Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 21/05/2010 @ 09:57:21, in Italia, visitato 2051 volte)
Segnalazione di Marco Brazzoduro
XXIII Convegno Nazionale A.I.Z.O. rom e sinti
Rom, sinti e gagè: culture in dialogo?
28-29 MAGGIO 2010
Fondazione “Opera Campana dei Caduti”, Largo Padre Eusebio Iori Colle di Miravalle
Rovereto (TN)
28 MAGGIO
Ore 9.00: Saluto delle autorità
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Lia Beltrami Giovanazzi |
Assessore alla Convivenza Internazionale Solidarietà Integrazione provincia di Trento |
On. Prof.ssa Letizia De Torre |
Deputato già Vice Ministro della Pubblica Istruzione |
Sen. Alberto Robol |
Reggente Campana dei Caduti |
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Sindaco di Rovereto |
Presentazione del Convegno: |
Jonko Jovanovic |
Vicepresidente Nazionale A.I.Z.O. rom e sinti |
La via Europea all’inserimento |
Juan De Dios Ramirez Heredia |
Già Eurodeputato gitano, Presidente Romani Union (Spagna) |
Aspetti identitari della cultura romanì: |
Jovan Damianovic
Bajram Haliti
|
Deputato rom, Repubblica Serba
Avvocato rom, Kossovo
|
Parlare romanè |
Marcel Courthiade |
Linguista rom, Francia |
Cantare le radici
h 13:00
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Santino Spinelli
Pranzo
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Università di Chieti |
Società e valori sinti
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giovani sinti |
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Rom e sinti: tradizioni e progresso |
Kasim Cizmic
Georghita Caldararu
Osmani Bajram
|
U.N.I.R.S.I.
Delegato nazionale rumeni A.I.Z.O.
Giornalista I.R.U.
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Conservazione e cambiamento: il ruolo delle donne |
Esma Halilovic
Prof.ssa Marcella delle Donne
|
Università “La Sapienza” di Roma |
Emergenze educative: soluzioni possibili? |
On. Prof.ssa Letizia De Torre
Prof.ssa Maria Luisa Manfredi Chiarini
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Presidente A.I.Z.O. - Sezione Provinciale di Cremona |
Esperienze di inclusione sociale |
Graziano Halilovic |
Romà Onlus - Italia |
Rom, sinti e gagè: dialogo possibile? |
Pierluigi Casotto
Ettore Gialdi
Don Beppino Caldera
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Assessore alle Politiche Sociali Casalmaggiore
Assessore alla Cultura Casalmaggiore
Migrantes di Trento
CARITAS
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Dibattito
Interventi di :
- Ass. Sinti del Trentino
- Nevo Drom (Trento)
- Ass. Rom del Kossovo
Ore 20.30
Cocktail Tzigano con i Vagane Sinti
29 MAGGIO
Ore 9.00
Quando un’identità significa morte: ricordo dello sterminio Nazista e della ex Jugoslavia
VIDEO-interviste
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Interviste di Carla Osella
Gnugo de Bar
Branko Sulejmanovic
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Presidente Nazionale A.I.Z.O. rom e sinti |
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Conclusioni del convegno |
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Ore 11.00 Inizio cerimonia innalzamento della bandiera romani |
Sen. Alberto Robol |
Reggente Campana dei Caduti |
Dott. Francesco Squarcina
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Commissario di governo |
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Delegazione ufficiale rom e sinti |
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Innalzamento della bandiera del popolo romanì
Inno internazionale rom “Gelem, Gelem” eseguito da Alexian Ta Le Chave
Inno nazionale Italiano
I cento rintocchi di Maria Dolens
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Ore 13.30 Pranzo
Ore 14.30 Chiusura dei lavori
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Dal 24 maggio al 6 giugno verrà allestita la mostra fotografica
“Rom e sinti, il popolo degli uomini” (80 fotografie)
Per informazioni:
011.749.6016 011.740.171 cellulare 348.825.7600
Di Fabrizio (del 21/05/2010 @ 12:23:32, in media, visitato 1978 volte)
Segnalazione di Giancarlo Ranaldi
Video di C6.tv (purtroppo non riesco a caricarlo)
Milano. Sono ormai settimane che il campo rom di Triboniano aspetta di sapere
il suo futuro e per questo gli abitanti di via Barzaghi avevano organizzato un
presidio davanti a Palazzo Marino. Sono le 16.15 quando dal campo nomadi
cento cinquanta persone circa si muovono per raggiungere il Comune. La polizia
blocca il corteo ed effetua una carica di alleggerimento all'angolo di via
Barzaghi. Dopo il primo contatto i rom rientrano al campo barricandosi nelle
loro case. Le forze dell'ordine isolano Triboniano bloccando gli accessi,
impedendo anche ai giornalisti di entrare. Inizialmente da lontano si vedono le
fiamme di una macchina che brucia e un enorme nube nera. In centinaia le forze
dell'ordine in tenuta anti sommossa fronteggiano la situazione. Tre i feriti tra
i rom al termine degli scontri: un bambino con il volto irritato dal gas
lacrimogeno, una bambina di 7 anni colpita da una manganellata al braccio destro
e un uomo colpito alla testa. Quattro i feriti tra gli agenti di plizia. Noi
siamo riusciti, nel tardo pomeriggio, ad accedere e raccogliere alcune
testimonianze dirette degli abitanti. Qui vi proponiamo una PRIMA parte delle
immagini dei disordini e tutte le interviste realizzate nel campo. Tra queste
anche quella di una signora (che ha scelto di non farsi riprendere in viso) che
dall'esterno ha cercato di entrare nel campo rom per portare soccorso ed è stata
bloccata. Servizo di Teo Todeschini (milanox.eu) e Angela Nittoli (c6.tv)
IL
PAESE DELLE DONNE online
di Angelica Bertellini, Eva Rizzin
Edizione speciale della Newsletter di Articolo 3 Osservatorio contro le
discriminazioni di Mantova
Da tempo pensavamo al viaggio ad Auschwitz. Le occasioni sono state molte, ma
non lo abbiamo mai fatto, ognuna di noi per i propri motivi; infine entrambe
abbiamo deciso di partire: il momento era arrivato.
Non abbiamo mai parlato tra noi delle ragioni più profonde che ci hanno
spinte ad andare, come del resto di quelle che ci avevano trattenute dal farlo
in passato, se non per la parte che riguarda la nostra professione, come
consulenti di Articolo 3, l’Osservatorio sulle discriminazioni nato a
Mantova proprio al Tavolo permanente per le celebrazioni del 27 gennaio.
Siamo arrivate ad Auschwitz il primo maggio, con una trentina di altre
persone e il presidente della Comunità ebraica di Mantova e
dell’Osservatorio, Fabio Norsa. Siamo arrivate con l’esperienza del
nostro lavoro – il contrasto alle discriminazioni –, con il nostro passato, ma
soprattutto con quella parte della nostra identità che ci fa appartenere
a minoranze colpite dal nazifascismo.
All’ingresso del campo ci aspettava una guida, a lei abbiamo chiesto di
anticiparci le tappe della visita e, con grande dispiacere, abbiamo appreso che
le aree dedicate al ricordo del Porrajmos o Baro Merape – il
genocidio delle persone sinte e rom – non erano (e non sono)
comprese. Alcune persone hanno mostrato insofferenza: “Guardiamo le cose
principali, non c’è tempo”. La guida non sapeva che fare, noi insistevamo;
“Dovete andare là” e ha indicato un punto che a noi pareva perso nel vuoto, il
campo è grande. Abbiamo iniziato il percorso guidato e dopo un po’ ci è arrivata
una traccia: “Ecco, quelle che cercavano gli ‘zingari’ possono andare al blocco
13, laggiù”.
Anche qui la minoranza sinta e rom resta a margine. Eppure sappiamo che
proprio ad Auschwitz esisteva lo Zigeunerlager, un complesso di baracche
destinate alle famiglie rom e sinte sterminate il 2 agosto 1944. La
liquidazione del lager era stata programmata per il maggio di quell’anno, ma
uno straordinario episodio di resistenza, da parte delle mamme
e dei papà sinti e rom, riuscì – forse per la sua imprevedibilità – a bloccare,
purtroppo solo momentaneamente, il proposito. Queste persone raccolsero le
ultime forze per resistere alle SS, si lanciarono a mani nude o con piccoli
oggetti contro di loro per salvare i bambini: «Abbiamo molte testimonianze anche
di ebrei italiani, che hanno assistito sia allo scoppio della rivolta, sia alla
liquidazione del 2 agosto. Tutti ricordano questi fatti come i più tristi e
tragici [...] perché la presenza dei bambini sinti e rom dava vita all’intero
campo e dopo il 2 agosto non c’era davvero più vita» 1. [1]
Presso il blocco 13 di Auschwitz 1 è stata aperta al pubblico
un’esposizione permanente sul genocidio dei Sinti e Rom. Il progetto è stato
ideato e realizzato sotto la supervisione del Centro culturale e di
documentazione sinti e rom di Germania in collaborazione con il Memoriale di
Auschwitz, l’associazione dei Rom di Polonia e altre organizzazioni rom di vari
paesi. A vederla eravamo in sei, mentre centinaia di persone percorrevano le
stradine in mezzo agli altri blocchi, in silenzio, ognuno con le cuffie
sintonizzate per sentire nella propria lingua spiegazioni e descrizioni: un
aiuto tecnologico che evita di ammassarsi intorno alla guida, di farla parlare
ad alta voce, e permette un ordinato flusso di persone dentro e fuori dai
blocchi. Noi ci siamo dovute staccare dal nostro gruppo, rinunciare a parte
della visita guidata, percorrere le stradine controcorrente, per poterci recare
al blocco 13. Ci hanno seguite Fabio Norsa e Cesare, il compagno di Eva.
Rabbia, angoscia e tristezza: anche lì escluse, esclusi, quasi fosse un
genocidio di secondaria importanza. Nessun altro si è unito, nessuno ha
sentito il bisogno (e il dovere) di includere il blocco 13 nel suo viaggio della
Memoria, come se non lo riguardasse, come se sinti e rom non fossero stati
perseguitati e sterminati per ragioni razziali (a qualche guida sfugge ancora un
“asociali...”).
Questo è un gradino della storia che il nostro Paese ha saltato:
non si può comprendere l’attuale situazione di emarginazione, esclusione e
discriminazione subìta dalle minoranze rom e sinta in Italia se non si comprende
quello che è avvenuto nei secoli più bui, se non si scoprono le radici dell’antiziganismo.
Il genocidio dei sinti e dei rom fa parte della storia di Italia e d’Europa,
tutti abbiamo il dovere di ricordare, perché è la storia di tutti.
Stefano Levi Della Torre lo scorso gennaio, a Mantova, ci diceva a
proposito di un grande scritto di Primo Levi: «La tregua è invece un esplicito
avvertimento per il futuro. La fine dell’orrore più grande è solo una tregua.
Ciò che è stato introdotto irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono,
proprio perché è stato potrà più facilmente prodursi di nuovo». Per i rom e per
i sinti la tregua non c’è mai stata.
Il 10 luglio 2008 il Parlamento europeo ha emanato la
risoluzione sul “censimento dei rom su base etnica in Italia”, che esortava le
autorità italiane ad astenersi dal procedere alla raccolta delle impronte
digitali, in quanto atto di discriminazione diretta su base razziale. Il
censimento, però, era nel frattempo già iniziato e con una schedatura contenente
etnia e credo religioso (newsletter n°4 e Rapporto 2008, p.40). Solo
successivamente è stato bloccato.
Centinaia sono gli sgomberi senza soluzione alternativa avvenuti nella sola
città di Milano, modalità in netto contrasto con la normativa internazionale
(vedi newsletter di Articolo3 n°7/2010). Dal 2008 le regioni Lombardia,
Campania, Lazio, Piemonte e Veneto sono state dichiarate ufficialmente in “stato
d’emergenza in relazione agli insediamenti delle comunità nomadi”. In molte
città italiane alcuni dei cosiddetti ‘campi nomadi’ autorizzati
istituzionalmente sono recintati, video sorvegliati 24h, presidiati da punti di
controllo di entrate e uscite. La vita delle persone rom e sinte è regolamentata
da vere e proprie leggi speciali, i “patti di legalità”. Non sono mancati casi
di cittadini italiani sinti che hanno subìto censimenti etnici nelle proprie
case, costruite su terreni privati (newsletter n°69).
Siamo tornate da Auschwitz con la sensazione profonda di una memoria
mutilata. [n.d.r. v. i Cenni storici di Eva Rizzin
che riportiamo in nota] [2]
La notizia che ci ha accolte al rientro in Italia e al lavoro è stata quella
di un modulo con intestazione di Trenitalia, gruppo Ferrovie
dello Stato, Direzione regionale Lazio, ad uso del personale per rilevare la
frequentazione di una fermata (Salone – Roma), che contiene una nota:
“nella sezione destra della casella indicare anche eventuali viaggiatori di
etnia ROM”. Le Ferrovie hanno inizialmente dichiarato di non averlo mai
utilizzato, come se questo ne cancellasse l’esistenza, e dopo pochi giorni la
direzione ha ammesso l’utilizzo, ma non la responsabilità: sarebbero stati
alcuni non meglio specificati funzionari ad aver preso l’iniziativa; non viene
detto né chi e neppure perché. Treni, binari, schede, etnia... Dentro di noi si
associa, violentemente, l’immagine del binario di Birkenau visto pochi giorni
fa: è così vicino a quel pezzo di terra, la zona B2, su cui rimane solo qualche
camino, dove sorgevano le baracche di legno dello Zigeunerlager.
Questa memoria parziale corrisponde ad una ingiustizia totale, i cui malefici
frutti siamo costretti a cogliere oggi, senza tregua. L’Italia deve fare
i conti con il proprio passato e le istituzioni – politiche e culturali
– devono dare pieno riconoscimento a tutte le persone colpite dal programma di
persecuzione e sterminio nazi-fascista. Nessuno, mai più, deve sentirsi in alcun
modo legittimato a schedare, contare, colpire un’altra persona sulla base della
sua appartenenza.
E nessuno dovrebbe sentirsi libero di ignorare queste vessazioni, ma questo è
un conto che ognuno deve fare con se stesso.
Angelica Bertellini - Laureata in filosofia del diritto
all’Università di Bologna con uno studio sul processo di Norimberga.
Eva Rizzin - Ha conseguito un dottorato di ricerca in
geopolitica all’Università di Trieste sul fenomeno dell’antiziganismo
nell’Europa allargata.
Note
[1]
1. Marcello Pezzetti, docente università di studi sulla
Shoah dello Yad Vashem, in A forza di essere Vento, dvd
documentario curato da Paolo Finzi, A edizioni..
[2]
CENNI STORICI SUL GENOCIDIO DEI ROM E DEI SINTI
Furono più di 500.000 le persone rom e sinte vittime
dello sterminio pianificato e commesso dal nazi-fascismo.
Questa è una storia spesso dimenticata e per lungo tempo
narrata con omissioni o imprecisioni. I sinti e i rom furono
perseguitati su base razziale: molti di loro furono
classificati come ‘asociali’ (era il triangolo nero quello
che nei lager contrassegnava le persone che, nella teoria
nazista, venivano definite tali), ma in realtà, come scrive
Giovanna Boursier, “furono perseguitati, imprigionati,
seviziati, sterilizzati, utilizzati per esperimenti medici,
gasati nelle camere a gas dei campi di sterminio, perché
“zingari”, e secondo l’ideologia nazista, razza inferiore,
indegna d’esistere” [Boursier 1995]. Il triangolo di colore
marrone identificava questa “razza”. In Italia solo di
recente, grazie agli studi di storici come Boursier e Luca
Bravi, è stata intrapresa una rigorosa ricerca su questa
tragedia, per troppo tempo taciuta.
La cosiddetta asocialità venne attribuita alla popolazione
rom e sinta sulla base di presunti studi nazisti, che la
volevano connessa al ‘gene dell’istinto al nomadismo’, il
Wandertrieb, e molti scienziati – tra i quali ricordiamo
Robert Ritter (psichiatra infantile), la sua assistente Eva
Justin e, non da ultimo, il famigerato dottor Mengele, che
aveva il suo studio proprio accanto allo Zigeunerlager così
da accedere agevolmente ai bambini per i suoi esperimenti –
si impegnarono in attente ricerche volte a dimostrare questa
ributtante teoria. «La presenza di questo gene nel sangue è
la dimostrazione che questi zingari sono esseri
irrecuperabili», sostenne Eva Justin nella sua tesi di
laurea, e da questo assunto prese l’avvio la seconda parte
del ‘programma’, ossia la distinzione e separazione tra
‘puri’ ed ‘impuri’. I ‘puri’, il 10% circa, erano quelli da
salvaguardare perché vivendo ancora allo ‘stadio primitivo’
– come sostenevano i nazisti – rappresentavano un patrimonio
antropologico da preservare. I mischlinge, i misti,
risultarono invece essere gli elementi più pericolosi, non
solo perché portatori di un’ulteriore anomalia – e quindi
un’imperfezione – ma anche perché, ritenendoli meno facili
da individuare, rappresentavano un rischio maggiore di
contaminazione. I nazisti presero così la decisione di
eliminarli, una decisione dettata da motivazioni
esclusivamente razziali.
Talvolta penso che se avessi avuto la sfortuna di nascere
in quell’epoca le mie sorti, forse, sarebbero state fra le
peggiori, visto che anche io sono una ‘meticcia’.
Dopo lo sterminio dei rom e dei sinti, il dottor Robert
Ritter, che fu a capo delle ricerche scientifiche che
portarono allo sterminio tornò indisturbato ad esercitare la
sua professione come psichiatra infantile. Fu anche lodato
dal nuovo governo tedesco per la sua profonda conoscenza in
fatto di rom e sinti. Eva Justin, assistente di Robert
Ritter, fu processata ed assolta.
Una sola guardia semplice di Auschwitz è stata condannata
per crimini contro i sinti e i rom.
Il riconoscimento dello status di vittime della persecuzione
nazi-fascista e la conseguente possibilità di ottenere i
risarcimenti previsti sono state per lungo tempo ostacolati,
quando non impediti. Il governo tedesco riconobbe soltanto
nel 1980 che i rom e i sinti avevano subìto una persecuzione
su base razziale.
La persecuzione fascista
I campi di concentramento non furono solamente un
fenomeno nazista, ma anche fascista italiano, su questo
penso sia importante riflettere.
Il nostro paese, l’Italia, assieme alla Germania nazista si
rese responsabile della concentrazione, deportazione e
sterminio di centinaia di migliaia di rom e sinti.
Non molti sanno che anche in Italia c’erano i campi di
internamento dove i sinti e i rom furono imprigionati e che
erano più di 50 (Agnone, Arbe, Boiano, Cosenza,
Perdasdefogu, Frignano, Tossicia, Le Isole Tremiti,
Vinchiatauro) .
Anche nella mia regione, il Friuli, c’è ne erano due: a
Gonars e a Visco, in provincia di Udine. I campi rientravano
in un’operazione pensata scientificamente, definita in ogni
dettaglio organizzativo, di pulizia etnica nella ex
Jugoslavia e di italianizzazione dell’area oggi compresa tra
Slovenia e Croazia, autorizzata personalmente da Mussolini
durante un incontro appositamente organizzato a Gorizia nel
1941. Il campo di concentramento e di sterminio di Gonars
era stato pensato inizialmente per i militari russi, ma alla
fine vi trovarono la morte anche civili sloveni tra i quali
anche molti rom e sinti – principalmente dell’area di
Lubiana – e croati [Kersevan, 2003].
Noi non ne parliamo
Molti appartenenti alla mia famiglia durante l’epoca
nazi-fascista furono perseguitati e costretti ad emigrare.
Durante la stesura della mia tesi di laurea, una tesi
inerente alla cultura della mia comunità, pensai di scrivere
un capitolo sul genocidio, cercando di raccogliere alcune
testimonianze di familiari che subirono il dramma delle
persecuzione, come la zia che avevo deciso di intervistare.
Quell’intervista non si realizzò mai: parlare dei morti non
era buona cosa, mi rispose che dei morti bisogna avere
rispetto e che quindi non si poteva e non si doveva
parlarne.
Mi trovai a vivere un forte conflitto: da una parte c’era
l’esigenza di ricordare, di raccogliere le testimonianze, di
scrivere quelle pagine vergognose della nostra storia;
dall’altra dovevo rispettare la mia cultura, ricordare il
genocidio avrebbe significato anche affrontare il delicato
tema della morte, una realtà considerata sacra all’interno
della mia comunità, aspetto di fronte al quale bisogna
mostrare il più autentico e doveroso riguardo, un rispetto
che si concretizza con il silenzio.
Il rispetto dei morti per noi sinti è uno degli aspetti
fondamentali della nostra credenza religiosa e visto che il
momento della morte rappresenta una situazione molto
delicata, molte volte si preferisce non parlarne.
Ci tengo a sottolineare che questa è stata l’esperienza
della mia comunità: non vale quindi per tutti i sinti e rom,
molti sono quelli che oggi hanno deciso di raccontare.
Spesso il termine Porrajmos, traducibile come ‘divoramento’,
viene utilizzato per indicare la persecuzione e lo sterminio
dei rom e dei sinti, molti però sono i sinti che non si
riconoscono in questo termine, tant’è che parecchi ne
ignorano il significato e quando parlano del genocidio
utilizzano il termine Baro Merape che il lingua
ròmanes/sinto significa grande morte, sterminio.
Il genocidio dei sinti e dei rom meriterebbe un pieno
riconoscimento commisurato alla gravità dei crimini
commessi. E’ vergognoso, ad esempio, che nell’ex campo di
internamento di Lety u Pisku (Boemia del sud, attuale
repubblica Ceca) – dove i rom e i sinti subirono torture
feroci identiche ai lager tedeschi – sia stata costruita
un’azienda di allevamento suino, anziché un degno memoriale.
Nella risoluzione del 27 gennaio 2005 emanata dal Parlamento
Europeo si invitano la Commissione Europea e le autorità
competenti ad adottare tutte le misure necessarie per
rimuovere tale azienda. Una risoluzione questa che condanna
le opinioni revisioniste e la negazione del genocidio come
vergognose e contrarie alla verità storica ed esprime
preoccupazione per l’aumento di partiti estremisti e
xenofobi e la crescente accettazione delle loro opinioni da
parte dei cittadini.
I recenti fatti nazionali dimostrano che il sentimento
anti-rom, e i numerosi pregiudizi razziali che stanno
investendo massicciamente l’Italia, rappresentano una
gravissima minaccia non solo per i sinti e per i rom, ma
anche per i valori europei e internazionali della
democrazia, dei diritti dell’uomo e dello stato di diritto e
pertanto per la sicurezza di tutti in Europa.
Per l’Unione Europea il 2007 e il 2008 dovevano essere
rispettivamente l’anno delle pari opportunità e del dialogo
interculturale, dovevano essere anni fondamentali per
promuovere la percezione della diversità come fonte di
vitalità socioeconomica, una grande occasione per cambiare
la percezione generale che si ha delle comunità rom e sinte.
Questi anni verranno invece ricordati dai sinti e i rom come
gli anni in cui l’insofferenza diffusa, la violenza e
l’intolleranza contro il diverso, l’immigrato, lo ‘zingaro’
hanno assunto i connotati espliciti della xenofobia e del
razzismo. Per noi rimarranno gli anni delle schedature,
degli sgomberi, dei commissari speciali e delle impronte
digitali. La marginalizzazione dei rom e dei sinti ha
attraversato i secoli, dalle violente persecuzioni di ieri
alla ghettizzazione imperante di oggi, passando per lo
sterminio, dimenticato, della seconda guerra mondiale. La
nostra cultura è riuscita a sopravvivere a secoli di
persecuzioni. Io non mi stanco di credere nella possibilità
di una società che rispetti le differenze, che le tuteli le
minoranze come patrimonio fondante di tutti e di tutte.
La memoria del genocidio dei rom e sinti è essenziale in
questo processo di presa di coscienza sociale, poiché fa
parte della storia comune.
Non suoni questo superfluo o retorico, in quanto la
rimozione della memoria e il revisionismo sono spesso il
primo passo verso nuove catastrofi.
Eva Rizzin
Bibliografia minima:
Boursier G., Lo sterminio degli zingari
durante la seconda guerra mondiale, in Studi storici n.2,
Roma, 1995
Boursier G., Gli zingari nell’Italia
fascista, in Italia Romaní, vol.1, a c. d. L. Piasere, Roma,
1996
Boursier G., La persecuzione degli zingari
nell’Italia fascista, in Studi storici, n.4, Roma, 1996
Boursier G., Zingari internati durante il
fascismo, in Italia Romaní, vol.2, a c. d. L. Piasere, Roma,
1999
Boursier G., Rom e sinti sotto nazismo e
fascismo, in Rivista anarchica, n°319, a 36, 2006
Bravi L., Altre tracce sul sentiero per
Auschwitz, Roma, 2002
Bravi L.,Rom e non-zingari. Vicende
storiche e pratiche rieducative sotto il regime
fascista,Roma, 2007
Bravi L., Tra inclusione ed esclusione. Una
storia sociale dell’educazione dei rom e dei sinti in
Italia, Milano, 2009
Kersevan A, Un campo di concentramento
fascista. Gonars 1942 – 1943, Udine, 2003
Williams P., Noi non ne parliamo. I vivi e
i morti tra i Manuš, Roma, 2003 _ Porrajmos. Altre tracce
sul sentiero per Auschwitz, mostra documentale curata
dall’Istituto di cultura sinta, scaricabile all’indirizzo
www.nevodrom.it
A forza di essere Vento, dvd documentario curato da
Paolo Finzi, A edizioni
Sul web: Porrajmos La persecuzione e lo sterminio
nazifascista dei Rom e dei Sinti, audio documentario
prodotto da Opera Nomadi e Radioparole, (2004):
http://www.radioparole.it/porrajmos...
University of Minnesota Driven to discover, a c. d. Ian
F. Hancock:
http://www.chgs.umn.edu/histories/v...
Di Fabrizio (del 22/05/2010 @ 09:01:21, in casa, visitato 1785 volte)
Negli ultimi anni, le autorità
italiane hanno adottato una serie di misure discriminatorie, che hanno
contribuito alla stigmatizzazione dei rom residenti nel paese. Gli sgomberi
forzati sono diventati più frequenti dopo la conclusione di accordi in materia
di sicurezza tra il governo centrale e le municipalità, a seguito dei quali
alcuni poteri sono stati trasferiti dal ministero dell'Interno alle autorità
locali.
Nell'ambito della sua campagna "Io pretendo dignità", Amnesty International
www.amnesty.it
chiede ai governi di prendere tutte le misure necessarie, compresa l'adozione di
leggi e procedure in linea col diritto internazionale dei diritti umani, per
proibire e prevenire gli sgomberi forzati.
Per chiarire l'argomento sabato 29 maggio alle ore 21.00 all'Auditorium 'Aldo
Moro' (Viale Santuario 13) di Saronno si terrà un incontro di
approfondimento sul 'Piano Nomadi' varato dal Governo nella capitale. Verranno
analizzati anche gli sgomberi in corso nella città di Milano e sarà presentata
la situazione dei rom e sinti nel resto d'Europa. Verrà trattata la questione
importante della comunicazione nei mezzi di informazione e si discuterà di quali
risposte potrebbero essere fornite dalle politiche pubbliche in merito
all'accesso al lavoro e alle questioni abitative.
Introduce e modera l’incontro:
- Davide Franchi, responsabile gruppo 135
Saronno Amnesty International.
Intervengono:
- Alessandra Meloni – Coordinatrice per il diritto
all’abitare Amnesty International Sezione Italiana;
- Dijana Pavlovic –
Federazione Rom e Sinti insieme;
- Fabrizio Casavola – Redazione Mahalla;
- Saranno presenti testimoni rom che hanno subito l’esperienza degli sgomberi
forzati.
Nel corso della serata verranno proiettati dei filmati.
Ingresso libero
Per informazioni:
gr135@amnesty.it
Cell: 3479282282
L'appuntamento su
Facebook
Di Fabrizio (del 22/05/2010 @ 09:11:07, in Regole, visitato 1595 volte)
In seguito ad alcuni commenti di amici su Facebook, e a questo articolo del Corriere, volevo fare alcune considerazioni a mente fredda sui fatti del Triboniano di due giorni fa:
La storia di Triboniano, come polveriera sempre pronta ed esplodere, risale indietro negli anni. Non può essere liquidata da un articolo di giornale.
I Rom PROTESTANO, occorre ricordarlo, perché da un anno quegli stessi giornali riportano notizie sul fatto che devono andarsene, ma ancora nessuno ha scritto quando, come e dove. Alcuni di loro sono a Milano da 10/15 anni, abbastanza da NON ACCETTARE di essere trattati come pacchi postali. Magari possono essere stati strumentalizzati, ma che scelta avevano? Interpretando le cronache odierne: ALCUNI COMPONENTI dei centri sociali (metterli tutti nello stesso calderone aumenta la confusione) hanno un rapporto decennale col Triboniano, quasi dello stesso periodo la presenza di Casa della Carità, prima su base volontaria e poi istituzionale. Se Casa della Carità ha da sempre perseguito il rapporto col comune, individuandolo come un interlocutore NECESSARIO per affrontare i problemi, "i centri sociali" individuano nei Rom i soggetti da sempre vittime della VIOLENZA delle istituzione. Quindi, due posizioni tra loro inconciliabili. I Rom di Triboniano vivono queste due spinte opposte in maniera ambivalente, rivolgendosi da sempre ora a questo ora a quello, col rischio perenne di finire come CARNE DA CANNONE dei diversi equilibrismi politici. Nel merito: la proposta che loro hanno fatto al Comune (di cui non trovo traccia nelle recenti cronache), e che era alla base del presidio di ieri, era: "Tramite i fondi europei stanziati per le comunità rom e gestiti dal Comune la concessione di aree abbandonate dentro il territorio del comune di Milano, autorecuperabili a costo zero, e garantendo la continuità scolastica ai bambini." Una proposta che se il Comune volesse mantenere le proposte di chiudere i campi per integrare gli occupanti, POTREBBE TRANQUILLAMENTE DISCUTERE (non ho scritto "accettare", ma "discutere"), e che mi ricordo era già stata avanzata più di 10 anni fa da Carlo Cuomo. Ma evidentemente è più facile sgomberare i campi e caricare gli occupanti se questi protestano. Certo, non si può più pretendere che la cosa passi sotto silenzio, ma bisogna allora fare in modo che gli aggrediti passino per aggressori.
Riguardo alla questione se il presidio avesse o no un'autorizzazione: Secondo me: in seguito a regolare richiesta, è stato fatto intendere (ma non in maniera chiara), che il presidio fosse autorizzato. Visto la risposta di massa, la polizia si è mostrata pronta a caricare (evidentemente allertata) per due ragioni: 1) Un presidio di 4 gatti poteva essere tollerato ed ignorato, non altrettanto centinaia di persone (Rom e gagé uniti) in piazza Scala. Troppe, per la pace sociale che deve regnare su Milano. 2) In questa maniera, non solo ai Rom veniva fatto capire che a loro era vietato manifestare, ma anche che i destinatari delle manganellate erano proprio loro, e non i loro amici gagé dei centri sociali. Insomma, un modo pratico per dividerli.
Cosa può succedere adesso: temo che il comune cercherà un'altra prova di forza (per sgomberare PARZIALMENTE il campo) ad agosto, quando i vari paladini sono al mare. Casa della Carità, nonostante le minacce di ritirarsi dalla gestione del campo, non lo farà e cercherà di alzare il prezzo della propria collaborazione. I "centri sociali" cercheranno nuovi momenti di contrapposizione, ma bisognerà vedere se i Rom li seguiranno ancora: dipende se il comune riuscirà ad uscire dalle parole d'ordine di repressione e sicurezza, per proporre soluzioni magari impopolari ma realistiche.
Rimane il fatto che per tutti il tempo stringe (a giugno potrebbero iniziare i primi trasferimenti) e con un'amministrazione cieca e sorda la soluzione non può risiedere nell'ennesimo convegno.
Di Fabrizio (del 23/05/2010 @ 09:03:32, in casa, visitato 1752 volte)
Varese News - Martedì 18 Maggio 2010 14:51 Valeria
Deste
Il comune: il tempo è scaduto GALLARATE - Il campo sinti in via Lazzaretto sta per essere smantellato.
Pare proprio che per fine giugno gli occupanti saranno sfrattati dal suolo
comunale. La zona, visibile dall'alto percorrendo il tratto autostradale
Gallarate-Varese, conta 16 nuclei familiari, circa 50 tra bambini e
ragazzini, dai 3 mesi ai 16 anni, e 5 o 6 anziani.
Ogni famiglia è più o meno composta da circa 6 persone; in totale
si contano 15 case mobili e 1 roulotte. Per circa 20 anni i sinti
italiani di Gallarate erano dislocati a Madonna di Campagna, poi sono stati
trasferiti in via De Magri, e da 3 anni si trovano al numero 50 di via Lazaretto.
UN CAMPO AD HOC
L'area a loro adibita, oggi appariva ordinata e pulita. Diversi bambini
giocavano con la sabbia o si dondolavano sopra altalene in plastica. Le
donne stavano cucinando e gli uomini chiacchieravano sul percorso asfaltato
che mette in comunicazione le varie abitazioni. Alcuni di loro si sono
costruiti verande, altri piccoli cortiletti in erba. I presenti sono educati
e cordiali e dicono no allo sfratto.
LE MOTIVAZIONI
"Siamo sinti italiani, a Gallarate da sempre". Questo è ciò che
ribadiscono, presentando la signora più anziana del campo che ha 72 anni e
un volto particolarmente segnato dal proprio vissuto. "C'è gente che ha
realmente bisogno di una casa – rispondono all'alternativa, proposta
dall'amministrazione comunale, relativa all'assegnazione di case popolari -.
Noi le nostre case mobili le abbiamo, sono dei mini appartamenti.
Paghiamo l'affitto di un euro al mese per metro quadro e vogliamo poter
conservare le nostre tradizioni e la nostra cultura". Pare che la
proposta di una soluzione abitativa fissa e in cemento non sia condivisa
dalla comunità. "Siamo stati a casa di amici, non cambieremmo mai la nostra
dimora". E di fronte all`ipotesi di spostarsi in un altro comune, loro
rispondono: "Non e` questa la soluzione. I sinti sono in tutta Italia, solo
qui a Gallarate ci sono problemi. Mandarci in un`altro comune significa
scaricare la problematica a carico di un`altro sindaco". I disagi che
sottolineano, relativi al trasloco sono soprattutto legati ai più
piccoli: "Spostandoci di nuovo, i bambini non potrebbero più frequentare le
loro scuole. Se al comune serve l'area che ce ne dia, però, un'altra sempre
pagando l'affitto". L'appello che fanno è rivolto al sindaco:"Che si
metta una mano sul cuore. I sinti ci sono in tutta Italia, solo a Gallarate
ci contestano. Paghiamo anche l'acqua e il gas, non diamo fastidio a nessuno.
Lavoriamo in nero, raccogliendo il ferro, e ci automanteniamo".
UNA CAUSA APERTA
La comunità racconta di avere un avvocato di fiducia che ha aperto una
causa contro la decisione di sfratto dell'amministrazione Mucci. "Lo sfratto
di un campo nomadi non si è mai visto. Non sappiamo come andrà a finire.
Non sappiamo ancora nulla da parte del nostro avvocato, al momento tutto è
in mano al giudice. Abbiamo l'appoggio anche di qualche
associazione locale: speriamo in bene".
Di Fabrizio (del 23/05/2010 @ 09:15:59, in casa, visitato 2479 volte)
Segnalazione di Stojanovic Vojislav
Serana Potenza, al
centro, e i ragazzi con i quali ha realizzato lo striscione di benvenuto
alla famiglia rom -
Repubblica Palermo
Iniziativa del Partito democratico a favore dei rom che andranno ad
abitare in un alloggio confiscato alla mafia. È la stessa famiglia che il mese
scorso non aveva potuto prendere possesso di un altro appartamento perché
sgradita ai residenti
"Benvenuti! La Quarta circoscrizione è contro il razzismo". Sarà questa la
scritta dello striscione che il Partito democratico, su iniziativa della
capogruppo Serena Potenza, appenderà sulla facciata del palazzo di corso Catalafimi dove nei prossimi giorni andrà ad abitare una famiglia rom. È la
stessa famiglia alla quale il mese scorso era stato assegnato un appartamento
confiscato alla mafia in via Bonanno. Ma gli inquilini del palazzo si
ribellarono e la consegna dell'alloggio saltò.
Ora la nuova assegnazioni, sempre di un appartamento confiscato a Cosa nostra.
Lo striscione vuole essere una risposta ai cartelli "Palermo ai palermitani",
esposti nei giorni scorsi dai condomini di via Bonanno, nella zona "bene" di
Palermo.
(20 maggio 2010)
Di Fabrizio (del 24/05/2010 @ 09:35:49, in casa, visitato 1609 volte)
Da
Hungarian_Roma
immagine tratta da
fn.hu
Cari amici,
- Tenendo conto che è passato oltre un anno dall'ondata di omicidi contro
i Rom in Ungheria e niente è stato fatto per i parenti delle vittime,
- Testimoniando il loro dolore quotidiano e le difficoltà,
- Sapendo che mai hanno ricevuto un aiuto psicologico professionale,
Abbiamo dato inizio ad un'azione di solidarietà civile!
Le famiglie delle vittime devono vivere in case semi-distrutte che hanno
visto l'assassinio a sangue freddo dei loro cari ...
Così abbiamo deciso di costruire nuove case per loro, per rendere le loro
vite sopportabili.
Adesso stiamo ricostruendo la casa della famiglia del piccolo Robert Csorba a
Tatárszentgyörgy.
L'azione di ricostruzione [...] è partita dal 16 marzo a Tatárszentgyörgy.
L'organizzazione tedesca Verband Deutscher Sinti und Roma, i volontari
internazionali di International Bau Orden (IBO) e l'associazione Rom
Indipendente Phralipe di Budapest stanno progredendo rapidamente nella
ricostruzione della casa della famiglia Csorba. Sono state rimpiazzate porte e
finestre, è stato dato il cemento ai muri per l'isolamento.
Ma c'è ancora molto da fare ed abbiamo bisogno del vostro aiuto.
Abbiamo aperto un conto bancario apposito per ricevere le vostre donazioni:
Phralipe Független Cigány Szervezet (1084 Budapest, Tavaszmező 6.) OTP Bank IBAN – HU56-11706016- 20825070-00000000 SWIFT: OTPVHUHB
Vi saremmo anche grati per donazioni di materiale edile o per la
partecipazione volontaria diretta!
La prossima tranche di lavori partirà a luglio.
Agite, donate, unitevi a noi! Facciamolo assieme! Ricostruiamo un senso di
speranza in Ungheria!
SOLO LA SOLIDARIETA' PUO' ALLEVIARE IL DISPIACERE!
Ágnes Daróczi
Phralipe
daroczia@mmikl.hu
+36 30 21 27 521
La Federazione romanì tra tanto altro si è posta l'obiettivo di promuovere una politica per la cultura romanì e di riconoscere e valorizzare le professionalità romanì con la finalità di diffondere la conoscenza della cultura e della lingua romanès o romanì chib.
Dal mese di settembre 2010 prenderà il via il primo corso di lingua romanès standard, oggi la Federazione romanì comunica l'avvio di un progetto editoriale “O romanò gi” (l'anima romanì), saggi di letteratura romanì, anche strumento pedagogico del corso di lingua.
Un’opera che vuole essere anche un’antologia letteraria e un valido strumento educativo e divulgativo.
Tanti hanno letto, commentato ed analizzato le opere di autori Rom, Sinti, Kale, Manouches e Romanichals viventi e non, e da questo lavoro di studio ed analisi sono nati dei saggi critici riguardanti la letteratura romaní.
Si tratta di un analisi sui testi in lingua romanì nei diversi dialetti in cui si ramifica la romanì chib, la lingua romanì o romanès, la lingua di tutte le comunità appartenenti alla popolazione romanì, una popolazione indo-ariana che treae origine dalle regioni a Nord-Ovest dell’India (Punjab, Rajasthan, Valle del Sindh, Pakisthan).
Il progetto editoriale “O romanò gi” porta all'attenzione del lettore i commenti, le analisi, le critiche delle opere di autori rom, sinti, kalè, manouches, romanichels viventi e non.
Un progetto editoriale ambizioso, originale ed innovativo per la diffusione della conoscenza della cultura e la lingua romanì.
Un progetto editoriale dal costo sostenibile per la sua realizzazione, avendo già raccolto e sistemato il materiale, e che vogliamo realizzare con il sostegno volontario di tutti coloro che credono nell'interculturalità.
I sostenitori di questo progetto editoriale saranno mensionati nell'operra, che riceveranno in omaggio. Contributi a sostegno di questa iniziativa possono essere inviati al codice IBAN: IT 20 O 05387 03204 000001892874 intestato a Federazione romanì, causale: Progetto editoriale. Per informazioni inviare email a: federazioneromani@libero.it
La letteratura romanì
La letteratura romaní, in modo particolare la poesia, è piena di singolari bellezze primitive, di delicato calore umano, di rara fantasia selvaggia che non si può misurare in nessun altro metro se non nella lingua romaní stessa.
La letteratura romaní è lo specchio fedelissimo del sentimento di un popolo oppresso nell'anima la cui voce si eleva al cielo per chiedere giustizia.
Le diverse varianti della stessa lingua rappresentano la ricchezza culturale di un popolo che ha saputo conservare, nel tempo e nello spazio, i suoi tratti essenziali traendo linfa dall’ambiente circostanze e dagli scambi artistici, culturali e linguistici con i popoli che via via ha incontrato lungo il viaggio dalle regioni indiane fino all’Occidente passando per la Persia, l’Armenia e l’Impero Bizantino e attraverso le disumane deportazioni con i popoli delle Americhe e dell’ Australia.
Questi saggi permettono di penetrare “ O Romano Gi”, l’anima dei Rom, Sinti, Kale, Manouches e Romanichals, i cinque grandi gruppi che con le loro infinite comunità costituiscono di fatto la nazione romanì senza Stato e senza territorio dove i confini sono rappresentati proprio dall’estensione sui cinque Continenti della lingua romanì.
La letteratura romaní nasce in Serbia grazie a Gina Ranij©i© (nata verso il 1830), le cui poesie furono raccolte nel libro Canti Zingari pubblicato in Svezia nel 1864. È una voce isolata.
Nell’Unione Sovietica nel 1925, nasce invece un vero e proprio movimento letterario romanò: si iniziò la pubblicazione del periodico Nevo Drom (nuovo cammino) in lingua romaní da parte di un gruppo di Rom russi che si erano riuniti in una associazione. Sempre in Unione Sovietica nel 1931 fu fondato a Mosca il celebre teatro Romen, tutt’ora esistente, grazie a Anatole Vasilievi© Luna©arskij, inaugurato con un’opera di Alexandr Vie©eslavovi© Germano (1893-1956), il precursore della letteratura romaní in Russia.
Bronislawa Wajs detta “Papùshka” è una figura mitica nel moderno panorama letterario romanó.
Nacque in Polonia nel 1910 in una famiglia girovaga.
Papùshka rappresenta per la letteratura romaní quello che il grande Django (Jean Baptiste Reinhardt) rappresenta per la musica: un’artista autodidatta straordinariamente geniale, capace di lasciare agli uomini un’enorme ricchezza umana e culturale, prima che artistica.
Papùshka fu una grande risorsa di forza e di speranza per i Rom durante la II° guerra Mondiale. Profondamente toccante è la poesia “Lacrime di Sangue” composta per le vittime del folle genocidio romanó ad opera dei nazi-fascisti.
Le sue opere, racchiuse in una trentina di collezioni, furono raccolte e pubblicate per la prima volta nel 1956 col titolo Canto di Papùshka dallo scrittore polacco Jerzy Ficowski in versione bilingue Romaní-Polacco.
La sua produzione artistica è essenzialmente legata alla sua esistenza e al legame con la natura, alla sua romanipé.
Il suo pensiero fu originariamente interpolato e manipolato da Ficowski tanto che fu isolata dalla sua comunità. Delusa e amareggiata, Papùshka brucishk parte dei suoi componimenti letterari.
Visse gli ultimi anni di vita malata e sola, morì nel febbraio del 1987. Dalla sua storia personale lo scrittore Colum McCann ha tratto ispirazione per il romanzo Zoli edito in Italia dalla Rizzoli nel 2007.
John Bunyan (1618-1688) è autore del famoso The Pilgrim's Progress, un classico della letteratura inglese ed era un Romanichal.
La grande produzione letteraria romaní trova il suo pieno sviluppo soprattutto nella seconda metà del novecento e, in particolar modo, negli ultimi trent’anni grazie alla produzione letteraria di autori con una statura artistica internazionale come: Slobodan Berberski (1919-1989) autore di una decina di raccolte, Rajko Diuri© (di origine serba, oggi vive in Germania), Joseph Daroczy detto “Choli” (Ungheria), Nagy Gustav (Ungheria), Bari Karoly (Ungheria), Leksa Manushk, al secolo Alexandr Belugin (Russia, 1942-1997), Matéo Maximoff (Francia, 1917-1999), Veijo Baltzar (Finlandia), Alija Krasnici (Kossovo), Jorge F. Bernal detto “Lòlo” (Argentina), Jimmie Storey (Australia), Lumini†a Mihai Cioabæ (Romania), Margarita Reisnerovà (originaria della Repubblica Ceca, oggi vive in Belgio), Rostas-Farkas György (Ungheria).
In Italia ricordiamo Santino Spinelli, Olimpio Cari, Nada Braidich, Paola Schöps, Bruno Morelli, Spatzo Vittorio Mayer Pasquali, Giulia Di Rocco, Demir Mustafa e lo scomparso Rasim Sejdi© di origine serba (1943-1981), ecc.
L’uso scritto della lingua romaní, tramandato per dieci secoli e fino a pochi decenni fa solo oralmente, è un dato importante: la forte e sicura presa di coscienza porta gli scrittori Rom, Sinti, Manouches, Romanichals e Kalé a cercare il posto che gli compete nelle moderne società rifiutando lo storico e riduttivo ruolo di “liberi emarginati”, quale riflesso delle politiche di annientamento della cultura romaní.
Sono loro i pionieri eroici della possibilità di esistere senza dover essere né assimilati, né emarginati, ma soggetti attivi e liberi di esprimere le proprie specificità culturali in seno alle società ospitanti.
Lo scrittore romanó si affaccia sulla pagina a specchiarsi ed è proprio il netto contrasto fra le immagini negative stereotipate esterne e la propria interiorità che provoca incertezza e sbalordimento, ma al tempo stesso determina una maggiore presa di coscienza della propria identità.
E l’ostinata ricerca d’identità è al tempo stesso ricerca di una mitologia romaní.
Allo specchio della pagina gli stessi letterati chiedono di più di un fedele riflesso.
Su di essa si affacciano desideri inespressi, preghiere, incantesimi, volontà di partecipazione che trovano realizzazione nella parola.
Ogni pagina, ogni poesia è un diario, una trascrizione di vita, un’epitome di esperienze vissute.
Pur nelle loro differenze stilistiche e contenutistiche nella letteratura romanì si possono rimarcare delle caratteristiche costanti come:
- l’immediatezza, dovuta alla necessità di stabilire un punto di contatto con gli altri per comunicare;
- l’essenzialità del linguaggio, per essere sicuri di non essere fraintesi e per eliminare la frustrazione di non essere capiti;
- la spontaneità, per sottolineare le proprie buone intenzioni;
- la semplicità, in cui si riflette la desolazione della realtà circostante e il proprio sereno distacco;
- l’uso di ritmi e musicalità, dovuti all’esigenza di rilevare un’emozione direttamente.
Le opere romanès paiono dar luogo ad una lunga ed ordinaria conversazione per rompere il mortale silenzio, per scacciare la solitudine causata dalla mancanza di comunicazione.
Sono prodotti artistici vivi, genuini, spontanei con una profonda considerazione dei valori umani, soprattutto l’amore per la vita è grande nonostante le sofferenze e le incomprensioni.
I temi sono quelli che riguardano l’uomo universalmente, come ad indicare che esiste un solo essere, quello umano, seppur con tante diverse culture.
Sono temi che vanno dal dolore del vivere all’amore, alla famiglia, dalla relazione con il Gagio (non Rom), alla condizione femminile, dall’emarginazione alla festa religiosa passando attraverso una ricca simbologia, come l’albero, il bosco, l’uccello, la pioggia, le stelle. L’albero è simbolo della vita, di fertilità. Il ©iriklò (l’uccello) è l’anima del poeta, la gioventù, il viaggio, la libertà. Il bosco rappresenta la sicurezza, la famiglia, la creatività.
La pioggia è simbolo di pensieri e di emozioni nascosti.
Le stelle rappresentano il subconscio, ma anche un barlume di luce in un mondo ottuso e oscuro.
La ricchezza della cultura romaní consiste proprio nella multipla capacità di espressione e nelle varianti linguistiche maturate in differenti regioni del mondo che esprimono la medesima comune sensibilità in sfumature prismatiche.
La letteratura romaní, in modo particolare la poesia, è piena di singolari bellezze primitive, di delicato calore umano, di rara fantasia selvaggia che non si pushk misurare in nessun altro metro se non nella lingua romaní stessa.
L'anelito supremo ad armonizzarsi e ad identificarsi con la natura libera il poeta da qualsiasi asservilismo materialistico riportando così l'animo umano al candore primitivo.
Ogni membro appartenente alla comunità romaní è figlio del dolore e dell’incomprensione, ogni poeta è cantore della sofferenza, ogni canto è un intenso lamento però mai disgiunto dalla speranza.
Forte è nel popolo romanó il senso del riscatto e della ribellione, dell'amore e della pace, della fratellanza e della libertà.
Neanche la morte è vista con orrore, ma piuttosto come un mezzo per esorcizzare gli eventi della vita.
La letteratura romaní è lo specchio fedelissimo del sentimento di un popolo oppresso nell'anima la cui voce si eleva al cielo per chiedere giustizia.
Federazione romani – il presidente Nazzareno Guarnieri
Federazione romanì sede legale: Via Altavilla Irpina n. 34 – 00177 ROMA codice fiscale 97322590585 - tel. E fax 0664829795 email: federazioneromani@libero.it Web: http://federazioneromani.wordpress.com Presidenza 3277393570 - Coordinamento 3331486005 - Segreteria 3483915709
Di Fabrizio (del 24/05/2010 @ 12:21:22, in media, visitato 1918 volte)
Finite le violenze dopo gli scontri nel campo di Triboniano,
è già iniziata la guerra sporca dell'informazione. Domenica pomeriggio era
previsto un incontro tra gli abitanti del campo e gli antirazzisti, al campo
stesso. Domenica sera ricevo questa breve mail dalla Federazione Anarchica
Torinese:
Milano. La polizia impedisce l’assemblea e porta via gli antirazzisti
Domenica 23 maggio. La polizia sta cercando di impedire l’assemblea al campo rom
di via Triboniano. Dopo le violente cariche
http://piemonte.indymedia.org/article/8837 di giovedì 20 gli abitanti della
baraccopoli alle spalle del cimitero maggiore avevano deciso di fare oggi
un’assemblea. La polizia ha bloccato l’ingresso, imprigionando gli abitanti
all’interno dell’area del campo. Gli antirazzisti sono stati tenuti lontani e poi portati via di peso dalla polizia.
Uno dei loro ha cercato invano di resistere, gridando a chi lo allontanava con
la forza “fascisti!”.
Difficile trovare una definizione migliore per quanto sta accadendo.
Persino riunirsi in assemblea e discutere è vietato. Se sei rom, povero devi
tacere ed accettare in silenzio la deportazione.
Quella che stanno rubando ai rom di Triboniano è la dignità e la libertà di noi
tutti.
Seguiranno aggiornamenti.
Sorprendete, per chi ha letto sopra, la ricostruzione del
Giornale:
Blitz degli autonomi: ma neanche i nomadi li stanno ad ascoltare
di Enrico Silvestri I no global provano a sfondare i cordoni della polizia.
Poi chiedono ai rom un incontro al Torchiera: disertato
Anche ieri Triboniano è finito sotto assedio, causa Centri sociali in missione
di agit-prop al campo nomadi dove volevano organizzare una assemblea. Ma si sono
trovati davanti a un massiccio schieramento di agenti che li ha respinti al
mittente. Di peso. Qualcuno s’era infatti sdraiato a terra ed è stato sollevato
e portato via a braccia. Dopo un lungo conciliabolo è stato deciso un incontro
al vicino Centro sociale Torchiera. A cui i nomadi, si sono ben guardati dal
partecipare.
Dopo i violenti scontri di giovedì dunque, da tre giorni sembra essere tornata
la calma allo storico campo nomadi, passato dall’abusivismo selvaggio a una
parvenza di legalità. Da anni infatti in quell’area dietro il cimitero maggiore
si erano accampati zingari e profughi vari dai Balcani. Arrivati in certi
momenti fino a mille. Creando una zona franca, fuori da ogni controllo. Poi nel
2007 il patto di legalità: il Comune organizzava condizioni minime di
vivibilità, allacciamenti di acqua, luce, fogne, ma dentro ci sarebbero finiti
solo i regolari, incensurati e che mandavano i figli a scuola. E nel momento di
trasferimento dal campo abusivo, gli esclusi scatenarono scontri feroci, con
incendi, sassaiole e bambini branditi a mo’ di clava.
Poi la situazione si avviò alla normalità, anche se non sono mancati in questi
anni i momenti di tensione. L’ultimo la settimana scorsa quando lo sgombero di
una famiglia proprietaria di una casa finì in tafferugli. Una tensione destinata
a salire. Sul campo ballerebbe infatti uno sgombero da effettuare entro il 30
giugno, perché quell’area è interessata a lavori per l’Expò. Giovedì un gruppo
di rom si apprestava a marciare verso Palazzo Marino per chiedere quali fossero
le intenzioni della Giunta, trovando la strada sbarrata dalle forze dell’ordine.
Subito bersagliate da una fitta sassaiola. Gli agenti hanno risposto serrando i
ranghi e ricacciato i nomadi dentro il campo.
In quella, come in tutte le altre occasioni, però non erano mancati i
«suggerimenti» di alcuni esponenti dell’area antagonista, in particolare gli
«Antirazzisti milanesi» di Fabio Zerbini che anche ieri alle 15 si sono
presentati in Triboniano per riprendere la loro azione di «agitazione e
propaganda». Venendo rimbalzati da polizia e carabinieri, che ne hanno alzati
diversi di peso, portati a 500 metri di distanza e mollati in mezzo alla strada,
dove sono rimasti guardati a vista. Ma subito dopo anche dagli stessi rom. Non
essendo possibile entrare al campo, i nomadi venivano invitati ad un incontro al
Torchiera. «Si, si ora veniamo» hanno risposto. Senza poi farsi vedere.
Preferendo rimanere sulle verande dello loro roulotte a fumare e chiacchierare.
E verso le 19, dopo quattro ore di attesa sotto un sole cocente, gli
«antirazzisti» se ne sono andati delusi. Cacciati alla fin fine non dalla
polizia, ma dal «2 di picche» rimediato dagli zingari.
Lascio a voi decidere chi mente e perché, a questo punto
riporto un'ulteriore lunga mail di stamattina del gruppo EveryOne
Triboniano: dobbiamo recuperare fiducia e umanità
Milano, 24 maggio 2010. Ieri pomeriggio, dalle 15, alcuni operatori umanitari,
difensori dei Diritti Umani ed esponenti del movimenti di critica globale hanno
trascorso alcune ore nei pressi dell'insediamento. Era previsto un incontro fra
il Comitato Antirazzista Milanese, che da tempo offre il suo sostegno ai Rom di
via Triboniano, ed altre ong, fra cui il Gruppo EveryOne. Dopo i recenti
scontri, la questura però ha impedito lo svolgersi dell'assemblea all'interno
del campo, considerata anche la presenza di bambini e persone malate. L'ingresso
dell'insediamento è stato bloccato da un cordone di agenti, ma è stato possibile
durante tutto il pomeriggio un dialogo con i rappresentanti delle forze
dell'ordine. Alcuni attivisti si sono opposti alle operazioni di blocco
dell'accesso al Triboniano attuando una resistenza nonviolenta, che hanno
proseguito di fronte all'invito da parte degli agenti ad allontanarsi fino a una
distanza di circa 200 metri dall'entrata. Gli attivisti, dietro disposizione del
funzionario di polizia che coordinava le operazioni, sono stati spostati a
braccia - per amor del vero senza alcuna brutalità - dagli agenti. Roberto
Malini, Dario Picciau e Steed Gamero di EveryOne hanno intrattenuto un dialogo
sereno con il funzionario della polizia di Stato, finalizzato ad evitare
qualsiasi tensione e a prevenire, grazie al confronto di esperienze, futuri
tumulti. "Da parte mia," ha detto nel corso della conversazione il funzionario,
"mi rendo perfettamente conto che il problema di questo insediamento è la
povertà delle famiglie che vi abitano. I Rom chiedono l'elemosina e commettono
qualche furto, ma a volte mi chiedo: e se fossi io a trovarmi, con moglie e
figli, nelle loro condizioni, come mi comporterei? E' vitale aiutare queste
famiglie, che hanno tanti bambini, ad inserirsi. Se potessero vivere in
appartamenti e i loro giovani potessero pensare solo a studiare e non a lottare
per sopravvivere, avremmo risolto gran parte di questa emergenza".
Non vi era alcuna ostilità, negli sguardi dagli agenti, molti dei quali assai
giovani. "Quel ragazzino sembra il mio fratellino," esclamava un poliziotto
indicando un monello Rom dagli occhi chiari e vivacissimi. Un clima umano, in
cui gli attori di un dramma metropolitano che dura da troppo tempo riuscivano,
anche grazie alla presenza di alcuni operatori sociali che seguono da tre anni i
bambini e gli adolescenti del campo, a guardarsi negli occhi senza inimicizia.
Questa era l'aria che si avvertiva ieri al Triboniano, dove qualcuno, è vero,
ipotizzava nuovi scontri e nuove barricate, ma dove è ora tempo di riflettere
per ritrovare la via del dialogo e della solidarietà. "Il nostro Gruppo rispetta
le scelte effettuate da alcuni Rom del Triboniano," commentano gli attivisti di
EveryOne, "ma sta cercando di promuovere il recupero di un clima sereno, perché
si formi una piattaforma di fiducia reciproca da cui ricominciare. E' evidente
che il progetto del Comune di sbarazzarsi di 600 persone Rom, con tanti bambini
e malati, senza attuare tutte le procedure di sostegno sociale necessarie è un
progetto disumano, che porterà solo nuova violenza e intolleranza. Sfrattare
famiglie inermi con i più disparati pretesti, essere causa di drammi umanitari
senza via di uscita, instillare odio nei giovani Rom contro la nostra città e il
nostro Paese è una politica palesemente sbagliata, come dimostrano tutte le
persecuzioni etniche nella Storia. E' altrettanto evidente che proseguire in una
lotta senza quartiere - anche se è comprensibile e giustificato persino dalla
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che sancisce la liceità della
ribellione di fronte all'emergenza sociale - è una strada pericolosa e lontana
dalle migliori esperienze nel campo della difesa dei Diritti Umani. I Rom sono
un popolo, non una classe sociale, e ognuno di loro ha gli stessi obiettivi di
tutti gli altri cittadini: essere felici, avere una famiglia, svolgere un lavoro
soddisfacente, godere della libertà e dei beni che offre la vita".
Anche qualora si ritenga necessario proseguire con gli squilli di rivolta, vi
sono numerosi operatori sociali e difensori dei Diritti Umani convinti che non
esista via di uscita se non si prosegue contemporaneamente ogni possibile
tentativo di dialogo con le Istituzioni e con tutte le componenti della
struttura sociale, politica e umanitaria della città, del Paese e delle realtà
oltre i nostri confini.
"Il popolo Rom pone i bambini e le donne in cima ai valori da difendere,"
prosegue EveryOne. "Ad Auschwitz, dove le famiglie Rom e Sinte potevano restare
unite in attesa delle camere a gas, migliaia di genitori morirono di stenti,
perché rinunciavano al poco cibo disponibile per nutrire i loro bambini. Nel
campo del Triboniano, durante gli scontri, bambini e donne si sono posti in
prima fila, armati di sassi e bastoni, come prevedono certe tecniche di
guerriglia o resistenza violenta. Ripetiamo che, di fronte alla persecuzione,
non possono essere considerate illegittime, tuttavia snaturano la cultura di
pace che da ottocento anni caratterizza i Rom e i Sinti in Europa, tanto che gli
anziani di questi popoli affermano con fierezza di essere 'l'unico popolo al
mondo che non ha mai fatto guerre'. Non è una debolezza, ma una straordinaria
virtù di questa gente. Non togliamola loro, neanche per una causa che riteniamo
giusta. Non rendiamo i Rom siimili ai loro aguzzini".
Verso le 19.30m i Rom hanno tenuto una riunione all'interno del campo,
manifestando timore per il futuro. Gli operatori umanitari e i difensori dei
Diritti Umani non hanno potuto incontrare i capifamiglia, per una decisione che
nasce da precedenti opzioni e che gli attivisti presenti vicino al campo hanno
responsabilmente accettato. "Abbiamo tuttavia parlato con alcuni giovani Rom,"
conclude EveryOne, "che si augurano di vivere in pace il prima possibile. Non
chiedono la luna, ma solo un posto dove vivere, una sicurezza minima da cui
partire per trovare un lavoro e avere la possibilità di provvedere alle
famiglie. Si sentono traditi da tante promesse e hanno assistito all'espulsione
di tanti loro fratelli, colpevoli di aver ospitato parenti 'non autorizzati' o
di possedere un rudere inabitabile, definito 'appartamento' da persone in
cattiva fede. Si sentono diversi dagli altri cittadini, perché devono obbedire a
un regolamento speciale, pieno di norme che non toccano gli altri. Anche un cane
può ricevere la visita di un suo simile, ma i Rom del Triboniano no. Se lo fanno
e non sono 'autorizzati', vengono messi in mezzo alla strada, condannati al
randagismo. Se vogliamo, unendo le forze di tutte le persone di buona volontà,
recuperare la fiducia dei Rom e contemporaneamente la nostra umanità, dobbiamo
stracciare le regole e gli inganni del passato e ripartire dalla solidarietà. In
caso contrario, avremo perso tutti. Avremo perso tutto".
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