Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 19/09/2008 @ 09:20:44, in musica e parole, visitato 1673 volte)

Tom Welschen mi suggerisce questo post di Viadellebelledonne (Io trovo l'uso dell'aggettivo "romantico" un trucco per trattare i Rom come una categoria aliena, esotica, per forza distante dalla nostra vita. Altra cosa: un Rom definirebbe mai se stesso "romantico" o è una definizione che noi gli abbiamo appiccicato? Comunque, non è giusto giudicare un libro dal titolo o dalla copertina: leggendo la recensione che segue, si trovano anche molte considerazioni interessanti e condividibili. Fatemi sapere)

Chi sono veramente i rom? Il diario edito da Magi svela la vera identità di una popolazione umiliata, bistrattata e dalle tradizioni incomprese.
Un popolo senza patria, dalle origini avvolte nel mistero, che mantiene un senso estremo dell’unità e un grande rispetto delle tradizioni. Sono questi gli elementi che contraddistinguono la peculiare identità dei rom, i quali affollano i paesi europei da tempi immemori ma che continuano, ancora oggi, a richiamare su di sé pregiudizi che alimentano il disprezzo e in alcuni casi addirittura l’odio degli autoctoni. Ecco, allora, che emerge la necessità urgente di fare chiarezza e gettare luce su un mondo troppo spesso misconosciuto e frainteso, in modo tale da favorire il rispetto reciproco e l’integrazione. È proprio questo l’ambizioso obiettivo del libro scritto da Daniela Lucatti, Romantica gente (Edizioni Magi). Si tratta di un prodotto letterario dalle caratteristiche inconsuete, dato che non assume la forma tradizionale del romanzo e neppure quella del saggio. Si presenta, invece, come un diario, grazie al quale l’autrice, una psicologa, rievoca e ricostruisce i momenti salienti del suo lavoro come referente presso il Centro informazione e consulenza cittadini extracomunitari e rom del comune di Pisa, sua città natale. È nel corso di questa importantissima esperienza lavorativa che l’autrice entra per la prima volta in contatto ravvicinato con la comunità di etnia rom e impara a conoscerne la cultura, le tradizioni, le abitudini, i difetti e gli straordinari pregi. Il suo contributo letterario è pregnante, proprio perché nasce dall’esperienza diretta sul campo, maturata giorno dopo giorno e a prezzo di notevoli difficoltà per ben undici anni, contrassegnati dalla soddisfazione di avere fatto tutto il possibile per migliorare le condizioni di vita di chi stenta a essere riconosciuto e accettato.

Chi sono realmente i rom?
Per sradicare il pregiudizio e il sospetto dal nostro cuore è fondamentale, innanzitutto, conoscere e comprendere l’identità di coloro che siamo abituati a tacciare sbrigativamente come “diversi”. La confusione e l’ignoranza sono accresciute dalla mancanza di libri scritti dai membri di questa popolazione, testi che ci raccontino il loro universo, le loro individualità e le loro storie. Ciò accade perché quella romanì è una cultura prettamente orale, che solo negli ultimi anni sta assistendo a qualche rara eccezione. Inoltre, i rom dislocati in Occidente sono generalmente frequentati soltanto da operatori pubblici e del privato sociale, i quali danno loro assistenza, o da rappresentanti di confessioni religiose disparate, che tentano di fare proselitismo, per non parlare dei molteplici criminali, che se ne servono facendo leva sulla povertà per i loro sporchi traffici. Questa situazione non produce altro effetto se non quello di incoraggiare i sentimenti di timore, preconcetto e razzismo, ulteriormente accresciuti dai più recenti casi di cronaca nera, che hanno ricoperto i rom di pubblicità negativa. Ma non si può certo fare di tutta l’erba un fascio. Tocca, dunque, chiederci chi siano realmente gli appartenenti al popolo romanì. In primo luogo, dobbiamo chiarire che “rom” significa “uomo” e che con questo termine si fa riferimento a coloro che appartengono alle comunità di lingua e cultura romanes, giunte per la prima volta in Europa all’inizio del XV secolo. Si tratta di una popolazione indoariana, costituita da cinque grandi gruppi: rom, sinti, manouches, romanichals e kalé. Ciascun raggruppamento è costituito da numerosi sottogruppi contrassegnati da caratteristiche economiche, etiche, linguistiche e socioculturali particolari, sebbene vi sia comunque un’omogeneità sostanziale. In tutto il mondo si contano circa dodici milioni di individui (otto milioni circa in Europa e quasi centoventimila nel nostro paese, di cui l’ottanta per cento di antico insediamento e con cittadinanza italiana). Essi rappresentano una nazione senza stato e senza territorio e sulle motivazioni del loro esodo esistono solo supposizioni non suffragate da dati di fatto. Si crede provengano dalle regioni a Nord-Ovest dell’India (Pakistan, Panjub, Rajasthan, Valle del Sindh) e pare che abbiano intrapreso un percorso storico comune (inizialmente raggiungono l’Armenia, l’Impero bizantino e la Persia, per poi distribuirsi nei paesi europei e infine allontanarsi ulteriormente a causa delle deportazioni nelle colonie delle potenze europee in Africa, America e Australia).

Il termine con il quale noi occidentali usiamo definire le popolazioni romanes è “zingari”, che deriva dal nome di origine orientale di una setta eretica, quella degli athingani, che, a partire dall’VIII secolo, si introdussero nell’Impero bizantino. L’accezione fortemente negativa del termine “zingari” deriva proprio dalla cattiva fama di cui questa setta, confusa con la comunità romanì, godeva, essendo dedita all’arte della magia. Un altro nome con il quale vengono designati i rom è “nomadi”, anche quando questi sono stanziati nel territorio da secoli. Dobbiamo, inoltre, tenere in considerazione che la continua mobilità che ha caratterizzato la popolazione romanì in Europa e nel mondo non è stata il frutto di una scelta culturale, bensì la conseguenza di politiche inospitali e repressive (basti pensare alla persecuzione di cui fu fatta oggetto dai nazisti), di cui la creazione dei campi nomadi costituisce solo l’ultimo baluardo. In questi luoghi, infatti, si è determinata una vera e propria situazione di segregazione razziale, una ghettizzazione che spinge i rom al degrado sociale e culturale e all’impossibilità dell’integrazione, se non a prezzo di un’assimilazione forzata che produce l’annientamento della propria peculiare identità.

Storie toccanti di uomini e donne che lottano per un futuro migliore

Il diario scritto dalla Lucetti tratteggia, attraverso la ricostruzione dei giorni di servizio, vite umane autentiche che non vogliono arrendersi all’apartheid a cui sono costretti e che, giorno dopo giorno, tentano di costruire per se stessi, e in particolare per i propri figli, un futuro più roseo, improntato all’integrazione e al multiculturalismo.

Vi è Argia, dai capelli brizzolati legati a coda di cavallo e l’andatura tipicamente maschile, donna che incute un senso di rispetto profondo, come se fosse un’anziana, pur non essendolo realmente. Sarà per il colore dei capelli o per il viso provato, ma soprattutto per la sua straordinaria saggezza, che le consente di fronteggiare con estrema determinazione anche le difficoltà più ardue. Argia si reca al Centro informazione e consulenza cittadini extracomunitari e rom per poter riavere la sua casa, una stanza nel cimitero, da cui è stata mandata via, costretta a vivere in una precaria roulotte infestata da “creature minacciose”.

Poi c’è Nariba, la quale non vuole che i suoi figli vengano inseriti nella lista dei bambini rom, perché «non sono “zingheri” come quelli del campo». La donna è disposta a rinunciare agli aiuti previsti per coloro che ne fanno parte, purché le sue creature non diventino oggetto del dileggio, del disprezzo e del pregiudizio razzista dei compagni di scuola e dei borbottii infastiditi e intolleranti dei loro genitori. Malgrado un marito sfaccendato e una vita ben al di sotto delle aspettative di gioventù, Nariba si fa in quattro per garantire ai suoi bambini un’esistenza serena e dignitosa e per fare in modo che non nutrano complessi di inferiorità nei confronti dei loro coetanei.

Il dramma di Lukia è, invece, determinato dal fatto che in un periodo di grandi difficoltà le è stato sottratto il figlio, rinchiuso in un Istituto per minori. Da mesi non vede il suo bambino e non le è neppure consentito di parlargli per telefono. Nonostante un marito violento e innumerevoli sacrifici, la donna non si arrende e lotta disperatamente per il bene più prezioso della sua esistenza.

Trascorsi «i primi tempi di studio reciproco e di estraneità nei quali viene mantenuta una certa distanza valutativa», si creano splendidi rapporti di vicinanza emotiva e confidenza tra l’autrice e queste donne tormentate, eppure così «piacevoli e intelligenti». È Lucatti stessa a raccontarci, non senza una punta di malinconia e commozione, quanto sia importante, anche nell’ambito lavorativo, instaurare relazioni autentiche, improntate alla reciproca comprensione. Ci svela, infatti: «Parlare con le donne straniere è una cosa che ogni volta mi fa sentire più ricca e le rom in particolare mi lasciano dentro un senso strano, quasi un antidepressivo. Nonostante il dolore che riescono a trasmettere, mantengono sempre qualcosa di estremamente vitale che si attacca addosso a chi si permette di lasciarlo entrare, non ponendo nel mezzo il muro del pregiudizio». E ancora: «Nei momenti di più acuta tristezza incontrarli mi calma, mi restituisce un senso. Sento che nonostante tutti gli sforzi che fanno per riuscire ad assicurarsi la sopravvivenza non sopravvivono ma vivono comunque e a qualsiasi costo. Come se non perdessero mai, anche nel dolore più grande, questo senso del vivere nel quale riescono a includere tutto senza lasciarsi portare via».

Romantica gente umiliata per il colore della pelle e l’aspetto dimesso

Il rapporto speciale e simbiotico con le “sue donne rom” fa emergere nell’animo sensibile della scrittrice un profondo senso di colpa e di vergogna per la razza a cui appartiene, la quale costringe i “diversi” a una vita che non è degna di essere definita tale, caratterizzata da ingiustizie, disparità di trattamento, umiliazioni e torti, “giustificati” unicamente dall’appartenenza a un’etnia differente.

La forma di diario scritto in prima persona mette in evidenza i sentimenti e le emozioni provati dall’autrice del libro nei suoi undici anni di lavoro entusiasta presso il Centro, durante le innumerevoli battaglie (alcune perse con onore, molte altre vinte con soddisfazione) condotte fianco a fianco a questa umanità bistrattata e, nonostante ciò, mai fiaccata del tutto. È proprio questa carica di straordinaria empatia, che filtra da ogni pagina di Romantica gente, a costituire il principale punto di forza e di attrattiva di un libro, scritto in uno stile semplice, asciutto e diretto, che si propone l’intento di instillare nelle menti dei lettori il concetto per il quale professionalità significa anche umanità e compartecipazione e, soprattutto, lo scopo di contribuire a condurre i rom fuori dai campi, «intesi simbolicamente come recinti pregiudiziali all’interno dei quali sono collocati». Speriamo davvero che l’obiettivo venga centrato.

Annalice Furfari

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Di Fabrizio (del 19/09/2008 @ 11:29:11, in Europa, visitato 1870 volte)

Da Altrenotizie

di Elena Ferrara - Questa volta scendono in piazza per chiedere solidarietà e per affermare il loro diritto all’esistenza. Stanchi ed esasperati per le ripetute aggressioni contro le loro famiglie e forti dell’appoggio ricevuto dal recente congresso mondiale svoltosi a Frisinga, in Germania, giocano la carta della manifestazione di massa. Sanno di essere 36 milioni sparsi in Europa, nelle Americhe e nell’Asia. E sanno, appunto, che nel vecchio continente arrivano già a 12 milioni. Ora presentano il conto. Sono gli zingari che tra pochi giorni - e precisamente il 20 settembre - si ritroveranno a Budapest dove il presidente del "Consiglio nazionale tzigano" - l’ungherese Orban Kolompar - ha invitato i rom magiari a protestare contro la Guardia ungherese che è l’organizzazione paramilitare estremista e razzista che si sta sempre più distinguendo con aggressioni contro gli zingari.

Kolompar chiede, inoltre, di avviare una serie di azioni che tendano a bloccare la diffusione del razzismo. E così sarà la prima volta che gli "tzigani" scenderanno in campo in Ungheria in difesa dei loro diritti, contro il razzismo. La manifestazione servirà anche a ricordare all’opinione pubblica che quella rom è la più numerosa minoranza in terra magiara. Secondo calcoli approssimativi conta da 600 mila a 800 mila membri che sono stanziati soprattutto nelle regioni nordorientali, quelle più povere e depresse.

I rom, tra l’altro, collezionano una serie di dati negativi sulla disoccupazione, i livelli di scolarizzazione e l’aspettativa di vita alla nascita rispetto al resto della popolazione ungherese. Tutto questo mentre vengono "collocati" nell'area spregevole del "diverso", con ciò che ne consegue in termini di disprezzo, odio, violenza ed emarginazione. E così, precostituito il colpevole, è facile ricercarne le colpe seguendo un copione storicamente e sociologicamente sperimentato, scritto con il peggiore inchiostro degli istinti barbari e della ragione deviata. Arriva però il momento della riscossa e questo è quello che si augurano i dirigenti del movimento che prende le mosse dall’Ungheria.

E proprio a Budapest si ricorda che gli zingari hanno ispirato in ogni epoca l'immaginario collettivo e quello individuale artistico, ma non hanno quasi mai stimolato serie ricerche storiche e sociologiche. Essi subiscono così, oltre alla ben nota emarginazione di fatto, un’emarginazione culturale frutto di avversione intellettuale e di sostanziale ignoranza dei loro reali costumi di vita e dei valori che li sottendono.

Ora la decisione di invitare ad una rivolta pacifica di piazza (sarà la più grande manifestazione nella storia degli tzigani) è dovuta anche al fatto che proprio nelle ultime settimane si sono registrati attacchi contro case abitate da zingari ed è chiaro che la situazione ha superato i livelli di guardia. Tanto che in una conferenza sulla situazione dei rom, organizzata da "Lungo Drom" che è la principale associazione civica rom, il presidente Florian Farkas ha detto che in Ungheria la convivenza fra ungheresi e rom è arrivata a una situazione nuova.

''Gli argini si sono rotti da ambedue le parti - ha detto - e ci troviamo di fronte a un estremismo radicale razzista da una parte, e un radicalismo etnico rom dall'altra. La violenza avrà fra poco una risposta violenta''. Dal canto suo il garante dei diritti delle minoranze, Ernoe Kallai (rom) ha sottolineato l'insuccesso delle politiche attuate da Budapest per la minoranza tzigana. Ed ha poi ammonito che ''senza cambiamenti, l'esplosione del problema dei rom sarà inevitabile''.

Ora mentre le organizzazioni sociali e molti partiti ungheresi si preparano per l’appuntamento del 20 settembre si registra anche una precisa presa di posizione della chiesa cattolica ungherese che, come è noto, ha una forte influenza nella società locale. La Chiesa dice "no" alle discriminazioni nei confronti degli zingari e si rifà anche alle recenti decisioni prese dal Congresso mondiale della "Pastorale per gli zingari" che si è svolto nelle settimane scorse in Germania. E proprio in tale occasione un alto esponente del Vaticano - il segretario del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, arcivescovo Agostino Marchetto - in un’intervista alla Radio Vaticana ha denunciato la gravità della situazione delle comunità zingare. "Dai rapporti che ci pervengono dalle Chiese locali – ha fatto notare l’arcivescovo – constatiamo che un pò dappertutto gli zingari sono vittime di discriminazione, disuguaglianza, razzismo e xenofobia".

Non si salva neanche l’Europa, dove "i Rom e Sinti, pur se cittadini di Stati membri dell’Unione europea e muniti di documenti validi, non possono godere degli stessi diritti dei comuni cittadini. "In alcuni Paesi – ha aggiunto Marchetto – i bambini zingari sono costretti a frequentare scuole speciali per disabili fisici o mentali, mentre non poche donne vengono sottoposte a sterilizzazione forzata. E la generale mancanza di fiducia fa sì che ai giovani, pur se ben preparati professionalmente, non è concesso l’ingresso al mondo del lavoro come agli altri".

Di qui la decisione di affrontare le questioni degli zingari come una risorsa per la società e non come un problema. Non si tratta, avverte la Chiesa, di una "ingerenza politica" ma di un "dovere", così come, appunto, è doveroso "difendere la dignità della persona in tutte le sue espressioni". Forse si apre ora - grazie agli zingari ungheresi - una nuova pagina distensiva che potrebbe favorire il riconoscimento di distinte identità nazionali.

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Di Fabrizio (del 19/09/2008 @ 13:49:11, in musica e parole, visitato 1519 volte)

Da Welfare Cremona

Associazione culturale MARGINeMIGRANTE 'ROMANCES' Sabato 20 Settembre 2008,
Teatro Monteverdi, Cremona ore 21.00

Le storie raccolte durante una ricerca condotta in un campo nomadi di Padova sono il tessuto intorno a cui si intrecciano le maglie della drammaturgia. Come in un gioco di bambini, il gruppo di sei attori in scena crea e distrugge frammenti di mondi: emozioni, situazioni ed immagini si sviluppano in una concatenazione continua per dare vita ad una narrazione collettiva, rielaborazione delle storie raccolte.

Dagli argini della città le storie raggiungono il centro come sassi leggeri che, trascinati dal flusso, arrivano a destinazione carichi di esperienza. Ogni storia è un viaggio, ogni viaggio è una pietra che lanciata nell'acqua si moltiplica in tanti anelli per intersecare altre storie. La pietra si deposita poi sul fondo, aggiungendosi alle fondamenta, per modificare un po' il corso degli eventi.

Piccoli frantumi di vita diventano così schegge che generano spiragli nelle categorie condivise, creano spifferi pungenti ed inafferrabili che destabilizzano le categorie per dare vita a nuovi immaginari in continua metamorfosi.

Lo spettacolo Romances è uno dei risultati del progetto Rappresentazione al limite, finanziato dalla Comunità Europea nell’ambito del programma Youth in Action, promosso dal gruppo informale AltreLenti dell’Associazione Culturale Marginemigrante. Tema del progetto è l’indagine dello stereotipo della figura dello “zingaro”, attraverso uno studio approfondito delle realtà rom e sinti presenti in alcune città venete.

La necessità di approfondimento di questa tematica nasce dalla constatazione di una distanza, di un vuoto relazionale generato da entrambe le parti da un pregiudizio.

Il racconto inizia con il viaggio che Mari, il fratello Cristian, sua moglie Catarina e i bambini fanno dalla Serbia all’Italia dopo lo scoppio della guerra nel 1999. La scena si svolge fra il pubblico, gli attori salgono e scendono da tre sedie che spostano nella platea, raccontano i vari passaggi fino ad avvicinarsi al palcoscenico – Italia.

Le scene dello spettacolo si riducono a tre sedie che vengono utilizzate di volta in volta a seconda delle necessità che ogni singola immagine richiede e non in tutte le scene. L’uso dello spazio e della divisione fra platea e scena è convenzionale: gli attori salgono e scendono dal palco come entrano ed escono dalla narrazione, lo spettacolo non necessita di quinte né sipari.

regia: Beatrice Sarosiek
con: Aurora Diotti, Margherita Fantoni, Tommaso Franchin, Anna Manfio, Laura Serena, Anna Serlenga
costumi: Aurora Diotti, Isabella Sannipoli
luci: Tommaso Trivellato

per informazioni:
marginemigrante@gmail.com
tel. 3488853241
http://www.marginemigrante.org/

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Di Fabrizio (del 19/09/2008 @ 20:40:48, in media, visitato 1794 volte)

Ultimamente mi occupo poco di cronaca. Un po' per problemi di tempo, un po' perché chi naviga in Internet può trovare da sé le notizie e magari discernere. Preferisco dedicare il mio poco tempo a mettere in evidenza notizie sui Rom che altrimenti passerebbero inosservate. Per capire un popolo devi conoscerlo, ed i Rom sono il popolo più malvisto e meno conosciuto, tante nella sua tradizione che nei problemi del giorno per giorno.
Riprendo questo post del blog del circolo Pasolini di Pavia perché (stranamente?) la notizia è passata quasi inosservata. Tra le eccezioni, la solita Carta (anche se la notizia è confinata nelle ultime righe) e Terrelibere. Se avete altre segnalazioni, fatemele sapere. Comunque, ecco la notizia:

Sebastian che fu accusato di rapimento
Ringraziamo Paolo Fornelli per la segnalazione.

Mercoledì 17 settembre, il tribunale di Catania ha assolto il giovane Rom, Sebastian di 24 anni che il 15 maggio era stato accusato di avere tentato di rapire, assieme ad una donna Rom romena, Viorica di 20 anni - una bimba di tre anni nell'area di parcheggio di un ipermercato nella zona catanese.

L'infamante accusa era totalmente FALSA! Così ha sentenziato il Tribunale di Catania, in maniera netta, senza nessuna ombra di dubbio. Molti ricorderanno l'evento, rilanciato roboticamente, ad arte, per diversi giorni da tutti gli organi di informazione nazionali, televisivi e cartacei. Nel clima massificante e di obbedienza quasi tutti gli addetti ai lavori giornalistici tranne alcune eccezioni - non furono sfiorati da nessuna ombra del dubbio, che dovrebbe essere sempre figlio diretto del democratico e civile raziocinio umano.

Dagli ai nuovi nemici untori e distruttori della pacifica e civile convivenza degli italiani! Quelli che tranquillamente, in parecchi casi, si ammazzano e si stuprano in famiglia e tra gli affetti d'amore.

Le carte stampate locali dedicarono intere pagine, lunghi, stigmatizzanti e solenni furono i servizi televisivi, inseguendo la sciocca e velenosa velina.

Emerse, complessivamente, dalle Alpi a Capo Passero, una voce unica e totalizzante: dagli ai Rom. I partiti e le organizzazioni delle destre amplificarono in maniera possente e perversa l'attacco ai ROM, accusati ancora una volta di essere dediti al rapimento dei bambini.

Per Loro era tutto grasso che colava. Si scagliarono lancia in resta: in nero paludati, in gesso griffato o con l'ampolla. Da sfruttare al massimo, giusto per aizzare l'odio.

Il drammatico ed inesistente caso fu montato ad arte ad appena quattro giorni dalla vicenda di Ponticelli (Napoli), dove una ragazza Rom di 16 anni fu accusata di aver tentato di rapire una bimbetta di pochi mesi.

Caso ormai smontato, risultato privo di veridicità.

A seguito del razzismo, della caccia ai diversi, scientificamente propagati, furono bruciati tutti i campi Rom esistenti nell'area di Ponticelli.

Nell'evento catanese i due innocenti giovani, a seguito dell'accusa, finirono in carcere.

Le conseguenze per tutti i Rom stazionanti a Catania furono tragiche e pesanti.

A pochi giorni di distanza ai residenti nel principale campo (circa duecento), quello ubicati nel quartiere di Zia Lisa, fu comandato di andare immediatamente via, e ritornare in Romania. La qual cosa avvenne.

I Rom, terrorizzati, che avevano tanti bambini che frequentavano regolarmente le scuole elementari cittadine, „preferirono scegliere il consiglio, abbandonando velocemente il campo.

Successivamente le povere baracche furono reiteratamente date a fuoco e distrutte.

Come si fosse tornati alle orride persecuzioni nazifasciste contro gli ebrei.

Il tutto è tranquillamente avvenuto sotto il mantello della nostra italica democrazia, nell'anno di grazia 2008, mese di maggio, nell'era del terzo governo delle destre dopo Tangentopoli.

Meno male che Giustizia è stata fatta.

Civico e democratico onore ai giudici catanesi! anche se la donna rom è ancora detenuta, per approfondire se nell'evento in causa, inesistente, non siano ravvisabili altri reati minori.

La vicenda catanese (e quella napoletana) insegnano ancora che è molto facile che un popolo, sottoposto a continua pressione mediatica in chiave razzista, possa facilmente perdere la testa, e quindi, vilmente e brutalmente agire, ubbidir tacendo.

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Di Fabrizio (del 20/09/2008 @ 09:20:59, in blog, visitato 1470 volte)

Da La voix des Rroms

Per mancanza di tempo, non abbiamo aggiornato il nostro blog, e così abbiamo molte cose da dire. Allora, non vi lasciamo con la fame e annunciamo solamente che il Summit Europeo sui Rom, tenutosi a Bruxelles il 16 settembre scorso, apre qualche nuova prospettiva. Molto brevemente due buone notizie: per la prima volta una rappresentante della Francia (Mme. Boutin) ha parlato dei "Rrom", a nome dei "circa 400.000" Rrom di Francia, inteso, inclusi i Sinti e i Kalé. Un riconoscimento che chiedevamo da tempo: un riconoscere il nostro essere reali, come entità storica, linguistica e culturale, e non come strato sociale. Inoltre, Mme Boutin ha riaffermato il suo impegno perché queste 400.000 persone abbiano vere carte d'identità e non più dei titoli di circolazione stigmatizzanti. Storia da seguire, e la seguiremo da vicino! Non per saltare fuori a criticare alla prima occasione, ma per progredire. E' ora, dopo più di 7 secoli di presenza sul suolo europeo, di essere riconosciuti come europei!

Per altre informazioni più dettagliate su questo summit, riprendiamo qui un articolo dal blog "Bienvenue chez les Rroms", resta inteso che vi troverete anche altro, tanto informativo che di svago.

L' Italia presto deferita dinanzi alla Corte di giustizia europea / Il governo italiano protesta davanti alla UE

Il rappresentante permanente dell'Italia presso la UE, l'ambasciatore Nell Feroci, ha indirizzato una lettera al Commissario Wladimir Spidla per esprimere il proprio risentimento a nome del governo italiano. Il fatto incriminato: in occasione del summit di Bruxelles sui Rom, la sottosegretaria di Stato per l'Impiego e le politiche sociali, Maria Rocella, non si è potuta esprimere in un clima sereno a causa di qualche elemento perturbante tra il pubblico.

Episodio tanto più deplorevole visto che il suo intervento era centrato sulla politica d'inclusione della comunità Rrom in Italia.

DELITTO DI CLANDESTINITA' - Nel frattempo, il servizio giuridico del Parlamento Europeo ha giudicato non conformi al diritto comunitario le disposizioni legislative italiane, che considerano lo "status" di immigrato clandestino come un'aggravante per chi commetta un delitto, ed il commissario UE, Jacques Barrot, ha confermato questa posizione a differenti trasmissioni radiofoniche.

Il parere negativo del servizio giuridico dell'Europarlamento è stato comunicato alla commissione delle Libertà Civili, che aveva promulgato il decreto legge sulla sicurezza (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 25 luglio 2008, entrato in vigore il giorno seguente), modificando così l'art. 61 del codice penale italiano, aggiungendovi la nozione di residenza illegale.

Aggravante
Jacques Barrot ha affermato alla radio svizzera: "Sembra che i testi prevedano che essere un immigrato irregolare possa costituire una circostanza aggravante nei delitti." Ha concluso che ciò non è conforme al diritto europeo.

Sulla base del parere del servizio giuridico del Parlamento Europeo, l'eurodeputata rumena Adina Valean (Alleanza Liberale Democratica - ALDE) non ha perso tempo e ha domandato alla Commissione UE "di deferire immediatamente l'Italia davanti alla Corte di Giustizia Europea per violazione del regolamento comunitario in materia di discriminazione tra i cittadini comunitari". Valean, che è vice-presidente ALDE e relatrice sulla direttiva europea in materia di libertà di movimento dei cittadini UE, fa parte dei sette membri "ufficiali" della delegazione del Parlamento Europeo che giovedì e venerdì si recherà in Italia per incontrare il ministro Maroni e visitare tre campi Rrom nella periferia romana.

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Di Fabrizio (del 20/09/2008 @ 09:35:29, in scuola, visitato 1739 volte)

Forum sociale europeo. Una scuola per rom a Malmo di Paolo Rizzi [17 Settembre 2008]

A Malmo dal 17 settembre si svolge il quinto Forum Sociale Europeo. Uno dei luoghi di coordinamento dei volontari si trova in città in via Annelundsgatan al 55, ed è lì che mi presento per prendere istruzioni come volontario. Sbaglio la porta di ingresso e mi trovo al terzo piano in un locale sulle cui pareti sono affisse molte immagini di rom; incuriosito rimango e cerco informazioni.

Ho la fortuna di incontrare uno dei due coordinatori, Djura Ivanov, e gli chiedo se posso fargli domande, in quanto sono tristemente testimone della nuova repressione in atto da noi in Italia. Djura mi sorride ed inizia a parlare italiano: nella sua infanzia è stato a Verona ed ora da 20 anni vive qui in Svezia. Conosce perfettamente la situazione italiana, guarda con attenzione la nostra tv ed è molto preoccupato per il suo popolo.

Mi fornisce documenti in danese, non conosco la lingua ma capisco che si tratta di una scuola per zingari che proprio quest’anno celebra 10 anni di attività. La scuola si chiama IRIS, Internationella Romer i Samverkan, e “Samverkan” significa Lavorare insieme.

Gli propongo un’intervista, voglio capire e lui mi aiuta con entusiasmo: «Se può servire ad aiutare i miei amici Rom italiani, sediamoci e parliamone».

La scuola è statale, finanziata dal governo e dalla città di Malmo, riservata ad adulti che abbiano compiuto 20 anni: oggi sono iscritti 70 rom adulti. Djura mi racconta che quando arrivò in Svezia venne sottoposto ad un test di lingua e cultura, che non superò, precludendosi molte possibilità offerte ai nativi [in Svezia per avere il permesso di soggiorno è obbligatorio imparare la lingua]. Cominciò comunque a lavorare, a costruire una comunità di rom ed a dialogare con le istituzioni.

Dieci anni fa un cittadino svedese gli disse: «Perché non apri una scuola per Rom, perché non abbiano a incontrare le tue stesse difficoltà?». Quel sogno impossibile incominciò: il primo anno gli studenti furono 32, nel secondo 200. Attualmente ci lavorano 5 insegnanti, 2 supervisori, 1 tecnico, 1 addetto all’inserimento dopo la scuola, tutti pagati dallo stato che paga anche l’affitto, le strutture dell’edificio ed un contributo in base agli iscritti.

A Malmo abitano circa 280 mila persone, il 20 per cento di loro è straniero e ci sono interi quartieri cosmopoliti. La manifestazione del 20 settembre del Forum sociale europeo darà un segno d’integrazione partendo dal quartiere di Rosengard, abitato al 90 per cento da extracomunitari. Chiedo a Djura quanti zingari abitano a Malmo: mi risponde che sono registrati circa 7 mila, ma forse sono di più, dato che non tutti dichiarano di essere rom perché è comunque penalizzante nel cercare lavoro.

In Svezia dovrebbero essere circa 60 mila e lo scorso anno è stata aperta una seconda scuola per Rom a Goteburg.

Gli ricordo la legge italiana Bossi-Fini ed i problemi legati alle chiamate degli imprenditori, unica possibilità per entrare in Italia. Queste modalità si scontrano con lo sfruttamento dei migranti nella maggior parte dei casi lavoratori «in nero».

Qui in Svezia, mi spiega, per avere il permesso di soggiorno bisogna dichiarare un salario minimo mensile di 13.800 corone [circa 1.500 euro] ed i datori di lavoro non possono quindi dartene di meno.

Anche lo stato contribuisce poi a sostenere l´integrazione: infatti un adulto che voglia frequentare l’università è sovvenzionato con una borsa di studio di circa 800 euro al mese, riceve circa 7 mila corone, di cui 5 mila a fondo perduto, mentre le altre 2 mila le restituirà quando avrà un lavoro con un automatismo che trattiene il 4 per cento del salario.

Esiste anche il salario sociale [ma il nuovo governo sta restringendone la fruizione] di circa 300 euro e settimanalmente bisogna presentarsi per rispondere alle offerte di lavoro, pena la sospensione.

Concludo la visita e ringrazio Djura che mi invita a tornare. Sono contento di aver sbagliato porta e di averne aperta un’altra nella direzione di un altro mondo possibile che qui, come in Africa, in India e in America latina, stiamo costruendo insieme. Questo mio incontro vuol essere la testimonianza di uno splendido esempio di civiltà e integrazione: non ci sono altri casi al mondo di scuole specializzate per persone adulte zingare.

Aggiungo solo che i bambini rom che frequentano le scuole dell’obbligo purtroppo non sono aiutati con corsi speciali, il che a volte li penalizza; ma nel caso non riuscissero sanno che dopo i 20 anni hanno sempre la possibilità di ricominciare a studiare grazie a questa scuola. Djura ha solo la licenza elementare, non ha avuto tempo per continuare gli studi, ma ha dedicato il suo tempo agli studi degli altri.

Per informazioni www.irisskolan.se, info@irisskolan.se

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Di Fabrizio (del 21/09/2008 @ 09:09:38, in casa, visitato 1643 volte)

Da L'Espresso LOCAL

Portici, servizi, chiesa un tetto per i nomadi
Brunella Torresin

Ieri sono state assegnate le case a Bruna, Samuel, Nicola, Gabriella, Natalina. Non sono state consegnate loro delle chiavi, ma «un´autorizzazione»: un foglio di carta timbrato, in sostanza un contratto. Le case non sono proprio come le nostre case, ma il nuovo campo nomadi di via Dozza, quartiere Savena, a ridosso dei vivai Ansaloni, che è stato inaugurato ieri, nella giornata della conferenza a Bologna delle Città Europee contro il razzismo, per molti altri aspetti è un condominio.

Vi abiteranno un´ottantina di Sinti: cittadini italiani da generazioni, tutti con residenza nel Comune di Bologna, da una ventina d´anni sistemati qui. Nomadi per cultura e per origine, ma più stanziali di tanti altri cittadini italiani. Il precedente campo, che si stendeva sullo stesso terreno comunale, era solo un´area sosta attrezzata: con bagni e docce in batteria e allacciamenti per le roulotte. C´è stato un periodo in cui una sola doccia funzionava, e le altre no.

Nel 2005, il bando regionale per l´assegnazione di contributi ai Comuni che intendessero migliorare le aree per i nomadi, ha dato la possibilità di ristrutturare ma più ancora di ripensare come organizzare il campo. L´intervento è costato 700mila euro, la Regione l´ha finanziato per l´85 per cento. Ha spiegato ieri la vice sindaco Adriana Scaramuzzino, anche assessore ai servizi sociali, che è possibile dare accoglienza senza creare esclusione, offrire servizi dignitosi senza tradire costumi e tradizioni. La qualità della convivenza si determina in base alla condivisione dei progetti e dei servizi. Qui è stata usata molta pazienza, e poi anche fantasia.

I Sinti hanno scelto alcuni loro rappresentanti, e hanno partecipato a una serie di incontri con gli operatori del Quartiere Savena - c´è un giovane assistente sociale che si occupa specialmente di loro, Marco Tocco - con i funzionari dei Lavori Pubblici del Comune e con il responsabile della progettazione, Piero Vendruscolo, che già tre anni fa aveva disegnato il campo sinti di Borgo Panigale. I Sinti desiderano continuare a vivere nelle loro case mobili, come fanno da generazioni. Anche al Savena continueranno a vivere nelle loro roulotte, ma avranno a disposizione, appena fuori casa, bagni riscaldati e cucine, in muratura.

Ma poiché, ad esempio, i piani di cottura in comune non erano graditi, ci si è inventati «i locali cucina» sotto il portico. Ogni portico ne contiene tre, separate da divisori. La comunità conta un´ottantina di persone: il più piccolo, Justin, ha sei mesi, la più anziana 71 anni. È la comunità che ha il più alto grado di scolarizzazione tra i Sinti di Bologna, alcuni ragazzi hanno frequentato anche le superiori. È formata da cinque famiglie allargate, composta ciascuna da tre, quattro nuclei. Perciò l´area è stata divisa in cinque «microaree», separate tra loro da una rete: ogni microarea, cioè ogni cortile, accoglie le roulotte e i camper della stessa famiglia allargata.

In ciascuna delle cinque microaree è stata costruita una «casetta» in muratura, dipinta con i colori di Bologna: rosso e ocra gialla, alternati sulle pareti e sotto i portici. Ogni casetta ospita tre (o quattro) bagni completi con antibagno, con altrettante caldaie, e tre (o quattro) cucine, uno e una per ciascun nucleo famigliare. Le cucine sono all´aperto, ma al coperto, riparate dal portico che corre sui tre lati di ciascuna «casetta». È un po´ come un campeggio. Ma ogni nucleo familiare è intestatario del contratto per la fornitura di elettricità, acqua e gas: non era mai successo prima. Pagheranno utenze e consumi.

E ogni famiglia, prima di accettare «l´autorizzazione», ha saldato quanto doveva al Quartiere di affitto arretrato per la sosta nel «vecchio» campo. Attorno alle casette è stato steso l´asfalto: e sull´asfalto la comunità di Bruna, Luigi, Natalina, Samuel..., sposterà le sue roulotte, i suoi camper e case mobili che per un anno, quanto sono durati i lavori, ha sistemato, stretto e concentrato sui terreni attigui. C´è anche la chiesa: la comunità ospita un pastore evangelico, e conta un discreto (19 settembre 2008)

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Di Fabrizio (del 21/09/2008 @ 09:22:38, in musica e parole, visitato 5407 volte)

Come imparare a suonare ad orecchio

Milano: L'approccio proposto dal maestro è completamente diverso ed insolito grazie ad una visione adogmatica in cui non esistono spartiti, manuali o metronomi. Per questa ragione il corso é aperto non solo a chi vuole apprendere la fisarmonica ma a chiunque desideri avvicinarsi ad uno strumento musicale con una modalità diversa e più libera di quella tradizionale. Questo approccio alla musica può essere applicato a qualsiasi strumento.

La “terra del fuoco” riconosce una identità di vedute con il metodo del maestro Jovica per cui promuove il suo corso e lo ospita nella sua sede.
Le modalità ed i tempi del corso sono ancora da definire.

Per informazioni o per dare la propria disponibilità, scrivere a terradelfuoco.info@gmail.com
telefono: 347 9768206 - 320 2183165

Jovica Jovic, nato in Serbia da una famiglia di musicisti Rom, all'età di 12 anni già suonava ai matrimoni ed alle feste, poi, dopo aver a lungo girato in tutta Europa, si stabilisce nel 1996 in Italia dove collabora con l'Opera Nomadi e dove ha una intensa attività sia come musicista che come maestro di musica, collabora con i Muzikanti ed ha inciso diversi dischi come solista e come membro di orchestra, tra cui uno con Piero Pelù.
Oltre alla fisarmonica suona ed insegna violino, tromba, chitarra.

Terra del Fuoco - Associazione culturale per la diffusione della manualità - Milano, via Morigi 8 - http://www.myspace.com/terra_del_fuoco

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Di Fabrizio (del 22/09/2008 @ 08:40:58, in Europa, visitato 2597 volte)

Segnalazione di Katie Hepworth (la traduzione è zoppicante, ma questa è una mia costante con gli articoli del Guardian)

Louise Doughty. Photograph: Linda Nylind Guardian.co.uk

La storia si ripete
I violenti attacchi agli Zingari quest'estate in Italia, assieme ai tentativi di rimuovere le dimore dei Viaggianti in Europa, hanno portato la paura nel cuore della comunità Rom. Louise Doughty, scrittrice di romanzi con antenati Romanì, racconta la sinistra nuova onda di persecuzione contro la minoranza etnica europea col più alto tasso di crescita

Questo è un articolo che mio padre non avrebbe mai voluto che scrivessi. "Tu vuoi osservare, tu sai," mi ha detto, più di una volta. "Se non stai attenta, riceverai un mattone alla finestra." Nella zona operaia di Peterborough dove mio padre crebbe tra gli anni '20 e '30, probabilmente non era saggio menzionare di avere sangue romanì, anche se lontanamente.

In quel periodo, mio padre e la sua famiglia non avevano idea degli orrori perpetrati contro i Rom e i Sinti in Europa sotto l'occupazione nazista, ma sentivano il pregiudizio, accettato, anche all'interno della loro famiglia. "Mia madre mi picchiava quando ero cattivo," mi ha detto una volta uno delle mie zie, "e mi diceva sempre, "Ragazza, caccerò lo Zingaro fuori da te." Quando mio padre mi disse per la prima volta dei miei antenati romanì, mi chiese di non menzionarlo ai vicini o agli amici a scuola - senza dubbio un suggerimento dovuto al fascino residuo che avevo, dopo tutto, per una piccola parte della storia della mia famiglia. Anche così, trovava duro accettare che se i tedeschi avessero invaso con successo la Bretagna nella II guerra mondiale, lui e la sua famiglia sarebbero stati imbarcati verso le camere a gas assieme agli Ebrei britannici.

Sarebbe potuto succedere anche se la nostra famiglia si era resa stanziale già dall'inizio del XX secolo. In comune con molti Romanichal inglesi, i miei antenati avevano trovato che i tradizionali mestieri per guadagnarsi da vivere - commercio di cavalli, la raccolta - stavano giungendo alla fine con la crescita della meccanizzazione agricola. In quel tempo, un commentatore sociale acuto avrebbe potuto essere perdonato per aver predetto che la cultura Romanì inglese si sarebbe rapidamente assimilata in quella della popolazione maggioritaria. "Stiamo per sparire," mi disse nel 1993 un Romanichal durante la Fiera dei Cavalli. "Tutto sta andandosene."

Invece, sembra accadere l'opposto. In Europa, il popolo dei Rom e dei Sinti è di circa 10 milioni ed è la minoranza etnica col più alto tasso di crescita. In questo paese, c'è una classe visibile di attivisti ed intellettuali Romanì e Travellers che cresce, incluso il poeta David Morley, il giornalista Jake Bowers, il novellista e commediografo Richard Rai O'Neill ed artisti come Delaine e Damien Le Bas, presentati nel primo padiglione d'arte Rom alla Biennale di Venezia dell'anno scorso. In Europa ora ci sono giornali Rom, stazioni radio e TV, ed una parlamentare europea, Lívia Járóka, delpartito ungherese di centro-destra Fidesz.

Nonostante ciò, e la crescente politicizzazione e la consapevolezza trans-culturale di molti gruppi Rom disperati, non c'è la negazione che la maggioranza di questo vasto e vario gruppo vive nelle condizioni economiche più terribili, con l'84% in Europa ritenuto sotto la linea di povertà. Nel nostro paese, la mancanza dei siti per Travellers ha forzato molti al conflitto con i locali piani regolatori, conflitto finito direttamente sulle pagine dei tabloid.

La crisi dei siti di sosta in questo paese può essere fatta risalire direttamente al 1994, quando il governo di John Major abolì il Caravan Sites Act, che obbligava le autorità locali a fornire siti adeguati ai Travellers. Allora, venne chiesto a Rom e Travellers di comperare la terra dove si sarebbero installati. Molti si adeguarono, trovandosi poi con i permessi negati di poter piazzare i loro veicoli sulla terra che possedevano legalmente. Una Traveller che ha avuto a che fare con i piani regolatori è Bernadette Reilly di Brentwood. Può ricordarsi chiaramente che fu come quando la sua famiglia fu obbligata ad accamparsi per strada. "Non abbiamo avuto quella che la maggior parte delle persone chiamerebbe una vita normale, anche se per noi era normale," dice stancamente. "Non avevamo acqua, fognature, elettricità, e nessun servizio sanitario." Nel 2007, a lei e alla famiglia fu garantito un permesso di cinque anni di vivere nei loro automezzi sulla terra che avevano comprato tra i villaggi di Mountnessing e di Ingatestone. Dice "Almeno ora avevamo l'acqua ed i bagni, ma non ancora l'elettricità."

Il consiglio di Brentwood - appoggiato dal deputato locale conservatore, Eric Pickles, che vive vicino al sito - si rivolse al tribunale e rovesciò la decisione. Ma ai Travellers fu poi concesso di ricorrere in appello ed il giudice disse al consiglio di smettere di sprecare il denaro pubblico in questa lotta. Pickles non ha risposto alla mia richiesta di un'intervista, dirottandomi al suo sito web dove una dichiarazione dice di opporsi al sito perché è posto nella cintura verde metropolitana.

Il professor Thomas Acton dell'Università di Greenwich è il maggior esperto di questo paese sugli studi romanì ed un esperto conosciuto internazionalmente riguardo la storia e la cultura romanì. Ha anche passato buona parte della sua vita aiutando e consigliando i Travellers come Reilly. "Eric Pickles ha la responsabilità per i siti Zingari nel governo ombra, tuttavia ha negato l'esistenza di una comunità di Travellers da lungo residenti a Brentwood e ha chiesto ai consigli locali di ignorare i propri obblighi sin quando un governo conservatore non li avessero aboliti."

Reilly e la sua famiglia vorrebbero godere della sospensione temporanea della pena di sgombero, ma la minaccia di essere sgomberati nel futuro rimane pesantemente sulle loro teste. Come parte del processo di progettazione è stato permesso loro di vedere alcune delle lettere colme di bile scritte dai residenti locali. "I bambini hanno degli amici tra i locali ed ora vanno al club, ma non li lascerei girare in paese da soli, è troppo pericoloso," dice. Com'è avere un parlamentare vicino di casa che fa campagna contro di voi? La risposta di Reilly è brusca. "Viviamo nella paura sempre." Gli oppositori al sito fanno presto a criticare i Travellers per essere chiusi o ostili verso gli estranei, senza nessuna comprensione della mentalità sotto assedio e il costante senso di minaccia generatosi. Dopo aver visto le lettere minatorie ricevute dall'ufficio di progettazione, Reilly scrisse una poesia intitolata Sono una Traveller:

"Ho cresciuto i miei figli nel miglior modo che sapevo.
Sono tutto quel che possiedo, sono tutto quel che ho ora.
Hanno stile, sono bambini, sono la mia gioia.
Ma non sono quello che gridate mentre guidate la notte."

Il clima di paura tra i Traveller nelle aree rurali non sarà diminuito dalla manifestazione Rossa, Bianca e Blu indetta a Denby, Derbyshire, dal partito Nazionale Britannico (BNP). Una delle ospiti invitata a parlare all'evento è stata Petra Edelmannová, presidente del partito Nazionale Ceco, un piccolo movimento della Repubblica Ceca, noto soprattutto per il suo aperto antagonismo contro i Rom. Edelmannová  ha scritto un manifesto intitolato La Soluzione Finale al Problema Zingaro nelle Terre Ceche, che patrocina il rimpatrio in India della popolazione Rom della Repubblica Ceca. Edelmannová non è apparsa alla manifestazione, ma è sembrata una strana scelta degli oratori per quello che il BNP insisteva essere un weekend per lo svago delle famiglie in giro tra i castelli.

Quando ho obiettato su questo al vicesegretario del BNP, Simon Darby ha concesso che la frase "soluzione finale non era esattamente il miglior titolo per un documento" ma ha aggiunto "là c'è un problema Zingaro. E c'è pure nel nostro paese." Cosa considerava come la natura del nostro problema Zingaro? "Alcuni della comunità Travellers sono qui da tanto tempo. Stanno per conto loro e risolvono i loro problemi all'interno delle loro comunità. Hanno la mia stessa morale. Non ho problemi con loro." Identifica il "problema" nell'essere un Rom straniero che è immigrato in GB dopo l'allargamento europeo, assieme ad un gruppo non ben definito che chiama "pseudo-Zingari nati qua".

La distinzione artificiale tra differenti gruppi di Romanì e Travellers per giustificare la discriminazione, è qualcosa che anch'io ho trovato quando come scrittrice passai del tempo nella Repubblica Ceca, risiedendo all'Università Masaryk di Brno. Mi venne detto che il problema con i Rom non riguardava "i nostri Zingari" ma quelli della Slovacchia, molti dei quali si spostarono nelle terre ceche per ovviare alla mancanza di manodopera nelle fabbriche dopo la II guerra mondiale. Il mondo gadje (non-Zingaro) sembra avere meno problemi col popolo Romanì fintanto che resta in una casella folkloristica e non cresce troppo numeroso - es. non appare come un popolo reale con bisogno di case, che ha fame e ambizione di istruzione per i suoi figli.

L'invito esteso dal BNP a Petra Edelmannová è significativo perché lo storico trattamento dei Rom nelle terre Ceche fornisce un esempio istruttivo. In più di un paese europeo, il rastrellamento dei Rom e dei Sinti durante l'occupazione nazista fu facilitato dalla legislazione preesistente. In Cecoslovacchia, come era allora, la legislazione restrittiva contro gli Zingari è antecedente il 1927. La Legge 117 imponeva a tutti gli Zingari la presa delle impronte digitali e di fornire dettagli sui loro movimenti attraverso il paese. E' evidente come la Legge 117 facilitò l'internamento dei Rom boemi e moravi quando l'occupante esercito tedesco decise che era venuto il momento. Nell'agosto 1942, con la scusa di un cosiddetto Giorno della Registrazione, i Rom e Sinti vennero identificati e imprigionati in due campi: Lety in Boemia e Hodinin in Moravia. Dopo un anno, la maggior parte degli abitanti di quei campi furono mandati ad Auschwitz, dove perirono. Dei 6.500 Rom nelle terre ceche all'inizio della guerra, sopravvissero meno di 500. Quello che iniziò con le impronte digitali nel 1927, terminò 16 anni dopo nelle camere a gas.

Può sembrare allarmistico disegnare analogie tra l'Olocausto perpetrato dai nazisti e la situazione attuale dei Rom europei, ma chiunque nel 1927 avesse predetto il fato dei territori cechi negli anni '40, certamente sarebbe stato guardato come un pazzo allarmista. La Cecoslovacchia era una democrazia prospera che aveva rotto col legame all'impero Austro-Ungarico per emergere come una delle 10 nazioni nel mondo più sviluppate economicamente.

Non si saprà mai il vero numero di Rom e Sinti uccisi dai nazisti - le stime ufficiali variano da un quarto a mezzo milione, anche se molti esperti romanì credono che la cifra possa essere vicina al milione. Quello che non si discute è che i Rom e i Sinti furono perseguiti approssimativamente dell'85%, la stessa percentuale degli Ebrei - e per le stesse ragioni razziali. Dove differiscono i due genocidi è che l'Olocausto Ebreo  fu sempre apertamente razzista, mentre i Rom e i Sinti furono inizialmente perseguitati per essere "asociali" e, per molti anni, i successivi governi tedeschi rifiutarono di riconoscere l'elemento razziale nelle azioni naziste.

L'insistenza per cui l'esclusione e la discriminazione contro gli Zingari ha più a che fare col loro stile di vita che con la razza, ha trovato eco nei recenti eventi in Italia. A maggio, una donna a Ponticelli, fuori Napoli,  denunciò che una Zingara aveva tentato di rapire suo figlio. Che questo fosse vero o no non fece differenza per quei delinquenti che attaccarono i campi sosta locali con torce e barre di ferro. La risposta del governo Berlusconi e dei suoi alleati fu strabiliantemente cinica. Prima venne l'annuncio in giugno che a tutti gli Zingari, bambini inclusi, sarebbero state prese le impronte e, fondamentalmente, identificati per la loro etnia - un episodio senza precedenti nell'Europa occidentale del dopoguerra. Terry Davis, segretario generale del Consiglio d'Europa, ha risposto che uno schema simile "richiama analogie storiche che sono così evidenti che non devono essere spiegate". Anche Berlusconi si è mostrato sensibile all'oltraggio internazionale che è seguito e i suoi piani ora sono stati modificati così che a tutti i cittadini italiani dal 2010 verranno prese le impronte. Le autorità hanno dichiarato che l'etnia non sarà censita, ma la loro idea di rassicurazione è di presentare le misure come generalmente anti-immigrati, piuttosto che rivolte specificatamente ai 150.000 Rom e Sinti nel paese.

Queste mosse sarebbero abbastanza sinistre già di per sé, ma arrivano accompagnate da ripetuti e impuniti attacchi agli stimati 700 campi in Italia. A luglio, il mondo fu scosso dalle fotografie dei corpi di due ragazze Rom affogate lasciate sulla spiaggia vicino a Napoli, con la gente intorno che continuava a prendere il sole e far picnic.

Delle tante citazioni raggelanti dei leader politici italiani dall'inizio degli attacchi in maggio, possibilmente la più spaventosa è quella di Umberto Bossi, della Lega Nord, ministro nel governo Berlusconi: "Il popolo fa quello che la classe politica non è in grado di fare." La chiara implicazione è che i politici firmano la "pulizia etnica" desiderando piuttosto passare dalle parole ai fatti.

I Rom italiani, molti vivono ancora nelle circostanze economiche più spaventose, si sentono sotto assedio. "Siete venuti per cacciarci o aiutarci?" ci chiedeva Rogi, residente in un piccolo campo proprio fuori Roma. Stava parlando ad un gruppo di 10 volontari della Croce Rossa, arrivati a luglio nel campo per condurre un censimento. I volontari non raccoglievano impronte digitali, ma interrogavano ogni residente sul nome, età, nazionalità, se erano stati vaccinati e se i loro bambini andassero a scuola - mentre li fotografavano. Secondo l'agenzia stampa AFP, la Croce Rossa insisteva che questo non era un'operazione di polizia, lo scopo era di fornire documenti sanitari ai residenti del campo. "La maggior parte ha vermi, soffre di problemi gastro-intestinali e bronchiti," riportava un volontario. "Alle autorità noi forniamo informazioni anonime così che possano valutare le condizioni dei campi, l'igiene e la salute."

Se l'operazione della Croce Rossa potrà aiutare o meno gli abitanti di questi campi o le autorità che vorrebbero eliminare i campi, è tutto da vedere, ma nessuno può rimproverare i residenti, molti sono rumeni senza documenti, per essere sospettosi delle uniformi che vogliono prendere le loro fotografie e fare tante domande. Questo sospetto ha profondi precedenti storici.

Il macello della seconda guerra mondiale fu soltanto l'apoteosi di secoli di persecuzione durante la tragica storia europea dei Rom. Anche se la consapevolezza dell'Olocausto Romanì non è ancora ben stabile, pochi sanno che per cinque secoli e mezzo, migliaia di Rom nell'Europa dell'est furono comprati e venduti come schiavi. Secondo il libro di Ian Hancock, Noi Siamo il Popolo Romanì, "Nel XVI secolo un bimbo Rom poteva essere comprato per 32p. Nel XIX secolo, gli schiavi venivano venduti a peso, al tasso di un pezzo d'oro per libbra."

Attraverso questa storia, il popolo dei Rom e dei Sinti è tradizionalmente sopravvissuto rimanendo lontano dalla vista il più possibile. In Polonia, un piccolo numero di Rom polacchi è sopravvissuto al genocidio nazista nascondendosi nelle foreste remote. In Boemia e Moravia, qualche famiglia trovò riparo dai villici cechi. A livello più ampio, molti Romanì e Travellers semplicemente non menzionano la loro origine. Durante un tour di scrittori in Romania nel 2000, un amico mi disse: "Penso che l'atteggiamento della maggior parte della gente di qui sarebbe: non capiamo perché parlate del vostro aver sangue Zingaro. Se non lo dimostrate, potrete passare." I Rom che vivono in condizioni terribili nei campi fuori Roma o Napoli, probabilmente sarebbero contenti di non avventurarsi fuori per vendere chincaglieria o per mendicare, ma se non lo facessero morirebbero di fame. I critici di queste attività di sussistenza, raramente tengono conto delle necessità economiche che queste sostengono.

Un altro esempio di comunità Zingara sotto assedio è Sulukule a Istanbul. Sulukule è un insediamento storico occupato dalla comunità Romanì sin dai tempi di Bisanzio ed ora è parte del programma Unesco Sito Patrimonio Mondiale. Le prime testimonianze della presenza Rom a Sulukule datano dal 1054, e per secoli è stata famosa per le sue case di intrattenimento dove i Rom si esibivano in musiche e danze ai visitatori di tutto il mondo. La chiusura forzata di quelle case nel 1992 portò l'area ed i suoi abitanti ad un serio declino economico. Ancora, la ragione apportata fu di fornire alloggi sani ed igienici. "Non abbiamo nessuna intenzione di sbarazzarci dei Rom, ma dobbiamo fare qualcosa per questi slum," ha detto il sindaco locale, Mustafa Demir. Le autorità locali ora pianificano di demolire le piccole case colorate dove vivono i Rom e rimpiazzarle con ville che i residenti non possono certo permettersi, anche con i sussidi offerti. Senza casa, e senza nessun mezzo di appoggio, quale opzione si apre loro?

Visti nel loro più ampio contesto storico europeo, eventi simili hanno un effetto devastante sullo stato d'animo della popolazione Rom, non soltanto su quelli direttamente vittimizzati - noi stiamo, dopotutto, parlando di un popolo che ha il genocidio nella sua memoria vivente e che sono tra i più esclusi e colpiti dalla povertà in Europa. Questi sviluppi sono visti dal popolo Rom e Sinti in Europa con un'ansietà crescente. Per ogni molotov lanciata in un campo o in una baraccopoli, per ogni scelta comunale di sgomberare i Rom, ci sono migliaia di piccoli incidenti di disprezzo o pregiudizio. Come la conoscenza che mi porse una volta un Traveller: "Ogni volta che qualcuno mi dice: 'Oh, dev'essere così romantico essere uno Zingaro,' io dico: 'Cosa c'è di romantico nell'essere sputato?"

Quello che è innegabile in questa fotografia è che le mosse attuali tanto del governo italiano che dei consigli municipali inglesi, come Brentwood, esarceberanno soltanto le tensioni tra Rom e Traveller e la popolazione stanziale. Gli immigrati Rom in Italia sono lì perché hanno lasciati paesi come la Romania in cerca di una vita migliore. I residenti di Sulukule dovranno andare da qualche parte quando la demolizione continuerà. I Traveller sgomberati dalla terra che possedevano nel Cambridgeshire o nell'Essex saranno obbligati ad accamparsi ai margini delle strade o finire nei centri pubblici. Bernadette Reilly ricorda quello che diceva ad un poliziotto che stava sgomberando la famiglia da una strada di notte: "Dove pensa che andremo?"

"Da qualsiasi parte," replicò il poliziotto. "Basta che non sia vicino a me."

Tuttavia, anche se spesso le comunità Romanì e Traveller sono sgomberate, di città in città o attraverso i confini nazionali,  non si sbiadiranno né si fonderanno. Fintanto che c'è la volontà politica paneuropea di guidare la povertà e l'esclusione che in molti affrontano, la situazione può solo peggiorare, e la destra continuerà ad usare questo gruppo marginalizzato come un mezzo per ottenere voti. Quando festeggiammo l'80° compleanno di mio padre, raccontai a mia zia la frase del mattone contro la finestra, pensando che lei convenisse con me che mio padre era un incorreggibile menagramo. Invece, mi disse tranquillamente: "Ha centrato la questione, amore mio, non trovi?"

Louise Doughty's novels about Roma history and her family ancestry are Fires in the Dark and Stone Cradle, both published by Simon & Schuster.
Copyright Guardian Newspapers Limited 2008

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Di Fabrizio (del 22/09/2008 @ 11:37:22, in media, visitato 1713 volte)

Da BULGARIA - ITALIA

21.09.2008 - RAZZISMO: REVOCATO A KALIN RUMENOV IL PREMIO GIORNALISTICO "CHERNORIZETS HRABAR"

Gli organizzatori del premio giornalistico “Chernoritzets Hrabar 2008” hanno deciso il 15 settembre scorso, su raccomandazione dell'Unione degli Editori Bulgari, di revocare il premio assegnato a Kalin Rumenov, quale miglior giovane giornalista dell’anno.

Il premio era stato consegnato a Kalin Rumenov, che pubblica sul quotidiano “Novinar”, durante una cerimonia ufficiale a Sofia, il 25 maggio 2008 alla presenza di politici, membri del Parlamento e giornalisti. Il premio “Chernorizets Hrabar” è stato istituito nel 2002 e contempla 11 diverse categorie.

La giuria era formata da 19 persone, 12 direttori di giornali, sorteggiati da un pool di 28, e da 7 dei 10 membri del consiglio generale dell’Unione degli Editori Bulgari. La motivazione, non facendo riferimento ad articoli specifici, faceva presumere che il premio fosse stato assegnato ad Rumenov per la sua attività giornalistica in generale.

L’attribuzione del premio aveva provocato la protesta di altri giornalisti e gruppi della società civile bulgari perché l’autore si era distinto per articoli nei quali aveva attaccato la minoranza Rom bulgara con termini offensivi e razzisti.

Negli articoli di Kalin Rumenov pubblicati su “Novinar” si potevano leggere frasi come: "Gli Zingari sono furbi come lupi, si riproducono come pecore. I primi a lasciare saranno le compagnie internazionali. Non ci sarà più nessuno a cui vendere la loro nuova merda, e andranno in qualche altro posto con meno Zingari e più soldi. Chi comprerà sapone per una pelle bianca soffice e tenera? Sporchi Gyppos?"

Ed ancora: "La differenza tra gli Zingari e il bestiame è che il bestiame è soggetto a controlli veterinari. Il bestiame non può comportarsi da Zingari, ma è possibile il contrario. I diritti e le libertà dei bovini sono stati sotto una seria pressione per anni, e durante quel tempo la donna Zingara ha partorito ancora e tuttora ha il cervello di una mucca".

Un appello era stato firmato da 109 personalità bulgare e nelle ultime settimane alla protesta si erano uniti, tra gli altri, anche la Federazione Internazionale dei Giornalisti, il Centro Simon Wiesenthal e il gruppo editoriale tedesco WAZ, che possiede i quotidiani “24 Chasa” e “Trud” in Bulgaria. Ed è probabile che che quest'ultima mossa sia stata proprio quella decisiva far cambiare opinione, dopo mesi, all'Unione degli Editori Bulgari.

E Kalin Rumenov, tanto per non smentirsi, ha intitolato la sezione del suo blog dedicata alla vicenda "Ihr Kampf - цигани & евреи vs. Калин Руменов" ("La sua battaglia: zingari ed ebrei vs Kalin Rumenov").

Autore: P.M.

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