata ai rom come popolazione. Perfino gli Stati Uniti, sempre così attenti alle vittime dell’Olocausto, non hanno fatto nulla per assistere i rom durante e dopo gli anni dello sterminio. Solo il 10% delle centinaia di milioni di dollari, per i quali il Governo americano era stato dichiarato responsabile della distribuzione, resi disponibili dall’ONU per i sopravvissuti, è stato dato ai non-ebrei, e nessuna parte di quel fondo è finita ai sopravvissuti rom.
Alla fine della seconda guerra mondiale, conclusasi con un bilancio di oltre mezzo milione di Rom trucidati nei campi di sterminio nazisti, la parola d’ordine nei nuovi Stati socialisti era, infatti, proprio “assimilazione”. La ricerca dell’uguaglianza e l’eliminazione di ogni differenza etnica e sociale condusse i regimi comunisti di Polonia, Cecoslovacchia, Bulgaria, Ungheria e Romania a ricercare un programma di urbanizzazione forzata e di occupazione lavorativa a largo raggio. Le abitazioni ambulanti dei Rom furono bandite tanto che in alcuni casi compito della polizia era addirittura quello di rimuovere le ruote dalle roulottes. In Cecoslovacchia la legge del 1958 sulla “sistemazione permanente della popolazione nomade e seminomade” li costrinse a stabilirsi negli agglomerati urbani dei giganteschi quartieri dormitorio delle periferie cittadine. Molti di essi vennero trasferiti a forza dalla Slovacchia orientale alla Boemia occidentale per rimpiazzare i Sudeti, i cittadini di origine tedesca cacciati dopo la seconda guerra mondiale. Tra gli anni ‘70 e ’80 in Bulgaria il governo abolì la speciale identità culturale Rom costringendoli a bulgarizzare il nome e proibendo l’uso della lingua; in Romania, negli anni ’80, Ceausescu condusse una violenta campagna per l’urbanizzazione che vide la costruzione dal nulla di interi nuovi villaggi.
Nel complesso si può affermare che, per certi versi, durante il periodo comunista la situazione dei Rom era in qualche modo migliorata, se non altro per le aumentate opportunità di accesso allo studio e al lavoro. I bambini erano obbligati a frequentare le scuole cosi come a ricevere le vaccinazioni, gli adulti avevano un lavoro e non si veniva picchiati per strada dalla violenza xenofoba degli skin-heads. Allo stesso tempo però l’assimilazione forzata portò alla nascita di tensioni sociali e razziali nella popolazione maggioritaria locale destinate destinata ad esplodere non appena la coperta di bugie dei regimi fosse stata tolta.
La violenza e la discriminazione razzista nei confronti dei Rom è documentata fin dal 1990 un po’ in tutta l’Europa centro–orientale. L’improvvisa insicurezza sociale ed economica in cui le fasce deboli delle nuove democrazie dell’est si sono venute a trovare contribuirono all’apprensione per la ricerca di un nuovo nemico che portò alla rapida formazione di movimenti razzisti di estrema destra. Attacchi violenti di matrice etnico–razziale si sono verificati ovunque nel corso di questi ultimi quindici anni, facendo anche numerose vittime. Appena lo scorso anno, in Repubblica Ceca, furono registrati ben 364 attacchi di natura xenofoba, una media di uno al giorno, senza tener conto che il record è indubbiamente sottostimato a causa della reticenza della polizia ad archiviare le violenze come razziste.
Nel 1999 la stampa internazionale puntò i suoi riflettori su una sconosciuta cittadina industriale del nord della Boemia, a poche decine di chilometri da Praga, Usti nad Labem. La città, che conta centomila abitanti, vede la presenza di circa ventimila Rom, quasi tutti disoccupati. Con la sola eccezione di una graziosa chiesa barocca restaurata di recente, Usti nad Labem combina una serie di grigie mostruosità architettoniche sul modello del realismo socialista a edifici del XIX secolo. Il teatro della vicenda è Matični ulice (via Matični), una strada popolare composta da blocchi di piccoli appartamenti statali forniti ai cittadini in difficoltà economica, che vede contrapposte famiglie ceche da un lato della strada e alcune decine di famiglie Rom dall’altro; per far fronte alle proteste di alcuni cittadini che lamentavano la sporcizia e il chiasso dei vicini Rom, accusati anche, in questo caso giustamente, di non pagare l’affitto, il sindaco della città, Ladislav Hruska, fece erigere un muro alto quattro metri che dividesse le due popolazioni.
Dopo alcune proteste da parte dei comitati Rom fu lo stesso governo ceco a intervenire sulla municipalità locale per impedire la costruzione del muro, che non avrebbe di certo contribuito a dare un’immagine positiva al paese in vista di un suo futuro accesso nell’UE. Sia la Commissione Europea, che la CSCE e le associazioni per i diritti umani, avevano mandato i loro emissari a controllare la situazione, la quale era finita sulle pagine dei giornali cechi e internazionali (se ne è occupato anche il Washington Post).
Alla fine il muro fu eretto lo stesso, sotto la sorveglianza di decine di poliziotti che avevano l’ordine di vigilare sulla costruzione ventiquattro ore al giorno. Il sindaco Hruska per giustificare l’opera commentò laconicamente: “Vogliamo solamente separare la gente decente da chi decente non è”.
Qualche mese più tardi dopo varie pressioni governative il muro fu finalmente abbattuto, nonostante la solidarietà espressa da più parti, pubbliche e private, alla municipalità.
In Slovacchia, in questi anni, la discriminazione è andata anche oltre. I casi di violenza razzista si sono, infatti, spesso incrociati a provvedimenti governativi imbarazzanti, ritirati quasi all’ultimo momento dalle aule del Parlamento. Tra gli altri, tanto per citarne uno, quello del 2002 dove fonti del Ministero della Cultura davano per applicabile l’idea di istituire degli appositi campi di rieducazione per Rom dove gli ospiti, secondo le parole di Edana Marash-Borska dell’allora partito di governo ANO, avrebbero dovuto “lavorare secondo le loro abilità”. I Rom inoltre, in questi campi, non avrebbero avuto bisogno di soldi poiché “ognuno avrebbe ricevuto quanto dovuto: un pacchetto di sigarette al giorno, sapone, shampoo, dentifricio, caffè, the e dolci per i bambini”.
La questione Rom è nuovamente saltata alle cronache lo scorso anno, nel febbraio 2004, in seguito a una clamorosa protesta da parte di alcune centinaia di zingari nella Slovacchia orientale. Qui, infatti, i tagli fino al 50% disposti sui fondi per il sostentamento delle fasce più deboli decisi dal governo di centro-destra, ha scatenato la furia dei nomadi i quali, vedendo in tale decisione l’ennesimo atto discriminatorio nei loro confronti, hanno preso d’assalto negozi e saccheggiato supermercati. Il governo slovacco ha risposto schierando oltre ventimila uomini tra polizia ed esercito e sparando acqua dai cannoni contro i civili, fatto che non accadeva addirittura dalla Rivoluzione di Velluto del 1989, ferendo anche donne e bambini.
La piccola Repubblica Slovacca, che conta una delle più alte concentrazioni della minoranza Rom in percentuale alla popolazione (circa il 10%), così come la cugina Repubblica Ceca, è stata più volte ammonita dalle organizzazioni internazionali per la salvaguardia dei diritti umani, le quali accusano non solo la magistratura di “sottovalutare” il problema ma addirittura la polizia stessa di compiacenza con gli atti discriminatori e razzisti. Clamoroso il caso di Karol Sendrei che nel 2001 morì, in Slovacchia, in una stazione di polizia incatenato a una stufa dopo essere stato picchiato nel corso della notte.
Lo scorso anno, nel maggio 2004 Amnesty International ha presentato un nuovo rapporto che denunciava ancora due casi di abusi da parte della polizia ceca nei confronti di Rom: il primo faceva riferimento a un episodio accaduto a Cheb (città natale di Pavel Nedved, a circa 100 km a ovest di Praga) dove un uomo, di nome Karel Billy, fermato durante un normale controllo stradale, è stato fatto scendere dalla propria auto, costretto a salire nella macchina della polizia e condotto in un boschetto fuori città. Qui, una volta al riparo da occhi indiscreti i poliziotti lo hanno assalito con pugni e calci, umiliandolo con frasi razziste e cospargendolo, infine, di urina.
Il secondo caso si riferiva a un episodio accaduto nella cittadina di Popovice, dove cinque ufficiali in tenuta antisommossa hanno fatto irruzione nell’abitazione di una famiglia nomade accusando i presenti di aver rubato nel ristorante di proprietà proprio di uno degli stessi poliziotti coinvolti e insultandoli con frasi razziste.
Il rapporto di Amnesty International va ad aggiungersi a quelli già elaborati dalle apposite commissioni dell’ONU nel gennaio 2005 e, precedentemente, nell’agosto 2003, le quali intendevano sottolineare la mancanza di programmi governativi veri che potessero apportare un qualche miglioramento alle condizioni di vita della popolazione Rom, attenuando allo stesso tempo le discriminazioni nei loro confronti. Amnesty ha riscontrato una sorta di reticenza a punire i colpevoli delle aggressioni da parte degli organi giudiziari preposti, i quali molto spesso ammettono con gran fatica la natura razzista degli attacchi minimizzando il problema.
Altro problema di non facile soluzione e che accomuna un pò tutti i paesi dove la presenza nomade è sensibile è quello del numero della popolazione Rom che cresce in maniera inversamente proporzionale a quello della maggioranza locale. Il tasso di natalità tra i nomadi è molto alto ed è naturalmente destinato ad influenzare l’equilibrio etnico di molte regioni. I Rom sono già circa il 10% della popolazione totale in Bulgaria, Macedonia, Slovacchia e Romania, paese, quest’ultimo, che ne conta la maggior presenza calcolata in circa 2 milioni di individui. Già durante gli anni dell’assimilazione comunista i regimi si imbatterono nella questione demografica, cercandone, a loro modo, una soluzione. In Cecoslovacchia, ad esempio, durante gli anni ’70 e ’80, il governo condusse una politica di riduzione delle nascite controllata attraverso l’uso sistematico della sterilizzazione. Le donne Rom vennero in pratica obbligate ad accettare questa pratica sotto la minaccia, in caso di rifiuto, di vedersi togliere i benefici sociali dallo Stato.
Da sempre si era considerata la coercizione delle donne Rom alla sterilizzazione come conclusa con la caduta del regime. Secondo un documento della CSCE (la “Commissione sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa”, promossa dal Congresso americano nel 1976 per vigilare sulla difesa dei diritti umani) la pratica in Repubblica Ceca e Slovacca sembra essere continuata ancora dopo il 1989.
La CSCE cita, infatti, un documento intitolato “Body and Soul: Forced sterilization and other assaults on Roma reproductive freedom”, pubblicato a New York nel gennaio del 2003 dal CRR (“Center for Reproductive Rights”) e dal “Centro Slovacco per i Diritti Umani e Civili” (Poradna). Gli autori di questo studio identificano circa 110 casi avvenuti di sterilizzazione su donne Rom, senza il loro consenso, dopo il 1990 in ospedali pubblici slovacchi. Significativa in tal senso la dichiarazione del Ministro della Sanità, Lubomir Javorsky, il quale nell’ottobre del 1995, durante una celebrazione a Kosice dichiarò che “il governo farà tutto il necessario per assicurare che più bambini bianchi vengano dati alla luce a scapito dei bambini Rom”.
La discriminazione e il pregiudizio nei confronti dei Rom è, dunque, una componente molto presente nelle società dell’Europa dell’est, le quali vedono questa minoranza come un qualcosa di esterno, di diverso e, spesso, di cui vergognarsi. Lo stile di vita calmo, compito, rispettoso, quasi silenzioso delle società di influenza asburgica contrasta in maniera stridente con la chiassosità, l’animosità, l’inadattabilità e l’indolenza rom.
Gli esperti sono concordi nell’affermare che la segregazione e la povertà dei Rom è sicuramente in larga parte dovuta alla scarsa qualità, se non addirittura alla totale mancanza, dell’educazione scolastica dei giovani. Basti pensare che in Bulgaria, ad esempio, solo il 20% dei bambini inizia la scuola elementare mentre appena il 2% finisce le superiori. In Romania, se possibile, la situazione è ancora più grave: su una popolazione zingara di un milione e mezzo di individui almeno uno su tre è analfabeta. Qui, come in molti altri paesi dell’area i bambini Rom frequentano scuole separate da quelle dei loro coetanei romeni; spesso sono proprio gli stessi direttori delle scuole a prendere questa decisione basando il loro giudizio semplicemente sul colore della pelle, ovviamente in aperta violazione della legge. In Repubblica Ceca si stima che circa il 75% dei bambini Rom non sono ammessi nelle scuole pubbliche e vengono dirottati in classi speciali di più basso livello educativo riservate ai bambini con difficoltà di apprendimento, con ovvie gravi conseguenze sulla loro formazione superiore; in Bulgaria, spesso, sono costretti a frequentare scuole per handicappati mentali semplicemente perché non parlano il bulgaro.
Nonostante le nuove democrazie abbiano adottato costituzioni con ampi riconoscimenti per le minoranze etniche, i soli a non averne beneficiato, molto anche per colpa loro, sono stati i Rom, a causa dell’incapacità di provvedere da soli alla difesa dei propri diritti e al carattere sospettoso che li porta, spesso, a rifiutare aiuti dall’esterno.
A causa delle pressioni di Bruxelles, comunque, la situazione sembra andare verso un lento miglioramento, tanto che nelle scuole romene è ora possibile studiare anche la letteratura Rom. In Ungheria il governo ha promesso di eliminare le classi speciali entro il 2008, in Bulgaria ci si sta orientando verso l’integrazione grazie alla creazione di classi miste, mentre a Praga hanno pensato di fornire borse di studio ai giovani Rom che vogliono proseguire lo studio superiore.
Da salutare come un importante passo avanti, inoltre, l’elezione della prima deputata di origine Rom al Parlamento Europeo, Livia Jaroka, 29 anni, eletta nelle ultime votazioni europee in Ungheria tra le fila del partito di opposizione di centrodestra Fidesz – Unione Civica Ungherese.
Rimane a questo punto da sperare che il sondaggio elaborato dal Centro di Statistica Ceco apparso a giugno 2004, subito dopo l’ingresso nell’Europa Unita, e che riporta la nascita di una nuova coscienza solidale tra i giovani cechi sia solo il segnale di un primo cambiamento che la nuova Europa a 25 ha saputo portare: allargamento non solo dei confini ma anche delle mentalità.

 
Di Fabrizio (del 05/01/2008 @ 09:15:52, in Europa, visitato 2271 volte)

Da Roma_Bulgaria

Giovedì mattina presto un incendio è divampato in un accampamento rom improvvisato, nel quartiere Silivri di Istanbul, uccidendo un bambino e un adulto[...].

I corpi delle vittime, che si ritengono di anni 1  e 34, erano di etnia rom.

Un'ipotesi è che il fuoco sia stato appiccato intenzionalmente; l'altra che sia partito da una stufa e si sia diffuso rapidamente. Quattro tende sono bruciate.

Nel campo ci sono 60 tende ed abitano 300 Rom.

 
Di Fabrizio (del 04/01/2008 @ 09:09:49, in Europa, visitato 2438 volte)

Da crj-mailinglist

UNGHERIA: MACCHINETTE PER ELEMOSINA PER EVITARE I MENDICANTI
BUDAPEST - Il consiglio comunale di Pecs, Ungheria meridionale, intende installare delle macchinette per la raccolta di offerte per evitare la presenza di mendicanti, sempre più numerosi nel centro della città. Incassato l'obolo, la macchina ringrazierà e le offerte saranno poi distribuite fra i bisognosi tramite organizzazioni di carità. L'idea è del sindaco socialista, Peter Tasnadi, secondo il quale questa soluzione funziona in numerose città europee.
I mendicanti invece sono contrari, scrive il giornale locale Dunantuli Naplo, perché sono convinti che le macchinette potranno raccogliere molte meno offerte di quanto non riuscirebbero loro di persona.
A Pecs, capoluogo della provincia di Baranya, quest'anno la polizia ha multato più di 300 mendicanti che facevano l'elemosina importunando i passanti, ma le contravvenzioni non servono a nulla perché i mendicanti non sono comunque in grado di pagarle. L'idea delle macchinette ha dei precedenti anche in Ungheria: nel 2004 a Budapest, ne ha funzionato una per qualche tempo in Piazza Deak vicino alla stazione della metro, e in sei settimane ha raccolto 20.000 fiorini (80 euro).

 
Di Fabrizio (del 31/12/2007 @ 13:42:32, in Europa, visitato 2941 volte)

Da British_Roma

Rabbia alle osservazioni sui Rom "pigri"
By NIAMH HORAN

Domenica 30 dicembre 2007

Un importante gruppo antirazzista ha bocciato i programmi che vedono coinvolti alcuni Rumeni nella campagna informativa che li distanzia dal gruppo etnico dei Rom.

Phillip Watt, direttore del National Consultative Committee on Racism and Interculturalism (NCCRI), ha descritto l'idea come "superficiale ed offensiva".

La condanna arriva dopo che in membro della Comunità Rumena di Irlando (RCI) ha concesso un'intervista a Radio RTE, in cui afferma che i Rom stanno danneggiando l'immagine della più vasta popolazione rumena.

Ovidia Mathews dice che molti Irlandesi stiano stereotipando i Rumeni come pigri mendicanti che non vogliono lavorare perché un piccolo gruppo di immigrati Rom da loro una cattiva reputazione.

Come risultato ha richiesto una campagna sui media per educare gli Irlandesi sulle differenze tra la più grande popolazione rumena che vive in Irlanda e il più piccolo gruppo etnico dei Rom.

Mathews dice che la comunità Rom sta danneggiando l'immagine della più vasta popolazione Rumena "Di solito li vedi (i Rom) per strada, a volte mendicando, a volte che vendono Big Issue... sono accampati sulla M50... ora c'è uno stereotipo... (e) tutti i Rumeni sono visti come Rom

"Probabilmente la cosa peggiore per i Rumeni è che (i Rom) non hanno la volontà di lavorare come normali cittadini. Ora, io non posso dire che nessuno di loro lavori, ma posso dirlo della grande maggioranza.

Attualmente ci sono circa 3.000 Rom che vivono in Irlanda, il 90% dei quali è arrivato qui dalla Romania.

 
Di Fabrizio (del 28/12/2007 @ 20:56:57, in Europa, visitato 2133 volte)

Dal Corriere della Sera

Egr. dr. Severgnini,
A distanza di quasi due mesi dai tragici fatti di Tor di Quinto, quando lo zingaro romeno Romulus Mailat assassinò e rapinò la signora italiana, prendendo spunto da ciò che leggo in rete e dai miei frequenti viaggi in Romania per motivi di lavoro, volevo far conoscere a lei e a chi leggerà la situazione che si è venuta a creare in quel Paese proprio in conseguenza di quei fatti: la campagna di stampa e tv italiani che hanno generalizzato e accusato l'intera Romania, hanno provocato un profondissimo risentimento dei romeni, popolo fortemente nazionalista come tutti i popoli dell'est, nei confronti dell'etnia rom-zingara.
Molti parlano apertamente di massacri di massa e si evocano i genocidi etnici per «liberarsi» degli zingari che creano un'orribile immagine del Paese all'estero. Gli organi d'informazione italiani senza rendersene conto hanno creato una tensione altissima che aspetta solo una malaugurata scintilla per esplodere in tutta la sua violenza. Si sa che tra atmosfera di pogrom a pogrom vero e proprio il passo è breve. Gli zingari in Romania rappresentano il 10% della popolazione, sono sempre stati discriminati e visti come un corpo estraneo. Fino a metà Ottocento erano comprati e venduti come schiavi, caso unico in Europa. La Romania si è sentita umiliata e offesa da come in Italia è stato presentato il Paese e il popolo. I romeni non sono diversi dai polacchi o dagli slovacchi ad esempio, ma la presenza delle due più numerose minoranze etniche d'Europa al suo interno, cioè due milioni di ungheresi e altrettanti zingari, provoca una certa tensione in particolare nei confronti dei rom i quali emarginati si recano in massa all'estero esibendo il passaporto romeno e creando così l'«equivoco» insopportabile per i romeni tra romeni e zingari-rom che porta alcuni a semplificare romeni=rom. La campagna mediatica italiana di inizio novembre ha profondamente ferito il popolo romeno, ora sarebbe giusto che la stessa stampa facesse conoscere meglio la realtà della Romania al pubblico italiano, sperando che in questo modo si possa allentare la tensione e il desiderio di «vendetta» nei confronti dei rom-zingari.

Francesco A., franz.iskus@yahoo.com

 
Di Fabrizio (del 26/12/2007 @ 15:36:15, in Europa, visitato 2127 volte)

Da Roma_Francais

I Rom di Romania avevano atteso da anni l'integrazione del loro paese nell'Unione Europea. Oggi, ad un anno dall'adesione del 1 gennaio 2007, è l'ora del disincanto. Rappresentano pertanto un vero test per la democrazia rumena.

Secondo il censimento ufficiale, i Rom sarebbero 537.000 nel paese.  Ma le OnG stimano il loro numero a 1,8 milioni di persone. Contrariamente alla minoranza ungherese, che nel 2004 rappresentavano 1,4 milioni di persone e tramite il partito Unione Democratica dei Magiari di Romania, ha riportato 22 seggi nel Parlamento alle legislative (6,2% dei voti), i Rom rumeni non hanno rappresentanti politici.

Sognano una vita migliore in seno alla UE, ma le loro sorti sono lontane dall'essere migliorate. "Oggigiorno, le diatribe anti-Rom si moltiplicano. Non ci sono più le case bruciate come nel 1990, ma, per tutto il 2007, i politici si permettono eccessi di linguaggio senza precedenti, afferma Nicoleta Bitu, dell'associazione Romani Criss. Il razzismo si esprime tanto a livello locale che nazionale."

Dana Diminescu, sociologa alla Casa delle Scienze dell'Uomo di Parigi, non vuole tuttavia credere ad un ritorno del razzismo. Ricordando che "Il presidente Traian Basescu aveva trattato una giornalista come "sporca zigana" nel mese di maggio, e si era presto scusato. Inoltre era stato convocato dal Consiglio nazionale per la lotta alla discriminazione, che gli aveva chiesto spiegazioni." D'altra parte, "I Rom sono oggi vittime d'una campagna di discriminazione che viene dall'Italia" accusa.

AMALGAMA ROM-CRIMINALITA'

Cittadini europei e liberi di circolare in Europa senza visto dal 1 gennaio 2007, una parte di loro è partita verso i mercati italiani o spagnoli in ricerca di redditi migliori del salario medio di 300 euro in Romania. Ma, dopo l'aggressione mortale ad una Italiana a fine ottobre, sono stati mostrati a dito come i principali responsabili della crescita della criminalità in Italia. L'amalgama Rom-criminalità è una reazione in gran parte condivisa al di là dell'Italia. Secondo il Centro di Studio per la Democrazia a Sofia, "l'87% dei Bulgari giudicano i Rom inclini agli atti criminali". Un sondaggio nella Repubblica Ceca indica che "il 40% dei Cechi considera inaccettabile avere dei vicini Rom."

Questi pregiudizi attraversano le generazioni. Secondo uno studio d'opinione pubblicata il 17 dicembre dall'OnG Ceca Persone e Bisogni, "il 76% dei liceali hanno un'opinione negativa sui membri della minoranza rom" e "il 79% stimano che i problemi dei Rom discendano dalla loro incapacità ad adattarsi alla nostra società." "Tutti gli sforzi che abbiamo fatto da oltre una dozzina d'anni sono stati cancellati in un slo colpo, nello spazio di qualche giorno, afferma Ciprian Necula, un giovane Rom militante nell'ambiente associativo in Romania."Siamo nell'Unione europea, ma per noi, è il ritorno alla partenza."

Alla pressione dell'Unione e di OnG molto attive come Romani Criss, la Romania ha fatto progressi in materia di protezione della sua minoranza, ma il finanziamento dei programmi è sempre mediocre. "Dal 1990, solo 50 milioni di euro sono stati assegnati in Romania per l'integrazione dei Rom," spiega il sociologo Gelu Duminica, presidente dell'associazione Insieme."Se si divide questa cifra per 1,8 milioni, si ha l'importo approssimativo speso per ogni Rom."" "Si dice sempre più spesso che il problema rom è un problema europeo, ma non occorre dimenticare che è anzitutto responsabilità di ogni stato membro dell'UE", ricorda Magda Matache, presidente dell'associazione Romani Criss.

Mirel Bran (à Bucarest) et Anne Rodier

Article paru dans l'édition du 26.12.07

 

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