Rom e Sinti da tutto il mondo

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Di Fabrizio (del 18/06/2010 @ 09:48:08, in Europa, visitato 2084 volte)

Da Roma_Francais

Bastamag.net Salva la vita ad un Rom: 20 anni di prigione - Par Eric Simon (4 giugno 2010)

In Bulgaria, la giustizia ha condannato un giovane "d'origine straniera" per l'omicidio di uno studente modello sotto tutti gli aspetti. [...] 20 anni di prigione per il giovane in questione: l'australiano Jock Palfreeman. Ma dietro la versione ufficiale, si profila un'altra verità, meno favorevole alla giustizia bulgara. Dove si apprende che è meglio non aiutare dei Rom vittime di un'aggressione razzista in seno all'Unione Europea.

Jock Palfreeman è un giovane australiano di 23 anni, da qualche mese in Bulgaria. La sera del 28 dicembre 2007, è testimone dell'aggressione di due Rom da parte di una quindicina di giovani, nel centro di Sofia vicino alla stazione Serdika. Secondo gli osservatori, i giovani urlavano gli slogan razzisti dei sostenitori del club calcistico della capitale (il "Levski"), tristemente celebri per le loro azioni violente.

Senza riflettere troppo, Jock si interpone con un coltello in mano, tra i teppisti e uno dei due Rom che giace incosciente al suolo. I teppisti rinculano di qualche dozzina di metri, per poi contrattaccare con pietre e blocchi di cementi. Quando intervengono i poliziotti, Jock è per metà incosciente. Uno degli aggressori, Anton Zahariev, 19 anni, è ferito ed un corpo senza vita è steso sul marciapiede: quello di Andreď Monov, studente di 20 anni. Nel frattempo i Rom sono spariti, poco desiderosi di passare dalle mani degli hooligan a quelle della polizia il cui razzismo non ha niente da invidiare ai fan del "Levski". La maggior parte dei media bulgari si schiera immediatamente contro questo "straniero", assassino di un bambino bulgaro, di conosciuta e rispettabile famiglia. Il 7 dicembre 2009, Jock Palfreeman è condannato a 20 anni di prigione. La storia avrebbe potuto fermarsi qui.

Testimonianze rimosse

Il padre di Jock, arrivato personalmente dall'Australia per sostenere la difesa di suo figlio, ha condotto una propria inchiesta e indicato numerose anomalie. Il contesto della rissa - l'attacco di un gruppo contro due Rom prima dell'intervento del giovane australiano - è stato totalmente ignorato nel corso del processo. Diverse versioni contraddittorie di testimoni non sono state ascoltate. Del resto la maggior parte non è stata interrogata nel corso dell'istruttoria, particolarmente gli amici di Jock che si sono spontaneamente presentati ed hanno lasciato i loro indirizzi.

I testimoni convocati in udienza sono stati uno degli hooligan partecipanti all'assalto a Palfreeman, il portiere di un albergo lì vicino ed i poliziotti arrivati sul posto che avevano proceduto ai primi interrogatori. Le versioni sono radicalmente cambiate tra l'istruttoria ed il processo, donando alla fine testimonianze confuse, incomprensibili ed inutilizzabili per la difesa, negando persino la presenza dei Rom e quindi l'aggressione a questi ultimi. Lo stesso hooligan ferito è passato dall'essere testimone a parte offesa, anche se faceva parte degli aggressori.

Un video accidentalmente cancellato

Altra sfortunata coincidenza: una videocamera di sorveglianza aveva fortuitamente registrato tutta la scena, l'aggressione ai Rom, poi il contrattacco su Jock Palfreeman qualche dozzina dimetri più lontano. Ma quando un anonimo poliziotto l'indomani andò a visionare il nastro, un corto circuito "accidentale" distrugge la registrazione. "Non ha importanza", stima il procuratore, Parvoleta Nikova, che considera che, in ogni modo "non avrebbe visto il film"! Curiosa magistrato che, oltre a negare l'attacco ai Rom ed il rifiuto di ascoltare i testimoni della difesa, respinge le conclusioni del rapporto psichiatrico che dimostra che l'Australiano non aveva niente di un violento psicopatico e che era invece guidato da idee di giustizia sociale. Per tutto il processo, lo ha descritto come un pericoloso hooligan. Prodigioso ribaltamento dei fatti!

E' questa visione che la maggior parte dei media riprende ampiamente, insistendo sullo status di vittima del giovane Andreď Monov. Il clima nazionalista che regna nel paese non aiuta certo a rendere una giustizia veramente serena. Durante il processo di Jock, il fatto che la vittima, Andreď Monov sia stato riconosciuto come adepto allo slogan "la Bulgaria ai Bulgari" (aggiungete: senza i Rom e gli Ebrei) non ha avuto alcuna influenza sulla corte. Al contrario: Jock Palfreeman è stato percepito come un "antifascista esagitato" che ha deliberatamente attaccato giovani di cui non condivideva il punto di vista. Precisiamo che l'antifascismo è visto molto male in questo paese dove la lotta antifascista è stata per lungo tempo l'alibi del potere e dell'ideologia totalitaria. Quanto a difendere i Rom, una minoranza apertamente disprezzata dalla maggioranza della popolazione, questo non gioca a favore dell'accusato. Dal canto loro, i Rom si sono discretamente interessati del caso, come testimoniato da diversi interventi sui forum Internet della comunità.

"La Bulgaria ai Bulgari"

Jock Palfreeman vittima sacrificale delle disfunzioni del sistema giudiziario bulgaro? Non c'è stato alcun slittamento della giustizia. Tutto è stato gestito perché non ci fosse nessuna giustizia possibile. Perché Andreď Monov era il figlio del celebre psicologo Hristo Monov, attualmente vice ministro della sanità. Riconosciuto come esperto dalla polizia, resta un personaggio influente negli ambienti politici. La famosa videocamera dal contenuto scomparso d'altra parte si trovava su di un edificio... del ministero della sanità!

In foto: I tifosi del club Levski

Ancor prima dell'inizio del processo, il padre di Jock ha dichiarato in un servizio del canale australiano ABC di non avere grande fiducia nella giustizia bulgara. E' da capire: la Bulgaria, che dal 1 gennaio 2007 fa parte dell'Unione Europea, è conosciuta per il livello molto alto di corruzione del suo sistema giudiziario, comparabile, secondo il Barometro mondiale della corruzione 2009 dell'organizzazione Transparency International, a quello di paesi come la Cambogia, la Georgia e la Mongolia.

Messo in isolamento per aver ricorso in appello

Ad aggravare le cose, dal 19 febbraio Jock Palfreeman dal 19 febbraio scorso è stato messo in isolamento totale. Questo significa che non ha più alcun contatto con gli altri prigionieri, né accesso a libri, radio, televisione, ancor meno la possibilità di seguire degli studi. Ha solamente diritto ad un'ora e mezzo di aria quotidiana, da solo nel cortile. Questa situazione è la conseguenza di una legge entrata in vigore nel giugno 2009, che si direbbe diretta quasi espressamente contro di lui: tutti i prigionieri stranieri condannati ad una pena detentiva superiore ai 15 anni devono restare in isolamento sino alla fine del loro ricorso. Tuttavia, Jock Palfreeman si è appellato alla decisione della corte. Il processo può durare ancora almeno due anni. Quale mezzo migliore per dissuaderlo dal far valere i suoi diritti? Al momento è l'unico prigioniero in Bulgaria in questa situazione, cosa che evidentemente è contraria ai termini ed alle disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.



Forse c'è un'opportunità per sostenere il giovane australiano. Se è vero che la giustizia non può rendersi in un quadro nazionale, è possibile appellarsi alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo senza attendere la fine del ricorso a livello nazionale. Sarebbe anche l'occasione di rendere visibile una storia che non è uscita dalla Bulgaria se non per essere pubblicizzata in Australia, paese che non ha grandi mezzi d'azione diplomatica a migliaia di chilometri dalle sue frontiere.

L'Unione Europea non ha mosso un dito per un caso che non riguarda uno dei suoi concittadini. Lo stesso padre di Jock ha preferito mantenere un profilo discreto per non infiammare, oltre il necessario, gli spiriti pronti allo sciovinismo. Una strategia che ormai chiaramente non è più necessaria. Già la Conferenza UNITED contro il razzismo, riunione delle OnG antirazziste, dei gruppi antifascisti e delle associazioni dei migranti, dei Rom e per la difesa dei diritti umani in 33 paesi europei, svoltasi a metà maggio a Budapest, ha contribuito alla conoscenza del caso Palfreeman. Un primo colpo contro l'iniquità a cui dovranno seguirne altri.

Il sito di supporto Jock Palfreeman (in inglese)

Per scrivere:
Jock Palfreeman
Sofia Central Prison - 21 Gen. N. Stoletov Bul.
Sofia 1309 - Bulgaria

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Di Fabrizio (del 19/06/2010 @ 09:02:08, in Italia, visitato 1775 volte)

Segnalazione di Masilia Amieri e Paolo Teruzzi

da Eliotropo

Lungo il percorso che collega la Brianza alla stazione di Sesto FS, un conducente si accorge della presenza dei rom e li costringe ad abbandonare il mezzo pubblico

Al confine tra Monza e Cinisello Balsamo, alle porte di Milano, martedì 15 giugno un autista dell'autobus z221, linea gestita dalla Brianza Trasporti, esclama: “Non voglio la merda sul mio pullman, gli zingari no. Apriamo le finestre e cambiamo aria”. Alcuni rom e una donna di colore, impaurita dalla situazione, rimangono a piedi.

Riavvolgendo il nastro. Sono all'incirca le 9.45. Fuori piove. Come consuetudine la z221, l'autobus che collega la Brianza alla stazione di Sesto FS, effettua il proprio viaggio e come sempre al confine tra Monza e Cinisello Balsamo salgono anche i rom. Resosi conto della loro salita, il guidatore perde il controllo e impone a quanti non hanno il biglietto di avvicinarsi alla sua postazione. Dopo un primo momento di esitazione da parte dei viaggiatori incriminati, il tono si fa sempre più minaccioso e aggressivo. Non contento, il conducente si alza in piedi e pretende che quanti sono sprovvisti del biglietto, scendano immediatamente dalla z221. Intimoriti dalla reazione, i rom e la donna di colore abbandonano l'autobus. Raggiunto il proprio obiettivo, il conducente non trattiene nemmeno i commenti offensivi.

Contattiamo l'ingegnere Matteo Gola dell'Ufficio marketing e comunicazione della Brianza Trasporti, azienda appartenente al gruppo Autoguidovie, per chiedere una spiegazione della vicenda.

Come reagisce l'azienda davanti a questi episodi?

“Riceviamo molte segnalazioni per comportamenti non professionali. Tutti gli autisti e i controlli verificatori seguono dei corsi di formazione dove viene loro insegnata un'etica professionale per lo svolgimento delle loro attività. Ci sono autisti che possono svolgere la funzione di controlleria in fase di salita, senza, però, modificare il tempo di percorrenza del mezzo. Si può non far salire una persona senza biglietto, ma se l'utente è già sul mezzo, non lo si può obbligare a scendere, specie nel caso di un minorenne. Se è presente un controllore, può capitare che scenda con l'utente privo del documento di viaggio per proseguire nella contravvenzione.

Qual è il suo giudizio?

Da quello che mi descrive, l'autista ha sbagliato. Non doveva far scendere le persone, quando erano già salite. Poteva bloccare in fase di salita, ma non far scendere forzatamente della gente che stava viaggiando, pur senza biglietto. Il conducente stava guidando e non poteva intervenire, perché automaticamente avrebbe ritardato il programma di esercizio e questo non va bene. Avrebbe dovuto chiamare o segnalare alla direzione che avrebbe fatto intervenire dei controllori. L'azienda chiede ai dipendenti di usare atteggiamenti sempre professionali, senza alcuna discriminazione. Il titolo di viaggio deve essere chiesto all'italiano come all'extracomunitario. A volte il biglietto viene chiesto agli italiani e non agli stranieri, perché sembra che ci sia un accanimento verso gli extracomunitari ed è un'immagina brutta da vedersi.

Cosa pensa delle esternazioni offensive del vostro autista?

Sono espressioni che non vanno dette. Sulla z221, tuttavia, che passa vicino al campo che si trova in fondo a via Borgazzi, salgono molti rom che ci hanno creato diversi problemi. Certe cose si possono pensare, ma non si possono esprimere. Bisognerebbe sempre mantenere un atteggiamento professionale e educato, ma non è facile. Gli autisti sono tanti e ognuno ha la propria testa, nonostante la formazione, spesso agiscono in autonomia. Diversi controllori sono stati rimossi dalla loro mansione per i loro atteggiamenti. Ognuno di loro è sottoposto a un periodo di verifica in cui si valutano i loro comportamenti. Ogni sei mesi l'azienda fa le proprie valutazioni e decide se sono idonei a svolgere la mansione. Molti non sono in grado o perché troppo aggressivi o perché troppo poco determinati. Noi chiediamo di agire senza discriminazione, ma con professionalità ed educazione.

Benedetta Guerriero

fonte:
http://it.peacereporter.net

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Di Fabrizio (del 19/06/2010 @ 09:04:30, in Italia, visitato 2576 volte)

PeaceReporter.net

I rom chiedono al Comune di Milano di essere coinvolti nelle trattative che li riguardano

"Non siamo gente cattiva, vogliamo solo vivere in pace". Così dice Marian, uno degli abitanti del campo di via Triboniano, al termine della conferenza stampa organizzata a Milano dalla Federazione Rom&Sinti insieme. Obiettivo dell'incontro, denunciare la situazione della comunità rom nel capoluogo lombardo. "Siamo molto preoccupati – dice Dijana Pavlovic, vicepresidente della Federazione – quello che si sta verificando a Milano è anomalo, anche rispetto alle altre città italiane". A impensierire i rom è il continuo ricorso alla pratica degli sgomberi che ormai sistematicamente viene portato avanti dalle autorità milanesi, senza alcuna proposta alternativa. "Dal 2007 a oggi – prosegue la Pavlovic – nella città sono stati effettuati 271 sgomberi, ben 95 solo nei premi mesi del 2010. Quasi la totalità degli zingari allontanati vive ancora a Milano: lo sgombero non è una soluzione. Il ministero degli Interni ha stanziato 13 milioni di euro per affrontare il problema dei rom nel capoluogo, ma il Comune non fornisce spiegazioni chiare sull'utilizzo di questi soldi. In base ai dati forniti dalla Caritas e dalla Casa della Carità, nove dei tredici milioni verranno utilizzati per la sicurezza. Tradotto significa per gli sgomberi e l'installazione delle telecamere nei campi, che poi verranno dismessi. Solo i restanti quattro milioni verranno usati per l'inserimento sociale dei rom, di cui un milione e 800mila per l'inserimento nelle case".

Secondo la comunità rom, le risorse stanziate, se usate in maniera diversa, potrebbero risolvere una volta per tutte il problema legato alla loro presenza sul territorio. Manca, però, una qualsiasi forma di dialogo con i responsabili del Comune, il vice-sindaco Riccardo De Corato, e Mariolina Moioli, assessore alla Famiglia, Scuola e Politiche Sociali. "Nessuno parla con noi – dice Marian -. Nel campo di Triboniano, dove abito, la situazione è critica. Sappiamo che entro il 30 agosto il campo verrà sgomberato per fare spazio all'Expo, ma nulla di più. Ci sono 220 bambini, molti di loro sono nati in Italia e vanno a scuola. Che senso ha spingerli su una strada, così ci obbligheranno a rubare. Sono romeno e sono in Italia da quasi 10 anni, ho tre figli di 15, 10 e 5 anni e loro non parlano romeno, perché si sentono italiani. Alcuni di noi sbagliano, ma non è giusto che paghiamo tutti e che veniamo discriminati o tenuti all'oscuro delle trattative. Siamo esseri umani e sappiamo parlare. Venite nei campi a conoscerci, così cambierete idea su di noi".

Smentito anche il luogo comune secondo cui da parte della comunità rom non viene mai fatta alcuna proposta concreta, quasi fossero incapaci di formularla e fosse il loro obiettivo vivere nelle discariche o nelle zone più degradate della città. Nel corso dell'incontro gli zingari di Triboniano hanno fatto riferimento a una lettera, indirizzata al Comune di Milano, che conteneva dei suggerimenti per una soluzione del problema dopo l'effettuazione dell'annunciato sgombero. Le proposte si concretizzano in quattro punti e di questi due sono particolarmente interessanti e riguardano la volontà di trovare una casa in affitto e la possibilità del rimpatrio assistito, che molti non escludono, a patto che venga eseguito in maniera civile. "Assegnateci una caserma dismessa – si legge nel testo – o un immobile da riadattare all'abitabilità, di proprietà pubblica o di Enti religiosi. Assegnate a questi ultimi parte dei fondi a noi destinati dal Governo o dalla Comunità europea per l'acquisto di materiale edile e per il compenso a un tecnico supervisore e noi ristruttureremo gratuitamente i locali...". Proposte che fino a questo momento sono cadute nel vuoto. Quel che è certo, è che entro fine anno verranno sgomberati altri quattro campi regolari: via Novara, via Idro, via Triboniano e via Bonfadini.

Benedetta Guerriero


c6.tv Video | Rom e Sinti a convegno: "Gli sgomberi? Parlatene con noi"

Milano. Che fine fanno i rom dopo gli sgomberi? Che fine faranno quelli del campo di via Triboniano? La Federazione Rom e Sinti Insieme, durante una conferenza stampa, ha spiegato ai milanesi la grave situazione che sta colpendo la minoranza Rom nella nostra città. Secondo la Federazione la "politica degli sgomberi" attuata da questa amministrazione comunale è "del tutto inutile, perchè si tratta - come ha spegato Dijana Pavlovic vice presidente della Federazione- di uno spreco di denaro, denaro pubblico, perchè queste persone non fanno altro che andare da un'altra parte per poi essere sgomberate anche da lì". Un problema quello dei Rom a Milano che parte anche dalla mancata comunicazione tra la parti. "Difficilmente l'amministrazione parla direttamente con i rappresentanti dei campi, e questo è sbagliato, noi con il Comune dobbiamo sempre parlare attraverso intermediari" racconta Adrian Tanase, abitante del campo rom di via Triboniano. Secondo la Federazione dei 13 milioni di euro che il Ministero degli Interni ha stanziato per la questione Rom, solamente 1 milione e 800 mila andrebbero investiti nella soluzione abitativa, e solamente 800mila per l'inserimento lavorativo. Nove milioni, invece, sono destinati alla "sicurezza" il che significa ulterori sgomberi, cancellate, telecamere e altri sistemi per mettere in sicurezza campi che rimarranno, secondo le previsioni, comunque vuoti. La Federazione ha parlato anche di "azioni legali" in preparazione per i fatti di Triboniano. Abbiamo incontrato Diana Pavlovic,vice presidente della Federazione e Adrian Tanase rom del campo di via Triboniano. Servizio ed interviste di Federica Giordani

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Di Fabrizio (del 20/06/2010 @ 09:23:37, in Italia, visitato 1960 volte)

Domenica 27 giugno
h. 14.00 pranzo collettivo e solidale
h. 16.00 attività ludiche per bambini e non solo
h. 18.00 assemblea sulle prospettive della lotta di via Triboniano
h. 20.00 musica e proiezioni fino a tarda sera

Crediamo che far giocare insieme i nostri bambini, sedersi insieme intorno alla stessa tavola, danzare fianco a fianco, significhi creare quell'occasione d'incontro per dimostrare che i rom non sono cattivi come alcuni vogliono far credere.

Noi rom abbiamo una nostra cultura, siamo dei lavoratori come tutti e i duecento bambini del campo frequentano ormai da una decina d'anni le scuole della zona. Noi rom non siamo persone da vendere per gli interessi dell'expo 2015. Siamo donne e uomini come tutti voi con diritti e dignità.

Cancellare la vita del campo senza reali soluzioni alternative, equivale a buttarci su una strada come animali e destinare i nostri figli a una vita di emarginazione.

Perciò con questa iniziativa vogliamo semplicemente rivendicare il diritto ad avere un futuro migliore per noi e soprattutto per i nostri bambini.

Gli abitanti del campo rom di via Triboniano e di via Barzaghi

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Di Fabrizio (del 20/06/2010 @ 09:44:33, in lavoro, visitato 1957 volte)

Strill.it di Anna Foti - Mercoledì 16 Giugno 2010 15:31

Volgerebbe al termine nel peggiore dei modi la vicenda della cooperativa Rom 1995, per la quale non è stata prevista la condizione di subappalto dello smaltimento dei rifiuti ingombranti nell’ultimo bando del comune di Reggio Calabria.

Solo rassicurazioni verbali e buoni propositi da parte delle istituzioni, anche consacrate in atti ufficiali, ma nessun intervento concreto. Addirittura, oggi arriva l’ufficialità dell’affidamento formale, oltre che sostanziale, del servizio alla società Leonia che dunque non si occuperà più solo dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Ma riferiamo un po’ di storia per comprendere cosa significherebbe la fine della cooperativa Rom 1995 e che cosa la città di Reggio Calabria stia realmente perdendo. Non solo licenziamenti, che già di per sé sarebbero gravi, ma molto, molto di più.

Confiscato a Paolo Aquilino nel 1997, il fabbricato a due piani con cortile, ubicato nella zona di Condera a Reggio Calabria, è stato destinato all’omonimo Comune nel 1999 ed assegnato nel 2000 alla Cooperativa sociale Rom 1995, nata dalla motivazione di giovani volontari dell’Opera Nomadi e presieduta da Domenico Modafferi. Ristrutturato con il contributo della Regione Calabria, l’immobile, il primo destinato all’amministrazione comunale di Reggio Calabria, ospita quella che è stata fino ad alcuni mesi la virtuosa attività di raccolta differenziata di rifiuti a domicilio e su strada e di deposito diretto degli stessi, avendo la stessa gestito anche il servizio di spazzamento manuale stradale nel comune di Melito Porto Salvo e quello di pulizia di servizi igienici pubblici. La Cooperativa Rom 1995 impiegava quasi trenta persone, tra cui la maggior parte di etnia Rom, di età compresa tra i 25 e i 30 anni, che adesso potrebbero rimanere senza lavoro. Costoro erano stati formati e avviati al lavoro grazie ad un corso di formazione intitolato “Lacio Grave” che in lingua romanes significa “buona città”, curato proprio dalla cooperativa tra il 1999 e il 2000.

Positiva la risposta della cittadinanza che contattava la cooperativa per richiedere il loro intervento, associando a questo servizio prezioso, serio e puntuale, il volto spesso discriminato delle persone di etnia rom. Ma accanto a questo anche una realtà formativa ed educativa sul riciclo, sull’integrazione e sul rispetto dell’ambiente aperta costantemente alle scuole e alle giovani generazioni.

Un’esperienza tanto positiva, quanto amaro è l’epilogo annunciato da mesi e che oggi, dopo una lunga agonia, giunge a quel traguardo che avrebbe dovuto essere evitato. Integrazione sul territorio della comunità Rom nel segno del lavoro e della qualificazione e rispetto dell’ambiente attraverso la raccolta differenziata dei rifiuti e l’avvio al loro corretto smaltimento, un binomio pregno di senso civico che aveva anche il valore aggiunto di essere ubicato nel primo bene confiscato alle ndrine destinato e riutilizzato a Reggio Calabria. Un emblema le legalità ed un esempio su scala nazionale dell’uso sociale dei beni parte di un patrimonio illecitamente accumulato adesso al servizio di quella stessa collettività prima defraudata.

Un progetto che, come tale, guardava anche al futuro con iniziative che hanno condotto all’istituzione dell’isola ecologica nel 2007 e più recentemente all’avvio dei lavori per la costruzione della ricicleria al piano superiore. Ma tutto questo adesso potrebbe essere passato. Forse, anzì sicuramente, avrà seminato qualcosa di buono, ma perché accontentarsi di un rimpianto quando avremmo ancora potuto vedere la cooperativa Rom 1995, segno di grande speranza di cambiamento, crescere e operare a Reggio Calabria?

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Di Fabrizio (del 21/06/2010 @ 09:34:28, in lavoro, visitato 2026 volte)

Segnalazione di Paolo Teruzzi

Progetto Cuccagna

Tutto ha inizio da un vino un po' speciale... vino R.O.M. per l'appunto, ovvero Rosso di Origine Migrante. Da qualche settimana i restauratori del Consorzio hanno dei nuovi collaboratori: tre papà rom, il cui lavoro è stato reso possibile grazie all'encomiabile impegno di un gruppo di genitori e maestre di alcune scuole primarie di Zona Rubattino e della Comunità di Sant'Egidio di Milano che hanno finanziato borse di avviamento al lavoro attraverso la vendita del vino. Un'esperienza che per Sandu, Marco e Christian porta la speranza di una vita diversa: la possibilità di avere una fissa dimora e di mandare finalmente i propri figli a scuola

Il campo rom di Rubattino

Tutto ha inizio due anni fa nel campo rom di via Rubattino, una vera e propria favela cresciuta ed rganizzatasi autonomamente negli spazi di in un ex centrale Enel abbandonata. Le famiglie di rom romeni sono molte, moltissimi i bambini in età scolare che non hanno accesso alla scuola.
Vista la stabilità del campo di Rubattino, la Comunità di Sant’Egidio prende l’iniziativa ed iscrive una trentina di bambini in tre scuole primarie della zona: Toti, Morante e Munari.
Per i bambini è la prima volta a stretto contatto tra i “gagè”, sconosciuti e temuti. Anche per le famiglie italiane è il primo incontro con i bimbi rom e le loro famiglie, altrettanto sconosciute e temute. Questa semplice esperienza da subito sovverte i pregiudizi: i bambini rom ora hanno nomi, storie, sorrisi, si sentono parte dell’esperienza scolastica, nasce un rapporto di amicizia con maestre e compagni di classe.
Lo scorso novembre, poi, arriva lo sgombero. Per un mese oltre settanta bambini sono costretti a vivere per strada con le rispettive famiglie, senza neanche più il tetto di una baracca sulla testa: molti spariscono da scuola per intere settimane.
Un gruppo di genitori italiani e di maestre affezionati ai piccoli alunni e compagni di gioco dei figli prendono in mano la situazione, aprendo le loro case e ospitando le famiglie rom per periodi più o meno lunghi.

Rosso di origine migrante

Negli ultimi mesi, lo stesso gruppo di genitori e maestre hanno fatto il possibile per sostenere le famiglie dei bambini rom e permettere a questi ultimi di tornare a scuola. Con l’appoggio di Gas Feltre e Intergas hanno progettato un’iniziativa per raccoglie fondi e sostenere con borse di studio e lavoro le famiglie rom. Un viticoltore toscano, che con i rom avevano in comune una storia di sgombri, mette a disposizione del vino: da questa iniziativa il vino prende il nome di "R.O.M.", Rosso di Origine Migrante. Il vino "R.O.M." ha raccolto la solidarietà di tantissime persone, tanto che gli incassi hanno consentito di approntare le prime borse-lavoro, grazie anche al supporto della Comunità di Sant’Egidio e alla sua esperienza nell'ambito di percorsi di integrazione e di autonomia per le persone rom senza tetto in Italia.

Le borse lavoro al Cantiere Cuccagna

Ed è proprio nel cantiere Cuccagna che da qualche settimana hanno iniziato a lavorare due papà rom, un terzo invece arriverà a giugno. Si tratta di una collaborazione lavorativa part time della durata di due mesi.
Se l'esperienza sarà positiva, il responsabile del restauro, Juan Carlos Usellini, ha dato la disponibilità nel riconfermare la collaborazione in cantiere.
Per Christian, Garofita e i loro tre bambini che da un anno sono ospiti di una comunità, questo lavoro rappresenta un reale percorso verso l’autonomia. Per Sandu, che insieme ad Alina - donna molto coraggiosa ed intelligente - ha quattro figli, è l’inizio di una nuova vita. Pochi giorni fa ha firmato un contratto per una casa a Truccazzano. Finalmente non dovranno più dormire per strada: il lavoro gli permetterà di ottenere la residenza e di mandare i due bimbi più piccoli a scuola l'anno prossimo. Per Marco l'esperienza in Cuccagna è la speranza di una vita diversa: da anni vive per strada con moglie e figli, costretti a frequenti sgomberi e con il dolore di una bambina di quattro anni persa in una roggia di Chiaravalle.

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Di Fabrizio (del 21/06/2010 @ 09:46:36, in casa, visitato 1791 volte)

Da Slovak_Roma

17 giugno 2010 Fermate gli sgomberi dei Rom in Slovacchia - Per firmare l'appello di Amnesty International (testo in calce)

  Image: L'insediamento romanì a Plavecky Stvrtok. Copyright: Amnesty International

"Non posso credere che nella Slovacchia di oggi, un paese che è nell'Unione Europea, lui [il sindaco del villaggio di Plavecký Štvrtok] voglia rendere senza un tetto 600 persone." Aneta, donna romanì, abitante dell'insediamento.

Circa 90 famiglie romanì a Plavecký Štvrtok, un villaggio a circa 20 km. a nord della capitale Bratislava, sono di fronte alla minaccia di essere espulsi a forza dalle loro case, situate al margine del villaggio, da parte delle autorità locali entro le prossime settimane.

I Rom hanno vissuto sullo sulla stessa terra di Plavecký Štvrtok per diverse generazioni. Ma solo negli ultimi mesi è stato chiesto loro dal comune di provare la legalità delle loro case, tramite l'esibizione dei permessi di costruzione, certificati di proprietà ed altri documenti.

E' stato detto loro che se non avessero fornito la documentazione necessaria, ci sarebbero stati ordini di demolizione. Nella maggior parte dei casi i Rom non possiedono questi documenti, in quanto non sono proprietari del terreno su cui vivono.

Da gennaio, il comune ha notificato a 18 famiglie di demolire le loro case entro tre mesi, dato che non avevano fornito i documenti necessari. Se non l'avessero fatto, il comune avrebbe mandato i bulldozer a demolirle.

Darina, una delle abitanti dell'insediamento ha detto ad Amnesty International: "Non abbiamo dove andare. Questa è casa nostra. Ognuna delle case è stata costruita dalla nostra gente, senza nessun aiuto. [...] Ognuno qui ha dovuto costruire la sua casa coi propri sforzi."

"Questo sgombero avverrà senza riguardo per centinaia di persone, incluse famiglie con bambini, che non sono state consultate per individuare alternative allo sgombero od opzioni di reinsediamento, o neanche informate adeguatamente sul potenziale sgombero," ha detto David Diaz-Jogeix, vice direttore di Amnesty International per l'Europa e l'Asia Centrale.

Le autorità hanno detto che una delle ragioni del progettato sgombero forzato è stata la preoccupazione per la sicurezza pubblica, dato che sette case sono costruite entro l'area di rispetto di 8 m. attorno ad un gasdotto, e la maggior parte delle altre case sono ad una distanza di 50 m.

Ma gli standard usati per Rom e non-rom sembrano essere differenti. A nessuna delle famiglie non-rom, le cui case pure sono costruite nella stessa "zona di protezione", è stato notificata l'ordinanza di demolizione o è stata contattata in qualche modo dal comune. Ciò fa crescere le preoccupazioni per un trattamento discriminatorio.

Nel contempo le autorità non stanno considerando nessuna possibilità di un alloggiamento alternativo, violando gli impegni internazionali della Slovacchia sui diritti umani.

Il giornale Slovak Spectator ha riportato il 19 aprile che il sindaco di Plavecký Štvrtok ha dichiarato che il comune ha rigettato l'idea di costruire alloggi popolari come soluzione, "perché il villaggio dovrebbe investirvi tropo e gli appartamenti sarebbero del comune. La loro gestione costerebbe molto denaro e sappiamo molto bene come questi cittadini intendono gli alloggi - in pochi anni sarebbero tutti in rovina."

"Una dichiarazione simile indica un disinteresse totale degli obblighi della Slovacchia di garantire un alloggio adeguato a tutti, senza discriminazione," ha detto David Diaz-Jogeix.

"Le autorità devono assicurare che nessuna famiglia venga resa senza tetto o vulnerabile alla violazione di altri diritti umani come conseguenza di sgombero. Questo include fornirle di rimedi legali, incluso quello di un compenso per la distruzione delle loro case e proprietà. Il governo ha il dovere di assicurare che le autorità di Plavecký Štvrtok rispondano alla legge internazionale dei diritti umani."

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Di Fabrizio (del 22/06/2010 @ 09:39:35, in Italia, visitato 1561 volte)

COMUNICATO STAMPA
Lo SCI Italia - Gruppo Regionale Sardegna- , in collaborazione col comitato studentesco Forgotten e la provincia di Cagliari
presentano:

THE FORGOTTEN AMONG THE FORGOTTEN
Iniziative e dibattiti sula memoria della persecuzione nazi-fascista e sulla situazione attuale di Rom e Sinti

venerdì 25 e sabato 26 giugno 2010
Cagliari, Sala Cosseddu, presso la Casa dello Studente in Via Trentino

Il 25 e 26 giugno 2010 lo SCI Italia (Gruppo Regionale Sardegna), in collaborazione col comitato studentesco Forgotten e la provincia di Cagliari, organizza a Cagliari il primo evento della seconda edizione del progetto Forgotten, che tratterà le tematiche della discriminazione dei Rom e dei Sinti e la memoria della persecuzione nazi-fascista, con dibattiti, conferenze e proiezioni di video.

Programma dell'evento:

Venerdì 25 giugno
Dalle 17.00 SCI Italia
Introduzione al progetto The Forgotten among the Forgotten

ore 17.30 prof. Massimo Aresu
I Rom e Sinti in Italia

ore 18.15 Prof. Gianni Loy e prof. Roberto Cherchi
Problematiche giuridiche su Rom e Sinti

ore 19.00 Dibattito

ore 21.30 Proiezione del documentario "A forza di essere vento"

Sabato 26 giugno
Dalle 17.00 SCI Germania; SCI Romania; Roma Onlus; Mundi Romani – Hungary
Le persecuzioni di Rom e Sinti nel periodo nazifascista in Europa

ore 18.00 I volontari internazionali SCI e dott.sa Licia Porcedda
Le persecuzioni di Rom e Sinti nel periodo nazifascista in Sardegna

ore 19.00 SCI Italia e ospiti
Dibattito sulle prospettive di inclusione sociale Dei Rom

ore 22.00 Proiezione del documentario “Le donne vestivano gonne fiorite”

Partners dell'iniziativa:
Romà onlus, Romamedia Foundation, Centrul National de Cultura a Romilor, SCi Germania,SCI Romania

Per informazioni:
www.theforgotten.eu - sardegna@sci-italia.it

Dal 1948 Servizio Civile Internazionale. Onlus
Membro consultivo dell'UNESCO e del Consiglio d'Europa
ONG riconosciuta dal Ministero degli Affari Esteri
Elena Cavassa
e-mail: evs@sci-italia.it
Tel. 06/5580661-644
Gruppo SCI Sardegna
sardegna@sci-italia.it

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Di Fabrizio (del 22/06/2010 @ 09:55:52, in Europa, visitato 4488 volte)

Dei campi profughi in Kosovo avvelenati dal piombo, qui se n'è parlato parecchio, praticamente da quando esiste questo blog. Il mese scorso, mi è stato regalato un libretto in inglese (non disponibile in Italia), con i nomi di tutti quanti hanno colpevolmente contribuito a creare questa situazione. Lo tradurrò in italiano a puntate. Questa è la prima:

Premessa

Nel gennaio 2009, il giornalista della BBC Nick Thorpe [leggi QUI gli altri suoi articoli tradotti in italiano su Mahalla, ndr] visitò con la sua squadra gli ex campi Rom/Askali dell'UNHCR a Mitrovica nord (Kosovo), per riportare sui bambini che là soffrivano di avvelenamento da piombo. L'Organizzazione Mondiale della Sanità gli aveva già detto che questo era il peggiore avvelenamento da piombo mai verificatosi in Europa e forse nel mondo.

Dopo aver visitato diverse famiglie e filmato i bambini che guardavano la telecamera coi loro occhi bruni senza speranza, si voltò verso di me chiedendomi con disgusto: "Chi è responsabile di questa tragedia? Voglio saperlo!"

Questo libro ti dice, Nick, chi è stato responsabile di questa negligenza mortale e senza senso.

Paul Polansky

(foto tratta da Le nouveau NH) - Fabricka, il quartiere Rom ed Askali a Mitrovica sud, un anno dopo la loro cacciata da parte dei loro vicini albanesi, mentre le truffe francesi osservavano senza agire. Nessuna casa è stata bruciata. Gli Albanesi semplicemente hanno sventrato le case per sottrarne mattoni, infissi, porte e finestre

Una storia personale dei campi di Kouchner

Anche se l'Armata di Liberazione del Kosovo (ALK) e gli estremisti di etnia albanese iniziarono questa tragedia senza senso durante l'estate 1999, poterono farlo semplicemente perché le truppe NATO francesi permisero che questa pulizia etnica avesse luogo. Non successe in una sola notte. Ci vollero tre mesi perché tutte le famiglie rom e Askali (circa 8.000 persone; la più grande comunità zingara in Kosovo) abbandonassero le loro case.

Un mese dopo l'inizio, sentii della diaspora dei Rom di Mitrovica che cercavano rifugio nel campo UNHCR dove lavoravo come consulente ONU per i loro problemi "zingari". Presi una macchina in prestito e guidai verso la scena. Fu uno strappo al cuore vedere genitori terrorizzati che portavano bambini in pianto,  trascinare valigie e tutto ciò che potevano portarsi dietro: una pentola, un materasso, una radio. Quando arrivai, molti Zingari stavano supplicando i soldati francesi armati di tutto punto di salvarli. Li raggiunsi, chiedendo ai soldati francesi di intervenire. Un ufficiale francese mi disse rudemente che le truppe NATO non erano una forza di polizia. Poi venni trattenuto e portato al quartiere generale dell'esercito francese in un albergo del centro città. Mi sequestrarono le foto e mi dissero che non avevo il permesso di ritornare nel settore francese del Kosovo.

Una settimana dopo ritornai, usando un permesso stampa con un nome differente. Trovai circa 800 Zingari di Mitrovica rifugiati in una scuola serba sul lato opposto del fiume Ibar. Non avevano cibo, né sapone. I bagni erano straripati. Ancora nessuna agenzia di aiuto li aveva scoperti; o, secondo qualcuno, li ignoravano. Tramite Oxfam di Pristina portammo acqua da bere e prodotti igienici, e poi riferii della loro situazione all'UNMIK. Qualche giorno dopo l'UNHCR portò agli Zingari dei pacchi alimentari.

A metà settembre i Serbi rivolevano l'edificio per l'anno scolastico. Così le truppe francesi e la polizia ONU spostarono gli Zingari in tende su di un'area tossica abbandonata vicino al villaggio di Zitkovac.

Stavolta protestai direttamente col Rappresentante Speciale del Segretario Generale (RSSG), dr. Bernard Kouchner. David Reily, capo dell'UNHCR, venne con me. Depositi di scorie tossiche circondavano il campo zingaro. Potevi odorare gli elementi tossici. Quando soffiava il vento, la polvere di piombo copriva tutto e rendeva difficile respirare. Il dr. Kouchner, un famoso attivista umanitario francese, mi assicurò che gli Zingari sarebbero rimasto su quel sito solo per 45 giorni. Poi sarebbero stati riportati alle loro case e protetti dalle truppe francesi o portati come rifugiati in un altro paese. Disse di essere un dottore. Comprendeva il pericolo di minaccia alle vite nel vivere su o accanto a depositi di scorie tossiche. Disse: "Come dottore, e come amministratore capo del Kosovo, sarei miserabile se questa minaccia alla salute dei bambini e di donne incinte continuasse per un solo giorno ancora." Dichiarò anche che la situazione era un crimine.

A novembre tornai negli Stati Uniti per scrivere delle mie esperienze in Kosovo. Quando tornai la primavera successiva per visitare gli insediamenti delle minoranze in Kosovo e riportare delle loro condizioni alla Società per i Popoli Minacciati (GFBV), visitai questi Zingari di Mitrovica. Non erano tornati alle loro case o in un paese terzo. Ora erano alloggiati in baracche temporanee, tutte su terreno contaminato.

Ero anche scioccato di scoprire che il mio amico David Reily, 50 anni, era morto a gennaio nel suo appartamento a Pristina per un attacco di cuore. Il suo sostituto, un Neozelandese di nome Mac Namara, si rifiutò di ricevermi e di discutere la difficile situazione di questi 800 Rom/Askali nei campi UNHCR contaminati dal piombo. Tuttavia, fui incoraggiato perché il dr. Kouchner aveva ordinato alla propria squadra medica ONU di prendere campioni sanguigni dai bambini zingari che vivevano sui depositi tossici, per vedere se le loro vite fossero in pericolo.

Ritornai negli USA prima che i risultati fossero resi noti. Ma quando ritornai in Kosovo la primavera seguente (2001) e trovai che gli Zingari vivevano ancora in questi tre campi, amministrati dall'Agenzia svizzera di Soccorso ACT e dal loro partner di sviluppo: Norwegian Church Aid, immaginai che la squadra medica di Kouchner avesse trovato il sito sicuro.

Anche se io e Kouchner nel 2000 ci scambiammo della corrispondenza sulla situazione degli altri Rom e Askali, della loro mancanza di libertà di movimento in altre parti del Kosovo e sulla mancanza di aiuti umanitari, non vidi più Kouchner.

Ora, vivendo a tempo pieno in Kosovo, mi tenevo in contatto regolare con gli Zingari dei campi posti su terreni tossici. Quando nel 2002 ACT e NCA smisero di consegnare cibo e prodotti igienici, iniziai a fornire agli Zingari quel poco aiuto che riuscivo a trovare. Assunsi anche due sorelle romanì (Tina e Dija) per insegnare migliori misure igieniche alle donne del campo e ai bambini, anche se era difficile mantenere puliti i bambini dalla polvere che si alzava dai cumuli di scorie, visto che passavano all'aperto la maggior parte del tempo.

Non compresi che c'era qualcosa di tragicamente sbagliato nel campo, finché le due sorelle romanì non mi dissero che le donne del campo lamentavano un alto numero di aborti e che molti dei bambini stavano sempre male (vomitavano e cadevano in coma). Poi alcuni dei bambini morirono.

La morte che mi chiarì le idee su cosa stava succedendo nei campi fu quella di Jenita Mehmeti, di quattro anni. Frequentava l'asilo del campo, quando la sua maestra si accorse che Jenita stava perdendo la memoria e aveva difficoltà a camminare. Fu portate nell'ospedale locale a Mitrovica e da lì trasferita d'urgenza in ambulanza in un ospedale meglio equipaggiato a Kraguevac (Serbia). Jenita rimase lì per tre mesi prima di morire. La causa della morte fu diagnosticata in "herpes", un'infezione non fatale a meno di malfunzionamenti del sistema immunitario. Come per l'Aids, l'avvelenamento da piombo distrugge il sistema immunitario specialmente nei bambini di età inferiore ai sei anni.

Subito dopo la morte di Jenita nel 2004,  una squadra medica ONU guidata dall'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) fece l'esame del sangue a molti bambini in tutti tre i campi, per vedere se avevano avvelenamento da piombo, dato che i loro sintomi lo indicavano. I risultati scioccarono tutti. I livelli di piombo in molti bambini erano più alti di quanto le apparecchiature mediche potessero misurare. A novembre un rapporto OMS indicò che alcuni dei livelli di piombo nei bambini di quei campi erano i più alti mai registrati nella letteratura medica.

Fine prima puntata

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Di Fabrizio (del 23/06/2010 @ 09:35:10, in Kumpanija, visitato 1545 volte)

Da Roma_Francais

Nelle regioni del Draguignan e del Fréjus, i viaggianti hanno perduto tutto (vedi QUI ndr)... Le carovane che sono le loro abitazioni, furgoni, vetture e tutti i beni (vestiti, pentole, attrezzi...). Dovete sapere le carovane non possono essere assicurate come abitazioni... Dunque questa gente non ha più dimora e non sarà indennizzata, o lo sarà pochissimo... Manca tutto... Non sono in carico ai comuni sinistrati perché non vi sono domiciliati... Sono reinviati al loro comune dove sono registrati, comuni non sinistrati e che non hanno sovvenzioni per aiutarli!

Faccio quindi appello a chi possa inviare a:

Madame RODEMET Claire
Chemin des Pétugues, 83340
Le Cannet des Maures

[...] Una rigorosa contabilità verrà aggiornata tramite facebook giorno per giorno e vi terrò al corrente di quanto riceveremo e di quanto faremo...

Mi appello al vostro buon cuore... Molte persone sono all'aperto con vecchi, bambini e malati senza più niente oltre che già fortemente discriminati... La situazione è grave... Sulla nostra regione continuano le tempeste... Ogni aiuto è il benvenuto... Un grosso grazie in anticipo a quanti forniranno in qualche maniera un aiuto provvidenziale.

Esméralda Romanez
Vice présidente de la fondation kale, manouches, romany, sinté women
Présidente des associations Samudaripen et A.M.I.D.T
Mas de l’Ange Gardien
148, Chemin des Pétugues
83340 – Le Cannet des Maures
Téléphone 06 67215333

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