Un mondo che intravediamo appena, che non vogliamo vedere, che magari ci fa
paura. Sergio Pretto, romano, 73 anni, giornalista prima della carta stampata
poi alla Rai, racconta gli zingari attraverso un secolo di storia in Novecento
Rom (Cartacanta, 400 pagine, 18 euro). Narra la storia di una famiglia, dagli
anni Trenta al 2010, tessendo un arazzo di rapporti intrecciati. Se ne esce
incantati da una scrittura a immagini, frammentata, a volte straniata, che si
avvicina alla poesia.
Nella quarta di copertina si legge che lei è stato avviato alla scrittura da
Pier Paolo Pasolini. Come?
Pasolini l'ho conosciuto da ragazzo su un campetto di calcio. Era un uomo che, a
prima vista, intimoriva, dai tratti spigolosi, e che poi, invece, scoprii
umanissimo. Diede una gran pallonata, che colpì il "palo" della nostra "porta",
fatto da libri e quaderni di scuola legati con l'elastico, come si usava allora.
Si scusò moltissimo, ma si soffermò sui quaderni. Soprattutto sul mio, quello
dei temi e lì, subito, a darmi consigli, a dirmi di infrangere le regole, di
esplorare le cose e insieme di aggredirle. E io cambiai il mio modo di scrivere.
Lo cambiai più volte, dopo, anche sotto l'influsso del surrealismo di Calvino e
del realismo magico di Màrquez, scrittori che riportano, anche se a prima vista
non sembra, allo scavo nel torbido di PPP.
Perché si è interessato ai Rom?
È stato proprio Pasolini a insegnarmi a guardare agli ultimi. Il primo contatto
l'ho avuto attraverso un'assistente sociale: cercavo informazioni per un altro
libro, che stavo scrivendo. Abbiamo incontrato un giovane Rom, quello che nel
romanzo io chiamo Decebal. Non è stato facile né da parte mia, né da parte sua.
Ci dividevano mille pregiudizi. Ma mi sono reso conto che quello che noi vediamo
- la sporcizia, il furto... - è la punta di un iceberg. Sotto c'è una cultura
straordinaria, musicale, umanitaria, una solidarietà che non possiamo percepire.
Siamo fermi agli stereotipi. E invece ci sono zingari docenti universitari,
sportivi di fama (Andrea Pirlo, il calciatore), avvocati, pugili... C'è
un'orchestra sinfonica di violinisti, tutti zingari, che sta girando l'Europa
riscuotendo enorme successo. Una zingara di vent' anni, Laura Halinovic, ha
vinto il Festival audiovisivo di Montecarlo con il documentario Io, la mia
famiglia Rom e Woody Allen.
Come ha fatto a documentarsi?
Ho passato mesi tra i Rom. Decebal, una volta che siamo riusciti ad intenderci,
mi ha detto che qui in Italia sono tutti giovani: per ascoltare la loro storia
dovevo andare a Craiova, in Romania. Ho fatto partire il mio romanzo-verità da
laggiù, quando Simplon, il padre di Decebal, decide di raccontare ai suoi figli
la tragedia del Porrajmos, come gli zingari chiamano il genocidio pianificato
dai nazisti: nei lager morirono 600mila Rom e Sinti. Simplon è depositario di
testimonianze dirette, dal padre Ofiter e dalla madre Limpiana. Racconta come
dei gitani si siano salvati nelle "marce della morte" verso i campi di
sterminio. Quando seppellivano le vittime, alcuni si gettavano vivi nelle fosse:
poi una coperta, quindi i morti, poi badilate di terra. L'ultimo della fila
batteva sul tumulo cinque colpi: il segnale che la colonna si allontanava, così
i sepolti vivi potevano uscire dalle fosse. Questo stratagemma l'avevano
escogitato grazie alla loro antica tradizione di seppellire i morti durante il
cammino. Non esistono cimiteri Rom o Sinti fino ai primi del Novecento: nomadi,
gli zingari seppellivano i loro morti lungo la strada.
Rimangono impresse le figura femminili del libro. Ce ne vuol parlare?
Grifina era una giovane zingara dalla bellezza fiera e singolare. L'ufficiale
medico del lager la notò e se la prese come infermiera e amante. Lei sopravvisse
alle sevizie, accudendo una bambina che aveva trovato nel campo, sperduta, e con
la certezza che un giorno si sarebbe vendicata. Alla fine, lo fece: uccise con
il bisturi l'ufficiale medico. La giovane Jonela è invece l'esempio del
contrasto tra gli anziani e i giovani. I ragazzi vedono i lati positivi della
nostra società, quella di noi gagé, come ci chiamano i Rom. Jonela, cresciuta il
Romania sotto il regime di Ceausescu, preferiva i jeans alle gonne a fiori e non
voleva più camminare sempre un passo dietro al suo uomo...
I Rom sono così maschilisti?
Questo è un argomento, forse il primo, su cui ci siamo trovati a discutere. Ho
parlato ai Rom di grandi donne di cui non conoscevano l'esistenza: le americane
che nel 1908 scioperarono per protestare contro le terribili condizioni in cui
erano costrette a lavorare e morirono nell'incendio scoppiato l'8 marzo. Madame
Curie, Rita Levi Montalcini... Le donne, che prima si ritraevano, hanno
cominciato a sorridermi, ad invitarmi a mangiare. Gli uomini a considerare le
loro compagne in una nuova dimensione. Non ci siamo messi d'accordo, invece,
sulla scuola. "L'istruzione", mi hanno detto, "dovrebbe portare alla felicità.
Perché noi dovremmo accettare, senza discutere, la vostra?"
Apertesi le frontiere dell'Europa orientale, la famiglia di Decebal ha lasciato
la Romania per Francoforte, quindi Roma: nel campo al Casalino, che poi è stato
spazzato via, e infine al Tiburtino. La storia è chiusa?
Spero in un finale aperto. Finché noi li ghettizziamo, saranno sempre pronti a
ripagarci con il peggio perché a questo porta la disperazione. Ci chiedono di
lavorare, anche lavori umilissimi - li ho visti io stesso farli, insieme agli
immigrati - e ci chiedono di non dover rinunciare all'essenza della loro
cultura. Sono il popolo meno sanguinario del mondo, che non ha mai combattuto
una guerra, anche perché non ha confini da difendere.
Di Fabrizio (del 05/02/2013 @ 09:06:22, in Regole, visitato 1750 volte)
Comunicato Stampa:
In relazione alle notizie circolate a seguito dei recenti fatti avvenuti nel
campo rom di Via Idro, vogliamo sottolineare innanzitutto che queste si sono
spesso rivelate parziali o inesatte. Gli abitanti del campo non sono tutti
uguali: non si tratta di una faida tra famiglie in cui ciascuno ha il
medesimo carico di responsabilità, ma di un grave episodio di intimidazione.
All'interno del campo vivono persone che hanno diritto ad una maggiore
sicurezza.
Quanto alle accuse rivolte da alcune forze politiche all'attuale
amministrazione, il Consiglio di Zona 2 ha deliberato in data 5 giugno 2012
avanzando delle proposte sulla riqualificazione del Campo (che è comunale e
sorge su terreno demaniale) e prevedendo interventi che riguardano sia la
sicurezza e la manutenzione delle strutture che la coesione sociale.
Respingiamo al mittente le accuse avanzate a mezzo stampa dal capogruppo
della Lega Nord in Zona 2.
Non è vero che negli anni in cui la Lega è stata al governo della città (ben
17) la problematica realtà del campo rom fosse stata risanata, anzi: l'attuale
stato di abbandono è stato volutamente aggravato. E non è vero, per fortuna di
tutti noi, che il campo rom sia stato pattugliato dall'esercito trasformandolo
in una piccola Auschwitz. Non risponde al vero l'asserito abbandono del tema
sicurezza da parte del centrosinistra, come dimostrano gli interventi delle
forze dell'ordine nel campo (vedi cronache 3/7/2012 e 8/8/2012). Non risponde al
vero che i reati siano aumentati esponenzialmente negli ultimi due anni, come
testimoniano anche dal Commissariato, ed, infine, è falso che l'Assessore
Granelli non sia mai arrivato in zona 2.
Nel corso del mandato, l'Assessore Granelli ha partecipato a due commissioni
zonali sul tema della sicurezza e, in seguito, ha voluto un incontro ufficiale
con i Comitati e le Associazioni alla presenza del Questore e dei responsabili
della sicurezza in zona, senza qui contare le numerose visite informali
compiute.
Troviamo assurdo e strumentale che oggi la Lega Nord chieda a gran voce una
Commissione per discutere di Via Idro, quando i consiglieri della Lega
sono risultati assenti nella apposita Commissione Zonale, convocata a
settembre esattamente in Via Idro, per discutere del Piano Rom e dei problemi
del campo.
Sfugge alla Lega Nord che proprio nella mattinata di lunedì 28 gennaio si sia
svolto un incontro con gli Assessori Majorino e Granelli per decidere come
intervenire nel campo Rom di Via Idro e sfugge alla Lega Nord che un altro
incontro sia programmato agli inizi di febbraio. Il centro sinistra di Milano e
della Zona 2 ha ben presenti i gravi problemi in cui versa il campo, sia dal
punto di vista della sicurezza sia da quello del degrado delle strutture,
peraltro ereditati dalle amministrazioni di centro-destra, che hanno saputo solo
aggravare i problemi di sicurezza delle persone, rom compresi, per poterli
strumentalmente utilizzare a fini elettorali.
Il centro sinistra in Zona 2 e a Milano combatte una dura battaglia, con
pochi mezzi economici a disposizione e un inadeguato quadro legislativo a
supporto, anche qui eredità pesante dei governi BOSSI/Berlusconi, per consentire
l'accrescimento personale ed umano di tutti, anche nell'ambito della comunità
ROM e sviluppare un cammino di speranza, di legalità e di integrazione per tutti
gli uomini e le donne che liberamente lo scelgano. Il centrosinistra a Milano
contrasta chi sceglie di perseguire la strada dell'illegalità e della
delinquenza, sapendo ben distinguere, come meritano le Persone, gli uni dagli
altri.
Riteniamo che bene abbiano fatto le forze di polizia ad intervenire per
riportare l'ordine e la sicurezza nel campo - in modo deciso ma appunto attento
alle persone. Questi interventi, eseguiti anche a seguito di segnalazioni da
parte del Consiglio di Zona 2 e delle Associazioni di volontariato che lavorano
nel campo, permettono di separare i cittadini regolarmente residenti da chi
invece delinque e si oppone con ogni mezzo sia alle forze dell'ordine sia, in
fondo, al miglioramento della vita quotidiana nel campo.
Ora è importante che la politica compia la sua parte attraverso un lavoro
forte e deciso di mediazione sociale e di riqualificazione del campo, mettendo
in pratica le proposte avanzate dal Consiglio di Zona 2 e i contenuti del
Progetto rom sinti e caminanti del Comune di Milano.
La Lega Nord, se lo vuole, rimanga pure nel passato.
Di Fabrizio (del 04/02/2013 @ 17:32:08, in Kumpanija, visitato 1448 volte)
Iniziativa per La Giornata della Memoria 7 Febbraio 2013 - inizio ore 9.00
Aula Magna Liceo Manzoni -
via G. Deledda 11 - Milano (MM1-2 Loreto)
Jovica Jovic non sa se sta ancora fuggendo dai nazisti, o se è rimasto senza
casa, o sia semplicemente in tourneé.
Jovica Jovic oggi è un fisarmonicista di talento, conosciuto in Europa, che
insegna ai bambini a suonare ad orecchio.
La sua storia parte dalla Jugoslavia degli anni '40, e la MEMORIA di allora si
lega alle guerre degli anni '90, sino all'arrivo e alle incertezze in Italia.
La sua storia personale è quella del suo popolo, i Rom, testimoni mai ascoltati
di eccidi lontani.
Suonerà e discorrerà col pubblico, ridendo, ragionando, sperando assieme a voi.
Progetto Memoria Storica: Il Popolo Rom e L'Olocausto
- Commissione Cultura - Consiglio di Zona 2
Motivo: Mentre si parla molto delle vittime Ebree della persecuzione
Nazi-Fascista nell'Olocausto, molto meno si parla di altre loro vittime: gli
oppositori politici, gli omosessuali e i Rom. Questa lezione/spettacolo/concerto vuole cercare di spiegare cos'è successo e continua a succedere
a quest'ultimo gruppo etnico, storicamente vessato e perseguitato.
Abbiamo voluto così fare conoscere un'altra tessera dell'enorme e
terribile mosaico dell'Olocausto.
Obiettivo: Informare e sensibilizzare i giovani. Saranno invitati i ragazzi
di alcune scuole della Zona 2 dalle medie ai licei, inclusi gli studenti
dei Licei Manzoni e Carducci, per una lezione/spettacolo coinvolgente
sull'argomento.
L'invito è soprattutto per le scuole ma l'entrata è libera per tutti.
La mini House è una casa che ti arriva per posta e che si monta in 48 ore.
Sembra impossibile eppure è tutto vero. Il design di queste abitazioni
pret-a-porter viene dalla Svezia ed è opera dell'architetto Jonas Wagell.
Di Fabrizio (del 03/02/2013 @ 09:06:34, in Kumpanija, visitato 2460 volte)
Se ne può discutere anche quando il Giorno della Memoria è passato.
Discutere: non ho certezze o verità, ma alcune domande, che nascono da una mole
di dati e di citazioni che si sono sommati nella ricorrenza di un giorno. Lo
scopo di questa discussione è (al solito) prefigurare quale sarà il nostro
cammino.
Cos'è oggi la memoria
Ascolto le pubblicità alla radio. Grazie all'olio Esso vado tranquillo per
la strada dei sogni e mi dimentico del resto. Dimentico Hiroshima, dimentico
Auschwitz. Dimentico Budapest, il Vietnam, il problema degli alloggi. Dimentico
la fame in India, dimentico tutto, tranne che sono ridotto a zero. E da lì devo
ricominciare. Jean-Luc_Godard
"La memoria ha la funzione di mantenere ricordi, a mente, per iscritto, o in
altre forme" recita
Wikipedia.
La funzione è efficace, se è replicabile, altrimenti è memoria anche
festeggiare il natale o ferragosto: cioè una chiamata a raccolta per qualcosa
che non si ricorda più che significato abbia.
Anche il natale, suppongo, avesse un suo significato lontano, che per chi
crede dovrebbe avere un valore sempre. Averlo incasellato in un giorno preciso (non è la data
che ha importanza, ma i tempi della sua celebrazione), ne fanno un momento
di
unità,
di
fratellanza.
E dato che delle due cose ce ne sarebbe, oggi, un grande bisogno,
per forza si aggiunga il punto
di
ipocrisia.
Mi sentivo a disagio, su quella bacheca globale che è Facebook, leggendo in tempo
reale rimandi a una sfilza di articoli, guardando video, scorrendo
considerazioni banali o interessanti. Forse avrei avuto bisogno di silenzio, sarebbe
stato
l'unico modo per capire che questa GIORNATA DELLA MEMORIA è un momento diverso
dagli altri: quel coro continuo di notizie da gossip ed indignazioni le più
diverse (tutte legittime, beninteso), dalla partita di calcio
all'ultima candidatura ad un concorso od un'elezione. Quel coro che è ripreso
invariato da lunedì scorso per i prossimi 364 giorni.
I miei genitori, ad esempio, non hanno mai avuto bisogno di un giorno per
ricordare, e non è un discrimine politico. Loro:
internet
non sapevano neanche bene cosa fosse,
quegli
anni ce li avevano dentro, forse non Auschwitz, ma il ricordo delle impunità
fasciste, della fame per tutti, dello scappare, dei panni grezzi, dei pidocchi.
Questa era la loro coniugazione di guerra, e anche se non erano stati in campo
di concentramento (lui partigiano, lei sfollata), avevano nell'istinto e nella
memoria profonda quella empatia che poteva restituirgli l'odore del fumo dai
lunghi camini. E tanti come loro, non importa il colore politico, nei primi
30-40 anni del dopoguerra avrebbero fatto a pezzi chi avesse negato l'orrore dei
campi di sterminio, perché sarebbe stato negare se stessi, quello che avevano
patito, la possibilità che avevano avuto di ricominciare e di trasmetterci un
mondo diverso.
Ma erano loro, la loro storia. Oggi, dopo 70 anni, viviamo nel mondo che,
bene o male, abbiamo ereditato da loro. C'è chi per questa eredità può persino
dire che quell'orrore non è mai accaduto e, per la stessa eredità che dicevo,
c'è chi può addirittura essere votato per fare affermazioni simili, senza pagare
lo scotto, non dico di una guerra civile, ma neanche di una censura.
Ecco, mi torna uno sprazzo di memoria, chi è che pressappoco diceva: "E'
successo, e allora può succedere ancora"? E lo vediamo: non ci sono più le
camicie brune, ma gli eredi che hanno imparato da quei sistemi sono attivi e ben
pasciuti. E se c'è chi prova a negare quella memoria, quella memoria esiste, è
replicabile, non importa che si raggiunga o meno l'orrore dei campi di
sterminio, ma soprattutto è una memoria che può essere applicata dagli stessi
che la vorrebbero negare.
di
Mauro Biani
Intanto il mondo ereditato dai nostri vecchi, nel quotidiano ripete alcuni
(pochi, per fortuna) meccanismi sociali del tempo di guerra: sono sempre pochi
quelli che fanno qualcosa (ma quei pochi si sa che non molleranno), la
maggioranza guarda e gira la testa altrove, e poi ci sono quelli che, nel loro
piccolo, qualcosa di buono e generoso (anche pericoloso, a volte) lo fanno sempre, ma in silenzio e lontano dai
riflettori.
Come in tempo di guerra. Non è tanto importante quel ripetersi, ma perché si
stia ripetendo ancora, e chi possa impedirlo. "Chi
non conosce la storia è destinata a riviverla". Qualcuno l'ha detto di
sicuro, non ricordo chi e non ha nessuna importanza.
Questa è solo la metà dei ragionamenti, prendete fiato perché non finisce
qui. Le ceneri del camino e l'idea di nazione
Sempre settimana scorsa, mi sono imbattuto in questa tabella:
Ebrei: da 5.000.000 a 6.000.000
Omosessuali: da 10.000 a 600.000
Zingari: da 500.000 a 1.500.000
Testimoni di Geova: 25.000
Disabili: da 200.000 a 250.000
Massoni: da 80.000 a 200.000
Prigionieri Sovietici: da 2.000.000 a 3.000.000
Dissidenti politici: da 1.000.000 a 1.500.000
Slavi: da 1.000.000 a 2.500.000
L'approssimazione delle cifre sembrerebbe dare ragione ai negazionisti.
Ma la loro mole indica che la sintesi fu qualcosa di enorme, da ricordare,
perché sarebbe stato REPLICABILE (come in effetti è successo). Quali le
cause che hanno reso possibile (anzi: necessario) il replicarsi?
Il motivo razziale potrebbe essere una delle cause: ci sono stati prima, e
poi sono seguiti, pogrom, campi di concentramento, famiglie smembrate dall'odio
razziale. Concentriamoci sui soggetti, non sulle cifre, e sul periodo pre-guerra;
sono categorie diverse, apparentemente inconciliabili:
Ebrei: cosa distingueva un ebreo da un ariano? I capelli, il
naso adunco? Fandonie! La professione? Cosa aveva di minaccioso
un ebreo che faceva il sarto, il dottore, il commerciante
ambulante? Niente, se non appartenere ad un gruppo etnico che
già allora era messo in connessione (nella vulgata popolare) con
finanzieri e banchieri, bersaglio "popolare ed immediato"
per il popolo tedesco, in crisi ed alla fame nel I dopoguerra
(ricorda niente?);
Zingari: cittadini tedeschi come gli altri, al pari degli
ebrei alcuni avevano combattuto nella I guerra mondiale. I loro
lavori (già, gli "zingari" hanno sempre lavorato, allora
come oggi): stallieri, agricoltori, artisti, impagliatori,
piccoli commercianti, una specie di "piccolo mondo antico"
incastonato nel XX secolo;
Disabili: come zingari ed ebrei, non furono rinchiusi nella
sola Germania. Altre nazioni seguirono quelle politiche, alcune
la anticiparono persino. Pochi, rispetto alla popolazione
maggioritaria, e di certo non costituivano nessun pericolo.
Anzi, erano molti più vicini fisicamente ed affettivamente alle
normali famiglie.
Non solo, come diceva Levi, "tutti siamo Ebrei di qualcun altro" ma
potremmo parafrasare "ognuno è la minoranza di qualcun altro". E nella
Germania di allora, non c'era solo una maggioranza di socialdemocratici e
comunisti, con un popolo in crisi economica e di identità, ma una minoranza
nazista. Tralasciando per un momento la questione razziale, questa minoranza
pianificò la propria ascesa al potere, come se si trattasse di un business plan
(eccolo il XX secolo che fa il suo ingresso).
Certo, lavoravano "anche" zingari ed ebrei, erano nelle loro case i disabili,
ma: rinchiudere l'ebreo significò distruggere la concorrenza (die
Kristallnacht) e contemporaneamente confiscare soldi, fondi, proprietà,
accumulate in anni di lavoro. Non finirono nelle tasche dei gerarchi di partito
(come succederebbe oggi), ma finanziarono industria e politiche sociali
localizzate. Gli zingari non avevano potere economico o politico, ci fu poco da
confiscare, ma, a parte la questione razziale - dicevo, avevano una
caratteristica che li accomunava agli Ebrei: lavoravano ma non erano produttivi,
ed una che li accomunava ai disabili: non sarebbero mai stati un prototipo
positivo per una "futura" razza ariana superiore -
L'UOMO NUOVO.
Oggi sappiamo che un'impresa non si regge soltanto sul capitale e su come
viene prodotto, ma anche su quel termine intraducibile che passa sotto il nome
di "Mission" (che il più delle volte è solo l'artificio retorico che spinge
a produrre).
La Mission era IL NUOVO ARIANO, che per forza si doveva
distinguere fisicamente dai non-ariani per eccellenza (gli Ebrei),
ma anche dai proto-ariani per eccellenza (gli zingari), e non
essere contaminato da ariani-deviazionisti (i disabili, ma a
questo punto: anche gli oppositori politici e gli
omosessuali). Ma
Ebrei, zingari e disabili, per l'uomo della strada e per i decisori politici
avevano una caratteristica in comune, che li differenziava dalle altre minoranze
tedesche meglio ASSIMILABILI: il loro lavoro non era dedito alla produzione e
alla creazione di uno stato nuovo e nazionalsocialista, che potesse essere un
faro di civiltà e grandezza. Poco importa se alcuni di loro lavoravano nelle
fabbriche (e qualcuno fosse persino orgoglioso di questa INTEGRAZIONE), il loro
esempio andava spazzato via.
Ragionerei QUI e ORA, in tempi di crisi attuale, a cosa porta un'ideologia del
produrre ad ogni costo per la grandezza di una nazione. Allora fu la guerra, e
la Germania che si tramutò in una MACCHINA BELLICA (il termine "macchina" è
perfettamente appropriato), così la tabella iniziale può arricchirsi delle cifre
delle vittime dal fronte orientale.
I campi non erano solo sterminio, ogni prigioniero di guerra diventava un
operaio a costo zero da riciclare nell'industria bellica, magari trattato un po'
meglio di chi non era più in grado di lavorare.
Ma il campo era contemporaneamente la sintesi del destino di chi si opponeva
o era estraneo al destino dello STATO NUOVO: sfruttamento fisico sino alla
morte, ma anche annullamento come persona (certo: botte e violenze, ma anche le divise carcerarie,
la sporcizia, non poter
parlare la propria lingua, essere chiamati per numero e non per nome). Lì
si smetteva di essere considerate persone, l'unica definizione che un recluso
poteva avere di sé era solo di essere una rotellina (sempre sostituibile)
della GRANDE MACCHINA di questo stato che sfidava il mondo. Una macchina oliata
dove ognuno, dal semplice kapò, al soldato, agli alti gradi, agiva come
normalissimo esecutore di ordini.
Dove si legavano tanto "la banalità del male" di Hanna Arendt,
che l'angoscia di Primo Levi: "testimoniare senza essere creduto". E
nel contempo, la sfida di un popolo superiore raggiungeva l'apice: PER DEFINIRE
SE STESSI, OGNI FORMA DI ALTRO ANDAVA ANNULLATA. Guardate, se la stessa politica
la depuriamo dallo sterminio (e non è poco!),
l'annullamento continua, ma questo sarebbe un altro lunghissimo discorso.
E' stato, allora, il culmine di un processo storico nato in Europa, con i
pogrom anti-ebraici, ma anche le politiche persecutorie anti-gitane e anti-more,
nel 1500 con la Spagna appena diventata stato unitario. Processo storico che
abbiamo esportato in
Africa, Asia, Americhe, salvo proporci oggi come improbabili TUTORI DEI
DIRITTI UMANI E DEMOCRATICI.
Di Fabrizio (del 02/02/2013 @ 09:04:49, in Italia, visitato 1478 volte)
di Giulio Cavalli | 31 gennaio 2013
Una lettera, chiara ed efficace, dal campo Rom di Baranzate:
"Mancano due settimane alla data che tormenta le nostre notti e i nostri giorni.
Il 15 febbraio, secondo quanto Infrastrutture Lombarde Spa ha detto ad alcuni di
noi, verranno a sgomberare il nostro campo, a due passi da Rho, proprio a
ridosso dell'autostrada dei Laghi, nel territorio di Baranzate. Un campo che
sorge su terreni che abbiamo regolarmente comprato, circa 25 anni fa, e in cui
viviamo da allora.
Devono fare l'Expo, ci dicono. Devono costruire una strada di collegamento tra
Molino Dorino e l'autostrada. Siamo proprio nel mezzo, dobbiamo andare via.
Sono venuti da noi quelli di Infrastrutture Lombarde Spa, a metà settembre del
2012, hanno scattato delle foto. Alle nostre case e alla nostra terra. Ci hanno
fatto firmare delle carte. Anzi le hanno fatte firmare a chi non sa leggere né
scrivere in italiano. Ci hanno detto che erano per la privacy. In realtà erano
documenti che stabilivano la presa in possesso dei terreni ad un prezzo
bassissimo, sette euro a metro quadro.
Sette euro, tanto valgono per loro la nostra vita, la nostra storia, due decenni
di vita in un terreno comprato da noi. Un terreno edificabile, adesso. Quando ci
hanno fatto pagare le multe per le casette che abusivamente abbiamo costruito
sui nostri campi, non siamo riusciti ad ottenere la variazione di destinazione
d'uso da agricolo ad edificabile. Non era possibile. Non potevano mettere in
regola i tetti che abbiamo tirato su per i nostri figli.
Poi, però, con l'avvento dell'Expo, il cambio di destinazione è stato
magicamente possibile ed è stato inserito nel nuovo Pgt. Che strano. D'altra
parte, noi Rom, per loro, valiamo molto meno di un'esposizione internazionale.
Ma lo sappiamo già. Non ci stupisce. Noi non pretendiamo di essere lasciati
nelle nostre terre. Possiamo anche abbandonare il campo, pacificamente. Vogliamo
che il prezzo di vendita sia quello di mercato, ma di questo e delle procedure
ingannevoli utilizzate nei nostri confronti si stanno occupando i nostri legali.
Quello che più ci preme, ora, è che la nostra dignità venga rispettata.
Chiediamo solo di non essere mandati in mezzo ad una strada. Lo chiediamo per i
nostri figli. Che studiano qui in zona per migliorare, per costruirsi un
avvenire in questo Paese in cui sono nati.
Vogliamo che i nostri bambini, che ci emozionano quando leggono e scrivono in
italiano, non vengano allontanati dalle loro scuole e dalla rete di amicizie che
hanno costruito con fatica. Vogliamo che non perdano la quotidianità
conquistata, nonostante le tante difficoltà, dai propri genitori.
Chiediamo al Comune di Milano, che continua a prendere tempo senza darci una
garanzia chiara e una risposta precisa, quantomeno di attrezzare un'area, non
lontana dal campo, dove poter continuare a vivere in attesa di una soluzione. E
all'assessore Granelli chiediamo di farlo prima che arrivi lo sgombero. E che ci
dia una scadenza certa, non oltre mercoledì 6 febbraio, per presentarci la sua
soluzione e dirci chiaramente cosa accadrà. Non siamo terremotati, è vero, ma
siamo 350 persone, alcuni anziani e qualche malato, che in una notte potrebbero
perdere tutto. Ci sono dei neonati, 60 bambini vanno a scuola, 2 ragazzi
frequentano con orgoglio le superiori, non siamo "involuti" come fa comodo
credere e far credere.
Se Milano è una città che ama i diritti, una città di inclusione, ci dimostri
davvero di esserlo. Anche se noi non siamo elettori, non siamo portatori di
voti, abbiamo comunque dei diritti. Il diritto di non vedere i nostri figli
finire sotto un ponte, senza un tetto, fuori dalla scuola ed estromessi dal loro
futuro. Dal loro diritto al futuro. Che in un Paese civile dovrebbe essere
universale.
Di Fabrizio (del 01/02/2013 @ 09:05:50, in Italia, visitato 1253 volte)
Questo è il punto cui è arrivata l'esperienza una volta esemplare del
Quartiere Terradeo di Buccinasco. Oltre un anno di gestione commissariale,
resistenze e incapacità amministrative... più la crisi, che notoriamente picchia
in basso.
Ci auguriamo -e cerchiamo di fare il possibile- perché sia un punto e a capo.
Ernesto Rossi - APERTAMENTE di Buccinasco
LETTERA APERTA DELLA COMUNITA' SINTA DI BUCCINASCO
Come è difficile la vita di un "NOMADE STANZIALE". Così ci ha paradossalmente
definiti in un suo recente articolo una giornalista del quotidiano "Il Giorno ".
I nostri avi SINTI sono giunti in Italia attorno al 1400. Mentre la nostra
comunità, di fatto una famiglia allargata, risiede a Buccinasco da oltre
trent'anni. Quindi noi e le nostre famiglie siamo cittadini di Buccinasco, e i
nostri bambini da alcune generazioni frequentano le locali scuole dell'obbligo.
Sino a che la "crisi" non ha colpito tutti, almeno un membro di ognuna delle
nostre famiglie aveva un regolare lavoro, che ci permetteva di vivere
decorosamente nel nostro Quartiere Terradeo, con il valido aiuto delle
Amministrazioni che si sono succedute nel nostro Comune e di alcune
Associazioni.
Sei più una delle nostre famiglie (le più numerose) hanno nel tempo investito
tutti i loro risparmi per costruirsi, in alternativa alle precedenti roulotte,
sette casette in legno appoggiate su di una piastra in cemento per vivere una
vita più confortevole.
Lo scorso inverno il Commissario, che in quel periodo governava Buccinasco,
ha ordinato la demolizione, attraverso una raffica di ordinanze (oltre venti)
sotto il controllo costante delle Forze dell'Ordine, di tutte e sette le
costruzioni, e già che c'era ha fatto abbattere anche sei casotti in legno 2X2,
utilizzati come ripostigli. Questa operazione è andata avanti per diversi mesi.
Motivo dell'intervento: l'edificazione delle casette, con molti incoraggiamenti,
ma senza alcun permesso formale delle preposte Autorità.
Va precisato che per avere il permesso di costruzione era necessario che il
Parco Agricolo Sud Milano autorizzasse, prima, l'esistenza del Quartiere, dove
da anni vivono le nostre famiglie, allestito sopra un terreno di proprietà del
Comune ma collocato entro il Parco Sud.
L'attuale Amministrazione comunale ci sta riprovando, così come ci hanno
provato quelle precedenti, e siamo in attesa che l'annoso problema venga
positivamente risolto.
Nel frattempo, come per buona parte delle famiglie italiane, le condizioni di
vita delle nostre famiglie, che già da prima erano difficili, in questi ultimi
tre anni sono notevolmente peggiorate e la maggior parte dei nostri capi
famiglia ha perso il lavoro. Si sopravvive effettuando lavori precari, cercando
di far fronte ogni mese alle spese fisse, mangiare, luce, gas, trasporti,
affitto, ecc.
In questo contesto e con diversi problemi ancora irrisolti, sono
avvenuti i fatti in un pomeriggio della scorsa settimana.
Una buona parte delle famiglie del Terradeo ed alcuni parenti invitati,
stavano festeggiando il battesimo di un nostro bambino in un ristorante della
zona. Dopo pranzo, alcune coppie stavano ballando al suono della musica del
locale, che qualcuno ha ritenuto di volume eccessivo, tanto da richiedere
l'intervento di una pattuglia di Vigili Urbani.
Quello che è avvenuto all'arrivo dei Vigili è estremamente sgradevole: un
paio di noi, evidentemente "alticci", si sono comportati in modo poco urbano e
con poco rispetto nei confronti dei tutori dell'ordine, nonostante l'intervento
moderatore di altri commensali.
Il giorno successivo due delle persone interessate al fatto, si sono recate
presso il locale comando di Polizia Urbana per porgere le loro scuse per
l'accaduto.
A queste scuse aggiungiamo quelle delle nostre famiglie, poiché riconosciamo ai
nostri Vigili la serietà e la correttezza nello svolgere il loro non facile
compito quotidiano in situazioni difficili come quelle sopra ricordate, in cui
ci siamo trovati anche noi coinvolti.
Vorremmo comunque far presente che in casi come questi, che ci auguriamo non
abbiano più a ripetersi, gli autori delle eventuali azioni perseguibili dalle
leggi del nostro Stato, rispondono personalmente di fronte alla giustizia e
quindi riteniamo giusto sottolineare e chiedere che anche chi riporta i fatti
debba evitare generalizzazioni o ancor peggio la criminalizzazione di una intera
Comunità, come spesso è accaduto nel passato sui mass media.
Le Famiglie del Quartiere Terradeo di Buccinasco
L'Associazione APERTAMENTE di Buccinasco
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