Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Sucar Drom (del 17/01/2014 @ 09:04:50, in blog, visitato 1864 volte)
Roma, la Questura si dissocia
Il 28 dicembre scorso sul profilo Facebook e Twitter della Questura di Roma è
stato postato il seguente comunicato: "In relazione al tweet apparso sul profilo
della Questura di Roma nella giornata del 26 di...
Bolzano, il Porrajmos e la memoria
Rivergaro (PC), dialisi in festa con la Musica dei Viandanti
Milano, il lancio di ROMED2 e ROMACT
Il 18 gennaio a Milano, dalle ore 9.00 a Palazzo Reale in Piazza Duomo, saranno
lanciati i due programmi europei, ROMED2 e ROMACT, a favore delle minoranze
linguistiche sinte e rom e delle mi...
Lombardia, smonta lo stereotipo e abbatti le discriminazioni
Concorso a premi per manifesti artistici "SMONTA LO STEREOTIPO, COSTRUISCI LA
CONOSCENZA" rivolto alle scuole secondarie di primo e secondo grado della
Regione Lombardia.
Jesi (AN), il Porrajmos con Santino Spinelli
Roma, memorie dallo sterminio di sinti e rom
In occasione della Giornata della Memoria, in cui si commemorano tutte le
vittime delle persecuzioni nazifasciste, Associazione 21 luglio e Associazione
Sucar Drom organizzano l’evento “Samudaripen. Tutti morti...
Di Fabrizio (del 18/01/2014 @ 09:01:12, in Italia, visitato 1664 volte)
Incontro con Alexian Santino Spinelli. Musicista, scrittore e docente
universitario - di Donato Savria
Il razzismo non ci appartiene, ma gli zingari se ne devono andare a casa loro.
Quante volte abbiamo sentito quest'affermazione? Politici, semplici cittadini,
vecchi, giovani.. troppo spesso la non informazione è peggiore di
un'informazione sbagliata. Il pregiudizio regna sovrano e noi, popolo del XXI
secolo, siamo così pigri da non voler cercare altre risposte, prendiamo per
buono ciò che ci dicono Tv, radio, giornali. Ascoltiamo una sola "campana", non
ci interessa altro.
E' arrivato il momento di aprire gli occhi, andare controcorrente; vogliamo
ricordare le persecuzioni che gli zingari hanno subìto nel corso della loro
storia millenaria e non vogliamo nascondere sotto il tappeto, com'è stato fatto
fino ad ora, le torture che hanno subìto in Germania e in Svizzera, storie
scomode per qualcuno. Distinguersi dalla massa e schierarsi con un popolo che
non è stato mai difeso da nessuno. L'uomo non nasce mendicante, ma lo diventa, e
se lo è diventato cerchiamo di capirne il motivo. Un popolo porta con sé
tradizioni che non devono assolutamente cadere nell'oblìo: proprio per questo
abbiamo raggiunto telefonicamente l'ambasciatore per la cultura romanì nel
mondo, Santino Spinelli, detto Alexian. Musicista compositore, cantautore,
insegnante, poeta, saggista. Ha due lauree: una in Lingue e Letterature
Straniere Moderne e l'altra in Musicologia, entrambe conseguite all'Università
degli Studi di Bologna. Insegna lingua e Cultura Romanì all'Università di
Chieti. Con il suo gruppo, l' "Alexian Group", tiene numerosi concerti di musica
romanì in Italia e all'estero.
Entriamo in un mondo completamente nuovo, la musica romanì. Se ne parla troppo
poco, e spesso non si da il giusto valore ed il giusto tributo. Quali sono le
caratteristiche?
Domanda difficile. Ci sono molti stili e molti contributi da parte delle diverse
comunità, ad esempio in Spagna il "flamenco", in Ungheria la "ciarda" e così
via. I rom hanno dato uno sviluppo notevole alla musica in ogni zona in cui si
sono stanziati. La musica romanì comprende tantissimi stili diversi, i quali
hanno arricchito l'arte e la cultura europea. I rom hanno introdotto, in Europa,
anche due nuovi strumenti, la "zurla" (oboe in legno di albicocco, formato con
profilo conico sia interno sia esterno, con padiglione svasato, munito di ancia
doppia montata su un cannello metallico con disco appoggia labbra) e Il "cimbalom"
(detto anche cembalo ungherese), uno strumento musicale a corde battute o
pizzicate, strumento che possiamo considerare antenato del pianoforte.
I grandi compositori europei hanno sempre dato una certa importanza alla musica
rom, soprattutto nei Paesi dell'est, come Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia,
etc.; queste nazioni, sotto il controllo asburgico in epoche passate, guardavano
il popolo e la cultura rom con occhi diversi, cercavano la libertà e vedevano in
loro il simbolo della libertà. La musica rom è diventata in questo modo musica
nazionale, è stata tenuta in considerazione da grandi compositori, da Johannes
Brahms, a Franz Peter Schubert, fino ai giorni nostri con Goran Bregovic'; una
schiera vastissima di autori e compositori che non hanno, però, riconosciuto
l'apporto che il nostro popolo ha dato alla musica.
L'"Alexian Group" da anni gira l'Italia, varcando spesso anche i confini
nazionali, portando la musica e la cultura romanì in giro per piazze, palazzetti
e teatri. E' stato difficile affermarsi e imporsi nel mondo musicale?
Il successo non è arrivato subito. E' arrivato con l'impegno, il lavoro, la
ricerca, la valorizzazione di un patrimonio artistico culturale, poi messo in
musica. Abbiamo cercato di creare una musica "rom europea"; stiamo lavorando per
pubblicare un nuovo cd, "ROMANO' DIVES" prodotto con la collaborazione de "L'orchestra Europea per la Pace" e dell'attore Silvio Orlando. Abbiamo avuto la
fortuna di suonare davanti al Papa emerito Benedetto XVI, in occasione della
festa della famiglia, in mondovisione con diretta anche su RAI 1, abbiamo avuto
l'onore di collaborare con tantissimi artisti provenienti da tutto il mondo;
avvenimenti che lasciano qualcosa di profondo dentro ma cerchiamo sempre di non
perdere di vista il nostro obiettivo: diffondere l'arte rom, la cultura e la
voce del nostro popolo. Europa unita e senza discriminazione, questo è quello
che vogliamo.
Molte sono le opere pubblicate dal suo gruppo, l'ultima uscirà a breve; dove
trovate l'ispirazione per andare avanti e continuare a produrre testi e canzoni?
L'ispirazione si può trovare in qualsiasi cosa. Noi, popolo da sempre
discriminato e sottovalutato vogliamo far conoscere la nostra cultura e la
nostra arte. Sicuramente sia la cultura, sia le emozioni profonde vissute
quotidianamente donano ispirazione per nuove opere.
Cosa vuol dire, oggi, essere rom in Italia?
Significa essere portatori di una cultura diversa, cultura che nasce intorno
all'anno 1000, una cultura che trova la sua patria in India, o meglio nelle
regioni a nord- ovest dell'India; rappresentiamo noi oggi un popolo che è stato
costretto a una migrazione forzata. La prima tappa è stata l'Europa e dopo,
attraverso le deportazioni, siamo arrivati in America, Australia e Africa. Oggi
con oltre sedici milioni di persone, i "rom", "sinti", "kalè", "manouches", "romaniche" (cinque gruppi, cinque etnie con origini simili, che noi chiamiamo
zingari), sono presenti con le loro comunità in tutti i continenti. In Italia
vivono circa 170.000 persone di etnia rom, di cui il 70% sono cittadini
italiani, residenti in Italia e vivono nelle case. Esempio pratico: italiano
campano, italiano rom. Sono due cose identiche.
In Italia spesso il pregiudizio prende il sopravvento sulla razionalità e sulla
conoscenza diretta di un determinato argomento. L'Italia è un Paese razzista?
Gli italiani non sono razzisti per cultura, lo sono diventati ultimamente per
indottrinamento. Una buona parte del popolo italiano si è fatta pilotare e
aggirare da movimenti xenofobi e razzisti. La politica ha sfruttato e sfrutta,
troppo spesso, questo tema per fomentare la folla, per creare consenso. Tutto
questo porta a discriminare, non solo i rom, ma tutte le etnie diverse. Oggi la
società ha bisogno di scaricare le colpe, trovare un capro espiatorio, e come
sempre i più deboli subiscono una maggiore repressione, una maggiore forma di
discriminazione.
Integrazione, un tema molto attuale e discusso; negli ultimi dieci anni c'è
stato un cambiamento culturale nei confronti di persone di etnia rom?
Stiamo peggiorando giorno dopo giorno. L'Italia ha ignorato e continua a
ignorare le direttive indicate dall'Unione Europea; il nostro Paese sta
continuando ad adottare misure orrende di segregazione razziale, i campi nomadi.
Nel corso degli ultimi anni sono nate moltissime associazioni, ma il loro unico
obiettivo è speculare il denaro pubblico in maniera privata. Il rom oggi serve
per far girare questi soldi in teoria pubblici. La cultura sta morendo ogni
giorno, si sfrutta una cultura, la nostra, per spicciole politiche e giochi di
potere.
Campi nomadi come "campi d'internamento". Moltissimi comuni italiani oggi stanno
adottando provvedimenti noti sotto il nome di "Piano Nomadi". L'informazione ce
ne parla come un problema, arrivano notizie unilaterali, vuole dare una risposta
di contro-informazione?
I rom devono essere un problema per coloro i quali devono speculare sulla loro
pelle. Sono stanziati milioni e milioni di euro per queste persone, ma alla fine
non arriva assolutamente nulla. Le associazioni che si occupano di rom fanno
sparire questo denaro con progetti fasulli, senza alcun risultato.
Piano Nomadi. Cerchiamo di fare chiarezza in modo definitivo, i rom NON SONO
NOMADI PER CULTURA, quindi già l'approccio dello Stato italiano è sbagliato.
Perché bisogna creare campi nomadi e precludere la libertà di moltissime
persone? Questi esseri umani (non zingari, non rom, non nomadi, ma persone),
provengono dalle case, soprattutto dall'ex - Jugoslavia o dalla Romania.
Sedentari a tutti gli effetti in uno Stato, nomadi in un altro. Non ha senso.
Non siamo nomadi, ma migranti forzati. I rom sono costretti a vivere in
condizioni disumane, schiavizzati nei "lager moderni", spesso anche illegali.
Giorno dopo giorno non ci avviciniamo verso nessun miglioramento, anzi stiamo
indietreggiando. Questa segregazione contribuisce a creare il malcontento anche
della cittadinanza ubicata nei dintorni di questi pseudo-ghetti odierni. Non
possiamo parlare d'integrazione se al popolo italiano, i media, mostrano
solamente la desolazione e il degrado dei posti dove sono costretti a vivere i
rom. La cultura rom non è fatta di baracche fatiscenti, accattonaggio, fame e
miseria; ha radici profonde che proviamo a far splendere attraverso
l'informazione e l'arte.
Ai vari governi che si sono susseguiti fino ad oggi non interessa risolvere la
questione rom, non interessa dare dignità a persone normali, l'unico scopo è
fare voti attraverso propagande razziali e xenofobe e sfruttare il denaro
pubblico spettante a queste popolazioni. Non c'è nessuna differenza, Destra,
Sinistra, Centro, tutti hanno adottato la politica della discriminazione, tutti
egualmente corresponsabili.
Cultura romanì. Invece di restare chiusi nel nostro mondo, cosa dovremmo
apprendere e imparare?
Prima di tutto, il rispetto per le persone oltre gli stereotipi negativi;
conoscere prima di giudicare; avvicinarsi all'arte, la cultura, la letteratura e
la lingua rom poiché rappresentano un patrimonio per l'intera umanità, ma troppe
persone non sanno nemmeno che esiste tutto ciò. Gli stereotipi vedono sempre il
rom ai margini della società, quindi anche la nostra arte è declassata . E' come
accostare all'Italia solamente il fattore "mafia", eludendo la conoscenza di
Leopardi, Dante, Verdi, Puccini, etc. sono due piani completamente diversi e
vanno giudicati in modo completamente diverso. Troppo spesso si arriva a
generalizzare fino a un punto che sfiora l'assurdo, la cronaca diventa cultura.
La cultura rom vivrà solo se anche gli altri, i non rom, la terranno in vita.
Bisogna valorizzare e diffondere il genere rom affinchè non scompaia.
Un ringraziamento speciale ad Alexian Santino Spinelli. Trattare argomenti così
poco conosciuti e così delicati credo serva per migliorare, ognuno nel proprio
piccolo. Appena conclusa l'intervista, ripensando all'ultima dichiarazione
rilasciata mi è balzata alla mente una poesia di Vladimir Majakovskij, "Non
rinchiuderti Partito nelle tue stanze, resta amico dei ragazzi di strada";
certo, va inserita e adattata nel giusto contesto. Non possiamo isolarci e
prendere per buono tutto ciò che dice la televisione, non possiamo aver paura
degli "zingari" solo perché non li conosciamo, non possiamo giudicarli senza
averci mai parlato.
L'Alexian Group da anni si batte a favore dell'Intercultura; l'ultima notte del
2013 il gruppo si è esibito in terra sarda per un concerto in lingua rom in
collaborazione con l'artista italo-brasiliana, Pamela D'Amico, anche lei
impegnata da anni nel suo progetto: portare la cultura brasiliana nel nostro
Paese in maniera tale da non farci limitare a pensare al Brasile come terra di
calciatori o ballerine. C'è anche altro, basta solo informarsi e avere "fame" di
conoscenza.
L'anima e il cervello non hanno etnìe, facciamo tesoro di ciò che disse Vittorio
Arrigoni (eroe contemporaneo, morto per la libertà del popolo palestinese): "non
credo nei confini, nelle barriere, nelle bandiere. Credo che apparteniamo tutti,
indipendentemente dalle latitudini e dalle longitudini, alla stessa famiglia,
che è la famiglia umana".
Integrazione, cittadinanza attiva e partecipazione; non lasciamo che restino
solamente belle parole da sventolare nei momenti opportuni, facciamole diventare
realtà attraverso l'impegno e la conoscenza. Impariamo a rispettare popolazioni
con etnìe diverse e cerchiamo di coglierne i lati positivi, cerchiamo di
migliorarci e parliamo di "pregiudizio" solo come una piaga degli anni scorsi.
Solo su questi binari possiamo aspettarci un futuro più giusto, luminoso.
Segnalazione di
9 mesi fa
Vol 3, article posted August 2013
- Rifugiati siriani ignorati: gli zingari by Kemal Vural Tarlan,
Documentary Photographer
Il 17 dicembre 2010, in Tunisia un giovane laureato, venditore ambulante, diede
inizio a quella che è conosciuta comunemente come "Primavera Araba". Questa
rivolta partita da una strada araba si diffuso poi in tutto il Medio Oriente.
Come risultato, diversi regimi dittatoriali nel Medio Oriente, al potere da
quasi mezzo secolo, persero uno a uno il potere. Quando i disordini arrivarono
nel 2011 in Siria, si ipotizzava che anche il regime Baas sarebbe caduto
rapidamente. Al contrario, il regime siriano è tuttora in piedi, dati alcuni
motivi come la religione, la diversità etnica della Siria, la posizione
geografica, i collegamenti politici tra i diversi gruppi sotto il regime Baas e
la stabilità internazionale.
Il conflitto è ora al terzo anno ed ha causato oltre 70.000 morti in Siria.
Milioni tra i vari gruppi etnici hanno dovuto lasciare le proprie case e città.
Oltre un milione di Siriani hanno lasciato il paese per fuggire nelle nazioni
limitrofe, e alcune sono stati obbligati ad immigrare in città relativamente più
sicure fuori dalla Siria. Oggi, stanno cercando di sopravvivere in campi e
appartamenti nei paesi vicini. Per oltre un anno, ho condotto un documentario
fotografico riguardo ai Siriani conosciuti come "ospiti" in città vicine ai
confini siriani, e come rifugiati o richiedenti asilo dalla legge
internazionale. Li ho fotografati mentre lavoravano nelle fattorie o mentre
sudavano dalla paura attraversando quotidianamente i campi minati, nelle loro
tende o in lacrime in un appartamento. Più recentemente, ho provato a
fotografare ogni momento della loro vita, come testimonianza di una storia. La
realtà del popolo siriano in questa stessa regione, assieme e divisi in diverse
etnie, fedi e culture.
In mezzo a questi popoli e comunità, c'è un antico gruppo che non solo vive qui
dal Medio Evo, ma anche diffuso in tutto il mondo. Ci sono centinaia di migliaia
di zingari, conosciuti come Dom, Dummi, Nawwar, Kurbet e Zott, capaci di parlare
diverse tra le lingue locali, oltre al curdo, il domari, il turco e l'arabo.
Questi gruppi zingari vivono nomadicamente in tutta la Siria e si sono
stabiliti, insediati ed integrati con le popolazioni locali. All'inizio del
secolo scorso, furono divisi da confini artificiali tra le nazioni. Anche
vivendo in paesi diversi, sono rimasti in comunicazione per via parentale, e tra
parenti ci sono stati anche matrimoni. Con lo scoppio della recente guerra
civile, sono stai esposti a discriminazione da parte delle altre popolazioni e
hanno cercato di scappare nelle città dove vivevano altri parenti. C'è una
semplice realtà per loro, anche se vivono in paesi diversi; condividono il
medesimo destino. Hanno una bassa qualità di vita, sono umiliati, disprezzati,
discriminati e ostracizzati sul lavoro da gruppi predominanti rispetto agli
zingari.
Gli zingari che hanno vissuto in Siria negli ultimi due anni, si sono trovati in
una guerra dove non avevano un lato in cui schierarsi. In un'area abbandonata,
una stazione dalle parti di Gaziantep, ho incrociato un gruppo che cercava di
vivere in tende di teloni e plastica. Il campo è abitato principalmente da donne
e bambini. Gli uomini si sono spostati più vicino alla città, nella speranza di
un lavoro. I bambini corrono all'interno delle tende, al cui interno ci sono
solo alcune coperte, con un pezzo di pane secco in mano. Vengono da Aleppo. "I
ribelli erano entrati in città. L'esercito ci disse che aeroplani da guerra
stavano per bombardare le nostre case e che dovevamo andarcene. Così abbiamo
abbandonato le nostre case e i nostri averi e siamo partiti. Le notizie arrivate
sinora dicono che adesso è tutto bombardato. Non abbiamo più una casa." dice la
ragazza, tatuata sul volto e sulle mani. Poi ho chiesto: "Con quale fazione
stavate?" Risponde: "Per noi non faceva alcuna differenza. Le nostre case sono
bombardate, eravamo tristi e miserabili, ed ora tutti siamo senza cibo."
Ho discusso con un uomo di nome Hasan sui Dom della Siria. Hasan ha 17 anni, è
sposato e ha 2 figli. Ha piazzato la tenda in una quartiere di Nizip dove vivono
i Dom. Lo hanno aiutato a piantare la tenda. Dentro vivono in 9 in tutto,
inclusi suo suocero, sorelle e fratelli. Hasan parla fluentemente domari, curdo
e arabo. Ammette di essere un Domari. Gli zingari venuti dalla Siria non possono
parlare turco. Si presentano come Turchi e quelli che parlano il turco sono
soprattutto Curdi e zingari del Turkmenistan. Indica un'altra tenda e dice: "Non
credergli, dicono di essere Curdi, ma sono parenti miei e vivevano per strada
dietro la mia casa ad Aleppo." Abbiamo continuato a parlare dei suoi parenti
dentro e fuori la Siria.
Da Hasan e da altre persone con cui ho parlato, ho ottenuto queste informazioni:
Latakia è dove gli zingari lottano per sopravvivere, ci sono attacchi aerei
regolari. Dicono che la gente emigra nelle città della Siria Occidentale, come
Sham, o in città controllate dalla comunità-società curda, come Afrin, Kobani o Qamishli.
Quanti di loro sono artigiani come dentisti, fabbri, circoncisori, intessitoti
di setacci, musici e lattonieri, non riescono ad esercitare i loro mestieri per
l'industrializzazione, la modernizzazione della produzione e le leggi. Hasan in
Siria lavorava nelle costruzioni, se c'era bisogno di lui per lavorare in
Turchia ci andava. "I lavoratori turchi prendono 80 lire (1 lira turca
= 0,33 euro, ndr.), però noi lavoravamo
per 40, anche se per noi non c'era molto lavoro. Di solito lavoriamo una volta
alla settimana. Presto, la mia famiglia si trasferirà a Mersin, dove i bambini e
gli adulti raccoglieranno le fragole. Sembra che questa guerra non debba finire
mai e, quando lo farà, andrò ad Aleppo."
Un affollato gruppo di richiedenti asilo, sotto un mandorlo appena fiorito ai
bordi del deserto, si irrita quando mi vedono dietro all'imam Keskin della zona
di Urfa. Non dicono che poche parole, anche se sono sicuri che non sono un
dipendente pubblico. Le anziane lanciano maledizioni contro quanti ritengono
abbiano causato "la loro situazione attuale" [...]. Mentre sto per andarmene,
una di loro mi urla contro di "non fare sapere dove sono loro, scattando foto."
Due giorni prima le tende degli zingari sono state date alle fiamme nel vicino
distretto di Yenice, dalla polizia che agiva in seguito alle lamentele dei
residenti. Nelle cronache non ci sono stati riferimenti agli zingari, solo un
accenno sulla stampa nazionale a "bruciate le tende dei Siriani". I richiedenti
è da due giorni che stanno cercando di scappare dalla polizia. Le autorità
locali hanno impedito loro di fermarsi con le tende nel distretto, sia per i
pregiudizi, che per le lamentele e l'inquinamento visivo.
Ultimamente, gli zingari in cerca di asilo che dalla Siria fuggono nel nostro
paese, cercano rifugio in appartamenti non rifiniti, capannoni e nei quartieri
poveri. I loro parenti, che vivono qui, hanno piantato delle tende vicino alle
mura delle loro case, anche se non hanno pane da condividere. Assieme vanno per
le strade a raccogliere cartoni, beni fatiscenti e un pezzo di pane. Ma molti di
loro sono ancora accampati in tende di emergenza, vicino a città, paesi e
villaggi lungo il confine tra Mardin e Antakya.
Sono stati accusati di furti e immoralità, discriminati dagli Arabi, Curdi e
Turchi che risiedono nei campi, anche se riescono a mimetizzarsi in quegli
stessi campi per la loro capacità di parlare quelle lingue, dopo essersi
inseriti regolarmente. D'altra parte sono discriminati ed esposti ai medesimi
pregiudizi da chi gestisce i campi, fin quando questi ultimi non riescono a
demotivarli a sostare lì.
La maggior parte di loro è fuori dai campi ed è tornata nuovamente ad uno stile
di vita nomade, per non essere umiliati dai "gagé" e non essere rinchiusi dietro
il filo spinato. Partiranno per lavorare come joppers (braccianti o manovali
senza qualificazione, ndr.)
nelle regioni mediterranee ed interne anatoliche, come forza lavoro a buon
mercato, quando le temperature si alzeranno. Si dice che lavorino in queste aree
per 5 lire turche a testa per giorno.
Concludendo, gli zingari sono state le vittime della "guerra civile" iniziata
tra diversi gruppi etnici che avevano convissuto. Gli zingari nei Balcani hanno
patito particolarmente la disintegrazione dei paesi del blocco comunista. In
Iraq, migliaia di zingari sono stati obbligati all'immigrazione dalle bande
armate degli sciiti radicali, per "la loro insufficiente fede nell'islam".
Allora, molti si rifugiarono in Siria. Durante le rivolte in Medio Oriente,
entrate ora nel terzo anno, gli zingari si sono ritrovati nel mezzo dei
conflitti, ripetendosi la storia. Le notizie provenienti dalla stampa
riferiscono che le loro condizioni di vita stanno diventando sempre più
problematiche.
Le nuove autorità di questi paesi hanno intrapreso una nuova strategia di fronte
a queste rivolte: solo promesse evasive a minoranze etniche e religiose, zingari
compresi. Finché queste tematiche verranno trascurate dai politici, e verranno
trascurate l'uguaglianza religiosa ed etnica, oltre alla pace, la struttura
multiculturale del Medio Oriente continuerà a deteriorarsi.
Può esistere un'immagine più "irrispettosa" di questa,
riguardo il GIORNO DELLA MEMORIA? Cosa ci fa qua e perché, lo scoprirete leggendo
questo post...
di Jovica Jovic - Cari amici, c'è una cosa che da tempo mi fa stare
molto male, soprattutto di questo periodo. E non è la salute, non sono i
soldi... è quella parola: PORRAJMOS.
Ogni anno, l'ultima settimana di gennaio ci incontriamo, voi a sentirmi e io
a suonare, per la Giornata della Memoria, e quella parola ritorna puntuale.
Voi, magari, la dite perché l'avete sentita da qualcuno istruito e, come noi
Rom, la ripetete perché quello che è accaduto allora fu di una tale violenza,
che dopo tutti cercarono un termine per descriverlo. Gli Ebrei trovarono la
parola Shoa, tra i Rom cominciò a diffondersi "porrajmos".
Quello che molti di voi non immaginano, è che la parola nella mia lingua
significa STUPRO (si può usare solo per gli organi sessuali), quindi è estremamente violenta, ma del tutto inadatta ed
offensiva ad essere pronunciata per descrivere gli stermini della seconda guerra
mondiale. Può andare bene per qualcuno di voi, ma io non potrò mai dirla di
fronte alle mie figlie, di fronte a una qualsiasi famiglia rom.
Ecco, parlerò a qualcuno di voi, sperando che mi capiate. Tenterò di essere
calmo e comprensibile, e per questo devo spiegarvi alcuni termini della mia
lingua (i termini in lingua romanés sono stati adattati alla grafia
italiana, ndr.) :
- PORADJOS: donna, apri le gambe.
- PORAVESLES tu
- PORAVASLES noi
- PORAJMOS in tanti, assieme, come fare un'ammucchiata.
Per essere completi, esiste nella nostra lingua anche (due parole staccate) PO RAJMOS,
che si può tradurre con "la signorilità", ma è ovvio che questo non ha alcuna
relazione con l'uso che si dovrebbe fare della parola.
Quello che ho detto vale per la maggioranza dei Rom e dei Sinti - non pensate che il mio sia un capriccio: ho 60 anni, e sono figlio di una
famiglia che ha partecipato alla II guerra mondiale, lì sono morti mio nonno,
mio zio e poco dopo mio fratello che aveva contratto il tifo. La storia è
raccontata nel libro
Niente è più intatto di un cuore spezzato. Per me ricordare oggi quegli
anni, usando quella parola, è come mancare di rispetto a loro e ucciderli
nuovamente.
Tra i Rom, c'è chi non parla più il romanés, e altri che lo parlano per
sentito dire, magari adattandolo alla lingua del paese dove vivono. Anche loro
parlano allora di "porajmos" senza sapere di cosa si tratti. A loro non posso
rimproverare molto. Ma quando ho parlato di questi miei sentimenti a Rom
influenti e di cultura, mi è stato risposto pressappoco così: "Jovica, tu
hai ragione. Ma ormai è tardi, è una parola che sta circolando da tempo e quello
che tu chiedi non ha un valore pratico, anzi sarebbe anche impopolare".
Avrà poco valore e sarà impopolare forse per loro, per me è una questione di
rispetto per me e per l'affetto alla mia famiglia.
Con voi gagé le cose non sono andate molto diversamente. Ho scritto a molte
persone di cultura, a molti che vivono nel mondo dell'informazione e della
divulgazione. Le stesse persone che mi chiamano a suonare. Non ho avuto
risposta. Durante i concerti, chiedo che se ne parli, ma non c'è mai il tempo
pratico per farlo. Solo Moni Ovadia, durante la presentazione milanese
del libro "La meravigliosa vita di Jovica Jovic", che ha scritto con Marco
Rovelli, ha rotto infine il muro del silenzio.
Allora che termine usare, mi chiederete? Ultimamente, ho sentito adoperare
SAMUDARIPEN, viene dalla parlata dei Rom Khorakhané, significa "totale
omicidio". Anche i Rom Abruzzesi hanno un termine simile: MUNDARIPE'. Il termine
esatto da adoperare sarebbe BARO MUNDARIMOS LE MANUCHENGO, cioè:
- BARO = grande
- MUNDARIMOS = omicidio totale
- LE MANUCHENGO = dell'umanità.
Si sarebbe potuto dire LE RROMENGO, ma in questo caso si sarebbe reso omaggio
solo alle vittime rom, con MANUCHENGO invece io ricordo anche gli Ebrei, gli
omosessuali, i Testimoni di Geova...
Questo è tutto. Non mi importa di quanti sono stati zitti sinora, io andrò
avanti finché campo a difendere le mie idee e i miei ricordi. Se volete, se
avete capito, datemi una mano a far circolare questi pensieri, anche sulla
stampa, anche su Facebook, dovunque. E forse, riusciremo assieme a fare un po'
di luce, su tutti i defunti uccisi dal razzismo e dal fascismo
Grazie.
Nota del redattore: Sembra destino che sul Giorno della
Memoria io debba incrociare la strada di Jovica: è successo nel
2011 e poi nel
2012 fu lui a stimolare le mie riflessioni. Come mai?
- Jovica, valente musicista, è un amico che rispetto.
Conoscendolo, trovo che quell'etichetta "musicista" sia
limitativa per una persona intelligente e di grande senso morale
come lui.
- Non ha importanza (anzi, ne ha molta, ma non intendo
scrivere di questo) se quanto Jovica ha affermato sopra possa
essere condivisibile o di vostro gradimento. La cosa importante,
per me, è che possa esprimersi sulla storia della sua famiglia,
sui suoi valori, e questo non possiamo portarglielo via, come se
fosse un campo o un documento.
Non so neanche dove arriveranno le sue parole, la strada è lunga e
affollata da gente che ruba idee e frammenti di vita ai Rom, e tenta poi di
spacciarli come se fossero una loro invenzione. In mezzo a tante grida, Jovica ha
salvato la sua fisarmonica. E' ora che si salvino anche le sue idee.
Anche questo video, per terminare, potrà sembrare irrispettoso, ma almeno è
allegro. Perché, ricordando questa giornata, le giovani generazioni e la loro
gioia sono il nostro solo comune futuro.
di Zuzanna Krasnopolska in
Società Italiana delle Lettere|
Bronisława Wajs - detta Papusza, poetessa dimenticata, incompresa e sconosciuta,
è stata riscoperta nel 2013 grazie alla pubblicazione della sua storia scritta
dalla giornalista Angelika Kuzhniak e intitolata Papusza. In più il film scritto
e diretto da Joanna Kos-Krauze e di Krzysztof Krauze "Papusza" (i coniugi-autori
del premiato "Nikifor" del 2004) ha fatto riscoprire l'eccezionalità di
quest'artista così insolita.
Bronisława Wajs nasce... non si sa quando. Gli zingari non prendono nota delle
date sul calendario, regolano il passare del tempo in base al ritmo della
natura. Bronisława nacque nel giorno in cui gli agricoltori terminarono la
mietitura del grano, metà agosto del 1910 (o 1908 o 1909, secondo le diverse
testimonianze). Il padre rimane una figura sconosciuta, la madre è una zingara
galiziana. La ragazza cresce in mezzo alla natura, osserva attentamente gli
alberi, i fiori, gli uccelli. Di sera siede al ruscello e canta. Sa anche
ballare bene. Conosce il potere magico delle erbe. E' bellissima, la chiamano "Papusza",
cioè "Bambola".
Zingarella povera, giovane,
bella come un mirtillo,
denti bianchi come perle,
occhi brillanti come l'oro vero.
Gli orecchini fatti di foglie, eccoli
Come oro genuino son belli (frammento di "Orecchino di foglia", p. 57)
Impara a leggere e a scrivere da sola, comprando (e pagando con galline rubate)
qualche minuto di lezione dai ragazzi che frequentano le scuole e da una
commessa ebrea. Conosce Jerzy Ficowski (1924-2006) - poeta, critico, scrittore,
traduttore, studioso di Bruno Schulz e della cultura zingara ed ebrea - che dopo
aver letto le sue poesie, s'impegna a promuoverla, a tradurla in polacco
(mantenendo l'asprezza dello stile), a farla pubblicare (e dunque guadagnare) e
a iscriverla all'Associazione dei Letterati Polacchi con tutti i privilegi che
ne derivano, inclusa la pensione. Grazie a Ficowski incontra Julian Tuwim
(1894-1953) - uno dei fondatori del movimento poetico "Skamander", forse uno dei
più grandi poeti polacchi - che trova le poesie della Wajs piene d'innocenza e
di onestà, virtù che lui stesso cerca di trasmettere. Le creazioni di Papusza
sono apprezzate anche da altri, tra cui Wisława Szymborska.
Fino a questo punto la vita di Papusza sembra una favola. La realtà però non è
il mondo delle fiabe e così ben presto arriva un'ombra che offusca e distrugge
questo mondo idilliaco.
Prima la seconda guerra mondiale, con la persecuzione e la strage degli zingari
(il numero totale degli zingari ammazzati in Europa Orientale rimane
sconosciuto). L'esistenza ridotta al minimo: la fame attenuata con qualche
corteccia, le notti passate fra le canne con le gambe in acqua gelata, il tifo,
la morte delle persone care. Dopo il massacro arriva il nuovo regime, nuove
regole, nuove persecuzioni. E' sterile, adotta un bambino (che chiama Tarzan,
affascinata dall'immagine di un ragazzo selvaggio seduto su un ramo accanto a
una fanciulla), figlio di uno zingaro e una gagi. Dopo la pubblicazione di
qualche articolo sulla cultura zingara di Ficowski e qualche poesia di Papusza,
gli zingari smettono di fidarsi di lei, cominciano a trattarla come una spia,
traditrice dei loro segreti. La Wajs è costretta a fuggire con il figlio e il
marito arpista (in effetti suo zio, fratello del patrigno, molto più grande di
lei), ma le persecuzioni continueranno per tutta la vita e la porteranno
all'esaurimento nervoso. Bronisława Wajs muore... questa volta la data è certa -
l'8 febbraio 1987. Le infermiere diranno che poco prima di morire, Papusza si
toccava le orecchie in cerca dei suoi orecchini preferiti, fatti con le galle di
quercia:
Dov'è il mio orecchino preferito?
Si sarà nascosto nel bosco selvatico?
Quanto mancano agli occhi neri
Questi miei orecchini cari! (frammento di "Orecchino di foglia", p. 56).
Papusza è considerata la più grande poetessa zingara polacca. Zingara, sì, e
fiera di esserlo, addirittura rideva quando si sentiva chiamare con quella
parola politicamente corretta e artificiale "rom". Zingara polacca, anche se
spesso si sentiva dire di tornare "nel suo paese". Le poesie trasmettono un
senso di pace, anche quando descrivono le persecuzioni più atroci. Saranno i
suoi occhi da bambina, meravigliata di fronte allo spettacolo del creato, a
diffondere questa unica sensazione di quiete. Proprio come una bambina chiede
alle stelle di rendere ciechi i nemici:
Ah, tu, la mia buona stellina! [...]
Acceca gli occhi ai tedeschi!
Torci le loro vie!
Non mostrargli la strada giusta!
Conducili per il sentiero infido,
perché sopravviva il bambino ebreo e zingaro. (frammento di "Lacrime di sangue -
cosa abbiamo vissuto al tempo dei nazisti in Volinia nel '43 e '44", p. 68).
E come una bambina non tratta seriamente i propri versi, anzi, si stupisce ogni
volta che qualcuno la considera una persona importante: "Son venuti a parlare
con me? Ci sono poeti, ci sono poesie belle, favole meravigliose, ma io son
niente. Non possiedo nessuna istruzione, nessuna scuola. Cosa può dire una
vecchia Zingara che assomiglia ad un porcino dimenticato nel bosco di autunno?
Sono una ragazza povera, vivo sotto il cespuglio. Nervosa, ho un'anima
piccolissima. Sono una persona ordinaria, forse peggiore degli altri" (p. 20).
Ovvero: "[Dicono che scrivo] poesie, ma non sono poesie. Canzoni. Le poesie son
roba diversa. Ci vogliono le rime, la canzone è semplice. La canzone è
inferiore. E la poesia è in alto, ci vuole gente istruita. Ci vuole l'università
ed io non ho finito neanche una classe. Non posso scrivere poesie". (p. 70).
Come una bambina commette molti errori di ortografia, di sintassi, di
interpunzione. Nelle lettere indirizzate a Ficowski o a Tuwim si scusa della
calligrafia che considera racchia. Ma è proprio grazie a questo suo modo di
scrivere unico che il lettore riesce a vedere meglio il mondo descritto, riesce
anch'egli a diventare bambino.
Quello che scrive rimane sempre legato alla sua identità, al suo essere zingara,
che la porta a delle considerazioni sorprendenti: "Oggi se una Zingara è brava,
sa leggere meglio il futuro, se è scema non sa più farlo. Dice qualsiasi cosa
per guadagnare e andare avanti. Io per esempio leggo il futuro in modo psichico:
riconosco se una persona non è di umore giusto e quando è amata e innamorata,
riconosco dalla sua fronte che tipo di persona può essere; se è buona o cattiva,
se saggia o stupida, se caratterizzata da una forte volontà oppure debole.
Quando leggo le carte assumo un'espressione seria e leggo il futuro con la
serietà. Lo stesso fa un poeta, penso. Ci deve essere qualche spirito, qualche
respiro e subito si sa tutto". (p. 65). La capacità di osservazione e lo spirito
di curiosità la portano alla riflessione sull'origine, sul significato e sul
senso della parola: "La mia canzone è silenziosa come una lacrima. Io canto a me
stessa, non a qualcuno. Da quando ero bambina qualcosa in me non andava bene.
Avevo paura perché non sapevo da dove provenivano le parole, chi me le ha
insegnate. Diciamo "foglia", "uccello", "prato", ma è vero quello che diciamo?
Forse Dio ha fatto sì che noi ci siamo accordati a parlare così?". (p. 82).
Dopo molti anni,
ma forse molto prima, tra poco,
le tue mani troveranno la mia canzone.
Da dove è venuta?
Nel giorno o nel sonno?
E mi ricorderai, mi penserai -
era una favola
o vero era?
E ti scorderai
delle mie canzoni
e di tutto. ("Canzone", p. 83).
Il 2013 è stato l'anno di Papusza in Polonia. Il libro di Angelika Kuzhniak è una
forma di reportage dove i frammenti degli scritti della Wajs, le trascrizioni
delle vecchie interviste e il racconto della Kuzhniak si intrecciano senza un
particolare ordine cronologico, ma con la tenerezza di qualcuno che vuole bene
al soggetto che sta cercando di ritrarre. Il film di Joanna Kos-Krauze e
Krzysztof Krauze, assolutamente fenomenale e girato in bianco e nero, si
concentra sull'eccezionalità della figura di Papusza, una donna straordinaria
che ha avuto il coraggio di essere se stessa. La pellicola è stata già
apprezzata durante il Festival internazionale del cinema di Karlovy Vary.
***
- Tutte le citazioni provengono da Papusza di Angelika Kuzhniak (ed. Czarne,
Wołowiec 2013).
- Le poesie provengono dalla raccolta Lesie, ojcze moj [Bosco, padre mio] di Papusza (ed. Nisza, Warszawa 2013).
- Trailer del film
Papusza (diretto da Joanna Kos-Krauze, Krzysztof Krauze, 2013):
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LM n.82, Papusza, poesia |
Mercoledì 29 gennaio, ore 20.45
Libreria Popolare, via Tadino 18 - Milano
Incontro con l'autrice Hajrija (Maria) Seferovic in compagnia
di Frances Oliver Catania e Fabrizio Casavola
Un piccolo libro che rappresenta una scommessa: avevamo incontrato qualche
anno fa questa anziana signora in un suo momento di grave difficoltà.
Assieme, si è provato ad affrontare i problemi (ancora irrisolti) e ci si è
conosciuti meglio.
Sempre assieme, si è messo per iscritto tutto quello che Maria Seferovic
ricordava di una vita, suo malgrado, avventurosa, i consigli e le conoscenze che
avrebbe potuto dare a qualche concittadino più giovane. Partendo da quello che
può interessare tutti noi: COME STAR BENE E COSA CUCINARE, aggiungendo qualche
altro rimedio e ricetta, e farcendo il tutto con qualche racconto nato proprio
nel suo nord est milanese.
Vi proponiamo, durante questo incontro, di provare a rifare lo stesso percorso
di conoscenza e di amicizia, parlando di viaggi e della cultura che nasce dal
continuo spostarsi, di rimedi naturali, di cucina (esotica?), concedendole un
sipario che le è stato a lungo negato.
Ed infine, la storia, grande e piccola: i due conflitti che hanno segnato la sua
vita. Perché, ci ritroviamo a due giorni dalle celebrazioni del Giorno della
Memoria, e visto che il rischio è di dimenticarsene subito, un buon modo per
tenere viva la memoria è cominciare a conoscersi, attraverso quella cultura che
è il vivere quotidiano.
Maria Seferovic forse l'avete intravista per la prima volta ripresa nel film
"Io, la mia famiglia rom e Woody Allen", arrancare con un carrello della spesa
nelle campagne lombarde. Nasce a Travnik (attuale Bosnia) nel 1938, prima di
cinque figli. La famiglia si spostava spesso per guadagnarsi da vivere con la
vendita di cavalli, e facendo pentole e piatti di rame che vendevano ai mercati.
Dalla fine degli anni '60 con la sua kumpanja alterna soggiorni in Italia e
nell'ex Jugoslavia, che abbandona definitivamente allo scoppio del conflitto
negli anni '90.
Attualmente risiede nel nord est milanese. Anche se scrive lentamente e a
fatica, è un'autentica enciclopedia vivente.
Di Fabrizio (del 23/01/2014 @ 09:10:01, in Italia, visitato 1558 volte)
Posted
on 15 gennaio 2014
La voce degli attivisti rom e sinti
Come accaduto per i miei genitori, che hanno vissuto
sotto i ponti per due anni. Ed è lì che mio padre è stato colpito da un ictus.
Di Gladiola Lacramioara Lacatus.
Molti dei rom che abitano in Italia, in particolare nella regione in cui vivo
io, la Calabria, sono arrivati da altri Paesi per vari motivi, come la ricerca
di un lavoro per poter mantenere i propri figli.
Cercano di dare loro un futuro migliore.
Arrivati qui, però, si ritrovano spesso a vivere in pessime condizioni, perché
la maggior parte di loro non ha il documento d'identità, il codice fiscale, e
per avere questi documenti devono essere in possesso di alcuni requisiti, come
un alloggio e una retribuzione.
Il punto è che per entrare in possesso di questi requisiti hanno bisogno di
un
lavoro regolare e non in nero. E per dei rom che si ritrovano spesso costretti a
vivere nei campi, isolati dal resto del mondo, questo non è affatto scontato.
Senza questi criteri e documenti non possono usufruire del servizio medico
sanitario.
Ed è questa la situazione che vivono anche i miei genitori, arrivati in Italia
dalla Romania, i quali sono oggi ospiti presso una casa d'accoglienza per
persone in difficoltà. I miei genitori hanno vissuto sotto un ponte per circa
due anni ed è lì che mio padre ebbe un ictus, che lo ha limitato nella
deambulazione e uso della parola.
Nonostante adesso siano in una struttura e non più per strada, non hanno i
documenti e l'assistenza medico sanitaria, e questo perché mia madre non ha
trovato un lavoro.
Sono 5 anni che non sento la voce di mio padre, che non posso avere una
conversazione con lui, spesso mi ritrovo a piangere e a volte a darmi la colpa
di tutto ciò.
Abbiamo problemi con i farmaci che sono molto costosi e non possiamo
permetterceli: mamma chiede spesso aiuto a persone che hanno l'assistenza
medica, ma questo non potrà farlo ancora per molto.
Grazie all'aiuto delle suore presso le quali sono ospite, abbiamo portato mio
padre in comune per iscriverlo all'anagrafe, però ci hanno detto che se non ha
un lavoro fisso non può essere iscritto all'anagrafe.
Io e mia sorella siamo ospiti presso una casa famiglia da 6 anni, da quando
abbiamo avuto un incidente nel campo dove alloggiavamo (vivevamo dentro una
baracca costruita dai nostri genitori).
E' difficile vivere in queste condizioni soprattutto per le persone malate, che
hanno difficoltà nel trovare lavoro.
Spesso si crede che i rom non vogliano vivere nelle case e non vogliano lavorare
come tutti gli altri cittadini. Ma non è vero. Sono le difficoltà che incontrano
qui in Italia, la vita nei campi, la discriminazione e i
pregiudizi diffusi nei
loro confronti, che li spingono ai margini della società.
Spero che un giorno l'Italia diventi un Paese dove anche i rom potranno vivere
normalmente. Insieme agli italiani. Senza più discriminazioni e pregiudizi.
*nella foto Gladiola
Di Fabrizio (del 24/01/2014 @ 09:03:17, in Italia, visitato 1912 volte)
Volantino distribuito stamattina all'apertura del
Terzo Forum delle politiche sociali, presso il Teatro Elfo Puccini in
Corso Buenos Aires, 33 MILANO
E' passato un anno dall'ultimo Forum delle Politiche Sociali. In questo lasso
di tempo abbiamo cercato più volte di richiamare l'attenzione
dell'Amministrazione comunale sulla grave situazione del campo rom di via Idro,
comunale e regolare, abbandonato a sé stesso da ormai troppo tempo.
Abbiamo chiesto che tornasse a occuparsi del campo, tempestivamente e con
adeguate risorse economiche e umane, riqualificando gli spazi comuni,
ripristinando la legalità e le basilari condizioni di sicurezza e vivibilità,
individuando un "gestore" capace e affidabile, coinvolgendo
i cittadini della
zona 2 e il Consiglio di Zona.
Abbiamo avuto vari incontri con l'assessore Granelli, siamo stati ascoltati e
rassicurati, ma alle parole sono seguiti pochi fatti. Proprio pochi e di poco
rilievo.
Intanto la situazione si è ulteriormente deteriorata. Alcune famiglie sono state
costrette a scappare dal campo perdendo tutto quello che avevano. In una
sciagurata lite ci è scappato il morto. Altre famiglie ricevono quotidiane
minacce e si sono rassegnate a lasciare a loro volta il campo, ma per loro non
si riesce ancora a trovare una soluzione adeguata.
Per effetto di questa situazione è diminuita la frequenza scolastica e si sono
del tutto interrotte le attività volontarie - educative, ricreative e sociali ‑
condotte nel campo e in particolar modo nel Centro polifunzionale, che è stato
devastato nell'indifferenza generale e risulta ormai inutilizzabile.
Poteva andare diversamente? Pensiamo di sì, e comunque non crediamo che possa
essere tutto attribuito alla cattiva sorte. Per il campo di via Idro si sarebbe
almeno potuto tentare di fare qualcosa, ma non si è fatto niente. Se ciò è
dovuto a una scelta non lo sappiamo, ma se fosse così, è evidente che non si è
trattato di una scelta giudiziosa.
Allo stato delle cose, la riqualificazione del campo è diventata, se non
impossibile, certamente molto difficile e il problema della comunità rom di via
Idro, formata da un centinaio di cittadini italiani, resta irrisolto.
Ed è questo problema che vorremmo sottoporre all'attenzione del Forum,
accogliendo l'invito dell'assessore Majorino ‑ che finora si è tenuto fuori
dalla questione di via Idro, come se non lo riguardasse. Non ci aspettiamo che
sia risolto in questi giorni, ma non vorremmo che tra un Forum e l'altro le cose
restino così come sono, o trovino il modo di peggiorare.
La Rete delle associazioni e degli amici della Comunità rom di via Idro
ciclostilato in proprio - 24 gennaio 2014
Di Fabrizio (del 25/01/2014 @ 09:05:45, in scuola, visitato 2007 volte)
da
Scheda
Autori:
Daniela Sala
Credits:
Musiche: Grre en famille - "Roots culture"; Grre en famille - "Chacun pour soi"
Data: 18 dicembre, 2013 - 15:56
Sfantu Gheorghe è una piccola cittadina nel nord della
Romania che conta 60mila
abitanti e si trova nella regione storica della Transilvania. In questa zona la
minoranza seclera
(di lingua ungherese), costituisce circa il 75% della
popolazione, mentre nella sola Sfantu Gheorghe la popolazione di etnia rom è
stimata tra le 5 e le 6mila persone. Duemila di loro vivono ad
Orko, un
quartiere ghetto ai margini della città. Ufficialmente, almeno stando ai dati
dell'ultimo censimento, in tutta Sfantu Gheorghe le persone di etnia Rom non
sarebbero più di 200.
Nella sola scuola di Orko, la scuola San Filippo Neri che va dall'asilo alle
medie, i bambini iscritti sono più di 500. Tutti Rom. "Non è una scuola per Rom
- ci tiene a precisare Robert Kiss, direttore della scuola - chiunque può
iscrivere i propri figli qui". Semplicemente, spiega, è la scuola di questo
quartiere e trovandosi a ridosso del quartiere rom è normale che i genitori
iscrivano i propri figli qui. Peccato però che a ridosso della scuola abitino
anche famiglie di etnia ungherese: tutti i loro figli sono iscritti ad altre
scuole in città.
La scuola di Orko esiste grazie ad un prete, Markos Andras. Mandato qui
all'inizio degli anni '90, visto che la maggior parte dei rom qui sono di
religione cattolica, Andras fece costruire un luogo di ritrovo per gli abitanti
del luogo. In breve si rese conto che la maggior parte dei bambini e ragazzi di
Orko non sapeva né leggere né scrivere e i pochi che frequentavano le scuole in
città erano fortemente discriminati e abbandonavano gli studi dopo pochi anni.
Così nel 1999 la struttura è stata convertita in una scuola e da allora funziona
ininterrottamente. Lo spazio è poco e i bambini molti, così le lezioni si
svolgono in due turni, mattina e pomeriggio.
L'analfabetismo, rispetto a 15 anni fa è certamente in calo, ma i numeri
testimoniano un tasso di abbandono scolastico tuttora altissimo. Se infatti gli
alunni iscritti alla prima elementare sono 59, quelli di quinta sono meno della
metà, solo 23. E alle medie va ancora peggio: 25 in prima media, 18 in seconda e
solo 10 in terza.
Il caso di Orko è tutt'altro che è un caso isolato: nel 2006 30 città rumene
hanno ricevuto dei fondi dall'Unione europea per l'integrazione scolastica dei
minori rom e per 4 anni, fino al 2010 la regista e attivista per i diritti umani
rumena Mona Nicoara ha seguito e documentato le vite di 3 studenti Rom di Targu
Lapus per vedere come l'integrazione stava funzionando. Il risultato è il
documentario "Our school" (vedi
QUI, ndr.): i giovani protagonisti non solo alla fine non sono
integrati nelle scuole della città ma sono addirittura spostati in una "scuola
speciale" per disabili mentali. Nel 2007 la Corte europea per i diritti
dell'uomo ha condannato la segregazione scolastica dei rom come una violazione
della dignità umana. Sentenza ad oggi senza conseguenze.
Di Fabrizio (del 26/01/2014 @ 09:02:40, in Europa, visitato 1544 volte)
I Rom residenti a Govanhill intendono essere parte della soluzione
by Catriona Stewart,
Columnist/reporter. Wednesday 08/01/2014
EveningTimes
[...]
Tutti parlano dei problemi più pubblicizzati nella comunità del South Side -
provvisorietà, sovraffollamento, crimine.
E' il tipo di discorsi che si ascoltano in continuazione dai residenti
stanchi dei problemi di
Govanhill... e della sua reputazione.
L'unica differenza è che questo gruppo è rom, la comunità regolarmente
accusata di scatenare i problemi.
"I problemi c'erano già prima del nostro arrivo," dice Marcela Adamova,
operatrice di sviluppo per i Rom presso Oxfam Scozia.
"Veniamo però colpevolizzati per cose non causate da noi. E' soltanto un
piccolo gruppo di persone che sta dando a tutti una cattiva reputazione."
Uno dei problemi principali, ritiene Marcela, è la mancanza di comunicazione
tra i residenti "storici" di Govanhill ed i Rom.
Come risposta, assieme ad Eva - Kourova, lavoratrice di comunità, ha
creato un nuovo centro comunitario in Albert Road per Rom e no.
Dice Eva: "Vogliamo che i Rom abbiano a disposizione gli stessi servizi di
chiunque altro a Govanhill; un posto dove incontrarsi e parlare. Ma speriamo che
anche gli altri abitanti del luogo prendano parte attiva a questo dialogo, tra i
due gruppi. "
"Qui una gran parte del problema sono la mancanza di comunicazione e
comprensione culturale."
I gruppi rom dalla Slovacchia e dalla Romania iniziarono ad arrivare a
Glasgow, e la maggioranza di loro si insediò a Govanhill.
Il rapporto più recente, Mapping the Roma Community in Scotland, stima ci
siano tra i 3.000 e i 4.000 Rom che vivono nella città.
Per una comunità piccola, l'influsso è stato enorme e la gente del posto ha
trovato difficoltà nell'accogliere questi nuovi vicini.
I Rom sono stati rimproverati di scaricare rifiuti abusivamente,
comportamenti antisociali e problemi alloggiativi come il sovraffollamento.
Dice Marcela, proveniente dalla Slovacchia: "Siamo arrivati a Glasgow per le
stesse ragioni degli altri gruppi - un'opportunità di vita migliore. Ma voci e
preconcetti possono rendere tutto difficile. Siamo una cultura di strada che gli
altri trovano scomoda. A noi piace, parlare e socializzare all'aperto, è così
che condividiamo le notizie e scopriamo cosa succede. Ma la gente pensa che
stiamo complottando. Inoltre, per noi non è insolito avere i nostri nonni che
vivono con noi o sostenere altri parenti, ma la gente si lamenta del
sovraffollamento. E poi, appartamenti in cui vivano sino a 20 persone, come dice
la stampa - in realtà è una cosa veramente rara. Non sono mai stata in un
appartamento con così tante persone."
Madalin Caladras, un giovane di 20 anni, negli ultimi cinque ha vissuto a Govanhill.
Eva e Marcela ritengono che potrebbe lavorare con loro - il suo inglese è
eccellente - ma Madalin ha altri progetti.
Madalin ritiene che la zona non sia più come quando arrivò ed ora spera di
trasferirsi in Francia - parla sia inglese che francese.
Dice: "Qui mi sento stabilito; arrivai perché mio zio era qui e parlava bene
della zona. Ma non è più come quando arrivai. Qua la gente combatterà per
strada, è abbastanza intimidante. La mia famiglia è a Parigi e così spero presto
di trasferirmi là."
Lenka Milkova ha vissuto quattro anni a Govanhill e ne ha fatto della zona la
sua dimora.
Aggiunge: "Qui mi sento bene. Sono felici di stare qui. E' molto meglio che
tornare indietro e sento per il bene dei miei figli che vivere qui è il mio
futuro e questo la chiamo casa. Le opportunità per noi potrebbero essere
migliori e mi preoccupo che i miei figli siano esposti alle discriminizioni di
altri gruppi giovanili, ma vogliamo lavorare e riuscire."
Marcela dice che ora l'obiettivo è lavorare per migliorare la vita della
prossima generazione di Rom.
Le scuole dell'area si sono attivate per aiutare gli alunni in classe e a
rimanere a scuola.
Marcela, 33 anni, due anni fa ha anche fondato il gruppo Romano Lav -
Voce Romanì in romanes - per dare sostegno ai Rom della zona.
Dice Eva: "Sono stati spesi un sacco di soldi e di sforzi in indagini,
relazioni scritte e impiegati, piuttosto che nel personale e nei servizi di
prima linea. Ma il problema principale è la comunicazione, e speriamo davvero
che gli abitanti di qui vengano a trovarci in Albert Road. Parlare tra noi - è
l'unico modo di risolvere i problemi."
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