Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
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L'essere straniero per me non è altro che una via diretta al concetto di identità. In altre parole, l'identità non è qualcosa che già possiedi, devi invece passare attraverso le cose per ottenerla. Le cose devono farsi dubbie prima di potersi consolidare in maniera diversa.

Wim Wenders
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 27/02/2009 @ 08:55:16, in Kumpanija, visitato 11237 volte)

Da Famiglia Cristiana - di Stefania Di Pietro

CRONACHE ITALIANE
A NOTO, IN SICILIA, LA BASE DI UN ANTICO POPOLO GITANO

Giostrai, stagnini, ombrellai affollano le feste di paese e sono italiani a tutti gli effetti. Non vogliono essere chiamati rom. Ma conservano il vecchio spirito nomade.

Rumungri ungheresi, Tattaren svedesi, Bergitka polacchi, Sinti-Gackanè tedeschi, Gypsies inglesi, Kalé spagnoli. Sono alcuni dei popoli gitani sparsi in Europa, ciascuno con un proprio nome e una storia diversa, ma tutti annotati ai margini delle città e battezzati come "genti del vento", perché dall’aria si fanno trascinare.

In un panorama così ampio, c’è chi rifiuta d’essere assimilato ai rom. Sono i caminanti di Noto, un gruppo "invisibile" di girovaghi siciliani, continuatori di un’antica tradizione incentrata sulla parola, il canto e le leggende. Questa frangia etnica ben radicata nel territorio cerca di far valere la propria identità popolare, ricordando a tutti come la parola "rom" abbia un significato ben diverso dall’uso oggi in voga, e sia semplicemente la traduzione di "uomini liberi".

I giramondo di Noto negano d’essere "zingari" di professione, nonostante sia impresso su di loro come un marchio il destino di un popolo ramingo, fatto di venditori e riparatori ambulanti, tutti "camminanti", nel nome e di fatto.

Discendenti dei nomadi sbarcati in Sicilia alla fine del Trecento, al seguito dei profughi Arberes’h, i caminanti hanno mantenuto intatta l’originaria organizzazione familiare, sotto la guida di un capogruppo più anziano e con matrimoni stabiliti all’interno della comunità, un’unica e grande famiglia. «Sono nato così», ricorda uno di loro, «quando ero bambino e vedevo i figli di chi stava al campo, mio padre mi diceva che eravamo tutti parenti».

Sono considerati i più grandi camminatori della storia, disseminati nel ventaglio tra Catania, Agrigento e Siracusa, ma durante l’inverno affollano uno storico quartiere di Noto, che porta il loro nome. I "siciliani erranti" sono gli ultimi eredi di una cultura fondata sul movimento, ma hanno fatto proprie le tradizioni locali, favorendo la nascita di una mescolanza variopinta di stili di vita.

«Ci basta avere per tetto il cielo e il fuoco per riscaldarci, ma non siamo zingari», continuano, «siamo siciliani e somigliamo alle rondini, perché viviamo liberi». Negli anni ’50 i caminanti salivano in cima alle montagne a dorso di mulo, oggi si spostano alla guida di roulotte attrezzate, una scelta che li accomuna agli altri rom. La Sicilia rimane, però, la loro regione d’appartenenza, l’Italia è la vera patria, anche perché vi abitano da decine d’anni, mantenendo diritto di voto e cittadinanza. Alcune famiglie d’ambulanti continuano a migrare ciclicamente da Sud a Nord, per poi tornare nella provincia siracusana in primavera, "svernando" lì come gli uccelli. A ogni cambio di stagione, traslocano nei paisi dell’entroterra, chiamati così in dialetto baccàgghiu, una lingua inventata dalla fusione tra siciliano stretto e italiano e colorata dall’aggiunta d’accenti diversi, per via del troppo girovagare.

Un buon mezzo per comunicare

Sono siciliani in ogni espressione quotidiana, dal culto della campagna all’abito di stoffa "buona" indossato per la Messa domenicale, dal modo di cucinare e disossare gli animali alla simbolica gestualità isolana, tipica di chi ha conosciuto l’alternanza di svariate dominazioni, ritrovando nel gesto l’unico mezzo d’intesa. Una mimica colorita, quella dei caminanti, che deriva dalla loro essenza raminga, perché continuamente a contatto con genti straniere e in cerca di un buon mezzo per comunicare.

La mattina i bambini vanno a scuola, grazie ai numerosi progetti socio-scolastici nati a favore dell’integrazione di un popolo autoctono, il cui essere itinerante pone non pochi problemi alla scolarizzazione. Gli adulti continuano il mestiere dei padri. Arrotini, ombrellai, giostrai, impagliatori e riparatori di cucine, famosi per lo squillante richiamo lanciato a gran voce con l’altoparlante.

Sono gli "aggiustatori di tutto", svolgono mestieri ormai in disuso, perché spinti dalla stessa mentalità umile e adattabile che accompagnava i caminanti del primo dopoguerra. A ogni festività, gli uomini inondano le strade con le loro giostrine, i palloncini colorati e le bancarelle di calia e semenza, ceci abbrustoliti e semi di zucca seccati al sole, preparati in casa dalle donne. In autunno, arrivano con i camion stracolmi d’ombrelli, anticipando il primo temporale della stagione.

«Un tempo, i nostri mestieri erano tanti», racconta una vecchia caminante della provincia di Siracusa, «si vendevano scaldini di metallo, trappole per topi, gabbie per galline o mestoli per la ricotta. Gli uomini erano tutti stagnini, le donne andavano di porta in porta a raccogliere capelli, per farne poi parrucche o bamboline da rivendere».

Oggi, i giovani preferiscono la vita dei conterranei stanziali, chiamati "paesani sedentari", scegliendo di non allontanarsi troppo da Noto, dove vendono la buona sorte e leggono il futuro ai turisti di passaggio, con un pappagallino portafortuna sempre appollaiato sulla spalla. I caminanti sono un popolo nel popolo, nei gesti traspaiono i tratti dell’appassionata teatralità siciliana, ma il loro spirito è carico d’orgoglio gitano.

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Di Sucar Drom (del 26/02/2009 @ 21:25:22, in blog, visitato 2003 volte)

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Di Fabrizio (del 26/02/2009 @ 09:33:15, in scuola, visitato 2781 volte)


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Dopo circa 6 mesi dall’avvio del nuovo anno scolastico, l’Assessore Moioli è in procinto di rinnovare l’incarico a termine alle 10 mediatrici Rom che da molti anni lavorano nella scuola primaria milanese.

Lo farà secondo il suo stile, quello cioè per lo più incurante del buon andamento dei servizi e del rispetto delle persone, che siano operatori, utenti o cittadini poco importa.

Lo farà cambiando le carte in tavola, o le "regole", secondo una tipica espressione ricorrente che però non trova quasi mai riscontro negli atti formali di questa Amministrazione.

Lo farà frammentando una storia, quella di un gruppo di donne rom, che non solo hanno saputo e potuto costruire la propria professionalità attorno all’esperienza avviata e sostenuta dalla sola Opera Nomadi in tutto il contesto milanese, ma approfittando di continue proposte di studio e aggiornamento portate avanti negli anni con l’attivo sostegno dell’Università e del CSA di Milano.

Lo farà infine, con la complicità e il "disinteresse" di quanti sono nel frattempo subentrati nella gestione dei campi comunali milanesi (associazioni, fondazioni e cooperative che si "spartiranno" il nuovo "scomodo" personale), accettando di rimanere troppo spesso in silenzio di fronte a quanto di negativo e sconcertante sta accadendo.

Il fallimento totale delle politiche sociali appare oggi infatti persino peggiore e devastante dello stato di abbandono in cui l’Amministrazione Albertini aveva lasciato questi insediamenti, privandoli di risorse, strumenti di dialogo e integrazione e peggiorandone quindi, inevitabilmente la condizione.

Ma che cosa è cambiato in questi due anni?

A partire dal famigerato "Patto di legalità e socialità", sostenuto oltre che dal Comune, dalla Prefettura, dalla Provincia di Milano e dalla Casa della Carità, la voragine che si è aperta attorno ai Rom appare inarrestabile, divorando e calpestando i diritti delle persone come se queste nemmeno esistessero.

Il prossimo passo, dopo un inizio d’estate caratterizzato dalla "caccia alle impronte" e da un censimento maldestro e ben poco veritiero, sarà quello della stesura definitiva di un Regolamento delle aree comunali che manderà definitivamente in soffitta la storia di un confronto spesso difficile e contrastato, quello tra i rom e la città, ma attorno a cui almeno si continuava a ragionare.

Regolamento o resa dei conti?

Riportiamo di seguito un intervento ripreso dal libro "I Rom e l’azione pubblica" (Teti editore – Milano – Novembre 2008) sulla storia e il significato della mediazione culturale in ambito scolastico e sanitario nella nostra città da parte di un gruppo di donne rom.

Introduzione
Sono trascorsi 15 anni da quando, a Milano, l’Opera Nomadi avviò il primo corso di formazione per mediatrici culturali scolastiche rivolto inizialmente a dieci giovani donne rom.

Da allora, altre romnià hanno seguito questa strada, lavorando fianco a fianco con gli insegnanti, nei consultori familiari, nelle amministrazioni locali e finanche nel Carcere di Bollate.

Alcune di loro hanno nel frattempo conseguito un diploma, frequentato corsi tenuti da docenti universitari, partecipato come relatori a master e convegni, imparando a gestire un lavoro complesso in condizioni di grande precarietà e di sostanziale isolamento sociale.

Certamente, il contesto culturale di quasi due decenni fa esprimeva un orizzonte di situazioni e relazioni critiche ma comunque aperte al cambiamento, dove anche i rom si illudevano di cimentarsi in un confronto nuovo alla ricerca di un proprio spazio di rappresentazione sociale e politica.

Oggi non più. L’isolamento spaziale dei campi nomadi, quelli che molti definiscono con qualche eccesso delle pattumiere sociali ma che segnano il confine simbolico e materiale di una separazione reale, unitamente al forte pregiudizio politico, fulcro di politiche amministrative discriminatorie ed inefficaci, hanno ristretto fin quasi ad annullare del tutto questa prospettiva.

Le cose cambiano? Sì, un po’, lentamente, faticosamente. Ma la realtà, guardata dal punto di vista dei Rom è sempre quella: il fastidio, la diffidenza, il disprezzo, l’apartheid.

Immobili, permanenti, pesantissimi.

La fase contemporanea è segnata da un’assenza di proposte e dal congelamento delle risorse pubbliche. Assistiamo invece un po’ attoniti all’inasprimento di norme ideologiche autoritarie e sanzionatorie (a Milano e Roma rappresentate dai "Patti di Legalità e socialità"), mitigate nei lori effetti più devastanti da un complice sostegno offerto da enti e fondazioni ecclesiastiche promotori di interventi assistenziali e caritatevoli. Non di diritti.

Quand’anche i più attenti critici fanno osservare che spessissimo gli investimenti pubblici non raggiungono le persone alle quali sarebbero indirizzati, se non in forme indirette e di servizi dei quali sono solo fruitori, si dimenticano di indicare attraverso quali processi alternativi i rom potrebbero appropriarsi di strumenti indispensabili per agire sul proprio destino.

Perché i problemi esistono e sono reali e si chiamano mancanza di istruzione, lavoro, riconoscimento e tutela della salute, scarsità o inadeguatezza di abitazioni e abbandonati a loro stessi e al tentativo contraddittorio e lacerante di tenere insieme, in un equilibrio instabile, valori e modelli tradizionali con quelli imposti dall’asimmetria economica e culturale della globalizzazione, non possono che aggravarsi.

Ogni cultura dà per scontato che il proprio modo di comunicare, i suoi valori, le rappresentazioni della realtà siano in un certo senso uniche o migliori e che gli altri, per esempio gli appartenenti alle minoranze, debbano adeguarsi anche senza condividerle.

E’ necessario invece aumentare le capacità di interazione delle comunità e consolidare la presenza di figure professionali, quali i mediatori culturali, che mettano in comunicazione e sinergia concittadini con pari dignità, offrendo a sinti e rom la possibilità di un riconoscimento di loro stessi come membri di una comunità che si oppone alla logica della cultura dell’assimilazione e dell’emarginazione.

La presenza dei mediatori culturali rom nei servizi socio sanitari e scolastici
La formazione e l’inserimento di mediatori culturali ha finora riguardato il consolidamento di esperienze positive di accoglienza e integrazione scolastica per lo più rivolte a comunità stabilmente insediate sul territorio milanese e provinciale.

Il forte incremento della popolazione rom straniera e la richiesta di nuove iscrizioni da parte delle famiglie di recente immigrazione, porrebbe tuttavia la necessità di estendere il ricorso a nuovi mediatori culturali che siano anche espressione dei gruppi più significativi (romeni e yugoslavi), i quali costituiscono i due terzi dell’attuale popolazione rom, consentendo alle Scuole di contrastare con maggior efficacia il fenomeno della dispersione scolastica e potendo contare sull’operato di una significativa rete sociale di sostegno.

In tal modo sarebbe possibile promuovere una effettiva distribuzione sul territorio cittadino della gran parte dei minori in età scolare garantendo un effettivo diritto allo studio.

L’insegnamento della lingua e cultura rom costituirebbe un’esperienza innovativa di forte interesse per i minori iscritti nella scuola dell’obbligo e un’opportunità di conoscenza per tutto il gruppo classe e gli insegnanti.

La lingua infatti, è il tratto identitario più forte della cultura rom ma è altresì trasmessa solo oralmente e pochi sono gli educatori rom in grado di insegnarla.

La trascrizione faciliterebbe inoltre il passaggio da un apprendimento di tipo mnemonico, agrafico, alla familiarizzazione e interiorizzazione della scrittura non vissuta solo come un veicolo di comunicazione estraneo.


Il progetto iniziale di formazione di mediatrici culturali rom si realizzò a Milano a partire dalla metà degli anni ’90 con l’obiettivo di favorire un positivo dialogo tra l’istituzione scolastica e le famiglie zingare, facilitando l’inserimento e l’apprendimento scolastico dei bambini, nel rispetto e recupero della propria identità culturale.

In particolare, considerati i pregiudizi presenti nei confronti dei Rom e dei bambini presenti a scuola, insieme al Provveditorato agli Studi venne deciso di inserire nelle classi dei mediatori culturali provenienti dai campi nomadi, che col trascorrere del tempo diventarono un punto di riferimento autorevole pei i bambini, le loro famiglie, gli insegnanti intervenendo significativamente anche sul problema della dispersione scolastica.

Un ulteriore passaggio, di particolare interesse perché integrò azioni fra loro diverse ma con obiettivi comuni, fu quello di rispondere alla richiesta, soprattutto delle giovani donne, di aveve un’occasione di lavoro e istruzione, aprendosi a un confronto positivo con la realtà esterna.

Il Corso di formazione venne realizzato nel 1993 in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano (équipe coordinata da Susanna Mantovani, allora docente di Pedagogia Sperimentale, oggi vice Rettore all’Università Milano Bicocca).

Nel 1996, le mediatrici parteciparono a un aggiornamento (della durata di 50 ore) gestito sempre in collaborazione tra Università e Opera Nomadi.

Questo secondo momento di formazione, preceduto da un’attività di ricerca (interviste e colloqui con le mediatrici e con insegnanti e dirigenti scolastici), ebbe lo scopo di monitorare l’andamento dell’esperienza, offrendo un supporto formativo in campo pedagogico e culturale e rilanciando il ruolo delle mediatrici culturali all’interno della scuola e con le stesse famiglie zingare (analisi e riflessione sulle problematiche emerse, bisogni specifici di cui prima si era consapevoli in modo generico, prospettive future di cambiamento).

All'inizio del 1998 le mediatrici culturali, sostenute dalle scuole e dai loro dirigenti, vennero incaricate direttamente dall'Amministrazione Comunale con contratto diretto, per poi passare nuovamente per un triennio in convenzione con l’Opera Nomadi e, dall’inizio del 2008 ancora una volta con contratto a termine con il Comune.

Ogni passaggio di natura "contrattuale" non fu estraneo alle difficoltà e ai contrasti politici del momento, ma nascose e accompagnò l’insidia di un’interruzione del rapporto di lavoro che da allora rimane pur sempre di carattere precario.

Nel 2005, l’allora Ministro del MIUR Moratti, oggi Sindaco di Milano e il Direttore Generale, Moioli, oggi Assessore ai Servizi Sociali ed Educativi, firmarono un Protocollo d’Intesa con l’Opera Nomadi Nazionale per la diffusione dei progetti di mediazione culturale nelle Sovrintendenze Regionali Scolastiche.

Dal 2005 al 2007, grazie ad un progetto finanziato dall’Assessorato alla Famiglia e Solidarietà Sociale della Regione Lombardia, 15 mediatrici ebbero la possibilità si seguire dei corsi retribuiti di formazione e tirocinio (100 ore annue), con ricercatori dell’Università Bicocca, Dirigenti e Funzionari dell’Ufficio Scolastico Provinciale, conseguendo dei diplomi di scuola superiore e la certificazione per l’insegnamento della lingua italiana.

Tra il settembre e il dicembre 2007 lo stesso Assessore Moioli non rinnovò la convenzione con l’Opera Nomadi di Milano, lasciando per 4 mesi senza lavoro le mediatrici e contemporaneamente rescindendo il contratto di lavoro a 2 cooperative rom che operavano nei campi nomadi comunali. Altri 20 posti di lavoro in meno.

Dopo 23 anni di servizio, diretto e indiretto, per l’Amministrazione Comunale, l’unico Rom diplomato che collaborava con un servizio sociale di coordinamento, esprimendo uno dei più alti livelli di professionalità esistenti in Italia venne, senza alcun motivo, lasciato a casa.


Com’è immaginabile, molteplici furono le difficoltà incontrate dalle mediatrici, soprattutto nei primi anni di attività: preparazione iniziale insufficiente, richieste eccessive delle scuole che non ne compresero appieno la funzione.

Benché anche attualmente i loro compiti non siano stati del tutto definiti con chiarezza, per cui alle mediatrici si chiede contemporaneamente di provvedere all’accudimento dei bambini fino all’assunzione del ruolo di insegnanti e al mantenimento dei rapporti con le famiglie, la centralità del ruolo della "mediazione culturale" appare aver integrato significativamente l’offerta scolastica.

Le mediatrici affiancano le insegnanti agendo sull’intero gruppo classe e stabilendo dei contatti e comunicazione con le famiglie rom ma senza scaricare su se stesse un compito di mediazione che dovrebbe prima di tutto riguardare sempre il docente.

Le mediatrici oggi vantano un percorso di crescita formativa che le ha portate ad assumere una notevole consapevolezza e capacità di riflessione rispetto al loro ruolo e ai loro compiti, con cognizione di molte delle contraddizioni irrisolte, delle difficoltà incontrate, dei momenti di conflitto che hanno imparato a gestire e a superare anche grazie ad una autentica capacità di mediazione culturale conquistata sul campo.

L’esperienza condotta in questi anni ha sicuramente permesso loro di crescere umanamente e culturalmente, di confrontarsi in modo ravvicinato con il mondo dei cosiddetti gagé al di là dei reciproci stereotipi e pregiudizi e di testimoniare, all’interno della famiglia e della comunità rom un diverso ruolo della donna.

La possibilità di guadagnarsi onestamente da vivere con un lavoro qualificato, stimolante e di sicura utilità per i bambini rom oltre che per tutta la scuola, senza essere costrette alla mendicità o ad altri espedienti, è un’esperienza preziosa non solo da salvaguardare, ma da promuovere ulteriormente (per esempio aumentando il loro impegno lavorativo a scuola, oppure puntando al riconoscimento giuridico del ruolo nelle scuole dell’infanzia o nella scuola primaria).

Queste giovani donne hanno acquisito un certo grado di autonomia e indipendenza dalla famiglia, dopo un periodo di difficili rapporti perché oggetto di invidie e di rivalità da parte delle altre donne e, per quelle sposate, di difficoltà a conciliare il proprio ruolo di madri e di mogli con l’impegno lavorativo.

Esse si sono guadagnate il rispetto di molte famiglie rom proprio per il ruolo che svolgono nella scuola. Grazie alla loro presenza, i genitori affidano più volentieri i loro figli, sapendo che esse possono essere un interlocutore diretto ed affidabile, domandando direttamente ad esse oltre che all’insegnante che cosa accade ai loro bambini, come e che cosa imparino o non imparino, quali siano i problemi e le difficoltà da superare.

L’essersi impossessate di alcuni strumenti culturali del mondo alfabetizzato, senza venir meno al rispetto dei valori della cultura di origine, l’aver lavorato all’interno dell’istituzione scolastica e l’aver conosciuto regole e condizioni di vita profondamente diverse dalle loro, ha potenziato le loro capacità che, unitamente alle peculiari doti e risorse della cultura rom, ha permesso loro di assumere iniziative e di reagire anche agli aspetti di incertezza della loro condizione lavorativa.

In questi anni le mediatrici hanno acquisito maggiore autonomia ed autorevolezza, maggiore capacità d’iniziativa e di collaborazione nel rapporto con docenti e dirigenti scolastici e maggiore consapevolezza delle regole che il lavoro dentro l’istituzione scolastica comporta. Esse svolgono un ruolo cruciale nel primo inserimento dei bambini rom a scuola e collaborano con le insegnanti nel predisporre il setting dell’esperienza educativa e nell’attivazione dei dispositivi necessari all’accoglienza dei bambini.

La loro conoscenza dei bambini e delle loro famiglie, la conoscenza della loro cultura e soprattutto l’uso della lingua materna, il romanés, lingua che viene così riconosciuta ed anche valorizzata, sono i punti di forza della loro opera di mediazione culturale in tutti i contesti d’ interazione e di relazione.

Svolgono cioè un ruolo cruciale nella mediazione dei conflitti e nella prassi educativa e didattica.

Attraverso questa esperienza le mediatrici hanno acquisito anche capacità d’insegnamento, non solo nei confronti dei bambini rom, ma anche verso gli alunni stranieri e quelli con difficoltà di inserimento e apprendimento. Ciò è avvenuto affiancando le insegnanti delle classi o gestendo direttamente i bambini nell’apprendimento svolto in piccoli gruppi e nelle attività di laboratorio.

In particolare, sul piano metodologico e didattico, esse hanno compreso il valore di una didattica che si fondi:

  • sull’imparare facendo e giocando
  • sulla predisposizione degli spazi e sull’organizzazione degli ambienti e dei materiali
  • sull’esperienza della narrazione (recupero del patrimonio orale delle fiabe e dei racconti di vita zingara)
  • sullo sviluppo della creatività.

I dati dell’aumento della frequenza scolastica e dell’innalzamento degli obiettivi formativi degli alunni rom, costituiscono un’ulteriore conferma della validità del loro operato e sono, certamente, l’intervento di politica sociale più convincente attuato a favore delle comunità rom.

Sastipe (Stare bene): salute e scenari culturali
La salute è un fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività… recita l’art. 32 della Costituzione. Badate bene: "dell’individuo e della collettività (ricordava Carlo Cuomo). Abbiamo visto con quale drammaticità si pone, per le comunità zingare, la questione della salute ma anche dell’intervento coordinato dei servizi socio sanitari territoriali, così come una specifica formazione degli operatori riguardo alla realtà antropologica delle comunità e la collaborazione dei mediatori.

Le problematiche sanitarie
L’analisi dei fenomeni sanitari evidenzia aspetti di grave preoccupazione, legati soprattutto all’assenza di interventi mirati di prevenzione e cura delle principali patologie riscontrabili.

Gli indici relativi ai tassi di natalità, morbilità, mortalità rilevabili nei diversi gruppi rom e sinti sono drammaticamente accostabili a quelli dei Paesi poveri del sud del mondo e sono la conseguenza diretta non solo delle cattive condizioni di vita ma anche di un rapporto con le strutture sanitarie di base e quelle ospedaliere incerto ed occasionale.

I sistemi informativi sanitari risultano inadeguati per fornire informazioni specifiche sulle caratteristiche dell’utenza ai rom (la malattia non è un evento che investe solo il singolo individuo, bensì può diventare un problema sociale che coinvolge l’insieme del gruppo familiare esteso), mentre gli spostamenti dai luoghi di residenza impediscono di eseguire valutazioni longitudinali consistenti.

Il primo accesso nel nostro sistema sanitario per i rom è rappresentato quasi esclusivamente dal pronto soccorso ospedaliero, per la sua visibilità, accessibilità ad ogni orario, gratuità, assenza di controllo di documenti, per la possibilità di accompagnamento e di solidale permanenza accanto al paziente.

Il ricorso a tale struttura avviene dunque, secondo tradizione, nel momento di conclamata necessità: fatti traumatici o l’apparire di sintomi acuti della malattia, mentre affezioni anche gravi permangono ignorate a lungo.

I dati (pochi) di dimissione ospedaliera relativi ai ricoveri in Regione Lombardia evidenziano ad esempio un alto ricorso all’ospedalizzazione in età pediatrica, soprattutto nel corso del primo anno di vita, con una predominanza di ricoveri per malattie infettive, respiratorie e per patologie neonatali.

Più che una nomenclatura clinica si possono quindi raggruppare e classificare fattori di rischio che sviluppano patologie acute, croniche e da stress che determinano la rilevanza di malattie delle alte e basse vie respiratorie, del sistema digerente (le carie dentali sono un fenomeno diffusissimo a partire dalla prima infanzia), dermatologiche, cardio e cerebrovascolari strettamente correlate alle condizioni materiali di esistenza (situazioni ambientali malsane, vicinanza ad arterie stradali a grossa percorrenza, discariche, accumulo di rifiuti, ratti e insetti; abitudini alimentari che combinano carenze quantitative e qualitative a occasionale sovralimentazione disordinata (obesità) e abuso di fumo e bevande alcooliche; una cultura del corpo e della malattia che rende difficile il rapporto tra medicina ufficiale e zingari).

Inoltre si riscontra anche un atteggiamento delle strutture sanitarie che, riflettendo passivamente il senso comune corrente, combina incomprensione, indifferenza e atteggiamenti discriminatori: non si tenta di capire la cultura "altra", vista solo come indice di ignoranza se non di barbarie; non si prende coscienza né della gravità né della stessa esistenza del problema; spesso - anche se con numerose lodevoli eccezioni - si discrimina più semplicemente il rom che cerca il contatto con le strutture sanitarie.

Per affrontare direttamente la questione sanitaria andando al nocciolo del problema occorrerebbe dunque partire dal difficile rapporto tra la cultura del corpo e della salute delle comunità rom e sinte e la cultura specifica degli operatori dei servizi sanitari progettando percorsi di mediazione culturale tra queste due culture.

Ad esemplificazione di quanto detto i Rom e i Sinti esprimono, ad esempio, una valutazione alquanto diversa del proprio stato di salute rispetto a quanto noi siamo soliti attribuire loro sulla base di riscontri biomedici e dati statistici, non riconoscendosi come gruppo particolarmente soggetto a malattie o con una aspettativa di vita media di gran lunga inferiore rispetto alla popolazione maggioritaria.

La stessa struttura demografica delle comunità zingare ci fornisce la scelta dove indirizzare le nostre proposte di intervento: l’altissimo numero di gravidanze e di parti, quel 48 – 52% di popolazione infantile e pre-adolescenziale impongono "naturalmente" il coinvolgimento dell’area del materno – infantile.

Ma a queste ragioni obiettive se ne sommano altre.

Visto che si tratta di mediare tra due culture diverse, la scelta da effettuare è quella di investire innanzitutto sulla mediazione tra due culture femminili diverse: da una parte non la cultura "media" dei servizi sanitari ma la cultura fortemente innovativa delle operatrici dei servizi territoriali del materno – infantile (puntando soprattutto sulle operatrici dei consultori familiari e dei consultori pediatrici, da sempre tese all’ascolto attento delle utenti e, dall’altra, la specifica cultura del corpo, della sessualità, della gravidanza, dei parti e dell’accudimento – allevamento dei bambini di cui sono portatrici le romnìà, le donne zingare.

Tanto più che l’esperienza parallela della mediazione scolastica ci rivela una peculiarità femminile all’interno della cultura zingara: l’essere cioè le donne custodi della tradizione e, contemporaneamente, le più audaci portatrici del bisogno dinamico di cambiamento.

La mediatrice sanitaria rom è quindi un’operatrice che all’interno della propria cultura e comunità, da quel luogo di vita quotidiano in cui essa stessa vive, impara a rapportarsi alla cultura maggioritaria rappresentando la specificità culturale del proprio gruppo (i bisogni, i problemi e le risposte che in esso maturano) ed acquisendo dalla cultura "altra" tutto quello che può essere utilmente riportato.

In questa dinamica di interscambio culturale assumono quindi un ruolo centrale i servizi dell’area della famiglia, infanzia, età evolutiva, in relazione agli scenari demografici (soprattutto se si pensa al ben più consistente fenomeno migratorio in atto) e ai bisogni di prevenzione che modificano o meglio, costringono a ripensare il superamento di un modello di intervento solo di tipo emergenziale e per questo frammentario e una struttura dei servizi molto poco incentrata su un sistema complesso di interazioni.

Milano: un’esperienza di mediazione culturale nel consultorio familiare
Dal 1996 l’Opera Nomadi ha avviato con la ASL di Milano – Dipartimento ASSI la formazione e l’inserimento nei Consultori Familiari di mediatrici culturali sanitarie rom, dando vita a un’esperienza pilota in questo settore.

Nell’ultimo triennio questa azione ha riguardato in particolare l’intervento a favore delle donne dei gruppi romeni che intendevano recarsi al Consultorio con o senza il loro partner.

Il Consultorio è progressivamente diventato un punto di riferimento importante per le comunità di rom stranieri e italiani e, a partire da questa relazione, anche altri Servizi socio sanitari hanno iniziato ad acquisire ai loro occhi una specifica e riconosciuta fisionomia.

Nel percorso di formazione professionale le mediatrici hanno raggiunto un consistente grado di autonomia nei rapporti con i Servizi e un livello di riconoscimento da parte delle comunità Rom che ha inciso anche sulla loro condizione di donne.

All’interno dei villaggi rom la fiducia acquisita le ha messe in condizione di operare per un lavoro di sensibilizzazione sui problemi sanitari e di educazione igienica dei bambini, a partire dalla profilassi delle vaccinazioni, i controlli in gravidanza, il ricorso alla contraccezione.

La continuità ha rappresentato un valore specifico di rafforzamento dell’esperienza acquisita e di perfezionamento della sperimentazione condotta.

Ma nello specifico della cultura e della condizione dei rom essa è anche:

  • una condizione essenziale per mantenere un rapporto di fiducia, faticosamente raggiunto, verso la nostra società e verso gli operatori che hanno saputo accogliere, formare e accompagnare le mediatrici nella loro attività
  • una complessiva risorsa delle comunità interessate, lungo un cammino lento di integrazione che va reso il più possibile sicuro e continuo: ogni interruzione rappresenterebbe infatti una rovinosa perdita di credibilità globale e quindi un probabile abbandono dei processi avviati.
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Di Fabrizio (del 26/02/2009 @ 09:28:55, in media, visitato 2068 volte)

Ricevo da Fabrizio Boni

Ciao a tutti,
vi mando il link ai trailer a un paio di lavori che sto provando a vendere.
http://www.vimeo.com/user1333204
Nell'attesa gli faccio prendere un po' d'aria.

Saluti e baci

Fabrizio Boni
Tel/Fax: +39 0657302088
Mob: +39 3358168363
Email: fbrz.boni@gmail.com

PS: Savorengo Ker è bruciata il 12 dicembre. QUI la cronaca dal blog Casilino900

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Di Fabrizio (del 25/02/2009 @ 09:43:52, in Italia, visitato 2266 volte)

Ricevo da Marco Brazzoduro

Marian è un rom romeno che da qualche mese vive insieme a sua moglie in uno dei cosiddetti “insediamenti abusivi” della Capitale, una baraccopoli di oltre 70 persone (di cui la metà minori) invasa dai topi. Ogni mattina, Marian si alza all’alba e, insieme al cugino, percorre le strade della città a bordo del suo Fiat Iveco alla ricerca di ferraglia varia da poter rivendere al peso. Grazie a questa attività, può rientrare ogni sera al campo con qualche spicciolo nelle mani sudice e rovinate da una giornata di ricerca e fatica. Quei soldi raccolti onestamente, senza rubare niente a nessuno, apportando involontariamente un servizio di riciclaggio alla città, sono l’unica fonte di reddito per sè e per sua moglie, l’unico mezzo per mangiare alla sera.

Sabato 14 febbraio, il giorno di San Valentino, alle ore 18.00, poco prima che a qualche chilometro di distanza si consumasse una mostruosa violenza contro una coppia di ragazzini, Marian e sua moglie vengono fermati a bordo del loro camioncino da un’attenta coppia di vigili – un uomo ed una donna di cui non pubblicheremo il nome – per un normale controllo.

L’assicurazione è perfettamente in regola, la patente del conducente anche, i parametri di sicurezza del mezzo sono ok, non vi sono contraffazioni di sorta, i bolli sono tutti pagati. Eppure, il mezzo viene sequestrato.

Marian protesta e si rifiuta di firmare il verbale, ma la municipale consegna loro un foglio in cui si legge che il mezzo sarà condotto al deposito di via Artena per violazione dell’art. 100 del Codice della Strada.

La nostra Associazione (Popica Onlus), che collabora con i rom dell'insediamento di Marian, viene avvertita solo lunedì mattina. L’art. 100 del CdS reca questo titolo: “Targhe di immatricolazione degli autoveicoli, dei motoveicoli e dei rimorchi”.

Decidiamo di accompagnare Marian allo sportello della Polizia Municipale del Municipio VI per cercare di capire cosa sia successo.

La funzionaria, in modo non proprio accomodante, ci spiega che il problema sta proprio nella targa. È contraffatta? No. È illeggibile? No. È vecchia? No. E allora qual è il problema? La targa ha perso di rifrangenza.

Ci viene da ridere, ma forse dovremmo piangere. Al comma 5 del suddetto art. 100 del Codice Stradale, in effetti si dice: “Le targhe indicate ai commi 1, 2, 3, 4 devono avere caratteristiche rifrangenti”.

Ci scorrono nella mente le immagini fugaci di tutte quelle targhe vecchie e scolorite che ogni giorno ci passano davanti nel traffico capitolino: targhe scritte sul cartone, targhe completamente ricoperte di fango e adesivi, targhe su cui sono stati apposti dei cd rifrangenti sui lati per evitare il flash degli autovelox.

La situazione avrebbe una sua comicità, se non fosse tragica.

Non possiamo esimerci dal complimentarci con i funzionari della polizia municipale per l’encomiabile lavoro svolto, per l’impeccabile applicazione della legge.

Intanto Marian per riavere il mezzo dovrà passare dagli uffici della municipale alla motorizzazione più volte, mentre il Fiat Iveco arricchirà le casse del deposito. Ci vorranno centinaia di euro per riprendersi il furgoncino.

Come associazione abbiamo immediatamente contattato un avvocato per il ricorso. Il legale, nonostante sia da anni impegnato nel settore, si è detto però assolutamente nuovo ad un caso del genere.

Ci hanno detto che “la legge è uguale per tutti”: crediamo però che, in questo caso, la legge sia stata “più uguale” per questa coppia di rom, che stasera non avrà soldi per mangiare perché è stato loro sottratto il lavoro proprio in nome della legge e della loro integrazione.

di Gianluca Staderini e Michele Camaioni
POPICA ONLUS - www.popica.org 
http://www.myspace.com/popicaonlus

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Di Fabrizio (del 25/02/2009 @ 09:27:21, in Europa, visitato 2577 volte)

Da Roma_Daily_News

COMUNICATO STAMPA GREEK HELSINKI MONITOR [Traduzione in inglese di GHM dall'articolo originale in greco su http://www.e-tipos.com/newsitem?id=75693 (da me ritradotto in italiano)]

I Rom di Aghia Varvara (municipalità della Grande Atene, con una sostanziale presenza di Rom) lo chiamano "esempio della razza". E' cresciuto e ha frequentato la scuola locale, completando i suoi studi alla Facoltà di Medicina di Atene e la sua specialità medica all'ospedale "Sotiria". Ha aperto il suo studio e qualche tempo fa è stato nominato nel ramo regionale dell'IKA (il principale Fondo di Sicurezza Sociale greco, che ha anche una clinica regionale). Il 42enne specialista dei polmoni Christos Vassileiou si sente orgoglioso di aver infranto il "muro" di analfabetismo e di essere diventato un modello per la nuova generazione di Zingari. "Per gli standard della mia razza, è rivoluzionario lavorare nel campo medico."

La strada per l'Università e della realizzazione professionale è stata tutt'altro che facile. "Se sei uno Zingaro, non puoi aspettarti aiuto da nessuna parte. Trovi solo muri e porte chiuse. Attraverso questo percorso devi mantenere le orecchie chiuse e rimanere impegnato sulle tue mete.

Per molti anni ho cercato, ma invano, di ottenere un lavoro in ospedale. Ho portato pazienza ed alla fine sono stato ricompensato. Sono anche stato fortunato. Se fossi nato in un'altra città, forse non ce l'avrei fatta". Molti Zingari che vivono ad Aghia Varvara, hanno fatto in modo di assicurarsi una vita decente. "Sono stati fatti alcuni passi. Diciamo che è una delle aree dove vive l'elite degli Zingari. [Puoi trovare] gente istruita, dottori, studenti che hanno buoni voti, uomini d'affari. Il modello Aghia Varvara dev'essere ampliamente promosso e costituire un esempio per tutti gli insediamenti. Nella maggior parte dei quali, i genitori non possono permettersi il latte per i loro figli e raccolgono tutto ciò che possono trovare nella spazzatura per poter vivere".

Nell'accampamento di Aghia Sofia e Dendropotamos in Tessalonica, nell'accampamento di Sofades a Karditsa e Nea Smirni a Larissa, la gran maggioranza dei Rom vive in baracche senza acqua corrente, fognature ed elettricità. A Votanikos (nel centro di Atene) i bambini giocano accanto ai topi morti. Nell'area di Psari ad Aspropyrgos, in campi con antichi alberi d'olivo e mucchi di rifiuti e di macerie, circa 100 famiglie vivono in tende e baracche di legno. Anche ad Aghia Vaarvara d'altra parte, la "città modello", rimangono irrisolti bisogni di base nei campi dell'istruzione e dell'assistenza medica. Vicino a Vassileiou vivono bambini senza nessun documento, che non parlano greco e non sono mai andati a scuola. "Non possono nemmeno andare in ospedale. Non hanno assicurazione medica o libretto sanitario. Non hanno nome. Le più grande afflizioni sono l'analfabetismo, la disoccupazione e la ghettizzazione nelle scuole. A Zefyri (un'altra municipalità vicino alla grande Atene con una significativa presenza di Rom), c'è una scuola primaria dove quasi tutti gli alunni sono Rom. Nessuno manda i propri bambini a frequentare quella scuola. Come possono i giovani integrarsi in una società che li tiene ai margini? Lo stesso fenomeno si può osservare in altre aree, come ad esempio in Chalkida o Tessalonica."

Adesso da alcuni mesi, visita due volte a settimana gli uffici dell'Associazione Culturale Zingara Pan-Ellenica ed esamina gratuitamente i Rom con problemi respiratori. "Molti di loro iniziano a fumare da quando hanno otto anni. Quando sono sulla quarantina, i loro polmoni sono distrutti". Due o tre volte all'anno visita gli accampamenti in varie aree del paese e aiuta quelli che ne hanno bisogno, esaminandoli o fornendo loro le medicine. "Provo a star loro vicino. Dato che lo Stato non se ne cura, la responsabilità ricade su di noi che abbiamo scelto di contrastare il fato di quanti appartengono alla nostra razza. Abbiamo il dovere di riempire il gap lasciato dallo Stato".

"Il terzo mondo è vicino a noi"

"A scuola mi hanno insegnato storia greca antica. La Grecia è la mia patria, il mio paese. E se sarà il caso, la difenderò. D'altra parte ci sono giovani Zingari che non hanno gli stessi sentimenti. Lo Stato deve assegnare priorità all'integrazione dei nostri bambini nella società". Le stime riguardo la dimensione della comunità Rom in Grecia variano. Greek Helsinki Monitor considera che ci siano 350.000 Rom, ma la Confederazione Pan-Ellenica dell'Associazione dei Rom Greci (POSER) fa una stima di 714.000. "Non è importante quanti siamo ma in che condizioni viviamo". Nel nostro paese ci sono approssimativamente 250 comunità di Zingari. In molti accampamenti dove vivono "gli abitanti delle tende", il 99% sono positivi all'epatite A, mentre il 50% lo è all'epatite B. Il 90% dei Rom che vive in Grecia è analfabeta, il 40% disoccupato e l'80% non hanno nessuna assicurazione sociale. "Ci si ricorda di noi solo in caso di incidenti che attraggono cattiva pubblicità. E durante le elezioni". Ora da alcuni mesi, Vassileiou sta riunendo informazioni riguardo le condizioni di vita del suo popolo. "La nostra unica soluzione risiede nell'appellarci alle agenzie dell'Unione Europea. Abbiamo compilato documenti con i nostri desideri e promesse. Sento sempre la gente che parla dei bambini del terzo mondo. Se visitassero Aspropyrgos, lo incontrerebbero. Vivono accanto a noi. Tra di noi."

GREEK HELSINKI MONITOR (GHM)
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Di Fabrizio (del 25/02/2009 @ 09:16:27, in Europa, visitato 1650 volte)

Da Hungarian_Roma

Budapest, 20 febbraio (MTI) - Orban Kolompar, capo dell'Autorità Nazionale Zingara (OCO), ha chiesto alle comunità rom ungheresi di contribuire ad un'analisi delle recenti manifestazioni anti-Rom e di addivenire a proposte che calmino le tensioni con la società, ha detto venerdì Kolompar a MTI.

I sentimenti anti-Rom tenderanno a crescere nei prossimi mesi, in quanto i nazionalisti radicali stanno facendo sforzi per aumentare la loro base elettorale alimentando questi sentimenti, ha detto Kolompar.

Ha aggiunto che Fidesz, il principale partito d'opposizione, sta fornendo "tacito appoggio" a queste attività, citando la recente dichiarazione del leader di Fidesz, Victor Orban: "Non esiste un crimine zingaro, ma ci sono zingari criminali".

Kolompar ha detto che OCO non permetterà che la comunità rom sia etichettata collettivamente come un gruppo di criminali. "Chiunque usi questa retorica sta giocando col fuoco," ha aggiunto.

I leaders dei 1.127 governi locali Rom d'Ungheria si incontreranno per una conferenza nazionale agli inizi di marzo. L'agenda include anche i temi del lavoro, dell'istruzione e della sicurezza pubblica, ha detto Kolompar.

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Di Fabrizio (del 24/02/2009 @ 14:27:03, in Italia, visitato 1357 volte)

Lunedì 23 febbraio 2009 - ORE 17.20 - Si è tenuto stamattina, in un clima di cordiale collaborazione, l'incontro tra i rappresentanti delle Organizzazioni sociali e del lavoro e il Procuratore Capo della Repubblica di Foggia Vincenzo Russo. L'iniziativa di cui si sono fatte promotrici le ACLI, la Caritas, la Cgil, la Cisl, l'Arci, l'Acsi, l'Opera Nomadi, l'Associazione Genoveffa de Troia, l'Ordine dei medici e Solidaunia ha avuto come oggetto la situazione del campo Rom di Borgo Arpinova, danneggiato dall'incendio del 19 dicembre scorso nel quale trovò la morte il piccolo Geylo. Dalle parole del Procuratore Capo si è appreso che l'istruttoria, seguita al sequestro disposto dalla Procura della Repubblica di Foggia dopo l'incidente, si avvia alla conclusione e a breve, quindi, il Comune di Foggia potrà disporre dello spazio per le opere di ricostruzione. La prima maggiore difficoltà incontrata dopo l'incidente viene così rimossa, dando alle circa 60 famiglie Rom e ai 67 bambini la possibilità di un ritorno alla normalità e ad una vita dignitosa. Pochi giorni ancora e il Comune di Foggia, con il quale più volte le stesse Organizzazioni avevano promosso iniziative di confronto su quella che è divenuta, nel frattempo, una vera e propria emergenza abitativa e sanitaria, soprattutto, per le 10 famiglie Rom più gravemente colpite dall'incendio, potrà iniziare il lavoro di ricostruzione. L'augurio, che ha trovato conforto nel dialogo costante con l'Assessore comunale Paolo De Vito, è che il dissequestro dell'area possa, nel più breve tempo possibile, stabilire le migliori condizioni di vivibilità del Campo di Borgo Arpinova, anche attraverso la dotazione di sistemi di sicurezza adeguati alla situazione.

redazione Teleradioerre

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Di Fabrizio (del 24/02/2009 @ 09:26:11, in Europa, visitato 1488 volte)

Da Roma_Daily_News (tutti i link sono in tedesco o inglese)

17 febbraio 2009 – Assieme ai Liberali, la coalizione di Conservatori e Socialdemocratici ha definitivamente rigettato, mercoledì scorso, una mozione introdotta dal partito di sinistra "Die Linke", che richiedeva una temporanea moratoria sui rimpatri forzati verso il Kosovo. "Die Linke" chiedeva anche al Governo Federale di garantire uno status di residenza permanente ai membri delle minoranze etniche e di altri gruppi vulnerabili. Il partito diceva anche che la Germania aveva una particolare responsabilità verso i Rom, risultante dall'Olocausto.

In un articolo sugli uffici del primo ambasciatore tedesco nominato per il Kosovo, la rivista internet net.de scrisse che uno dei suoi compiti principali sarebbe stato organizzare i ritorni dei rifugiati. Secondo l'ambasciatore, circa 200.000 abitanti del Kosovo vivono in Germania, la maggior parte con passaporto serbo o jugoslavo. Tra questi, 35.000 molti di questi Rom, Askali ed Egizi sono soltanto "tollerati". Sono a rischio di deportazione forzata in Kosovo, una volta segnato l'accordo di riammissione tra Kosovo e Germania.

Romano Them

Vedere anche:

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Di Fabrizio (del 24/02/2009 @ 09:21:30, in Italia, visitato 1428 volte)

Ricevo da Agostino Rota Martir

Un gruppo di famiglie Rom Bosniache che vive fuori Livorno ha dato accoglienza al cittadino Rumeno Karol Racz, presunto autore dello stupro della minorenne avvenuto a Roma il 14 febbraio scorso.

I Rom in questione erano del tutto ignari del grave reato commesso (?) dal cittadino Rumeno pochi giorni prima a Roma. Conoscevano Karol, già un anno fa questi si era rivolto a loro perché bisognoso di aiuto e aveva trovato in questa piccola comunità di Rom il necessario sostegno e la possibilità di svolgere qualche piccolo lavoro: raccolta ferro, pulizia del campo. Si era sempre mostrato gentile e calmo con tutti i componenti della famiglia Rom, ancora fanno fatica a credere alle accuse che gli vengono mosse. Allora viveva con un gruppo di suoi connazionali a poca distanza dal campo Rom. Poi aveva lasciato Livorno per andare a Roma.

Qualche giorno fà Karol si era ripresentato al campo per chiedere agli stessi Rom la possibilità di poter dormire e di fermarsi solo qualche giorno il tempo per guadagnare qualche soldo per poi ripartire di nuovo. Era notte, faceva freddo, giusto appunto c'è anche una roulotte libera, così i Rom accettano di ospitarlo il tempo necessario, lo conoscono e si fidano: non immaginano lontanamente che Karol è ricercato dalla Polizia per il presunto reato di stupro a danno di una minorenne.

In quel momento i Rom vedono una persona, un uomo, un povero che chiede un aiuto, un'ospitalità.. anche loro ci sono passati, sanno benissimo cosa vuol dire essere rifiutati, messi fuori, passare le notti al freddo, sentirsi soli e affidarsi alla bontà di qualche "cristiano" capace ancora di compassione. Per loro in quel momento l'uomo precede la regola, il calcolo, il dentro e il fuori. Si potrà ragionare e disquisire all'infinito senza arrivare a delle certezze matematiche, e quel dubbio che mina ogni possibile ragionamento: "ma se avessero saputo che lui era ricercato, cosa avrebbero fatto?" Cosa avremmo fatto noi di fronte ad un conoscente, ad un amico? Ma non è questo il punto, perché in quel momento le famiglie Rom non lo potevano certo pensare o immaginare quali fossero le reali intenzioni del Rumeno: davanti a loro c'era una richiesta di aiuto, quella di Karol conosciuto l'anno prima, e la risposta fu quella di aprire la loro porta ed accoglierlo.

" Venite, voi che siete benedetti dal Padre mio..perché io ero forestiero e mi avete ospitato nella vostra casa.." (Mt.25, 35 ss.)

Quei Rom hanno accolto, non nascosto! Ingenuità o profezia?

La nostra società sa ancora accogliere l'altro senza calcolo, senza per forza dover programmarlo secondo i nostri progetti o senza rivestirlo dei nostri percorsi? E' ancora valida un'accoglienza dell'altro capace di rispettare la sua identità, le sue tappe, le sue scelte e senza la pretesa di essere sempre e solo noi a dover determinare tutto? Ne siamo ancora capaci?

Ti accolgo se accetti di cambiare al ritmo della mia bontà, se dimostri di volerti integrare, se sottoscrivi questi patti, altrimenti.." Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini..perché tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti." ( Lc 14, 12-14)

Bisogna riconoscere che non poche volte comunità di Rom e Sinti accolgono al loro interno persone (italiani e non) di passaggio, a volte sono persone ferite
dentro, emarginate dalla società..lì ritrovano anche quel calore umano che altrove gli è precluso, rifiutato, negato o condizionato. E' un'accoglienza semplice, sopratutto umana e discreta ma spesso capace di ridare coraggio e di aprire cammini nuovi a chi attraversa periodi di disagio e difficoltà.

Regolamento di campi imposto e blindato, quasi copiato nello spirito alle leggi razziali d'un tempo che ci illudevamo di aver lasciato alle spalle, demolizioni di insediamenti abusivi, ordinanze contro mendicanti, lavavetri, censimento dei senza fissa dimora, ronde..piano piano accettiamo come normalità interventi sempre più duri contro i poveri, gli immigrati e i Rom in particolare; in nome della sicurezza trangugiamo ogni sorta di boccone, spesso imbevuto con piccole dosi quotidiane di razzismo, fino a non farci sentire il disgusto o la vergogna per i nostri silenzi o peggio ancora collaboratori attivi a questi progetti. L'accoglienza che questi Rom hanno donato a Karol, nonostante tutto è stato un gesto di genuinità, di squisita solidarietà: hanno offerto il loro spazio, hanno aperto all'accoglienza la loro mano, a differenza di gran parte della società che in questi ultimi tempi vuol far mostra della sua "cattiveria" attraverso il suo pugno chiuso.

Grazie per questo vostro messaggio umano e cristiano!
Don Agostino Rota Martir - Campo nomadi di Coltano (PI) - 21 Febbraio 2009

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