Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
L'ora si puo' vedere dovunque, persino sul desktop.
Semplice: non lo faccio per essere alla moda!

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Conoscere non significa limitarsi ad accennare ai Rom e ai Sinti quando c'è di mezzo una disgrazia, ma accompagnarvi passo-passo alla scoperta della nostra cultura secolare. Senza nessuna indulgenza.

La redazione
-

\\ Mahalla : VAI : Europa (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 28/05/2009 @ 09:14:27, in Europa, visitato 3467 volte)

Ricevo da Dijana Pavlovic

Sono una romni, nata in Serbia nel 1976, cittadina italiana, di professione faccio l’attrice di teatro. Impegnata per il riconoscimento dei diritti fondamentali del mio popolo, ho partecipato alla costituzione della Federazione Rom e Sinti Insieme, sviluppando in particolare l’iniziativa culturale con spettacoli teatrali, traduzioni della letteratura rom, collaborando a l’Unità. Ho costituito l’associazione culturale Uprè Roma, che in lingua romanès significa “alzatevi uomini” in ricordo di come un Rom in un congresso internazionale chiuse il suo discorso: “Seppellitemi in piedi, per tutta la vita sono stato in ginocchio.” Adesso in ginocchio non sono solo i Rom ma la vita democratica del Paese. La destra che governa mette sì in ginocchio un intero popolo, quello Rom e Sinto, con leggi razziste, ma criminalizza gli immigrati, nega diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione e dal diritto internazionale, dallo studio, alla salute, alla libertà di culto, mentre su un altro versante attacca i diritti del lavoro e precarizza la vita di intere generazioni.

Ho iniziato l’impegno politico come candidata alle elezioni comunali 2006 nella lista di Dario Fo, poi alle politiche 2008 con la sinistra Arcobaleno, mi candido ora con il PRC convinta che compito dell’Europa sia difendere i diritti degli ultimi per difendere i diritti di tutti.

 
Di Fabrizio (del 27/05/2009 @ 09:06:21, in Europa, visitato 2272 volte)

Da Roma_Francais

PARIGI (AFP) - La morte di un ragazzino sabato in occasione dell'incendio di un deposito abbandonato a Bobigny (Seine-saint-Denis), dove s'erano installati un centinaio di membri della comunità della gens du voyage, illustra le difficoltà di alloggio e di vita quotidiana di questa comunità in Francia. "Questo dramma spaventoso era prevedibile, è un incendio della precarietà e dell'indifferenza", ha dichiarato domenica ad AFP Malik Salemkour, vice presidente della Lega dei Diritti dell'Uomo ed uno degli animatori del collettivo Rom-Europe.

Ha ricordato che un incendio sempre a Seine-saint-Denis, nel settembre 2008, aveva fatto due feriti leggeri tra gli 80 occupanti di un campo rom situato sotto l'autostrada A86 a Saint-Denis.

Il corpo del piccolo Diego, 7 anni, è stato ritrovato sabato tra i resti del deposito dai pompieri, che si erano mobilitati in un centinaio per venire a capo del sinistro.

Ci sono da 2.000 a 2.500 Rom rumeni e bulgari a Seine-saint-Denis, dove le espulsioni dalle occupazioni abusive si moltiplicano, ha precisato Salemkour. "Abbiamo domandato, con altre associazioni, che il problema dell'alloggio dei Rom sia trattato a livello regionale", ha detto il vice presidente della LDH che auspica d'altra parte che siano regolate le condizioni d'accesso al lavoro di questi Rom rumeni e bulgari perché "si sa che vogliono lavorare".

Sabato, il sindaco (PCF) di Bobigny, Catherine Peyge, aveva espresso la sua "collera" di fronte ad una situazione che "non poteva che finir male".

"Sono stati respinti da una città all'altra per terminare in questo hangar, a volte soltanto per guadagnare soltanto qualche centinaio di metri su non si sa che", aveva poi aggiunto.

"Ho scritto mercoledì al prefetto per allertarlo sulla situazione e chiedere una tavola rotonda per mettere in atto tutte le soluzioni umani e materiali, sono sempre in attesa di una risposta", aveva affermato.

Dall'inizio di aprile, l'Alta Autorità di Lotta contro le Discriminazioni e per l'Eguaglianza (HALDE) aveva lamentato che le sue raccomandazioni sulle discriminazioni, come l'alloggio, riguardando le circa 400.000 persone recensite come "gens du voyage e rom" in Francia "non hanno ancora avuto effetto".

A febbraio, la Difensora dell'Infanzia, Dominique Versini, aveva denunciato le condizioni di habitat e di scolarizzazione dei rom e della gens du voyage, in un rapporto di valutazione dell'applicazione della Convenzione Internazionale dei Diritti dell'Infanzia (CIDE). Versini aveva allora rilevato che "come le carovane non sono assimilate ad un alloggio, i loro genitori non accedono agli aiuti per l'alloggio".

Questi migranti vengono da Romania e Bulgaria, paesi membri dell'Unione Europea, per fuggire dalla miseria. In Francia, sei ore di accattonaggio fruttano 15 euro, quattro volte di più di quanto possano sperare di guadagnare in una giornata in Romania.

I Rom sarebbero circa 10 milioni in Europa, ossia la più grande minoranza. La comunità conterebbe più di 2 milioni di persone in Romania, 800.000 in Bulgaria ed altrettanti in Spagna, secondo le cifre più recenti.

[...]

 
Di Fabrizio (del 25/05/2009 @ 09:10:16, in Europa, visitato 1614 volte)

Da Nordic_Roma

Helsingin Sanomat First published in print 16.5.2009  Il sindaco Pajunen vuole una nuova legge per proibire l'accattonaggio By Jussi Pajunen (sindaco di Helsinki)
Un libro di Kimmo Oksanen pone il fenomeno nel contesto europeo

Un nuovo libro del giornalista Kimmo Oksanen, Kerjäläisten valtakunta – Totuus kerjäävistä romaneista... ja muita valheita (Il Regno dei Mendicanti - la Verità dei Rom Mendicanti e Altre Bugie) è un libro di mio gradimento.

Non è una proclamazione. Non contiene alcuna singola verità.

Pone un fenomeno che esiste di fronte ai nostri occhi nel quadro europeo di riferimento. E, soprattutto, racconta dei Rom che mendicano, che sono tra noi. Sta al lettore tirare le conclusioni. Il testo si divide in due parti: Finlandia ed estero.

Per me, gli eventi ad Helsinki ed in Finlandia sono riportati circa nella stessa maniera che ho sperimentato nel mio ruolo di Sindaco di Helsinki.

Gli eventi partono dall'inizio del 2007, quando Romania e Bulgaria diventano membri della UE. Un gruppo di Rom mendicanti dalla Romania ha fatto sbarco ad Helsinki.

Nelle nostre strade siamo costretti a testimoniare ad un fenomeno estero. Qualcosa che è familiare a chi ha viaggiato, ma nel contempo è strano vederlo sui nostri marciapiedi.

Molti sentono che è un affronto alla società del welfare che noi apprezziamo così tanto. "Qui nessuno deve mendicare."

Oksanen da una faccia ai mendicanti Rom. Sono persone proprio come noi. Persone che hanno sviluppato il loro proprio modello per sopravvivere nei secoli. Mendicare è la loro professione. Mendicare non è illegale in Finlandia.

Non tutti i Rom sono mendicanti. La maggior parte di loro sono cittadini ordinari che soffrono povertà e discriminazione.

Questo appare nella parte del libro che riguarda la Romania. Ci sono anche gruppi di Rom che commettono crimini.

Secondo Oksanen, non ci sono segni di una più vasta invasione di crimine Rom. In altri paesi europei è norma.

Una parte interessante del libro riguarda un paragone tra le nostre azioni e la realtà di certi paesi europei. Si stima che ci siano circa 200 mendicanti Rom in Finlandia. In Italia, le stime parlano di 70.000 Rom dalla sola Romania.

Paura e fenomeni razzisti contro gli immigrati scuotono le fondamenta della democrazia in quel paese. Qui in Finlandia, e ad Helsinki, siamo molto lontani [da quei fenomeni].

I mendicanti nelle nostre strade sono una parte minima rispetto all'Italia. Fortunatamente per noi.

Il libro dettaglia la storia dei mendicanti nelle nostre strade. Da una parte, la storia della gente che mendica e dall'altra, le reazioni ufficiali a questo fenomeno.

I diversi dipartimenti della Città di Helsinki sono perciò in una posizione chiave. Posso dire di provare un tiepido senso di orgoglio che molti incaricati cittadini hanno reagito prontamente alla forte crescita della popolazione migrante nella nostra città.

E' una buona idea di essere proattivi. Così agendo, possiamo essere preparati a confrontarci con un aumento dei crimini. D'altra parte, tenere la questione in forte considerazione può avere un effetto diretto nel prevenire l'aumento ulteriore del fenomeno dell'accattonaggio.

Oksanen descrive le reazioni dei vari gruppi ai mendicanti che arrivano nel nostro paese. Da molti quartieri inaspettati arrivano resistenze.

Il fatto che loro stessi non vogliano avvalersi dei nostri servizi di welfare, per molti è duro da capire.

Ho smesso di pensare quanto del nostro modello di welfare si è inavvertitamente mutato dall'essere un benefattore ad essere sistema chiuso.

Kimmo Oksanen offre una vasta considerazione nel suo libro alla domanda su come aiutare i Rom nel loro paese. E' facile concordare col suo pensiero. Il Consiglio Cittadino di Helsinki recentemente ha approvato la strategia per l'attuale termine elettorale, richiedendo la progettazione di una responsabilità globale della città.

Il mio personale punto di vista sull'accattonaggio per strada è chiaro. Non voglio che questo tipo di professione si radichi qui. Non è parte della nostra cultura.

Sarebbe bene se l'accattonaggio fosse contro la legge. Sfortunatamente non abbiamo cercato e testato le ordinanze cittadine a nostra disposizione . Sarebbero uno strumento più flessibile. "Non si può mendicare o sollecitare".

Ma... ogni mendicante Rom deve avere lo stesso valore di ogni altro essere umano. Potrebbe essere uno di noi. Ognuno di noi potrebbe essere uno di loro.

 
Di Fabrizio (del 23/05/2009 @ 09:21:05, in Europa, visitato 1577 volte)

Da Roma_Francais

Gli "Zigani" ritrovano pezzi di memoria Swissinfo.ch par Isabelle Eichenberger

Passaporto svizzero di Thedo ed Anna B. annullato nel 1931 e mai rinnovato (Archivi federali svizzeri)

La Svizzera non è mai stata tenera con la "sua" gens du voyage e s'è superata durante la II Guerra per liquidare il problema degli Zigani che scappavano dallo sterminio nazista. Un libro infine chiarisce questa zona d'ombra della politica dei rifugiati.

Primo caso illustrato: l'attuale presidente dell'associazione yéniche di Svizzera, Robert Huber, è stato internato nel penitenziario di Bellechasse a 17 anni, in mezzo ai criminali, giusto perché faceva parte di questa minoranza di "asociali".

Secondo caso: Anton Reinhard, giovane Sinto tedesco rifugiato in Svizzera, espulso nel 1944 verso la Germania, dove fu ucciso nel 1945.

"Perseguitati già sotto l'Ancien Régime, gli Yénich e gli altri "Zigani" hanno sofferto molto nel XX secolo. Con l'arrivo del nazismo, la discriminazione s'è mutata in persecuzione". Thomas Huonker è uno dei migliori specialisti della gens du voyage in questo paese.

Assieme a Regula Ludi, ha scritto "Roms, Sintis et Yéniches – La 'politique tsigane' suisse à l'époque du national-socialisme", per la Commissione indipendente di esperti "Svizzera - II Guerra mondiale" (CIE).

Alla  pubblicazione del rapporto finale nel 2002, la CIE aveva rinunciato a tradurre i suoi studi in francese ed italiano. Ora è cosa fatta grazie alle Edizioni Pace Deux.

Fonti rare

Le pubblicazioni su questa popolazione sono rare come le fonti ufficiali, perché gli "Zigani" hanno una tradizione orale ed erano registrati solamente sui registri della polizia (che sono segreti). Questo statuto giuridico particolare fa sì che gli storici lavorano soprattutto con le testimonianze. Inoltre, le famiglie spesso sono state separate e le tradizioni familiari perdute. Bisogna quindi rendere omaggio alla pazienza dei due storici.

A differenza dei Rom e dei Sinti di origine indiana, gli Yénich sono una minoranza autoctona dalla notte dei tempi e si stima che il 10% sia ancora nomade. "Sono cittadini svizzeri dal 1851, ma sono rimasti una sospetta" spiega Thomas Huonker. E poi "dal 1926 c'è stata quell'azione Enfants de la Route de Pro Juventute per neutralizzare gli Yénich e sterilizzarli, separare le famiglie ed affidare i bambini a famiglie o case d'accoglienza".

Thomas Huonker, storico e specialista degli Yénich (swissinfo)

"Razze straniere"

Quanto ai Sinti e ai Rom, sono stati ugualmente sospetti ed indesiderabili. "Sono stati sistematicamente cacciati dalla Svizzera, tranne tra il 1848 e il 1888," prosegue lo storico. "Dal 1906, la frontiera per loro si è chiusa e non avevano il diritto di viaggiare in treno. Le autorità non volevano questo gruppo culturale nel paese. Questa terribile tradizione è durata sino al 1972 e non si è interrotta neanche durante l'Olocausto."

Questa gente è stata assimilata alle "razze straniere" della dottrina ariana dei nazisti. Le autorità svizzere erano informate delle persecuzioni, ma non hanno lo stesso accordato l'asilo alla gens du voyage. Hanno continuato ad espellerle e sterilizzarle.

"Erano sottoposti ad una procedura di registrazione," prosegue Thomas Huonker. "Gli uomini erano internati per mesi nei penitenziari (a Witzwil, Bellechasse, ecc.) o in clinica psichiatrica e la loro famiglia nelle case dell'Armée du Salut o della Caritas. Li si riuniva solo per espellerli."

Un'antica maledizione

Perché questo accanimento? Per Thomas Huonker, è il problema classico delle minoranze, un'antica maledizione, come quella degli ebrei o degli indigeni nei paesi colonizzati. "Una volta rinchiusi nello stereotipo della minoranza senza voce, è molto difficile uscirne perché i pregiudizi persistono, la maggioranza insiste nel trattarli da stranieri." Questi meccanismi sociologici perseguitano la gens du voyage.

Le cose hanno cominciato a cambiare negli anni '70, dopo la denuncia dello scandalo di Enfants de la route. Ma è occorso tempo. Solo nel 1987 il presidente della Confederazione, Alfons Egli, ha presentato scuse ufficiali alla gens du voyage. Adesso resta loro da ritrovare il loro passato sparpagliato ai quattro venti.

"Gli Yénich hanno domandato ricerche ufficiali dal 1975. Si sono dovuti attendere vent'anni perché cominciassero. In effetti ci sono state resistenze ad aprire gli archivi, soprattutto da parte della Pro Juventute, delle polizie cantonali e delle istituzioni psichiatriche", racconta lo storico.

Lo yénich è stato riconosciuto come una lingua nazionale ma, politicamente, questa minoranza è assente dal paesaggio. "Provano a fare parlare di loro per difendere la loro perpetua ricerca di terreni d'accampamento (vedi QUI ndr), ma non sono rappresentati nelle istanze politiche, come gli Uranais o gli Appenzellois. Ce ne sono uno o due nei Grigioni che hanno responsabilità comunali, ma si definiscono come grisoni, non come yéniche", spiega ancora Thomas Huonker.

 
Di Fabrizio (del 21/05/2009 @ 09:41:06, in Europa, visitato 1846 volte)

Da Roma_Daily_News

VITA.europe by Rose Hackman -14 maggio 2009

David Mark risponde su domande sulla situazione dei Rom in Europa, mettendo in luce le attuali dorme di discriminazione e le minacce per il futuro.

"Questo tipo di clima antizigano è simile a quello che vedevamo in Europa prima dell'inizio della II guerra mondiale. La storia è là a ricordarci quali sono i pericoli concreti."

Parole forti da David Mark, 26 anni, che segue le Iniziative Rom per l'Open Society Institute, ed è coordinatore per la Coalizione Politiche Rom Europei (ERPC). Parla della situazione dei Rom in Europa, della responsabilità UE come pure dei governi nazionali e dei rischi per il futuro.

Come ti sei coinvolto alla causa rom?

Io stesso sono Rom e sono cresciuto in Romania. Quando ero cresciuto, mia madre iniziò con una OnG sui Rom nella mia città. Poi quando studiavo in Ungheria, sono stato attivista in programmi educazionali, campi estivi, ecc. In estate torno ancora in Romania e lavoro su questi programmi. E' parte di ciò che sono. Non è soltanto fare ciò che credo sia giusto o sbagliato, ma anche la mia cultura e la mia identità. Sono un vero attivista rom.

Hai mai trovato discriminazione nei tuoi confronti?

In un certo senso. Quando dico che sono Rom, è comune notare un cambiamento nell'attitudine verso di me. Ma mi sono circondato con persone che non sono così. La reazione comune della gente significa anche che posso evitare di parlare della mia identità culturale per evitare problemi. Benché abbia assistito alla discriminazione contro altri Rom. Per esempio, essere in un bar per una normale consumazione e vedere un gruppo di Rom più "tradizionale" entrare, e a loro dicono che non possono ordinare perché è in corso una festa privata. Io so che non c'è nessuna festa privata. Di sicuro non sono stato invitato lì da nessuno. Questo tipo di cose mi fa molto arrabbiare.

Com'è partita la Coalizione?

E' un'iniziativa davvero nuova, perché l'abbiamo messa a punto due anni fa. Siamo una coalizione di dieci OnG, che combinano le organizzazioni specifiche con quelle di organizzazioni internazionali più grandi: Amnesty International, Minority Rights Group International, European Roma Grassroots Organisation, ecc. Ci siamo uniti quando abbiamo compreso che c'era una seria mancanza di attenzione da parte dell'Unione Europea verso le tematiche rom. Sentivamo che dopo l'apertura dell'Unione Europea verso est, fosse cruciale per i governi di tutta Europa di coinvolgersi nell'affrontarne le conseguenze. La responsabilità UE in ciò è enorme.

In termine di singoli paesi, ci sono dei modelli europei che possono essere seguiti?

Sì. Penso che il modo migliore di trarre interessanti conclusioni sia di comparare due paesi con situazioni simili dovute all'influsso rom: Spagna e Italia.

Questi paesi stanno agendo in maniera completamente differente. In Spagna, abbiamo visto uno sforzo di integrare con strumenti come l'istruzione, strategie d'impiego, e aiuto per le case, che hanno avuto molto successo. In Italia, c'è una totale mancanza di volontà politica di accettare la questione ed affrontarla pragmaticamente. Invece di progettare integrazione e soluzioni concrete, stiamo vedendo misure di esclusione estrema e discorsi grondanti odio sviluppati dagli stessi politici per guadagnare popolarità. Non si affrontano assolutamente le questioni.

Vorresti dire che questo aiuto pragmatico che arriva dalla Spagna, come pure dai gruppi indipendenti, ha aiutato la reale inclusione ed accettazione sociale?

Sì. Penso davvero che questo aiuti immensamente. Quando i gruppi non sono rifiutati ma accettati, aiuta il dialogo sociale e lo scambio interculturale. Tu sai che i Rom sono un gruppo molto giovane, c'è un grande potenziale che può essere sfruttato socio-economicamente. La gente deve solo rendersene conto.

Quali diresti sarebbero i rischi se l'Europa non si confrontasse con questi temi?

Penso che se i paesi europei continueranno in questo modo, andremo incontro ad un quadro molto torvo.

L'esclusione sociale viaggia. I Rom non spariranno. Se vengono espulsi o rigettati da un paese, andranno in un altro, e poi probabilmente in un altro ancora, sempre più alienati e diventeranno come paria ei paesi in cui si stabiliscono. Ma alla fine dove andranno? Cosa possono fare? Si stimano 8-10 milioni di Rom in Europa oggi. Troppi per essere ignorati, specialmente in un clima simile, dobbiamo soltanto guardare la storia per ricordare - l'antiziganismo sta crescendo da molto tempo. Questo tipo di clima è simile a quello che vedevamo in Europa prima dell'inizio della II guerra mondiale. La storia è lì a ricordarci quali sono i concreti pericoli.

Così vorresti dire che l'Europa è xenofoba, o piuttosto razzista?

Sì. E penso che questi sentimenti stanno crescendo ad un ritmo davvero preoccupante. Ci sono già stati eventi luttuosi in Ungheria. Dove i prossimi?

Cosa si può fare?

Noi dell'Open Society Institute stiamo facendo una campagna per un rinnovato impegno e rispetto dei maggiori partiti europei verso la Carta dei Partiti Europei per una Società Non Razzista, che originariamente è stata firmata nel 1998 dalla maggior parte dei partiti dell'Europa orientale. Però sinora abbiamo ricevuto poche risposte.

Abbiamo anche bisogno di un approccio pragmatico dei governi nazionali che diminuiscono l'attenzione invece di aumentarla. Sfortunatamente, i politici spesso usano l'odio contro i Rom per fini politici, specialmente durante le loro campagne. Questo fa solo peggiorare le cose.

Guardando al futuro, cosa possiamo tentare d'ottenere? Un Rom-Obama come Presidente della UE?

Forse non un Presidente Rom, ma almeno un Commissario. Sarebbe bello.

www.romapolicy.eu

 
Di Fabrizio (del 20/05/2009 @ 09:43:47, in Europa, visitato 2325 volte)

Da Roma_Daily_News

The Prague Post
La destra è tornata in Europa Centrale, ora con moderne tecniche di pubbliche relazioni
14 maggio 2009 | By Jaroslaw Adamowski, For the Post

Courtesy Photo

Mentre i mezzi d'informazione cechi sempre più riportano di incidenti a sfondo nazionalista o razziale, anche gli osservatori più passivi iniziano a chiedersi: E' cambiato qualcosa nella società ceca? Col crescere dell'intolleranza verso la minoranza rom, manifestazioni neonaziste e leader stranieri di organizzazioni suprematiste bianche invitati a tenere letture alle università, sono soltanto tentativi di gruppi marginali per ottenere attenzione, o c'è qualcos'altro? La società ceca è l'unica a confrontarsi con questi problemi?

L'aumentata attività dei movimenti di estrema destra è parte di una tendenza nell'intera regione. In quasi tutti i paesi dell'Europa centrale - Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia - politici nazionalisti e di estrema destra stanno preparando un grande ritorno. Stavolta, hanno imparato la lezione dalle sconfitte precedenti e, come risultato, hanno ammorbidito la loro immagine. Ora, la questione è: Perché e come sono tornati?

Non è una coincidenza che, come l'economia globale ha smesso di scendere e la recessione ha colpito duro l'Europa centrale, i partiti di estrema destra si sono rafforzati. Quando i politici, di destra o sinistra, offrono poche soluzioni dirette per superare la crisi, c'è sempre il rischio che la gente voti di getto per qualcuno che offre soluzioni semplici a problemi complicati.

Ungheria

In Ungheria, ad esempio, Jobbik, il Movimento per un'Ungheria Migliore, è un partito di estrema destra con un'agenda che include la reintroduzione della pena di morte, "l'indipendenza economica", e di mandare tutti i cittadini di origine rom fuori dal paese. Potrebbero entrare nel Parlamento Europeo con le elezioni di giugno. Il partito si nutre con le paure della società ungherese: un'economia nazionale in arretramento che ha sofferto della stagnazione molto prima del tracollo globale, la crescita della disoccupazione, del crimine ed una minoranza rom che rimane non integrata. Jobbik ha approfittato dell'incapacità della classe politica dirigente o della mancanza di volontà di affrontare quelle paure. I sondaggi dicono che Jobbik potrebbe avere un base tra il 4 e il 5%, che è abbastanza per passare la soglia per ottenere seggi in Parlamento.

Formatosi nel 2002 come organizzazione giovanile del partito di di destra Fidesz - la più grande opposizione parlamentare e probabile vincitore delle prossime elezioni - Jobbik si è trasformato in un partito autonomo un anno dopo e da allora si è ritagliato una posizione propria con discorsi d'odio e violenza contro i Rom, gli Ebrei e le "elite liberali e di sinistra". Nell'agosto 2007, un gruppo di 56 indossando uniformi bianche e nere ed i distintivi cappelli Bocksai del periodo tra le due guerre, si sono riuniti a Budapest presso la famosa Budai Var, la Collina del Castello, accanto al Palazzo Presidenziale. Il leader di Jobbik, il trentunenne Gabor Vola, prestò giuramento di lottare per "una nazione, una religione e una patria". Politici del Fidesz ed il primo ministro della difesa del post comunismo, Lajos Fur, parteciparono alla cerimonia. Il numero degli aderenti alla Magyar Garda - un gruppo paramilitare associato a Jobbik, è cresciuto a circa 2.000. Sono stati senza successo i tentativi giudiziari di mettere fuorilegge il gruppo, registrato da Jobbik come "associazione culturale". La forza del gruppo, secondo Vona, è di "proteggere la nazione ungherese".

Anche se le inclinazioni di destra per le uniformi e per l'arte militare non sono cambiate dagli anni '30, questi gruppi hanno provato a modificare la loro immagine negli anni. I moderni nazionalisti non hanno niente dei loro predecessori negli anni '90, che sembravano vivere soprattutto nel passato. Vestito con abiti di buon taglio e sorridente, Vona assomiglia ad un uomo d'affari, piuttosto che ad un leader dell'auto proclamato "partito cristiano patriottico radicale". Laureato in storia e psicologia ed ex insegnante, Vona pesa le sue parole quando risponde alle domande dei giornalisti. Al posto di invocare slogan razzisti, parla della "situazione irrisolta della sempre crescente popolazione zingara". Al posto della retorica anti UE, dice che il suo partito "appoggia la cooperazione europea, ma non l'attuale alleanza burocratica tra stati".

Il giovane leader di Jobbik sa che, per accogliere un più ampio spettro di votanti, deve comunicare contenuti estremi con una confezione moderata. E' per questo che il partito ha scelto Krisztina Morvai, professoressa dell'Università di Budapest, come capolista alle elezioni europee. La sua eloquenza, stile e curriculum, che include il lavoro per le Nazioni Unite, fanno di lei un perfetto candidato per Jobbik che sta tentando di migliorare la propria immagine. I nuovi nazionalisti sanno che un altoparlante ed un gruppo di militanti violenti non basta per ottenere un seggio al Parlamento. Stanno provando ad espandere la loro influenza oltre i tradizionali steccati politici entrando nei media o convincendo imprenditori stranieri a sponsorizzare le loro attività, come nel caso della Polonia, dove l'estrema destra si è infiltrata nei media pubblici.

Polonia

Anche se i due maggiori partiti nazionalisti - LPR, o Lega delle Famiglie Polacche, e Samoobrona, o Auto-Difesa - dal 2007 non hanno seggi in Parlamento, i loro aderenti hanno mantenuto i posti in vari corpi influenti, come il tavolo di supervisione della televisione pubblica. Nel dicembre 2008, Piotr Farfal, ex membro della LPR e neonazista in gioventù, divenne il presidente delle trasmissioni della televisione pubblica.

Dopo la sconfitta elettorale della LPR nel 2007, Farfal e i suoi seguaci di estrema destra cominciarono ad organizzare la branca polacca del movimento pan-europeo Libertas, fondato dal multimilionario irlandese Declan Ganley, sperando che un nuovo marchio straniero con un ricco investitore - come nel commercio ordinario - possa sostenere le loro probabilità nelle elezioni europee. Anche se Ganley assicura che il suo partito è de facto pro-europeo, i candidati di Libertas in Polonio offrono un'impressione differente. Tutte le figure chiavi erano precedentemente associate a movimenti anti-UE, fondamentalisti cristiani e nazionalisti, che spingevano per radicalizzare la legislazione polacca contro l'aborto (che è già una delle più severe in Europa), proibire la prostituzione, reintrodurre la pena di morte e rendere economicamente la Polonia del tutto autosufficiente. Ironicamente, la stessa globalizzazione che loro così disprezzano, ha permesso ai nazionalisti polacchi di ricevere supporto finanziario da un milionario irlandese.

Mentre Farfal non si è unito al nuovo partito, le sue simpatie politiche si fanno sempre più evidenti con l'avvicinarsi delle elezioni del 7 giugno. Ad una prima occhiata, i contenuti televisivi non sembrano essere cambiati significativamente, ma sono i dettagli che importano. Quando Ganley ha visitato la Polonia il 20 marzo, la televisione pubblica ha interrotto la normale programmazione per trasmettere la sua conferenza stampa. Il giorno stesso, un'intervista speciale con Ganley è andata in onda subito dopo un popolare programma di informazione, un conduttore che originariamente doveva condurre l'intervista ma rifiutò di farlo venne sospeso poche settimane dopo. Dato che la manipolazione politica è sempre stata un tema caldo nella televisione pubblica polacca, "adattare" i suoi programmi ai bisogni di un partito valutato meno dell'1% nei sondaggi pre-elezione, ha causato abbastanza agitazione. Un certo numero di importanti figure pubbliche ha protestato contro i colleghi nazionalisti di Farfal, assumendo la direzione delle trasmissioni pubbliche e rimpiazzando i manager ed i giornalisti con altri provenienti dai loro ranghi.

Slovacchia

In Slovacchia, gli estremisti hanno similarmente appreso a valutare più il pragmatismo dell'idealismo. L'SNS di estrema destra, o Partito Nazionale Slovacco, è parte della bizzarra coalizione socialdemocratica e nazional-populista del Primo Ministro Robert Fico, che ha governato dal 2006. L'SNS accusa i giornali slovacchi di favorire l'opposizione, ma non esita a sua volta nell'usarli strumentalmente. Il suo talento nel manipolare i media si è mostrato pienamente lo scorso 5 aprile, quando il presidente Ivan Gašparovič si assicurò il suo secondo termine di governo con l'approvazione della coalizione in carica. Il suo principale oppositore, la liberale Iveta Radičová, doveva la sconfitta soprattutto alla campagna negativa lanciata dall'SNS. Mentre si avvicinava il giorno delle elezioni, i nazionalisti slovacchi pagarono una pagina intera di pubblicità con false accuse a Radičová di promettere l'autonomia alla minoranza ungherese. In un paese dove la disoccupazione supera l'11% ed il governo offre poche soluzioni alla crisi finanziaria, la tentazione di incolpare Ungheresi e Rom durante la campagna è cresciuta e ha trovato un elettorato attento.

Le moderne tecniche di pubbliche relazioni hanno fornito utili attrezzi all'estrema destra. Sfortunatamente, questo va crescendo e non è l'eccezione. I politici estremisti ne stanno diventando adepti e si auto dipingono come alternative ragionevoli; questo è forse più preoccupante dei messaggi stessi.

- The author is is a Polish freelance writer who divides his time between Warsaw and Istanbul. He writes about Central Europe for the Journal of Turkish Weekly.

Jaroslaw Adamowski can be reached at features@praguepost.com
 

 
Di Fabrizio (del 20/05/2009 @ 09:30:46, in Europa, visitato 1570 volte)

Da Roma_Francais (sui villaggi d'inserimento, era stato già pubblicato un parere critico. Diamo voce anche all'altra campana con una testimonianza che sembra positiva)

domenica 17.05.2009, 04:48 - La Voix du Nord

Discreti al punto di suscitare paradossalmente l'interesse dei vicini, le due famiglie rom installate a Halluin vivono una "esperienza positiva" secondo l'associazione di inserimento che assicura il loro seguimento...

"L'esperienza è per il momento positiva, il progetto va bene..." E' Karim Louzani ad affermarlo. Lui che dirige l'AFEJI, un'associazione d'inserimento, deve assicurare il seguimento di due famiglie rom installate a Halluin. Uno degli indicatori più positivi è la riuscita scolarizzazione dei cinque bambini. "Tutti nel pubblico e con una buona partecipazione dei genitori che vegliano sulla loro assiduità", rincara Louzani. Perché la volontà di queste due famiglie è di fondersi nel decoro di Halluin sembra reale. "I genitori sono iscritti nel dispositivo di insegnamento della lingua... E le relazioni col vicinato vanno bene grazie all'intervento degli assistenti sociali". Al punto che questi "ritorni positivi" permettono oggi di pensare che la malfidenza dei primi giorni ceda il passo ad un sentimento più sfumato.

Anche se, sul posto, paradossalmente nessuno si stupisce della loro relativa discrezione. "Ormai non sperano che una cosa, poter lavorare [...]", prosegue il direttore dell'AFEJI. E qui è evidente che le cose si complicano. "Tutto resta legato alle domande di regolarizzazione, all'avviso dalla prefettura. Dobbiamo rispondere a degli imperativi legali, ma abbiamo buone speranza. I documenti sono in corso di regolarizzazione..." Seguite dalle CCAS (Cassa Centrale delle Attività Sociali ndr), beneficiarie di Restos du coer, le due famiglie rom non prevedono che una cosa, secondo Karim Louzani: "Lavorare per pagare l'affitto".

PATRICK SEGHI

 
Di Fabrizio (del 16/05/2009 @ 09:08:23, in Europa, visitato 1692 volte)

Da British_Roma

Il Consiglio RCN deve far pressione per rivedere l'accesso ai servizi sanitari e sociali per gruppi socialmente esclusi, come le comunità viaggianti ed i senza casa, hanno detto le infermiere.

Le infermiere hanno votato quasi all'unanimità una mozione, proposta da Marcelle De Sousa, del forum adolescenti dell'RCN, che solleva preoccupazioni sulla qualità dell'assistenza per questi gruppi.

"Il gap tra ricchi e poveri è il più ampio dal 1960. I Viaggianti spesso trovano che i siti permanenti sono al lato di strade, fabbriche o impianti industriali, ed hanno alte incidenze di asma ed eczemi."

Tuttavia, ha aggiunto che l'assistenza che hanno ricevuto spesso è stata inadeguata. "Quando accedono al servizio sanitario, trovano che non si adattano al sistema," ha aggiunto.

"Molti lottano per l'accesso all'assistenza e quando lo fanno, a volte incontrano discriminazioni," ha detto Lorraine Tinker, del forum pediatrico oncologico.

"Le ambulanze non assisteranno nei siti fissi, o loro non sono in grado di accedere ai servizi primari. Ci sono tuttavia problemi di droga e alcool e violenza domestica. Appoggio la risoluzione per assicurare che cia sia una fine per questa ineguaglianza d'accesso per questi membri più vulnerabili della società."

Garet Phillips, membro del consiglio RCN per il Galles, ha avvisato i delegati di ignorare i volantini distribuiti fuori dalla sala del congresso dall'Alleanza dei Contribuenti.

I volantini criticavano il Consiglio di Ealing per aver assunto un "Incaricato al Collegamento per Zingari, Rom e Viaggianti"[sic].

"Questi volantini non hanno posto nel Congresso RCN," ha detto. La mozione è stata gradita dal 99% dei presenti.

 
Di Fabrizio (del 14/05/2009 @ 09:43:38, in Europa, visitato 1478 volte)

Da Roma_Daily_News

7 maggio 2009, Economist.com Incomprensi e bloccati nel fango

POCHI argomenti destano più controversie dei Rom nell'ex regione comunista. E' facile caricaturare le posizioni più esplicite. Da una parte, attivisti prezzolati che non vedono altro che razzismo di un'arrogante maggioranza bianca. Dall'altro, retti cittadini, soddisfatti di sé stessi che ritengono i Rom (messa gentilmente) autori delle loro sfortune, o (meno gentilmente) un assieme di ladri parassiti buoni a nulla.

La realtà è molto più complicata. Chiaramente il non-intervento, l'approccio punitivo dei Rom - delinquenti non è una risposta. Rinchiudere i Rom (per esempio, come l'America imprigiona il suo sottoproletariato nero) non è solo futile, ma sbagliato. La sofferenza di così tanti milioni di Europei dovrebbe scuotere la coscienza del continente. La schiavitù rom terminò soltanto circa 150 anni fa. Sono stati l'unico gruppo razziale, con gli Ebrei, che Hitler tentò di sterminare. I regimi comunisti resero illegale il loro modo di vita. Le riforme economiche hanno tagliato la loro rete di sicurezza.

Reuters

Inoltre, gli argomenti dei Rom - delinquenti sono fragili. Asseriscono simultaneamente che la discriminazione non è il problema mentre contemporaneamente rilasciano ampie dichiarazioni sulla criminalità rom, la loro avversione all'istruzione, ed inaffidabilità. La disgustosa esperienza dei bambini rom adottati alla nascita da genitori non-rom mostra che il razzismo è almeno una parte del problema.

In verità, le generalizzazioni sulle questioni rom sono inaccurate dal punto di vista dell'inutilità. Chiaramente non tutti i Rom sono poveri (o senza istruzione, o abusano dell'assistenza pubblica, o inclini alla criminalità). Difatti, le caratteristiche comuni sono rare: l'uso della lingua romanì, per esempio, varia ampliamente. Certamente i Rom non sono del tutto innocenti per le critiche stereotipate su di loro. In effetti, pochi attivisti rom vorrebbero dimostrare il contrario.

Ma ragionare sull'accuratezza di queste generalizzazioni è futile, specialmente perché la definizione stessa di "Rom" è contestata. Per fortuna, i paesi civilizzati non usano i test del DNA per stabilire l'etnia e scrivere il risultato sui documenti d'identità. Indipendentemente da ciò, "Rom" è una questione di auto-descrizione. Alcune parti del problema si vedono meglio come questioni etniche. Piuttosto, si può capire di più come il risultato di una povertà profondamente radicata in un sottoproletariato. Come puntualizza Petra Gelbart, un'attivista rom ceca ora in America, molti dei problemi ascritti ai Rom, come le frodi nell'assistenza pubblica, sono presenti anche nelle comunità povere non-Rom.

Quei Rom che conducono vite miserabili nell'Europa orientale (e migrano verso quella occidentale per trovarsi vilipesi anche lì), lo fanno principalmente perché sono poveri, non a causa di una loro (spesso apparente) connessione linguistica e culturale con una datata migrazione dall'India. Cercare di fermare la discriminazione e promuovere la lingua romanì può aiutare quanti già attaccano la mobilità. Ma cercare di terminare una cultura di povertà radicata per generazioni, probabilmente è più importante.

Questo non rende facile le risposte. Soprattutto nelle politiche sociali, un meccanismo statale determinato ma flessibile è il requisito centrale. Una scuola locale dinamica che offre pasti caldi gratuiti e sovvenzioni le divise scolastiche può cambiare le attitudini familiari sul mandare lì i propri figli. Combinato con un sistema di assistenza che renda i benefici dipendenti da bassi tassi d'interesse e tutto ciò diventa ancora più efficace.

Tutto questo richiede fondi e buon governo. Questo sembra nel breve termine. I paesi ex-comunisti hanno fatto fatica nella gestione anche quando i tempi erano buoni. Poiché la diminuzione economica comprime la spesa pubblica, prestare attenzione urgente ad una minoranza disprezzata non sembra una mossa vincente.

 
Di Fabrizio (del 06/05/2009 @ 09:20:58, in Europa, visitato 3965 volte)

Di Alberto Maria Melis, tratto da "La terza metà del cielo"

(foto tratta da "Romà anni 80 e 90 Selargius Cagliari")

Roger Bastide, nel volume "Ethnologie Général, EncycIopedie de la Pléiade", dice che ogni rito "... è un ricominciare ciò che è accaduto nei tempi primordiali, ma non è una semplice commemorazione, abolisce il tempo profano per fare penetrare l'uomo nell'eternità. Il mito rivive, il tempo mistico viene restaurato, ridi viene presente, con tutta la sua forza attiva. Cosicché tutte le feste, tutte le cerimonie, non sono altro che il ricominciare di ciò che è accaduto... La natura e la storia vengono rigenerate mentre sono reintegrate in questo "illo tempore ", che in effetti ha fondato all'inizio del mondo sia la natura che la storia".

Il rivivere di questo mito, la restaurazione di questo tempo mistico, esplode con incommensurabile vitalità quando i Roma cagliaritani festeggiano alcune ricorrenze di carattere religioso, delle quali la più importante e la più sentita è certamente la Festa di Primavera, che si svolge il 6 Maggio e che viene anche chiamata Gurgevdan, cioé Festa di San Giorgio.

È parere di alcuni ziganologi che gli Zingari festeggino le ricorrenze in qualche modo assimilate dalle popolazioni cristiane e islamiche che hanno incontrato lungo la strada dall'India.

Di questa assimilazione sarebbero un esempio i festeggiamenti più noti tra gli Zingari di fede cristiana, quelli cioè relativi al pellegrinaggio che ogni anno essi fanno sino al Santuario di Saintes-Maries-de-la-Mer, in Camargue, dove la leggenda vuole che nel 40 d.c. fossero approdate tre donne, insieme a San Lazzaro resuscitato, a Massimino e a Sidone, su una barca abbandonata in alto mare dagli Ebrei.

Delle tre donne, le cui reliquie sarebbero state riportate alla luce da Re Renato di Provenza nel 1448, gli Zingari ne venerano in particolare una, Santa Sara l'Egiziana, la santa di pelle nera che essi hanno adottato come loro patrona e che dicono fosse della loro stessa razza.

Secondo il De Foletier è probabile che questo culto abbia avuto inizio solo in tempi non troppo remoti e grazie all'identificazione in una santa che come loro era "Kalé", cioè di pelle scura.

Nel caso del Gurgevdan invece le origini sono probabilmente assai più lontane nel tempo e se assimilazioni vi sono state è altrettanto probabile che esse si siano innestate alla perfezione su ricorrenze ancora più antiche.

Il San Giorgio, la Festa di Primavera, come cadenza temporale, si collega ad un periodo che per gli Zingari ha un'importanza fondamentale: viene a morire l'inverno e la Primavera dà inizio ad un nuovo ciclo vitale, le tenebre vengono sostituite dalla Luce, cessa il sonno della natura che si risveglia nella sua nuova esistenza.

Può essere un fatto casuale, o da ricollegarsi ad altre usanze rituali, ma appare opportuno ricordare che anche nel Peloponneso, e parliamo di più di seicento anni fa, gli Zingari del Feudo degli Acingani, nel mese di Maggio, si recavano in festante corteo sino alla residenza del feudatario e qui, tra balli e canti, rizzavano l'Albero di Maggio.

E sono proprio l'albero e l'acqua, come vedremo più avanti, i simboli primordiali della vita, che ritornano con puntualità nelle celebrazioni della Festa di Primavera e in quella, per gli Zingari cristiani, del San Giorgio Verde (altra ricorrenza che si svolge in primavera).

Nel San Giorgio Verde un ragazzo viene "vestito" con rami e foglie di salice, quasi a diventare un albero vivente il cui compito sarà quello di esorcizzare, tra le altre cose, i corsi d'acqua.

Nel Gurgevdan invece i corsi d'acqua e gli alberi trovano una diversa collocazione. Prima di descrivere nei particolari lo svolgersi della festa occorre dire due parole sulla figura di San Giorgio, che nella mistica cristiana è il simbolo della lotta del bene contro il male e di cui si sa, ma con poca certezza, che potrebbe essere stato un guerriero martire a Lydda, in Palestina, sotto l'impero di Diocleziano.

Ma San Giorgio è un santo particolare anche per un altro motivo: egli è l'unico riconosciuto tale sia dai cattolici, sia dagli ortodossi e sia dai musulmani. Viene festeggiato anche nella ex-Jugoslavia e più in generale in tutti i Balcani. Nel Kosovo, il 6 Maggio di ogni anno, i pellegrini si recano alla Roccia di Drahovco, luogo in cui, secondo le leggende locali, San Giorgio arrestò il proprio cavallo sul finire di una dura battaglia. Perito ed assetato venne salvato dall' animale, il quale, battendo gli zoccoli su una grande roccia nera, ne fece sgorgare l'acqua che lo dissetò.

Nei Campi di Cagliari i preparativi per la ricorrenza cominciano solitamente alcuni giorni prima. Tutte le famiglie, anche quelle più povere nelle quali di norma i pasti non sono certo abbondanti, si sono costrette al risparmio perché per il giorno della festa niente venga a mancare.

Gli uomini hanno provveduto per tempo ad ordinare una o più pecore, il piatto più importante dei banchetti, presso i pastori che pascolano le greggi nelle campagne circostanti la città.

La mattina presto, appena sorge il sole, le donne, gli uomini e i bambini più grandi, preparano i fuochi. Mentre il Campo prende vita e il fumo dei fuochi si confonde con la bruma, tutti si scambiano i saluti augurali: un abbraccio e un bacio sulle labbra ripetuto alcune volte.

Poi, mentre le auto sono state agghindate con fiori e pezze di tessuto colorato, ci si prepara ad un breve viaggio: la sua meta è un corso d'acqua, un fiumiciattolo, sito ad una ventina di chilometri dalla città. Quando la carovana di auto giunge sul posto è ancora molto presto e le acque del piccolo fiume sono molto fredde.

Nonostante questo tutti fanno in modo di bagnarsi almeno le gambe; per alcuni minuti, tra grida di gioia e grandi risate, si cammina o si corre nell'acqua, poi ci si avvicina agli alberi che cingono le rive del fiume e ognuno prende alcuni ramoscelli.

Anche i ramoscelli vengono immersi nell'acqua.

Prima di andar via si effettua un brindisi e si scambiano altri saluti augurali. Rientrati al Campo i ramoscelli vengono offerti a quelli che non hanno potuto recarsi al fiume (gli anziani, i malati, le donne rimaste a custodire i bambini più piccoli) e altri vengono posti sulla porta di ogni baracca. L'intera mattinata verrà poi trascorsa nei preparativi per la festa vera e propria, che comincerà nelle prime ore del pomeriggio.

Le pecore vengono uccise, appese sui pali o sui rami degli alberi e accuratamente scuoiate. Poi, ripulite, vengono infilzate su lunghi pali e lasciate un paio d'ore ad asciugare al sole.

Sulla tarda mattinata gli uomini, che hanno già preparato i tappeti di brace, sistemano le pecore sui fuochi e ne curano la cottura, girando ogni tanto i pali per far sì che essa sia ben uniforme. Nel pomeriggio, quando anche gli ospiti gagé sono ormai arrivati al Campo, si dà inizio alla festa.

Non si tratta, in questo caso, di un unico grande banchetto: ogni famiglia prepara nella sua baracca il proprio personale pranzo, che viene sistemato o su lunghi tavoli o su grandi piatti circolari chiamati Tevsie e direttamente poggiati sui tappeti: la pecora arrosto, E Bakri, riveste un significato particolare. Il suo sacrificio, secondo i Roma più anziani, ricorda l'episodio di Abramo e Isacco presente nel Vecchio Testamento ed in qualche modo funge da ringraziamento per le grazie ricevute. Se queste vengono ritenute particolarmente importanti allora il Kurbano (il sacrificio), assume un significato più solenne e con la carne della pecora viene cucinata la Shastimace, il cibo della guarigione.

Esso viene poi offerto a tutte le famiglie del Campo perché ognuno possa partecipare alla gioia del ringraziamento.

Il fatto che ogni famiglia abbia preparato il suo tavolo imbandito non significa affatto che la festa venga celebrata in forma privata.

Infatti, mentre tra le baracche cominciano a risuonare le musiche slave emesse ad altissimo volume dagli altoparlanti, l'intero gruppo si muove compatto e dà inizio ad un'interminabile teoria di visite che lo porterà, di baracca in baracca, a rendere reciproco omaggio a tutte le famiglie del Campo.

Sulla porta di ogni baracca tutti vengono accolti dal capo-famiglia, al quale entrando si rivolge il saluto "Bahatalò givé" (felice giornata) e dal quale si riceve l'augurio "The avé sasto taj bahatalò" (vieni salvo e fortunato).

Il capofamiglia porge poi ad ognuno dei nuovi arrivati un bicchierino di liquore, che viene bevuto tutto d'un fiato prima di accomodarsi sui tappeti. Poi, incrociando le gambe, ci si siede e si fa veramente festa.

Rispetto alla povertà dei pasti di ogni giorno la quantità di cibo messa in mostra appare addirittura spropositata. Oltre alla pecora arrosto, che a volte viene presentata ripiena con patate e riso, vengono offerti altri piatti tipici, come la Pita, un torti no a base di farina, uova e formaggio, o la Sarma, un involtino di foglie di cavolo verde con un ripieno di riso, cipolle, salsa di pomodoro e altre spezie. Altri piatti che veramente vale la pena di assaggiare sono il Suguko, una salsiccia di carne bovina, i Peré Paprike, peperoni scottati al fuoco e poi infarciti con carne macinata, spezie e riso, e la Baklava, un dolce a sfoglia i cui ingredienti sono farina, zucchero, strutto, noci e uva passa. Nel corso di ogni visita tutti badano bene a non esagerare: si assaggia qualcosa per rendere omaggio alla famiglia ma non si dimentica che si è attesi da altre visite e da altri banchetti: tanti quante sono le baracche del Campo.
Più di un vero e proprio pasto si tratta insomma di una forma di convivialità che si esprime nei canti, nelle chiacchiere, nelle risate, nella gioia di un'intensità rara a trovarsi e che traspare con forza dai visi segnati da rughe precoci.

È in questo momento che l'ospite gagé, frastornato e reso partecipe della stessa gioia, capisce con quanta forza gli Zingari vivono la propria vita oltre tutte le difficoltà alle quali sono sottoposti nella quotidianità.

Tra una visita ad una famiglia e ad un' altra, ma a volte anche durante i banchetti, si svolgono i Celipé: uomini e donne, gli uni vestiti spesso di bianco e le altre coi loro migliori e più sgargianti abiti, danzano il Kolo (molto simile al Su Ballu Tundu sardo) o l'Ingra Indja. A volte, ma solo per pochi intimi, viene ballato un ballo che ricorda la danza del ventre turca e che appare di rara bellezza e plasticità di movimenti.

Così la festa va avanti per ore e ore sino al tramonto del sole.

 

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