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Baro Merape: Sinti e Rom ad Auschwitz. E ritorno
Di Fabrizio (del 22/05/2010 @ 08:56:02, in Kumpanija, visitato 2087 volte)

IL PAESE DELLE DONNE online

di Angelica Bertellini, Eva Rizzin Edizione speciale della Newsletter di Articolo 3 Osservatorio contro le discriminazioni di Mantova

Da tempo pensavamo al viaggio ad Auschwitz. Le occasioni sono state molte, ma non lo abbiamo mai fatto, ognuna di noi per i propri motivi; infine entrambe abbiamo deciso di partire: il momento era arrivato.

Non abbiamo mai parlato tra noi delle ragioni più profonde che ci hanno spinte ad andare, come del resto di quelle che ci avevano trattenute dal farlo in passato, se non per la parte che riguarda la nostra professione, come consulenti di Articolo 3, l’Osservatorio sulle discriminazioni nato a Mantova proprio al Tavolo permanente per le celebrazioni del 27 gennaio.

Siamo arrivate ad Auschwitz il primo maggio, con una trentina di altre persone e il presidente della Comunità ebraica di Mantova e dell’Osservatorio, Fabio Norsa. Siamo arrivate con l’esperienza del nostro lavoro – il contrasto alle discriminazioni –, con il nostro passato, ma soprattutto con quella parte della nostra identità che ci fa appartenere a minoranze colpite dal nazifascismo.

All’ingresso del campo ci aspettava una guida, a lei abbiamo chiesto di anticiparci le tappe della visita e, con grande dispiacere, abbiamo appreso che le aree dedicate al ricordo del Porrajmos o Baro Merape – il genocidio delle persone sinte e rom – non erano (e non sono) comprese. Alcune persone hanno mostrato insofferenza: “Guardiamo le cose principali, non c’è tempo”. La guida non sapeva che fare, noi insistevamo; “Dovete andare là” e ha indicato un punto che a noi pareva perso nel vuoto, il campo è grande. Abbiamo iniziato il percorso guidato e dopo un po’ ci è arrivata una traccia: “Ecco, quelle che cercavano gli ‘zingari’ possono andare al blocco 13, laggiù”.

Anche qui la minoranza sinta e rom resta a margine. Eppure sappiamo che proprio ad Auschwitz esisteva lo Zigeunerlager, un complesso di baracche destinate alle famiglie rom e sinte sterminate il 2 agosto 1944. La liquidazione del lager era stata programmata per il maggio di quell’anno, ma uno straordinario episodio di resistenza, da parte delle mamme e dei papà sinti e rom, riuscì – forse per la sua imprevedibilità – a bloccare, purtroppo solo momentaneamente, il proposito. Queste persone raccolsero le ultime forze per resistere alle SS, si lanciarono a mani nude o con piccoli oggetti contro di loro per salvare i bambini: «Abbiamo molte testimonianze anche di ebrei italiani, che hanno assistito sia allo scoppio della rivolta, sia alla liquidazione del 2 agosto. Tutti ricordano questi fatti come i più tristi e tragici [...] perché la presenza dei bambini sinti e rom dava vita all’intero campo e dopo il 2 agosto non c’era davvero più vita» 1. [1] Presso il blocco 13 di Auschwitz 1 è stata aperta al pubblico un’esposizione permanente sul genocidio dei Sinti e Rom. Il progetto è stato ideato e realizzato sotto la supervisione del Centro culturale e di documentazione sinti e rom di Germania in collaborazione con il Memoriale di Auschwitz, l’associazione dei Rom di Polonia e altre organizzazioni rom di vari paesi. A vederla eravamo in sei, mentre centinaia di persone percorrevano le stradine in mezzo agli altri blocchi, in silenzio, ognuno con le cuffie sintonizzate per sentire nella propria lingua spiegazioni e descrizioni: un aiuto tecnologico che evita di ammassarsi intorno alla guida, di farla parlare ad alta voce, e permette un ordinato flusso di persone dentro e fuori dai blocchi. Noi ci siamo dovute staccare dal nostro gruppo, rinunciare a parte della visita guidata, percorrere le stradine controcorrente, per poterci recare al blocco 13. Ci hanno seguite Fabio Norsa e Cesare, il compagno di Eva. Rabbia, angoscia e tristezza: anche lì escluse, esclusi, quasi fosse un genocidio di secondaria importanza. Nessun altro si è unito, nessuno ha sentito il bisogno (e il dovere) di includere il blocco 13 nel suo viaggio della Memoria, come se non lo riguardasse, come se sinti e rom non fossero stati perseguitati e sterminati per ragioni razziali (a qualche guida sfugge ancora un “asociali...”).

Questo è un gradino della storia che il nostro Paese ha saltato: non si può comprendere l’attuale situazione di emarginazione, esclusione e discriminazione subìta dalle minoranze rom e sinta in Italia se non si comprende quello che è avvenuto nei secoli più bui, se non si scoprono le radici dell’antiziganismo. Il genocidio dei sinti e dei rom fa parte della storia di Italia e d’Europa, tutti abbiamo il dovere di ricordare, perché è la storia di tutti. Stefano Levi Della Torre lo scorso gennaio, a Mantova, ci diceva a proposito di un grande scritto di Primo Levi: «La tregua è invece un esplicito avvertimento per il futuro. La fine dell’orrore più grande è solo una tregua. Ciò che è stato introdotto irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, proprio perché è stato potrà più facilmente prodursi di nuovo». Per i rom e per i sinti la tregua non c’è mai stata.

Il 10 luglio 2008 il Parlamento europeo ha emanato la risoluzione sul “censimento dei rom su base etnica in Italia”, che esortava le autorità italiane ad astenersi dal procedere alla raccolta delle impronte digitali, in quanto atto di discriminazione diretta su base razziale. Il censimento, però, era nel frattempo già iniziato e con una schedatura contenente etnia e credo religioso (newsletter n°4 e Rapporto 2008, p.40). Solo successivamente è stato bloccato.

Centinaia sono gli sgomberi senza soluzione alternativa avvenuti nella sola città di Milano, modalità in netto contrasto con la normativa internazionale (vedi newsletter di Articolo3 n°7/2010). Dal 2008 le regioni Lombardia, Campania, Lazio, Piemonte e Veneto sono state dichiarate ufficialmente in “stato d’emergenza in relazione agli insediamenti delle comunità nomadi”. In molte città italiane alcuni dei cosiddetti ‘campi nomadi’ autorizzati istituzionalmente sono recintati, video sorvegliati 24h, presidiati da punti di controllo di entrate e uscite. La vita delle persone rom e sinte è regolamentata da vere e proprie leggi speciali, i “patti di legalità”. Non sono mancati casi di cittadini italiani sinti che hanno subìto censimenti etnici nelle proprie case, costruite su terreni privati (newsletter n°69).

Siamo tornate da Auschwitz con la sensazione profonda di una memoria mutilata. [n.d.r. v. i Cenni storici di Eva Rizzin che riportiamo in nota] [2]

La notizia che ci ha accolte al rientro in Italia e al lavoro è stata quella di un modulo con intestazione di Trenitalia, gruppo Ferrovie dello Stato, Direzione regionale Lazio, ad uso del personale per rilevare la frequentazione di una fermata (Salone – Roma), che contiene una nota: “nella sezione destra della casella indicare anche eventuali viaggiatori di etnia ROM”. Le Ferrovie hanno inizialmente dichiarato di non averlo mai utilizzato, come se questo ne cancellasse l’esistenza, e dopo pochi giorni la direzione ha ammesso l’utilizzo, ma non la responsabilità: sarebbero stati alcuni non meglio specificati funzionari ad aver preso l’iniziativa; non viene detto né chi e neppure perché. Treni, binari, schede, etnia... Dentro di noi si associa, violentemente, l’immagine del binario di Birkenau visto pochi giorni fa: è così vicino a quel pezzo di terra, la zona B2, su cui rimane solo qualche camino, dove sorgevano le baracche di legno dello Zigeunerlager.

Questa memoria parziale corrisponde ad una ingiustizia totale, i cui malefici frutti siamo costretti a cogliere oggi, senza tregua. L’Italia deve fare i conti con il proprio passato e le istituzioni – politiche e culturali – devono dare pieno riconoscimento a tutte le persone colpite dal programma di persecuzione e sterminio nazi-fascista. Nessuno, mai più, deve sentirsi in alcun modo legittimato a schedare, contare, colpire un’altra persona sulla base della sua appartenenza.

E nessuno dovrebbe sentirsi libero di ignorare queste vessazioni, ma questo è un conto che ognuno deve fare con se stesso.

Angelica Bertellini - Laureata in filosofia del diritto all’Università di Bologna con uno studio sul processo di Norimberga.
Eva Rizzin - Ha conseguito un dottorato di ricerca in geopolitica all’Università di Trieste sul fenomeno dell’antiziganismo nell’Europa allargata.

Note

[1] 1. Marcello Pezzetti, docente università di studi sulla Shoah dello Yad Vashem, in A forza di essere Vento, dvd documentario curato da Paolo Finzi, A edizioni..

[2] CENNI STORICI SUL GENOCIDIO DEI ROM E DEI SINTI

Furono più di 500.000 le persone rom e sinte vittime dello sterminio pianificato e commesso dal nazi-fascismo. Questa è una storia spesso dimenticata e per lungo tempo narrata con omissioni o imprecisioni. I sinti e i rom furono perseguitati su base razziale: molti di loro furono classificati come ‘asociali’ (era il triangolo nero quello che nei lager contrassegnava le persone che, nella teoria nazista, venivano definite tali), ma in realtà, come scrive Giovanna Boursier, “furono perseguitati, imprigionati, seviziati, sterilizzati, utilizzati per esperimenti medici, gasati nelle camere a gas dei campi di sterminio, perché “zingari”, e secondo l’ideologia nazista, razza inferiore, indegna d’esistere” [Boursier 1995]. Il triangolo di colore marrone identificava questa “razza”. In Italia solo di recente, grazie agli studi di storici come Boursier e Luca Bravi, è stata intrapresa una rigorosa ricerca su questa tragedia, per troppo tempo taciuta.
La cosiddetta asocialità venne attribuita alla popolazione rom e sinta sulla base di presunti studi nazisti, che la volevano connessa al ‘gene dell’istinto al nomadismo’, il Wandertrieb, e molti scienziati – tra i quali ricordiamo Robert Ritter (psichiatra infantile), la sua assistente Eva Justin e, non da ultimo, il famigerato dottor Mengele, che aveva il suo studio proprio accanto allo Zigeunerlager così da accedere agevolmente ai bambini per i suoi esperimenti – si impegnarono in attente ricerche volte a dimostrare questa ributtante teoria. «La presenza di questo gene nel sangue è la dimostrazione che questi zingari sono esseri irrecuperabili», sostenne Eva Justin nella sua tesi di laurea, e da questo assunto prese l’avvio la seconda parte del ‘programma’, ossia la distinzione e separazione tra ‘puri’ ed ‘impuri’. I ‘puri’, il 10% circa, erano quelli da salvaguardare perché vivendo ancora allo ‘stadio primitivo’ – come sostenevano i nazisti – rappresentavano un patrimonio antropologico da preservare. I mischlinge, i misti, risultarono invece essere gli elementi più pericolosi, non solo perché portatori di un’ulteriore anomalia – e quindi un’imperfezione – ma anche perché, ritenendoli meno facili da individuare, rappresentavano un rischio maggiore di contaminazione. I nazisti presero così la decisione di eliminarli, una decisione dettata da motivazioni esclusivamente razziali.

Talvolta penso che se avessi avuto la sfortuna di nascere in quell’epoca le mie sorti, forse, sarebbero state fra le peggiori, visto che anche io sono una ‘meticcia’.
Dopo lo sterminio dei rom e dei sinti, il dottor Robert Ritter, che fu a capo delle ricerche scientifiche che portarono allo sterminio tornò indisturbato ad esercitare la sua professione come psichiatra infantile. Fu anche lodato dal nuovo governo tedesco per la sua profonda conoscenza in fatto di rom e sinti. Eva Justin, assistente di Robert Ritter, fu processata ed assolta.
Una sola guardia semplice di Auschwitz è stata condannata per crimini contro i sinti e i rom.
Il riconoscimento dello status di vittime della persecuzione nazi-fascista e la conseguente possibilità di ottenere i risarcimenti previsti sono state per lungo tempo ostacolati, quando non impediti. Il governo tedesco riconobbe soltanto nel 1980 che i rom e i sinti avevano subìto una persecuzione su base razziale.

La persecuzione fascista

I campi di concentramento non furono solamente un fenomeno nazista, ma anche fascista italiano, su questo penso sia importante riflettere.
Il nostro paese, l’Italia, assieme alla Germania nazista si rese responsabile della concentrazione, deportazione e sterminio di centinaia di migliaia di rom e sinti.
Non molti sanno che anche in Italia c’erano i campi di internamento dove i sinti e i rom furono imprigionati e che erano più di 50 (Agnone, Arbe, Boiano, Cosenza, Perdasdefogu, Frignano, Tossicia, Le Isole Tremiti, Vinchiatauro) .
Anche nella mia regione, il Friuli, c’è ne erano due: a Gonars e a Visco, in provincia di Udine. I campi rientravano in un’operazione pensata scientificamente, definita in ogni dettaglio organizzativo, di pulizia etnica nella ex Jugoslavia e di italianizzazione dell’area oggi compresa tra Slovenia e Croazia, autorizzata personalmente da Mussolini durante un incontro appositamente organizzato a Gorizia nel 1941. Il campo di concentramento e di sterminio di Gonars era stato pensato inizialmente per i militari russi, ma alla fine vi trovarono la morte anche civili sloveni tra i quali anche molti rom e sinti – principalmente dell’area di Lubiana – e croati [Kersevan, 2003].

Noi non ne parliamo

Molti appartenenti alla mia famiglia durante l’epoca nazi-fascista furono perseguitati e costretti ad emigrare.
Durante la stesura della mia tesi di laurea, una tesi inerente alla cultura della mia comunità, pensai di scrivere un capitolo sul genocidio, cercando di raccogliere alcune testimonianze di familiari che subirono il dramma delle persecuzione, come la zia che avevo deciso di intervistare.
Quell’intervista non si realizzò mai: parlare dei morti non era buona cosa, mi rispose che dei morti bisogna avere rispetto e che quindi non si poteva e non si doveva parlarne.
Mi trovai a vivere un forte conflitto: da una parte c’era l’esigenza di ricordare, di raccogliere le testimonianze, di scrivere quelle pagine vergognose della nostra storia; dall’altra dovevo rispettare la mia cultura, ricordare il genocidio avrebbe significato anche affrontare il delicato tema della morte, una realtà considerata sacra all’interno della mia comunità, aspetto di fronte al quale bisogna mostrare il più autentico e doveroso riguardo, un rispetto che si concretizza con il silenzio.
Il rispetto dei morti per noi sinti è uno degli aspetti fondamentali della nostra credenza religiosa e visto che il momento della morte rappresenta una situazione molto delicata, molte volte si preferisce non parlarne.
Ci tengo a sottolineare che questa è stata l’esperienza della mia comunità: non vale quindi per tutti i sinti e rom, molti sono quelli che oggi hanno deciso di raccontare.
Spesso il termine Porrajmos, traducibile come ‘divoramento’, viene utilizzato per indicare la persecuzione e lo sterminio dei rom e dei sinti, molti però sono i sinti che non si riconoscono in questo termine, tant’è che parecchi ne ignorano il significato e quando parlano del genocidio utilizzano il termine Baro Merape che il lingua ròmanes/sinto significa grande morte, sterminio.

Il genocidio dei sinti e dei rom meriterebbe un pieno riconoscimento commisurato alla gravità dei crimini commessi. E’ vergognoso, ad esempio, che nell’ex campo di internamento di Lety u Pisku (Boemia del sud, attuale repubblica Ceca) – dove i rom e i sinti subirono torture feroci identiche ai lager tedeschi – sia stata costruita un’azienda di allevamento suino, anziché un degno memoriale.
Nella risoluzione del 27 gennaio 2005 emanata dal Parlamento Europeo si invitano la Commissione Europea e le autorità competenti ad adottare tutte le misure necessarie per rimuovere tale azienda. Una risoluzione questa che condanna le opinioni revisioniste e la negazione del genocidio come vergognose e contrarie alla verità storica ed esprime preoccupazione per l’aumento di partiti estremisti e xenofobi e la crescente accettazione delle loro opinioni da parte dei cittadini.
I recenti fatti nazionali dimostrano che il sentimento anti-rom, e i numerosi pregiudizi razziali che stanno investendo massicciamente l’Italia, rappresentano una gravissima minaccia non solo per i sinti e per i rom, ma anche per i valori europei e internazionali della democrazia, dei diritti dell’uomo e dello stato di diritto e pertanto per la sicurezza di tutti in Europa.
Per l’Unione Europea il 2007 e il 2008 dovevano essere rispettivamente l’anno delle pari opportunità e del dialogo interculturale, dovevano essere anni fondamentali per promuovere la percezione della diversità come fonte di vitalità socioeconomica, una grande occasione per cambiare la percezione generale che si ha delle comunità rom e sinte.
Questi anni verranno invece ricordati dai sinti e i rom come gli anni in cui l’insofferenza diffusa, la violenza e l’intolleranza contro il diverso, l’immigrato, lo ‘zingaro’ hanno assunto i connotati espliciti della xenofobia e del razzismo. Per noi rimarranno gli anni delle schedature, degli sgomberi, dei commissari speciali e delle impronte digitali. La marginalizzazione dei rom e dei sinti ha attraversato i secoli, dalle violente persecuzioni di ieri alla ghettizzazione imperante di oggi, passando per lo sterminio, dimenticato, della seconda guerra mondiale. La nostra cultura è riuscita a sopravvivere a secoli di persecuzioni. Io non mi stanco di credere nella possibilità di una società che rispetti le differenze, che le tuteli le minoranze come patrimonio fondante di tutti e di tutte.
La memoria del genocidio dei rom e sinti è essenziale in questo processo di presa di coscienza sociale, poiché fa parte della storia comune.
Non suoni questo superfluo o retorico, in quanto la rimozione della memoria e il revisionismo sono spesso il primo passo verso nuove catastrofi.

Eva Rizzin

Bibliografia minima:

Boursier G., Lo sterminio degli zingari durante la seconda guerra mondiale, in Studi storici n.2, Roma, 1995
Boursier G., Gli zingari nell’Italia fascista, in Italia Romaní, vol.1, a c. d. L. Piasere, Roma, 1996
Boursier G., La persecuzione degli zingari nell’Italia fascista, in Studi storici, n.4, Roma, 1996
Boursier G., Zingari internati durante il fascismo, in Italia Romaní, vol.2, a c. d. L. Piasere, Roma, 1999
Boursier G., Rom e sinti sotto nazismo e fascismo, in Rivista anarchica, n°319, a 36, 2006
Bravi L., Altre tracce sul sentiero per Auschwitz, Roma, 2002
Bravi L.,Rom e non-zingari. Vicende storiche e pratiche rieducative sotto il regime fascista,Roma, 2007
Bravi L., Tra inclusione ed esclusione. Una storia sociale dell’educazione dei rom e dei sinti in Italia, Milano, 2009
Kersevan A, Un campo di concentramento fascista. Gonars 1942 – 1943, Udine, 2003
Williams P., Noi non ne parliamo. I vivi e i morti tra i Manuš, Roma, 2003 _ Porrajmos. Altre tracce sul sentiero per Auschwitz, mostra documentale curata dall’Istituto di cultura sinta, scaricabile all’indirizzo www.nevodrom.it
A forza di essere Vento, dvd documentario curato da Paolo Finzi, A edizioni

Sul web: Porrajmos La persecuzione e lo sterminio nazifascista dei Rom e dei Sinti, audio documentario prodotto da Opera Nomadi e Radioparole, (2004): http://www.radioparole.it/porrajmos...

University of Minnesota Driven to discover, a c. d. Ian F. Hancock: http://www.chgs.umn.edu/histories/v...

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