Rom e Sinti da tutto il mondo

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L'essere straniero per me non è altro che una via diretta al concetto di identità. In altre parole, l'identità non è qualcosa che già possiedi, devi invece passare attraverso le cose per ottenerla. Le cose devono farsi dubbie prima di potersi consolidare in maniera diversa.

Wim Wenders
-

\\ Mahalla : VAI : Europa (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 07/09/2010 @ 09:41:06, in Europa, visitato 3361 volte)

by Paul Polansky

[continua]

Prof. dr. Alush Gashi

(immagine da ekonomia-ks.com)

IL PREMIO MENGELE: disonora e disgrazia questo ministro della Sanità del Kosovo che rifiuta di svolgere i suoi dovere e richiedere l'immediata evacuazione medica dei campi contaminati dove più di 80 zingari sono morti per complicazioni dovute all'avvelenamento da piombo e dove ogni bambino nasce con danni irreversibili al cervello.

Se vuoi bere il miglior vino rosso in Kosovo, il prof. dr. Alush Gashi è l'uomo da tenere in considerazione nei "suoi giri". Nei ristoranti di Pristina il vino migliore non è mai sul menù. E' riservato soltanto ai "politicos" come Gashi, che è un grande intenditore. Vorrei soltanto che ponesse altrettanta attenzione ai bambini zingari che muoiono nei campi ONU, ora sotto l'amministrazione del governo del Kosovo e del suo ministero della salute.

Una volta bevvi con Alush in un ristorante esclusivo in un parco fuori Pristina. Stavamo discutendo con un comandante di marina degli USA degli attacchi nel marzo2004 di rivoltosi albanesi contro le enclavi delle minoranze. Alush era stato nominato dal parlamento del Kosovo per investigare sulle cause della rivolta. Alla terza o quarta bottiglia di squisito vino rosso, Alush confessò che l'attacco era stato così ben pianificato che non intendeva procedere oltre con le indagini. Avrebbe soltanto imbarazzato gli alleati del Kosovo se si fosse rivelato quali politici kosovari avevano organizzato i disordini. Invece, Alush ordinò un'altra bottiglia "del migliore" nascosto nella cantina del ristorante lontano dai normali clienti.

Alush Gashi è nato il 4 ottobre 1950. La sua biografia sulla pagina web del governo del Kosovo per i gabinetti ministeriali è molto approssimativa. Ma tramite una ricerca su Google ho trovato che Alush ha scritto di essere dottore in medicina, professore di anatomia, chirurgo generale ed una volta è stato professore assistente alla facoltà di medicina dell'Università di California a San Francisco. Ha anche dichiarato di essersi recato diverse volte in America e in Europa per scopi di studio ed è autore di testi professionali e scientifici pubblicati in Kosovo, Europa Occidentale ed America (non sono riuscito a trovarne nessuno). E' stato preside della facoltà di medicina a Pristina e consigliere per i Diritti Umani del dr. Rugova, l'ultimo presidente del Kosovo. Attualmente è membro del parlamento del Kosovo per il partito LDK e ministro della Sanità del Kosovo.

Andavo a trovare Alush molte volte nel suo ufficio di ministro della Sanità. Fummo buoni amici fino a quando non portai troppi giornalisti a vederlo a proposito dei campi zingari contaminati dal piombo, che ora erano di sua responsabilità. Due anni fa le sue ultime parole che mi disse furono: "Quei campi sono la mia priorità numero uno." Ma non ci andò mai. Nemmeno nessun membro del suo staff.

Alush una volta descrisse se stesso in un'intervista ad un giornale americano come "...un innocente medico che cerca di aiutare gli altri."

Un giornale britannico una volta scrisse "ALUSH GASHI è un uomo piccolo, asciutto, dagli occhi vivaci, un chirurgo, un guaritore."

Ma i riconoscimenti della stampa straniera sono finiti da quando Alush ora rifiuta di incontrare i giornalisti stranieri che cercano da lui risposte sui bambini zingari che muoiono nei campi di morte del governo del Kosovo. A volte Alush concede al suo addetto stampa di parlare coi giornalisti internazionali, ma quando questi menzionano i campi zingari l'intervista viene improvvisamente interrotta.

Anche se il prof. dr. Alush Gashi non è il salvatore degli zingari del Kosovo, è un grande entusiasta dell'America e dei valori americani. In un'intervista ad una pubblicazione di Washington DC, Alush ha detto: "...L'America ha dato ai membri di questa comunità dei Balcani conoscenza e simpatia per i valori americani. Gli Stati Uniti sono venuti in aiuto del Kosovo in risposta alla campagna di pulizia etnica del presidente dell'ex Jugoslavia Slobodan Milosevic, che intendeva sterminare qualsiasi popolo non-serbo dalla provincia. L'impegno americano in Kosovo è unico, a partire dall'aiuto umanitario pre-guerra... poi l'America inviò i suoi figli e le sue figlie a combattere Milosevic e le truppe serbe per salvare civili innocenti, a cui era capitato di essere musulmani... e creare le condizioni perché i Kosovari potessero tornare a casa, stabilire la democrazia e rimodellare il loro futuro. Sotto la protezione NATO i Kosovari sono ritornati a casa, ma gli Americani ed i loro alleati sono rimasti. Sono rimasti ed hanno continuato a supportare chi amava la pace e stava costruendo un Kosova post-bellico... costruendo scuole, ospedali, strade e moschee. Credo che gli Albanesi del Kosova amino l'America perché sono coscienti dei valori americani."

Sfortunatamente, anche i valori americani (assieme ad Alush) sono assenti nei campi zingari. Non solo l'ambasciata americana a Pristina ha rifiutato di chiederne l'evacuazione per motivi medici, come richiesto dall'OMS,  ma l'ambasciatore americano si è rifiutato di incontrarmi per discutere una soluzione sanitaria (vedi lettera seguente). Forse Alush Gashi, ministro della Sanità del Kosovo, i suoi valori li ha appresi dall'ambasciatore americano Christopher Dell.


Ambasciatore Cristopher W. Dell

6 luglio 2009

Spett. Ambasciatore Dell,

Sono un cittadino americano che ha lavorato in Kosovo dal luglio 2009 come capo missione della Società per i Popoli Minacciati. Il mio lavoro è stato quasi esclusivamente con i Rom kosovari, specialmente con quanti vivono dal settembre 1999 nei campi per IDP costruiti su terreni contaminati a Mitrovica nord. Dalla vostra udienza di conferma, vedo che siete a conoscenza di questa tragedia che dura da dieci anni.

Per diverso tempo, ho cercato senza successo di parlare con l'attuale ambasciatore americano a Pristina sulle adeguate cure mediche per questi Rom. Sfortunatamente, nessuno vuole discutere  di un'immediata soluzione sanitaria, solo di future rilocazioni, ancora molto lontane. Anche quanti sono stati reinsediati dal 2006 nella loro precedente mahala a Mitrovica sud, non hanno ancora ricevuto il promesso trattamento per avvelenamento da piombo.

Ci sono precedenti in Kosovo per salvare migliaia di vite di vite di Albanesi e Serbi con l'immediata evacuazione, quando le loro vite erano in pericolo. Tuttora per questi Rom di Mitrovica che hanno i più alti livelli di piombo nella storia medica, non è stata considerata nessuna evacuazione d'emergenza.

Riguardo al reinsediamento, Mercy Corps non intende iniziare la costruzione delle 50 case prima di settembre, e soltanto se i test sulla tossicità del terreno (ancora da fare) saranno negativi. Nel contempo, MC rifiuta di rivelare qualsiasi piano sanitario. Come Ambasciatore americano in Kosovo, ritengo Lei possa incoraggiare il governo del Kosovo, Mercy Corps, USAID, UE/CE a salvare questi poveri Rom. Non soltanto abbiamo avuto già tra di loro 82 morti (molti di loro bambini) su questi terreni contaminati, ma secondo un dottore tedesco che li ha visitati e analizzato i risultati dei test, ogni bambino concepito nascerà con danni irreversibili al cervello.

Spero, Ambasciatore Dell, che lei mi riceva per discutere un'urgente soluzione medica prima che sia troppo tardi per salvare questi bambini.

In fede,

Paul Polansky

Il senatore USA Russ Feingold ha inviato la mia lettera assieme ad una sua presentazione, chiedendo all'ambasciatore Dell di ricevermi. L'ambasciatore Dell non ha mai risposto.

Fine dodicesima puntata

 
Di Fabrizio (del 04/09/2010 @ 09:51:39, in Europa, visitato 2112 volte)

Da Nordic_Roma

Human Rights Europe Intervista a Miranda Vuolasranta (in foto, ndr), Direttore Esecutivo del Forum Nazionale Rom Finlandesi

1. Descrivi il tuo lavoro?

Lavoro per il Forum Nazionale Rom Finlandesi. Rappresenta i Rom per quanto riguarda i diritti umani, fondamentali e sociali. Ha un ruolo importante nell'aiutare le organizzazioni non governative nelle loro attività, rafforzare la cooperazione e la messa in rete. Sono anche la rappresentante finlandese e vice-presidente del Forum Europeo Rom e Viaggianti.

2. Come valuta il livello di discriminazione in Finlandia?

Per 100 anni c'è stata cooperazione tra le autorità e i Rom, quando sono state fondate le prime organizzazioni rom ed abbiamo imparato come cooperare senza scosse, imparando dagli errori.

Però, i Rom affrontano discriminazioni nella vita di tutti i giorni. Quasi il 100% delle donne rom di Finlandia indossano il vestito tradizionale che distingue chiaramente i Kale finnici (i Romanì che vivono in Finlandia e Svezia) dai non-Rom, e quindi la discriminazione è facile. Possono trovare difficoltà nell'accesso ai luoghi pubblici. I ristoranti non permettono loro di entrare o non sono servite. Queste situazioni sono molto comuni e sono soltanto la punta dell'iceberg di casi che portano a denuncia di un reato o ad un'inchiesta.

3. Quali sfide specifiche affrontano i Rom in Finlandia?

Le sfide sono le stesse che ovunque in Europa - combattere l'antiziganismo e far crescere la coscienza dei Rom come minoranza storica e tradizionale in Finlandia. I Rom hanno il diritto alla loro lingua e cultura. Per legge, la lingua rom dovrebbe essere insegnata a scuola ai bambini rom, e i media dovrebbero essere obbligati a produrre informazione nella lingua rom, ma queste leggi non sono state finanziate o eseguite con chiarezza.

4. Quale tipo di sfide sorgono dalle differenze culturali tra Rom e non-Rom?

Dopo l'indipendenza, la Finlandia ha puntato su una cultura omogenea senza diversità. La minoranza di lingua svedese è stata rispettata, mai bisogni linguistici delle minoranze rom e sami sono state affrontate solo negli anni '70 e '80. Prima era proibito parlare romanes nei luoghi pubblici. Secondo l'Istituto di Ricerca per le Lingue di Finlandia, il romanes è a pericolo di sparizione se non vengono incrementate immediatamente le possibilità d'insegnamento e se ai bambini rom venga garantito il loro diritto a studiare nella loro madrelingua.

5. Come descriveresti le differenze tra le comunità rom in Finlandia e? (così nel testo originale ndr)

L'antica comunità dei Kale finnici arrivò in Finlandia all'inizio del XVI secolo. Ce ne sono circa 10.000 in Finlandia e 3.000 - 4.000 in Svezia. Inoltre, c'è una comunità rom si stima di 500-1.000 persone dai paesi balcanici, soprattutto dal Kosovo. Queste comunità sono molto differenti. Dialetti, costumi e religione sono collegati al luogo d'origine. Molti Rom finnici sono evangelici luterani o seguono altre religioni evangeliche, mentre i Rom dei Balcani sono ortodossi o musulmani. Le similarità si possono trovare nei valori culturali o nelle norme etiche.

6. Cosa bisogna fare a livello nazionale per migliorare la situazione dei Rom?

La Finlandia è stata esemplare in molte questioni ma per rimuovere la paura e il pregiudizio, occorre lavorare ancora per diffondere informazioni di base sulla lingua, cultura, religione e storia dei Rom. Sono state individuate azioni positive come lo sviluppo dell'istruzione, impiego e alloggio, ma soffrono di mancanza di risorse.

7. Come hanno risposto le organizzazioni culturali ed i gruppi politici alle sfide della diversità in Finlandia?

Ci sono mete comuni, ma in pratica la sfida della diversità non si è ancora interiorizzata in Finlandia. I Finlandesi di lingua svedese ed il popolo Sami lavorano attivamente dentro le loro comunità, ma non c'è una rete che unisca le diversità.

8. Come sono riportate sui media le questioni rom in Finlandia?

Era uso comune sottolineare l'origine etnica dei Rom coinvolti nelle storie, ma durante l'ultimo paio d'anni ci sono stati sviluppi positivi.

9. Che ruolo dovrebbero giocare i media nel promuovere la diversità in Finlandia?

I media, l'Unione dei Giornalisti e il Parlamento dovrebbero assumere un punto di vista antirazzista, di uguaglianza e diversità. I media dovrebbero coprire differenti gruppi minoritari in pari misura e produrre più documentari e programmi educativi sulla cultura, storia, artigianato e musica rom.

10. Il Consiglio d'Europa come può assistere la lotta contro la discriminazione?

Sono preoccupata del cambiamento dell'atteggiamento tra la gioventù. I Rom avevano stretti contatti con la gente che lavorava in campagna, ma nella società urbana, moderna, l'atteggiamento si è indurito ed è diminuita la tolleranza. La gente parla di diversità ma nella pratica l'intolleranza tra i giovani è cresciuta. Comunicano e passano il tempo solo con i loro simili, cosa che riduce la capacità di affrontare la diversità. Le famiglie, i genitori e le scuole dovrebbero dare attenzione all'indurimento degli atteggiamenti ed all'aumento dell'intolleranza.

L'estremismo in Europa è la sfida più grande per la Campagna contro la Discriminazione. La campagna Dosta del Consiglio d'Europa, per esempio, ha avuto molto successo nel raggiungere il pubblico in generale.

 
Di Marylise Veillon (del 04/09/2010 @ 09:48:36, in Europa, visitato 1823 volte)

Segnalazione di Giancarlo Ranaldi (nb. alcuni link sono in spagnolo)

El Pais - "Portiamo Sarkozy in tribunale"

"Il presidente dell'Unión Romaní Spagnola, sostenuto dall'Unión Romaní Internazionale, porterà Sarkozy in tribunale". Questa è l'intenzione dichiarata da Juan de Dios Ramirez, presidente dell'Unión Romaní Spagnola, il quale spiega perché e come la attueranno:
"Per la prima volta nella storia del popolo gitano, smetteremo di lamentarci per agire con la stessa arma con la quale agisce la società dei "gadjè" (cosi come sono chiamati i non gitani dai gitani, equivalente della parola "payo" in spagnolo). Porteremo il presidente francese davanti al Tribunale di Giustizia dell'Unione Europea, in Lussemburgo". La decisione dell'associazione che rappresenta i gitani spagnoli arriva in risposta all'azione del governo francese, il quale sta rimpatriando centinaia di Rom (gitani dell'Europa dell'est), senza documenti, nei loro paesi d'origine.

Ramirez sta preparando la documentazione da presentare in tribunale: "Il governo francese sta violando uno dei pilastri fondamentali della nuova Costituzione europea, approvata a Lisbona nel dicembre 2009, nella quale la difesa dei diritti umani e il rispetto per le minoranze costituiscono le fondamenta". Ramirez si riferisce all'articolo 1bis che dice quanto segue: "L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze".

"La nuova Costituzione Europea ha - in quanto all'aspetto economico - poco potere, però comanda in materia di diritti umani, esattamente quello in cui sta fallendo la Francia. Adesso sto raccogliendo le testimonianze. Ne abbiamo molte, anche il Vaticano ha detto che si stanno violando i diritti fondamentali dei Rom" aggiunge il rappresentante dei gitani spagnoli.
Juan de Dios è nato a Puerto Real (Cadice) nel 1942 e rappresenta una delle figure chiave del mondo Rom (gitano nella lingua romani). E' stato il primo gitano a entrare come deputato nel parlamento europeo nel 1986 e in Spagna, ha rappresentato il popolo gitano, nei primi parlamenti dopo il franchismo. La sua firma è stata apposta sotto la Costituzione spagnola.

Da quando il presidente francese ha inasprito la sua politica contro i Rom, e ha sgomberato popolazioni e rimpatriato in Romania e Bulgaria molti di loro – il primo volo è partito lo scorso giovedì 19 agosto, e ce ne saranno altri entro la fine del mese – la sua voce è diventata una referenza per i Rom di tutta Europa. E' arrivato a dire che le azioni di Sarkozy sono cosi nocive al punto di trasformare Berlusconi , le cui misure anti-Rom in Italia sollevarono un polverone, in benefattore. "Quello che sta succedendo in Francia è più pericoloso di quello che è successo in Italia, per tre motivi: Berlusconi ha agito condizionato dalla Lega Nord, il partito xenofobo dell'Italia del Nord, mentre Sarkozy non ha nessun partito di stampo fascista intorno a lui. Lui rappresenta la destra democratica, e quando l'attacco proviene da qualcuno che si presume democratico, fa molta paura. In secondo luogo, stiamo in un periodo di crisi, ed è molto più facile che il sentimento razzista contro le minoranze si propaghi. Il terzo motivo è che la Francia è di indole propensa alla difesa dei diritti umani. E' lo stato della rivoluzione francese del XVIII secolo, è il luogo in cui fu fatta la proclamazione solenne dei diritti universali dell'uomo. Una luce di uguaglianza, giustizia e libertà, e questo aumenta la gravità di quello che sta succedendo.

Però il caso francese è particolare anche sotto un altro aspetto; per i gitani dell'Europa intera, i manush della Francia erano un modello di come un popolo di etnia gitana, possa integrarsi nella società, al punto che l'assimilazione dei Rom nello stato francese, si poteva sperare meno problematica: "Il nodo della questione non è vincolato né alla nazionalità di provenienza, né all'etnia alla quale si appartiene, ma invece alla condizione sociale. I gitani rumeni, dell'Albania e dei Balcani vivevano nel loro paese, in condizioni di analfabetismo e povertà tali, che stavano peggio di noi gitani spagnoli, prima del franchismo. E' normale che, da quando cadde la cortina di ferro e quindi loro si diressero verso i paesi occidentali, siano stati generati problematiche e rimbalzi nelle nostre società; però questo è dovuto alle loro condizioni sociali e non al fatto di essere gitani, ed è fondamentale capirlo."

Alcuni mesi fa, in aprile, durante il secondo vertice della popolazione gitana celebrato a Cordova, fu fissato come obiettivo che la comunità Rom sia vista come parte della popolazione europea, senza mai più qualificativi. Un risultato che ci sembra molto lontano, dopo i mezzi adoperati da Sarkozy: "Stiamo lontani, ma meno di ieri. Per conseguire questa visione della "gitanità" , cioè che tutti i gitani sono uguali tra di loro, e poi con il resto della società, non devono mancare i presupposti. Ne segnalerei uno soltanto, quello più determinante: l'educazione. Quando un popolo come il nostro patisce un indice di analfabetismo vicino al 50%, tutta la negatività si spiega."

Ramirez non lesina le critiche verso il proprio popolo, quando si tratta di valutare le ragioni per le quali le direttive e gli auspici degli organismi internazionali stanno così lontani di quello che succede negli stati dell'Unione Europea: " In molti casi la nostra mancanza di decisione gioca un ruolo fondamentale, una certa incapacità di assumere la responsabilità che ci tocca storicamente. Fintantoché noi Gitani non prendiamo coscienza che tocca a noi, essere protagonisti del nostro destino e lasciamo nelle mani di estranei l'amministrazione dei nostri interessi, finiremo per essere eternamente degli individui dipendenti dell'assistenzialismo dei nostri protettori gadjè".

La Spagna rappresenta un'eccezione privilegiata. Per lo meno fino ad ora, nessun germoglio di razzismo istituzionale si è prodotto contro i Rom, mentre i gitani spagnoli sono integrati, benché avendo pagato un prezzo: " La maggioranza dei leader gitani del mondo intero, tengono gli occhi su di noi, che abbiamo pagato il prezzo più alto che possa pagare un popolo in cambio dell'integrazione: il deterioramento della nostra lingua, patrimonio comune di quattordici milioni di gitani in tutto il mondo, i quali possono capirsi senza alcuna difficoltà." Però questo non significa che l'integrazione debba passare tramite l'omologazione o tramite una forma di eccidio etnico-culturale: "Si potrebbe esporre più di una dottrina di sociologia e di antropologia culturale che sostengono che la convivenza è possibile, senza perdere i propri segni di identità. Però, lasciatemi dire una cosa: il modello si chiama Andalusia. Parlo da un punto di vista culturale, non di distribuzione o giustizia sociale. Potrebbe essere il modello di convivenza per tutti i gitani del mondo. Una comunità nella quale non si sa se sono gli andalusi "gitanizzati" o i gitani "andalusati".

Per l'Unión Romaní i prossimi appuntamenti sono il 4 settembre, quando avrà luogo una manifestazione contro la politica antigitana di Sarkozy a Parigi, e il 15 quando ci sarà una manifestazione prettamente gitana, nella capitale francese, gestita esclusivamente da Rom. Intanto Ramirez conta di avere tutto il necessario per presentare la sua richiesta al Tribunale di Giustizia dell'Unione Europea contro il governo francese.

La fotogalleria di Joaquín Eskilden sul popolo gitano pubblicata da El País settimanale

 
Di Fabrizio (del 02/09/2010 @ 09:21:24, in Europa, visitato 2658 volte)

Ricevo da Paul Polansky

Comunicato stampa, 1 settembre 2010

Il principe Karel VII von Schwarzenberg, ministro degli esteri della Repubblica Ceca, e il dr. Bernard Kouchner, ministro degli esteri francesi, hanno recentemente denunciato la deportazione dei Rom dalla Francia. Deportazione decisa dal presidente francese Nicolas Sarkozy alla fine di luglio. Circa 8.300 Rom di nazionalità rumena e bulgara sono stati espulsi dalla Francia dall'inizio dell'anno. Quasi 10.000 sono stati espulsi nel 2009.

Schwarzenberg si è opposto alla deportazione dei Rom dalla Francia dicendo che la decisione è stata presa su basi razziali ed è contraria allo spirito e alle norme dell'Unione Europea.

Kouchner ha detto di aver considerato le dimissioni, riguardo la politica del presidente Sarkozy di deportare i Rom. Non si è dimesso.

Agli occhi dei Rom e dei Sinti cechi e dell'esperienza dei Rom del Kosovo, entrambe i personaggi rappresentano l'ipocrisia ai massimi livelli.

Durante la II guerra mondiale il padre di Schwarzenberg, principe Karel VI, usò zingari ed ebrei come schiavi per i lavori forzati nelle sue tenute in Boemia meridionale, prima che i Tedeschi la passassero sotto loro amministrazione.

Nel 1999 come capo dell'ONU in Kosovo, Kouchner piazzò circa 200 famiglie di rifugiati rom in campi posti su terreni altamente contaminati promettendo loro, alla baronessa Nicholson e a me stesso che sarebbero rimasti lì solo per 45 giorni. Disse che essendo lui dottore, conosceva il pericolo dell'avvelenamento da metalli pesanti e che se questi Rom non avessero potuto tornare alle loro case, li avrebbe portati all'estero. Undici anni più tardi, dopo 89 morti (molte attribuite ad una combinazione di malnutrizione e avvelenamento da piombo), 140 famiglie sono ancora in questi campi.

Dopo la II guerra mondiale, dal 1945 al 1948, il principe Karel VI continuò ad adoperare forza lavoro schiavizzata nelle tenute che gli erano state restituite. Stavolta, gli schiavi erano cittadini tedeschi della Cecoslovacchia, che si suppone vi fossero stati deportati nel 1945. Comunque, Schwarzenberg li mantenne in stato di detenzione in una villa confiscata ad un Ebreo, adiacente alla sua proprietà, prima che i comunisti lo obbligassero a fuggire nel 1948.

Nel 2000,la squadra medica ONU di Kouchner raccolse campioni sanguigni di molti Kosovari nella città di Mitrovica, dopo che a diverse truppe NATO fu rilevato avvelenamento da piombo. I livelli più alti di piombo (i più alti nella letteratura medica) furono trovati tra i bambini rom nei campi ONU dove Kouchner li aveva piazzati, accanto alle locali miniere di piombo. La squadra medica ONU di Kouchner in un rapporto scritto inviatogli, raccomandava l'immediata evacuazione dei campi e cure mediche. Kouchner rifiutò.

Negli anni '90 il principe Karel VII von Schwarzenberg, col presidente Havel, ricevette in restituzione molte delle terre e dei castelli di suo padre, e le proprietà praghesi che erano state confiscate nel 1948 dall'allora governo comunista. Il ritorno di queste terre rese Schwarzenberg l'uomo più ricco della Cecoslovacchia. Secondo la legge ceca le proprietà non avrebbero dovuto ritornargli, perché durante e dopo la II guerra mondiale gli Schwarzenberg usarono forza lavoro schiavizzata in queste proprietà.

Nel 1999 Medecins sans Frontieres (Dottori senza Frontiere), di cui Kouchner era cofondatore, ricevette il Premio Nobel per la Pace. TIME magazine scrisse che Kouchner era "Un uomo di fuoco, un guerriero di pace, che aveva inventato il dovere di ingerenza internazionale." Kouchner più tardi approvò "nel nome dei diritti umani" l'invasione e l'occupazione USA dell'Iraq.

Nella Repubblica Ceca un allevamento di maiali si trova ora sulle fondamenta del campo di sterminio per Rom e Sinti di Lety. Karel VI Schwarzenberg usava i Rom di questo campo per lavorare nelle sue foreste e cave di pietra. Oggi questo sito di olocausto è dissacrato da 20.000 maiali che defecano vicino alle fosse comuni dei bambini annegati dalle guardie ceche nel laghetto degli Schwarzenberg accanto al campo.

Oggi negli ex campi ONU a Mitrovica ogni bambino concepito nasce con danni irreversibili al cervello, a causa degli alti livelli di piombo nel sangue materno. L'anno scorso venne chiesto al dr. Kouchner di intervenire per salvare queste famiglie che lui aveva abbandonato nel 1999. Non lo fece.

Dal 1984 al 1991 Schwarzenberg presiedette la Federazione Internazionale di Helsinki per i Diritti Umani. Mai si è scusato con i Rom e Sinti cechi (neanche con gli Ebrei cechi) perché la casata degli Schwarzenberg li aveva usati come schiavi durante la II guerra mondiale.

Anche se attualmente è ministro degli esteri in Francia, Kouchner non ha mai inviato nessuno dall'ambasciata francese a Pristina per aiutare i bambini sofferenti di malnutrizione ed avvelenamento dai piombo nei campi rom da lui stabiliti nel 1999 e che promise di chiudere in 45 giorni.

Questi Maestri dell'Ipocrisia parlano soltanto per ottenere i loro nomi nelle notizie di testa. Non sono i leader mondiali che pretendono di essere. Stanno ignorando principi morali e legali e danneggiando la credibilità delle leggi internazionali.

Schwarzenberg e Kouchner usano i Rom in maniera paternalistica per evidenziare la loro reputazione nei diritti umani. Speriamo che il pubblico, i Rom specialmente, comprendano quanto siano falsi questi "leader morali e politici".

Paul Polansky
Head of Mission
Kosovo Roma Refugee Foundation


"SAVE LEAD-POISONED CHILDREN OF KOSOVO"
Please Sign This Petition
http://www.thepetitionsite.com/5/Save-Children-Dying-From-Lead-Poisoning

 
Di Fabrizio (del 31/08/2010 @ 09:27:37, in Europa, visitato 3373 volte)

by Paul Polansky

[continua]

Saša Rašić

(foto da medijacentar.info)

IL PREMIO OFFUSCAMENTO: mette in discussione le intenzioni, l'apertura e la trasparenza di un ministro del governo kosovaro riguardo al salvare gli zingari dei campi di Mitrovica sotto la sua giurisdizione.

Saša Rašić, Ministro per le Comunità ed i Ritorni nel Governo del Kosovo, è nato il 18-07-1973, nel povero villaggio serbo di campagna di Dobrotin, comune di Lipljan. Prima di diventare ministro del governo kosovaro, questo Serbo è stato vice ministro agli Affari Interni. Prima ancora ha lavorato come avvocato, interprete della KFOR britannica a Lipljan, ed assistente e coordinatore della polizia UNMIK a Lipljan e Priština.

Uno dei suoi compiti dopo essere diventato Ministro per le Comunità ed i Ritorni era di supervisionare ed evacuare i campi zingari che si trovano su terreni contaminati, la cui gestione è stata passata nel 2008 dall'UNHCR al governo del Kosovo. Nonostante i ripetuti rapporti dei media mondiali (BBC, International Herald Tribune, Washington Times, Aljazeera, Bild Zeitung, ZDF, ARTE TV, The Sun, ecc.) che richiamavano l'attenzione su questi "campi di morte", né Rašić né nessun membro del suo ufficio hanno mai visitato i campi. A tutt'oggi, il Ministro Rašić non ha ancora rivelato un piano per evacuare medicalmente i campi, come richiesto dall'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e da innumerevoli altre OnG.

Da quando è diventato membro del gabinetto del Primo Ministro Thachi, Rašić ha rifiutato di incontrare i giornalisti stranieri che volevano discutere il tema dei campi contaminati dal piombo, o la costruzione dei 60 appartamenti per IDP (Persone Disperse Internamente), nel villaggio di Laplje Selo dove gli zingari dei campi fuori dalla città di Mitrovica (che non hanno mai vissuto nel quartiere Fabricka a Mitrovica sud) potrebbero essere trasferiti. Nonostante fosse programmato come uno sviluppo multietnico dal ministero di Rašić, i 60 appartamenti sono stati assegnati soltanto a Serbi, che non hanno sofferto una situazione di minaccia alla vita come gli zingari sui terreni contaminati.

Sebbene in loco ci siano forti sospetti che chi ha costruito i 60 appartamenti ha costruito nel contempo sull'altro lato della strada un palazzo per il Ministro Rašić, anche se la stupenda casa in effetti esiste (l'ho fotografata), non credo ci sia una prova scritta che provi questo gossip. Sono sicuro che il governo del Kosovo ha già investigato su questi rumori locali senza sostanza e li abbia trovati infondati. Nondimeno, sarebbe conveniente che il Ministro Rašić ed il governo kosovaro fossero più trasparenti con i giornalisti e con il pubblico e, naturalmente, per salvare i Rom/Askali assieme ai vicini serbi del Ministro Rašić.

sasa.rasic@ks-gov.net


Ambasciata Svizzera a Pristina
Agenzia Svizzera per lo Sviluppo e la Cooperazione (SDC)
Società per i Popoli Minacciati (GFBV - sezione Svizzera)

(immagine da img.webmd.com)

PREMIO "NON FATE NESSUN RUMORE": disonora i summenzionati partner che rifiutarono di "fare rumore" a favore dei bambini zingari che soffrivano di livelli di piombo mortali negli ex campi ONU ora gestiti dal governo del Kosovo.

Poco dopo la morte di Jenita Mehmeti, quattro anni, per avvelenamento da piombo nel campo ONU di Zitkovavc, mi precipitai nell'ufficio SDC di Pristina e li supplicai di aiutarmi. Per due anni SDC aveva generosamente finanziato le mie classi per insegnare l'inglese ai Rom nelle enclavi serbe vicino a Pristina, ed anche nei quartieri Gabeli/Egizi a Peja e Gjakova. SDC aveva anche finanziato i miei piccoli progetti lavorativi per gli zingari di tutto il Kosovo.

La morte di Jenita non era stata causata soltanto dal terreno contaminato dove l'ONU aveva piazzato la sua famiglia, ma anche dal fatto che suo padre riciclava batterie d'auto nella loro baracca ONU. L'attività era stata approvata dai gestori del campo. I Serbi che gli portavano le batterie avevano una licenza rilasciata dall'ufficio ONU di Zitkovac. ACT (Agenzia Svizzera di Soccorso) e NCA (Norwegian Church Agency) che assieme amministravano il campo ONU ammettevano che le batterie per auto, consegnate di solito a mezzogiorno in un camioncino aperto, venissero scaricate dai bambini zingari che non avevano altro da fare. L'atteggiamento di NCA era che gli zingari trovassero un lavoro (di qualsiasi tipo) invece di essere parassiti, dipendenti dagli aiuti umanitari.

La mia richiesta all'SDC era di farmi finanziare piccoli progetti lavorativi per i campi Rom/Askali, così che non dovessero smaltire le batterie delle macchine. Sfortunatamente, l'SDC aveva appena cambiato il proprio capo missione. Ero sicuro che il capo precedente avrebbe istantaneamente approvato il mio progetto che salvava delle vite, ma il nuovo, una donna svizzera di nome Barbara Burri, rifiutò.

Non ne fui sorpreso. Per diversi anni come vice capo missione, aveva rifiutato di assumere personale delle minoranze, solo Albanesi. Il capo precedente dell'SDC a Pristina era imbarazzato per questo atteggiamento, ma fece con me un accordo. Fintanto che non mi lamentavo del rifiuto dell'SDC di assumere minoranze, avrebbe finanziato i miei progetti zingari. Ma il nuovo capo missione non la pensava così. Ero andato troppo oltre nel tentare di coinvolgere la Svizzera. L'SDC intendeva ancora aiutare gli zingari onesti che vivevano nelle enclavi. Ma non gli zingari che morivano nei campi ONU. Sarebbe stato troppo politico per la loro "mentalità svizzera neutrale". Dopo tutto, dove aveva l'UNHCR (gli amministratori dei campi della morte) il proprio quartier generale? A Ginevra, Svizzera.

Con l'Ambasciata Svizzera non andò meglio. Anche loro si rifiutavano di assumere dalle minoranze, solo Albanesi. Quando feci appello all'ambasciatore in carica per aiutare questi bambini che morivano di avvelenamento da piombo, mi disse di cercare dei fondi altrove. Farsi coinvolgere in un progetto che avrebbe potuto imbarazzare l'ONU o gli Albanesi, non era nelle corde della Svizzera.

Il mio terzo tentativo di cercare aiuto dalla Svizzera avvenne cinque anni più tardi, quando contattai la Società per i Popoli Minacciati, a Berna. Sin dall'estate 1999 l'organizzazione madre in Germania era stata attiva nel denunciare l'avvelenamento da piombo nei campi e a chiederne l'evacuazione assieme all'OMS ed altre OnG. Infatti, la GFBV tedesca aiutò mandando una TV della Germania (ZDF) e la Bild Zeitung nei campi per dare più risonanza possibile sulla sofferenza di quei bambini. All'inizio GFBV (Svizzera) mostrò appoggio per un'azione diretta, proponendo persino di tenere assieme a noi una manifestazione presso il quartier generale UNHCR a Ginevra. Ma dopo una visita in Kosovo e dopo discussioni con l'Ambasciata Svizzera a Pristina (che disse loro di non creare rumori attorno ai campi), GFBV (Svizzera) non solo rifiutò di appoggiare la nostra campagna ma convinse anche GFBV in Germania ad unirsi a loro nel non dare più risalto alla questione dei campi.

Adottando la medesima mentalità della II guerra mondiale, la neutralità rimane il modus operandi della Svizzera. E proprio come agli Ebrei venne impedito di entrare in Svizzera durante la guerra, così pure ai nostri bambini Rom/Askali veniva proibito adesso di entrare nei cuori e nelle menti dell'Ambasciata Svizzera e dell'ufficio SDC a Pristina.

Ancora, non ne fui sorpreso. Assumendo solo Albanesi per lavorare nei loro uffici; essendo uno dei primi paesi a riconoscere il Kosovo come uno stato indipendente; perché ora gli Svizzeri avrebbero voluto "salvare gli zingari" e mettere in imbarazzo il governo del Kosovo? Probabilmente gli Svizzeri avevano paura che salvare dei "gypos" nei "campi della morte" ora gestiti dagli Albanesi poteva causare uno sciopero del loro staff albanese.

(immagine da pcr.ps/partners)

Fine undicesima puntata

 
Di Marylise Veillon (del 30/08/2010 @ 09:03:00, in Europa, visitato 2096 volte)

Da Roma_Benelux

Le Point.fr La vita di Bukurije e Lumturije, due giovani sorelle rom, è diventata un incubo da quando sono state costrette a lasciare la Germania, dove hanno passato tutta la loro vita, per installarsi in Kosovo, paese dei loro genitori, che non avevano mai visitato.

Pristina, 18/08/2010 - De Ismet HAJDARI (AFP)

"Mi sento come se fossi in prigione. Non esco dal cortile di casa", racconta Bukurije Berisha, 13 anni, in perfetto tedesco, mostrando le alte mura che circondano la sua casa in rovine.

"Ho sempre la speranza di svegliarmi e rendermi conto che non era altro che un brutto sogno" aggiunge.

Nel suo rapporto pubblicato a luglio, l’UNICEF indica che quasi la metà dei Rom che saranno espulsi dalla Germania al Kosovo, in virtù di un accordo firmato tra i due paesi, sono bambini la maggioranza dei quali nati e cresciuti in Germania.

"I bambini sono i più colpiti da questi rientri forzati. (…) In Kosovo devono fare fronte a una realtà totalmente nuova. Si sentono persi ed esclusi", ha affermato il commissario per i diritti dell’uomo del Consiglio Europeo, Thomas Hammarberg, nella prefazione di questo rapporto.

Il Signor Hammarberg ha invitato martedì i paesi dell’Europa occidentale, a cessare di rimandare con la forza, i Rom in Kosovo.

Le sorelle Berisha sono arrivate a dicembre in Kosovo, con i loro genitori e altri cinque fratelli e sorelle. La famiglia si è rifugiata nella stradina stretta di un bidonville rom, nella periferia di Pec (ovest). Una casa lasciata da diciassette anni ha bruciato durante il conflitto in Kosovo (1998-1999) e il nuovo focolare, sprovvisto di acqua corrente, è stato prestato loro da un cugino.

Le due ragazzine sono nate in Germania dove i loro genitori hanno chiesto asilo nel 1993, fuggendo dalla repressione delle forze serbe di Slobodan Milosevic nel Kosovo. Non parlano albanese, lingua principale del Kosovo, e conoscono a malapena la lingua rom.

"Mi sento tedesca", assicura Lumuturije Berisha, 14 anni, gli occhi pieni di lacrime.

La famiglia Berisha fa parte di un gruppo di circa diecimila Rom che sono dovuti ritornare dalla Germania al Kosovo, ex provincia serba la quale ha proclamato la sua indipendenza nel 2008 malgrado una feroce opposizione di Belgrado.

Benché Pristina si sia messa d’accordo con Berlino per accogliere questi rifugiati rom, il ministro kosovaro degli affari sociali, Nenad Ristia, ha ammesso di recente che questo paese non possedeva risorse per accettarli tutti e per gestire la loro integrazione.

Quasi la metà dei due milioni di abitanti del Kosovo, paese più povero d’Europa, sono disoccupati o sono poveri, secondo i numeri ufficiali.

Esperti mettono in guardia contro l’incapacità delle autorità locali, di garantire i diritti dell’uomo fondamentali ai suoi cittadini, tali che l’accesso a un alloggio adeguato, alle cure mediche e all’educazione.

Florim Mulolli, padre di una ragazza gravemente ammalata, la famiglia del quale è stata ugualmente obbligata di ritornare in Kosovo, deplorano l’attitudine delle autorità tedesche, accusandoli di non fare eccezioni.

Sua figlia Selina soffre di una malattia congenita provocando apnee nel sonno. La sua respirazione deve essere controllata tramite un’attrezzatura molto costosa, la quale avverte i genitori, quando lei smette di respirare.

"Quest’apparecchio funziona con l’aiuto di diodi da sostituire, i quali sono molto costosi per noi e impossibili da pagare, i quali inoltre, non si trovano qui" si lamenta il Sig. Mulolli.

"La Germania ha condannato Selina a morte, ma non la lasceremo morire. Quando i diodi saranno consumati, io e mia moglie guarderemo Selina a turno" dice questo padre con amarezza, stringendo la figlia tra le sue braccia.

 
Di Fabrizio (del 24/08/2010 @ 09:29:40, in Europa, visitato 1747 volte)

Gli euro-nomadi di Tanya Mangalakova | Sofia 19 agosto 2010

Sfruttano le possibilità dei mezzi di comunicazione elettronici e quelle dei voli low cost. Vivono divisi tra il "qui" del paese di origine e il "là" di quello che hanno scelto per lavorare. Utilizzano identità multiple. Sono gli "euro-nomadi", gruppo in continua crescita anche in Bulgaria

Ivanka lavora da ormai cinque anni in una clinica privata di Londra. Ogni due mesi, questa energica bulgara di 44 anni prende l'aereo e atterra all'aeroporto di Sofia, dove l'aspetta suo marito Krasimir.

Dall'aeroporto Ivanka e Krasimir vanno nella loro città natale, Stara Zagora, situata nella Bulgaria centrale, dove trascorreranno insieme una settimana. La loro figlia, Emanuela, si sta per laureare in filologia indiana all'Università di Sofia, e vorrebbe continuare con studi specialistici a Londra.

Ivanka ha preparato un programma di spostamenti per quasi tutto l'anno prossimo, basato sui voli low cost che connettono la capitale britannica a quella bulgara. "Con mio marito ogni volta ci separiamo per due o tre mesi, ma il nostro matrimonio non ne soffre. Nei dieci giorni che passiamo insieme in Bulgaria, non abbiamo davvero tempo per litigare", dice Ivanka.

"Mio marito non riesce a trovare lavoro a Londra, e io non voglio perdere l'occasione di una posizione ben pagata. Dopo il 1° gennaio 2007, data di ingresso della Bulgaria nell'Unione europea, il mio status di lavoratrice in Gran Bretagna è migliorato sensibilmente, e oggi sul mercato del lavoro ho gli stessi diritti dei colleghi inglesi".

La nostra conversazione avviene attraverso "Skype", lo strumento che permette ad Ivanka di mantenere i contatti con gli amici in Bulgaria e nel mondo. Per i nuovi "euro-nomadi" come Ivanka sono proprio i mezzi di comunicazione elettronici, insieme ai collegamenti low cost, a far cadere confini prima difficilmente valicabili.

Gli "euro-nomadi" stanno modificando le caratteristiche dell'istituzione matrimoniale in Bulgaria, in una forma difficilmente accettabile per le vecchie generazioni.

Maria, una pensionata di Sofia, l'anno scorso ha trascorso il suo settantesimo compleanno a Johannesburg, Sud Africa, ospite della figlia.

Maria guarda con un certo scetticismo al matrimonio di suo figlio Nikolay, medico di 42 anni, che lavora a Parigi, mentre la moglie vive a Ruse, sul Danubio, dove amministra un impianto tessile. Ogni mese Nikolay prende l'aereo per Bucarest (la capitale rumena si trova ad appena 70 chilometri da Ruse) per trascorrere qualche giorno con la famiglia.

Secondo l'etnografa Margarita Karamihova, tra gli emigranti esiste il modello della "doppia casa", divisa tra il "qui" (in Bulgaria) e il "là" (all'estero). Le basi di questo modello sono fornite dalla possibilità di aiutare finanziariamente i propri cari e di mantenere le proprietà nel luogo natale attraverso le risorse finanziarie frutto del lavoro lontano da casa.

In Bulgaria, gli "euro-nomadi" non sono solo specialisti qualificati come Ivanka e Nikolay. Ci sono anche lavoratori stagionali o impiegati nelle costruzioni o in agricoltura, i cui risparmi, spediti a casa attraverso la Western Union, sono di fondamentale importanza nel budget delle famiglie di origine.

Ritorno in Europa
Il crollo del regime comunista è coinciso con l'affermarsi del processo di globalizzazione. I bulgari, che vivevano dietro la cortina di ferro e che non potevano viaggiare liberamente, hanno così potuto riscoprire l'Europa e il mondo.

Negli anni '90 circa un milione di bulgari ha fatto le valigie verso i paesi sviluppati dell'Occidente, alla ricerca di una vita migliore. Nel decennio successivo l'emigrazione ha portato alla divisione della popolazione bulgara in due grandi gruppi.

Da una parte ci sono i nuovi nomadi, in continuo aumento, e nelle cui fila non figurano solo gli studenti e i lavoratori qualificati, che cercano la propria realizzazione professionale fuori dal paese, utilizzando le risorse messe a disposizione dalla globalizzazione e in continuo spostamento.

In questo gruppo infatti trovano posto anche i lavoratori non qualificati, che non hanno titoli di studio, ma sono riusciti comunque a trovare una nicchia di mercato in molti paesi dell'Ue, soprattutto nelle costruzioni, nell'agricoltura e nei servizi. Le famiglie dei nuovi nomadi sviluppano nuovi modelli: i coniugi vivono separatamente, viaggiano tra la Bulgaria e i paesi in cui lavorano, i loro figli studiano nelle università di Bruxelles, Londra, Vienna.

C'è poi un altro gruppo, che si posiziona agli antipodi del primo. E' il gruppo dei marginalizzati e dei condannati alla dimensione "locale". Utilizzando le chiavi di lettura del sociologo Zygmunt Bauman, quest'ultimi vivono "sotto il peso del continuo eccesso di tempo libero", che solitamente riempiono guardando soap-opera in tv.
In questo gruppo figurano gran parte dei pensionati bulgari, che trovano difficile viaggiare anche all'interno dei confini del paese, condannati all'immobilità da pensioni miserrime che spesso si aggirano tra i 100 e i 200 euro, risorse che permettono a malapena di pagare cibo e riscaldamento. Anche i poveri (gran parte dei quali è rappresentata dalla comunità dei rom) fanno parte di questo gruppo, che riesce a malapena o per nulla a godere dei vantaggi dell'ingresso della Bulgaria nell'Ue.

Identità multiple
Margarita Karamihova indaga i processi migratori e le sfaccettature dell'identità multipla dei musulmani bulgari nella regione di Satovcha, dopo l'ondata migratoria che ha colpito l'area dopo il 1998.
Principali destinazioni di quest'ondata sono state la Spagna, il Portogallo, la Grecia, Cipro, l'Italia e gli Stati Uniti. Secondo l'etnografa ognuno dei migranti ha solitamente a disposizione un "portafoglio" di identità, che utilizza in modo differente a seconda della situazione.


Passato il confine, sul territorio di altri stati vengono caratterizzati come cittadini bulgari, e si integrano facilmente nelle reti di rapporti formate dagli slavi dei Balcani. Con l'emigrazione si rafforza l'identità bulgara, mentre quella concorrente, turca, non viene attivata.

Gli emigranti in Europa occidentale provenienti da Satovcha utilizzano il vantaggio rappresentato dall'essere bulgari, oggi cittadini di un membro a pieno titolo dell'Unione europea, e al tempo stesso affermano con orgoglio la propria identità locale.

Secondo la Karamihova il caso di Satovcha mostra "una forte identità locale, slegata dalla destinazione di emigrazione e il cui centro reale-virtuale è il villaggio lasciato in Bulgaria, lì dove si trovano le tombe degli antenati".

Secondo l'etnografa Mila Maeva, i turchi di Bulgaria preferiscono invece emigrare in Germania, a causa della numerosa comunità turca presente nel paese, che li accetta con facilità e fornisce loro lavoro, potendo comunicare nella stessa lingua. Anche il buon livello di retribuzione influisce sulla scelta della destinazione di emigrazione.

Dopo la Germania i turchi di Bulgaria preferiscono l'Olanda e il Belgio. In Europa occidentale lavorano soprattutto nei cantieri, in agricoltura e (in Olanda) nelle serre.

Studiando le scelte identitarie in questa comunità, la Maeva ritiene che nella maggior parte dei casi i turchi bulgari preferiscano viaggiare con passaporti che riportano i loro nomi nella versione bulgara, a causa dei pregiudizi diffusi in occidente sulle comunità musulmane.

In questo caso il lavoro all'estero rafforzerebbe il senso di appartenenza alla comunità turca, ma anche a quella dei credenti musulmani. Dopo quella etnica e religiosa, tra i turchi di Bulgaria vengono in ordine di importanza l'identità nazionale (bulgara) e infine quella europea.

La libertà di movimento in Europa fornisce quindi ai bulgari varie possibilità di scelta identitaria. Tra tutte queste identità, in generale, quella sovranazionale ed europea è ancora la meno radicata e la più difficile da individuare.

Per chi è diviso tra Bulgaria e resto d'Europa, l'identità locale resta prevedibilmente quella più visibile. Sul sito di una delle organizzazioni di emigranti bulgari all'estero, ad esempio, è stato pubblicato lo scorso giugno il seguente invito a partecipare ad un incontro a Madrid.

"Alla vigilia del 21 giugno, il giorno più lungo dell'anno, anticamente festa del fuoco del dio Sole, gli antichi bulgari si riunivano in località sacre per celebrare riti con cui si pregava per il bene e la salute del popolo... Siamo convinti che, nell'Europa senza confini di oggi, noi bulgari dobbiamo conservare la nostra identità spirituale più che mai".

 
Di Fabrizio (del 24/08/2010 @ 09:22:58, in Europa, visitato 3478 volte)

by Paul Polansky

[continua]

Alexander Borg Olivier

(immagine da Times of Malta)

IL PREMIO GRANDE IMMUNITA': disonora quell'avvocato che ha fatto della sua connivenza il meglio per prevenire azioni legali contro l'ONU o qualsiasi membro di quello staff che commisero negligenza colposa contro i bambini IDP che erano sotto la tutela dell'UNHCR.

Nel 1990 Borg Oliver, avvocato maltese di formazione americana, venne quasi scelto come presidente dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in riconoscimento della sua popolarità presso l'ONU come ambasciatore di Malta. Sino allora, Borg Olivier era stato coinvolto in diversi lavori con l'ONU, culminati in alcuni conflitti d'interesse col governo del Kosovo.

Il preambolo della Carta delle Nazioni Unite è uno degli esempi più inspiranti della letteratura legale. Vi si dice che i popoli del mondo hanno proclamato con coraggio la loro determinazione nel riaffermare la fede nei diritti umani e nella dignità delle persone umane. Come avvocato ONU in Kosovo, Borg Olivier probabilmente non ha mai letto quel preambolo. Almeno, non secondo le sue azioni per come ha abilmente procrastinato dal 2006 per ritardare una revisione delle affermazioni fatte a  nome degli zingari dei campi di Mitrovica alla ricerca di un risarcimento per l'avvelenamento da piombo nei campi ONU, che ha lasciato almeno 86 morti ed ogni bambino nato con danni irreversibili al cervello.

Dopo aver lavorato come consigliere legale top per l'ONU in Kosovo, il nostro signor Borg Olivier andò direttamente a lavorare ed essere pagato come consulente del governo kosovaro. E' quello che si chiama una "porta girevole" e porta a domandarsi su una delle peggiori pratiche del conflitto d'interesse. Mentre lavorava per l'ONU in Kosovo, Borg Olivier aiutò a mungere denaro dalla Kosovo Trust Agency ai funzionari a Pristina, per poi accettare un lavoro da loro pagato. Anche se parte dei Fondi Trust delle contestate vendite di Olivier di imprese statali sono ritornati, Borg Olivier ha mantenuto il suo lavoro.

Dove andarono i Fondi Trust? Sicuramente non hai bambini romanì che l'ONU ha tenuto su terreni contaminati per quasi undici anni, mentre Borg Olivier difendeva gli amministratori con immunità e privilegi, dicendo che questi erano necessari per il buon funzionamento della missione ONU. Nel settembre 2006, ammise verbalmente che l'ONU era responsabile delle condizioni tossiche dei campi rom e che voleva collaborare con gli avvocati che rappresentavano le famiglie che pativano di avvelenamento da piombo. Venne concordato a voce di instaurare una commissione per stabilire il compenso di ogni famiglia. Invece, quando venne organizzato un incontro con gli avvocati che rappresentavano le famiglie del campo, Borg Olivier rifiutò di prendervi parte e disse a Dianne Post, l'avvocato americano rappresentante la maggior parte dei Rom/Askali dei campi, che non intendeva incontrarla di nuovo e disse di non dover rispondere agli zingari; che doveva risposta solo al suo superiore dell'ONU e che l'ONU non doveva rispondere a nessuno. Secondo la carta fondante ONU, la Convenzione sui Privilegi e le Immunità del 1946, l'organizzazione beneficia di immunità legale "per l'adempimento dei suoi scopi". Dal 2008, l'ONU ha passato la gestione dei campi al governo kosovaro, dove Borg Olivier ora lavora come consulente profumatamente pagato.


Save the Children

IL PREMIO OSSIMORO: disonora quell'organizzazione che agisce esattamente nella maniera opposta di come implicherebbe il suo nome e marchio. Anche se molte altre organizzazioni sono state prese in considerazione per questo premio, come l'UNICEF, nessuna OnG negli scorsi dieci anni in Kosovo merita questo premio più di SAVE THE CHILDREN GB.

CITAZIONI DA "SAVE THE CHILDERN":

  • "Per alleviare il disagio e promuovere il benessere dei bambini di ogni paese, senza differenza di razza, colore, nazionalità, credo o sesso..."
  • "Ogni anno, quasi 10 milioni di bambini muovono prima di raggiungere il quinto compleanno - la maggior parte per cause prevenibili o affrontabili. Non possiamo e non vogliamo permettere che questo continui."
  • "Il nostro scopo è di proteggere i diritti dei bambini attraverso il patrocinio internazionale per promuovere soluzioni ed assicurare finanziamenti per il lavoro umanitario, e far pressione ai governi nazionali affinché cambino leggi, politiche e pratiche o si migliorino le condizioni."
  • "Save the Children coordina il Gruppo d'Azione sui Diritti Infantili, una rete di organizzazioni non governative che contribuiscono alla Strategia UE per i Diritti del Fanciullo. Inoltre, richiamiamo il Consiglio dei Diritti Umani ONU a focalizzarsi in misura maggiore nel suo lavoro e attenzione sui bambini."
  • "Save the Children lavora per far sentire le voci dei bambini ai più alti livelli nazionali ed internazionali."
  • "Noi... abbiamo persuaso le autorità locali in Kosovo a fondare asili d'infanzia interetnici."
  • "Il nostro ufficio di consulenza legale a Ginevra ha concluso che siamo la principale organizzazioni dei diritti infantili a Ginevra, dove ha base il Comitato ONU sui Diritti dell'Infanzia."
  • "Nel 2008 lo studio legale Baker & McKenzie ha fornito un prezioso aiuto alle nostre attività volte a proteggere il logo ed il marchio di Save the Children in tutto il mondo."
  • "Nell'anno in corso ho visto con i miei occhi, visitando la Cina ed il Kosovo, l'alta considerazione in cui è tenuto il nostro staff in questi diversi paesi, e l'eccellente lavoro che stanno facendo per aiutare l'accesso dei bambini ad adeguati servizi sanitari, istruzione e programmi alimentari." Alan Parker, Presidente, Save the Children GB

Save the Children GB rivendica di essere la più importante organizzazione indipendente nel creare cambi duraturi nelle vite dei bambini. Tuttora questa OnG di Londra ha fermamente rifiutato di prendersi cura dei bambini zingari sofferenti di avvelenamento da piombo e malnutrizione anche se a Save the Children è stato chiesto di farlo da parte tanto dell'UNHCR che dal Ministero della Salute del Kosovo. Nonostante abbia un ufficio a tempo pieno a Pristina ed un ufficio regionale a Mitrovica, Save the Children nel 2005 ha rifiutato il contratto dell'UNHCR perché, secondo il loro ufficio locale, la percentuale che avrebbero dovuto ricevere dal budget dei campi non era tale da interessarli.

Nel 2009, venne chiesto ripetutamente a Save the Children di unirsi ad altre OnG, come l'OMS, Human Rights Watch, ICRC, Society for Threatened Peoples, Kosovo Roma Refugee Foundation, Kosovo Medical Emergency Group, ecc., nel richiedere l'immediata evacuazione dei campi zingari dai terreni contaminati ed il trattamento medico per i bambini sofferenti dei più alti livelli di piombo nella letteratura medica. Save the Children rifiutò.

Save the Children proclama con orgoglio: "Save the Children lavoro per e con i bambini a rischio di fame e malnutrizione e quelli afflitti da disastri naturali, guerre e conflitti." I bambini zingari che stanno morendo di avvelenamento da piombo, furono cacciati dalle loro nel 1999 dagli estremisti albanesi dopo la guerra del Kosovo (un conflitto) e da allora sono sopravvissuti (fame e malnutrizione) di quanto trovano nei container dell'immondizia vicino agli uffici di Mitrovica di Save the Children.

Nel 2008, Save the Children Alliance ha avuto entrate per US $ 1.275.999.361.

Fine decima puntata

 
Di Fabrizio (del 23/08/2010 @ 09:52:44, in Europa, visitato 1733 volte)

Da Roma_Daily_News

by BERİL DEDEOĞLU b.dedeoglu@todayszaman.com

11/08/2010 - Dev'essere stato circa un anno fa. Stavo camminando in Spagna con delle colleghe quando una signora molto anziana mi chiese in turco la bottiglia d'acqua che portavo con me.

Quando le chiesi di dov'era, mi disse che era una Rom della Bulgaria, e che sapeva parlare il turco perché Turchi e Rom una volta erano lì parimenti oppressi, e per questo i due gruppi si sentivano vicini l'un l'altro. Non so cosa stesse facendo lì, ma mi disse che la sua vita in Spagna era brutta come in Bulgaria e che il destino dei Rom non cambia mai.

Una collega spagnola che era con noi si rattristò per questa conversazione. Riaffermò che i Rom erano i nuovi "Ebrei" e che sono uno dei bersagli principali del crescente nazionalismo in Europa occidentale. Sinceramente pensai che la mia collega stava esagerando quando diceva di aver paura che i Rom potessero essere vittime di uccisioni di massa. Insistette che gli Europei non potevano vivere senza la sensazione di essere minacciati da "altri" attorno a loro, fornendo molti esempi dalla storia rom.

Le recenti decisioni sui Rom del presidente francese Nicolas Sarkozy mi hanno ricordato gli ammonimenti della mia collega. A seguito degli ordini del presidente Sarkozy, le autorità locali hanno iniziato a smantellare un totale di 300 insediamenti rom in tutto il paese. Sembra che tutte le volte che la sua popolarità declina, il presidente Sarkozy sente il bisogno di usare la retorica nazionalista per riguadagnare appoggi. I Rom sono diventati le ultime vittime di quest'attitudine, dopo le politiche come "i musulmani non sono europei", "la Turchia non è Europa" e "le donne che portano il burqa devono stare a casa".

Anche nei tempi antichi i Rom viaggiavano in tutto il continente e, nonostante il loro stile di vita nomade, non erano considerati stranieri nei paesi dove passavano le loro vite. Con le loro tradizioni e credenze ancestrali, i Rom in verità sono abbastanza differenti dalla maggior parte degli Europei che vivono nelle città o nei villaggi. La maggioranza dei Rom europei vivevano in Europa orientale durante l'epoca della guerra fredda, ma quando i paesi del blocco orientale si unirono alla UE, acquisirono la cittadinanza europea e così il diritto di viaggiare liberamente per l'Europa, proprio come ogni altro gruppo etnico o sociale di quei paesi.

Inoltre, nel caso dell'Ungheria e della Romania, i diritti delle minoranze delle popolazioni rom furono uno dei principali argomenti del processo di negoziazione UE. La UE è stata abbastanza esplicita nel chiedere a questi paesi di attuare misure di discriminazioni positive verso queste persone. Alcuni paesi candidati dell'Europa orientale hanno ascoltato le raccomandazioni UE su come trattare la popolazione rom, e li hanno persino obbligati a vivere in grandi appartamenti, nel nome di migliori condizioni di vita. Tuttavia, questa politica è stata rigettata dai Rom stessi, che affermano che fosse irrispettosa del loro tradizionale modo di vita. In alcuni casi, hanno reagito mettendo i loro animali in queste case mentre loro sceglievano di vivere in tende all'aperto.

Il concetto solito di stato-nazione prevede progetti di "creazione della nazione" attraverso l'assimilazione o politiche d'integrazione, usando la forza se necessario. Quanti resistono a queste politiche sono sovente esclusi dalla società. Inoltre, la loro resistenza spesso fornisce una scusa per etichettarli come "cattive persone". Alcuni Europei vogliono che i Rom diventino invisibili, e paesi come la Francia preferiscono "risolvere" il problema rom rimandandoli nei loro paesi d'origine come l'Ungheria e la Romania. Se questo è quel che si chiama "unità nella diversità", è allora impossibile affermare che la UE si definisca un buon esempio per paesi come la Turchia.

 
Di Marylise Veillon (del 21/08/2010 @ 09:15:06, in Europa, visitato 2132 volte)

Da Roma_Francais

Denunciare l'anti-ziganismo senza attaccarsi alle sue radici? par Martin Olivera, antropologo

In seguito ad alcune dichiarazioni del capo dello Stato riguardo ai "Rom e Viaggianti", numerose associazioni di intellettuali e alcuni politici hanno reagito per denunciare gli amalgami, i quali permettono di creare a buon mercato, un diversivo in un contesto di crisi politica acuta. Alcuni hanno messo in prospettiva di stigmatizzare alcuni di questi gruppi, azione ben ancorata nella storia repubblicana e più genericamente, nel vecchio continente. Siamo riusciti infine a dare l'allarme in merito ai rischi di violenze fisiche gravando direttamente su coloro i quali vengono designati come "Rom e Viaggianti". Tutte queste reazioni sono ovviamente giustificate e necessarie. Ma appaiono purtroppo impotenti a grippare quel meccanismo intento a nutrire i discorsi del governo, e più a fondo ancora, il "buon senso" come fondamenta dell'anti-ziganismo in Francia come altrove.

La lettura delle reazioni degli internauti su alcuni siti d'informazione, lo illustra in modo eloquente: per alcuni, il capo dello Stato e il governo giocano, come accade spesso, con il fuoco, giocando la carta del populismo securitario; per altri – denunciando il lassismo dei primi – non bisogna temere di attaccarsi ai "veri problemi" posti da "quella gente". Abbiamo così più spesso a che fare con posizioni di principio che si nutrono tra loro, tanto più incrollabili visto che non rimettono mai in causa la categoria definita come problematica. Una tale opposizione binaria non serve altro che a riprodurre posizionamenti ideologici, strumentalizzando la famosa "questione rom" ad nauseam.

Però, il problema non è di sapere se i "Rom e Viaggianti" sono prima di tutto vittime dell'apparato di Stato e del razzismo popolare, o se "sono" invece colpevoli della loro "emarginazione".

Nulla si muoverà mai, tanto che si continuerà ad abbordare la categoria stessa "Rom e Viaggianti" come una popolazione evidente, indefinitamente offerta alla pietà o al biasimo, secondo le tendenze politiche degli uni e degli altri. E pur invitando a maggiori sfumature, le reazioni di fronte agli amalgami del governo, non rimettono mai in discussione l'esistenza di questa "comunità" in quanto entità sociale omogenea.

Eppure, eccetto la messa in categorie imposta dalle società maggioritarie che le riuniscono sotto un'unica etichetta (variabile nella storia, da cui l'inflazione della confusione), niente ci autorizza a considerare come andando da sé, le similitudini tra questi vari gruppi. "L'origine indiana" è una scoperta della scienza linguistica apparsa alla fine del XVIII secolo, e non un ricordo conservato dagli interessati nel seno delle diverse comunità.

In quanto al "nomadismo", sono diversi decenni che i ricercatori dimostrano e ripetono che non è affatto una caratteristica dei cosiddetti Tzigani, non oggi più di ieri: troviamo dei gruppi, i quali per motivi storici e economici, praticano una mobilità stagionale, ma l'immensa maggioranza di loro è sempre stata sedentaria. Al punto che il qualificativo stesso sembra superfluo.

L'esempio della "Seine Saint-Denis" è un mezzo efficace per farsi all'idea dell'irriducibile diversità dei cosiddetti Tzigani o "Rom e Viaggianti", per quanto poco si presti attenzione al modo con il quale loro stessi si definiscono:

- famiglie gitane (venute dalla Linguadoca e dalla Spagna) ci vivono dalla fine del XIX secolo, il più spesso in abitazioni "standard" (padiglioni o appartamenti)

- gruppi famigliari manush, yenish e viaggianti, maggiormente originari dell'est della Francia, si sono impiantati lì nella stessa epoca, cioè più di un secolo fa. Un gran numero di loro vivono in roulotte o abitazioni miste (casa e roulotte). Corrispondono per l'essenziale alla categoria dei "Viaggianti" – ciò non significando che "viaggino" realmente

- una comunità Rom (i "Rom di Parigi") è presente in "Seine Saint-Denis" dal periodo tra le due ultime guerre. Come i precedenti, sono oggi cittadini francesi e vivono per la maggioranza in padiglioni della periferia

- altri gruppi Rom, originari dell'ex Iugoslavia, si sono installati nelle città del dipartimento nel corso degli anni 1960-1970. Preservando per alcuni, legami con il paese d'origine, vivono lì ancora, in case banali, la roulotte essendo nel loro caso solo una risposta all'impossibilità di accedere alla locazione o alla proprietà

- incontriamo infine dagli anni 1990-2000, gruppi famigliari Rom originari di Romania e di Bulgaria, occupando essenzialmente degli squat o dei bidonville, a difetto di alternative: senza diritto al lavoro e alle prestazioni sociali, "girano" da un terreno all'altro nei comuni del dipartimento talvolta da più di dieci anni, seguendo il ritmo delle espulsioni… Precisiamo infine che loro stessi non formano una comunità, ma diversi gruppi distinti e che il loro numero è stabile dagli anni 2003-2004 – all'incirca tremila persone – anche se la mobilità subita li rende particolarmente visibili.

Alcuni parlano finalmente di "mosaico" per definire l'insieme tzigane. Questo mosaico non esiste peraltro per coloro i quali lo guardano, cioè i non tzigani. Certo, si identificano sempre più, di volta in volta, punti in comune tra i differenti gruppi: i Rom originari dell'Europa orientale sono marcati da influenze in parte comuni, legate alla loro appartenenza ad una stessa area storico-culturale.

Tuttavia, entrando nei dettagli, possiamo constatare la loro grande diversità, direttamente sorta dalle terre dalle quali queste comunità vengono: i Rom musulmani di lingua turca del sud della Bulgaria, i Rom sassoni del centro della Transilvania e i Rom sloveni installati da quarant'anni nell'Italia del Nord non hanno lo stesso passato, non praticano le stesse attività professionali, sono diversamente inseriti in habitat altrettanto diversi ecc…

In definitiva, non è un caso se sono innanzitutto dati di tipo macrosociologico che sembrano dare corpo alla categoria "Rom e Viaggianti". A questo proposito, le istituzioni europee (U.E, Consiglio dell'Europa), internazionali (FMI, Banca Mondiale, PNUD) e diverse fondazioni (in particolare l'Open Society Institute del miliardario George Soros) hanno una maggiore responsabilità nella definizione della "questione rom" a livello europeo. L'immagine di una minoranza essenzialmente costituita da "casi sociali" non avrà cessato di rinforzarsi nel corso degli anni 19902000, per mezzo di studi quantitativi i quali rendono astratta già all'origine, la diversità delle realtà locali. L'Unione Europea inquadra oggi perfino una "decade per l'inclusione dei Rom" (2005-2015), partendo dal principio che questi sono globalmente "mal inseriti" nelle società maggioritarie. Ma i cosiddetti Tzigani sono sempre ugualmente eterogenei dal punto di vista socio-economico di quanto lo sono culturalmente, a est così come a ovest del continente.

Non c'è così nulla di semplice da dire sui "Rom e Viaggianti", non più che sugli "Africani" o gli "Asiatici"… E se come in Romania, per esempio, è usanza chiamare Tzigani tutti coloro percepiti come socialmente marginali, la prima responsabilità dei ricercatori come dei giornalisti è d'interrogare questo luogo comune, per rendersi conto di realtà ben più complesse.

Infatti, la strada dell'inferno è lastricata di buone intenzioni, ognuno oggi è in misura di rendersene conto. Pur volendo lottare contro le discriminazioni e favorire l'inserimento di alcuni gruppi locali, effettivamente in difficoltà ma avendo poche cose da vedere gli uni con gli altri, se non un'etichetta, la retorica della "questione rom" non avrà fatto altro che convalidare nuovamente la categoria "stigmatizzabile" e la sua pertinenza simbolica.

Come denunciare "l'etnicizzazione" del dibattito e delle politiche pubbliche, quando si ha per evidente l'entità etnica in questione? Come fare conoscere meglio coloro chiamati ieri Tzigani, oggi "Rom e Viaggianti", e nello stesso tempo preservare il punto di vista che vieta di conoscerli? Come combattere i clichè senza rimettere in causa lo stampo che li genera? Tali sono le domande che oggi possono posarsi tutti quelli che desiderano – ricercatori inclusi – lottare efficacemente contro l'anti-ziganismo.

Difatti la sua base non è purtroppo la semplice mancanza di conoscenza. Quest'ultima non è altro che una conseguenza del volere creare categorie. In altre parole, gli stereotipi (negativi o positivi) non sono un'interpretazione erronea della realtà che basterebbe correggere, ma si nutrono di una postura a priori, rinforzandola contemporaneamente e a scatola chiusa. E in questo contesto, la ragione è ben impotente di fronte all'immaginario popolare e alle strumentalizzazioni politiche.

Allora no, non va tutto nel migliore dei modi e si, dei gruppi di cosiddetti Tzigani incontrano localmente delle difficoltà, producendo loro stessi una coabitazione talvolta delicata con il vicinato. Ma se non è gradevole abitare nei pressi di un bidonville, lo è ancora meno viverci… Però, il modo migliore per rendere impossibile la risoluzione di queste situazioni è bene quello di disgiungere le difficoltà vissute da queste famiglie dal contesto locale, facendone una "questione europea" disincarnata e fantasmagorica.

Difficoltà d'accesso all'alloggio, servizi sociali senza mezzi umani e finanziari, mercato del lavoro sinistrato, politiche d'immigrazione chiuse e servizi prefettizi obsoleti… I problemi incontrati da certi "Rom e Viaggianti" sono quelli delle nostre società contemporanee, delle quali fanno parte integrante, e non le conseguenze (subite o provocate) di caratteristiche sociali generiche.

 

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