Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
L'ora si puo' vedere dovunque, persino sul desktop.
Semplice: non lo faccio per essere alla moda!

L'OROLOGERIA DI MILANO srl viale Monza 6 MILANO

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L'essere straniero per me non è altro che una via diretta al concetto di identità. In altre parole, l'identità non è qualcosa che già possiedi, devi invece passare attraverso le cose per ottenerla. Le cose devono farsi dubbie prima di potersi consolidare in maniera diversa.

Wim Wenders
-

Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 02/03/2011 @ 09:49:33, in Italia, visitato 1740 volte)

sabato 5 marzo dalle 14.30 alle 17.30
Provincia di Roma, Palazzo Valentini, sala della Pace - via Quattro Novembre, 119, Roma


Ne discutiamo insieme a:

Sen. Pietro Marcenaro, Pres Commissione per i diritti umani

Sen. Roberto Di Giovan Paolo

Paolo Ciani, comunita' S. Egidio

Nazzareno Guarnieri, Presidente Federazione Romanì,

Giogio De Acutis, Casa dei diritti sociali.

Fulvia Motta, responsabile Rom e Sinti, Caritas Roma,

Claudio Graziano, responsabile nazionale immigrazione, Arci

Daniele Ozzimo, consigliere comunale, Vice Presidente Commissione politiche sociali di Roma.

Questo seminario e' organizzato insieme al gruppo Pd della Provincia di Roma

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Di Fabrizio (del 01/03/2011 @ 09:50:42, in Europa, visitato 2230 volte)

"Una ventata di ottimismo" da Orhan Tahir S - (

1. Crei una OnG perché vuoi cambiare la situazione nel tuo paese.

2. Contatti un'Organizzazione Donatrice e quelle gentili persone ti dicono "Dacci un progetto".

3. Elabori il progetto, secondo le richieste del Donatore.

4. In realtà dai informazioni al Donatore - qual è la situazione nella tua città, quanti Rom vivono là e, la cosa più importante - COSA HAI IN MENTE, COSA VUOI FARE, SEI PERICOLOSO, PUOI FARE UNA RIVOLUZIONE DOMANI?

5. Se vedono che puoi essere pericoloso ti danno i soldi, e ti rendono dipendente.

6. Dopo 5, 6, 8 o 10 anni COMPRENDI che questo sistema NON FUNZIONA, CON I TUOI PROGETTI NON PUOI CAMBIARE NIENTE! VEDI CHE  TI USANO.

7. Provi a cercarti un altro lavoro, vuoi indipendenza, ma non hai mai fatto altro, in tutta la tua vita hai fatto PROGETTI e non hai esperienze professionali in altri campi. Conosci soltanto parole come: "Integrazione", "Inclusione", "Discriminazione", "Povertà", "Piattaforma", "Decennio", bla, bla, bla...

8. Alla fine pensi di non aver altra possibilità se non di lavorare in Matrix, anche se tu Matrix la odi. Sai che non puoi cambiare niente. Hai bisogno di fare ciò che ti dice la "brava gente". Questa brava gente si occupa dei Rom, loro sanno meglio cos'hanno bisogno i Rom.

9. Tu sei parte dell'Ipocrisia e sviluppi politiche che rendono la tua comunità più dipendente dai Donatori, dalla UE e dai Fondi Governativi. Quindi sei uno strumento nelle loro mani. Gli piaci perché sei il loro Animale da Laboratorio.

10. NON PUOI FARE LA RIVOLUZIONE PERCHE' LA GENTE ATTORNO A TE VUOLE I SOLDI ED HA SUBITO IL LAVAGGIO DEL CERVELLO.

Alla fine scopri che alcuni non-Rom nel tuo paese sono diventati molto ricchi, perché hanno usato le informazioni dai tuoi progetti per scrivere rapporti e proporre politiche. Sono consulenti ben pagati ed invitati dappertutto. Poi scopri che qualcuno di loro lavora per i Servizi Segreti ed i Donatori lo sanno molto bene.

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Di Fabrizio (del 01/03/2011 @ 09:42:19, in conflitti, visitato 1941 volte)

Osservatorio Balcani e Caucaso - di Isotta Galloni 21 febbraio 2011

Già nel 2003 l'Unmik e il Tpi erano in possesso di testimonianze dettagliate su presunti rapimenti e uccisioni di civili kosovari (soprattutto serbi) operati in territorio albanese dall'Uck, anche per espiantare organi da "piazzare" sul mercato. E' quanto emerge da documenti "riservati e sensibili" pubblicati la settimana scorsa. Un nuovo tassello che rende sempre più urgenti indagini approfondite

Non si trattava di semplici sospetti. Dal 2003 la missione delle Nazioni Unite in Kosovo, Unmik, e il Tribunale penale internazionale per i crimini nella ex Jugoslavia con sede all'Aia (Tpi), erano in possesso di testimonianze dettagliate, rilasciate da persone direttamente coinvolte, sui presunti trasferimenti e soppressioni di prigionieri civili, principalmente serbi, messo in campo in territorio albanese dall'Esercito di liberazione del Kosovo (Uck), dopo la fine del conflitto contro Belgrado, il 12 giugno 1999. Scopo di buona parte di questi omicidi sarebbe stato quello di espiantare organi da "piazzare" sul mercato internazionale dei trapianti.

E' quanto emerge da un documento Unmik "riservato e sensibile" che è stato pubblicato – oscurato nelle parti riconducibili all'identità dei testimoni – il 16 febbraio scorso dalla tv France 24 e l'agenzia di stampa italiana, Tmnews. La stampa locale ed internazionale ha ampiamente ripreso la notizia.

Questa la pista investigativa esplicitata nei documenti emersi, datati fine 2003: "i rapiti (in Kosovo), poi trasferiti in Albania centrale, sono stati spostati ancora, in piccoli gruppi, in una casa privata a sud di Burrel convertita in una clinica improvvisata. Qui equipaggiamento e personale medico venivano usati per estrarre organi dai prigionieri, che poi morivano. I resti venivano sepolti nelle vicinanze. Gli organi trasferiti all'aeroporto Rinas nei pressi di Tirana e imbarcati per l'estero".

Come emerso a seguito dell'interesse sollevato dalla pubblicazione del 16 febbraio, una copia del documento era stata in realtà già pubblicata dal quotidiano serbo 'Press', sul proprio sito web, il 28 gennaio 2011.

Dunque quasi venti giorni – un'era geologica per i tempi giornalistici – durante i quali una notizia di tale peso resta inspiegabilmente 'congelata': fatti salve due riprese dell'altro quotidiano serbo Politika e dell'agenzia Tanjug, non vi è traccia dello scoop di Press, tanto nella stampa locale che extra regionale. Il perché è solo uno degli interrogativi legati alla pubblicazione del documento.

Il contenuto dei documenti Unmik trapelati
Il documento Unmik non si può definire propriamente un report: sfogliandolo, si comprende che si tratta, piuttosto, di un collage di parti di diverse documentazioni, sottratte al medesimo dossier, e riunite in un corpo unico di 30 pagine, la cui numerazione è infatti ricostruita manualmente a penna, invece che seguire quella informatica di un unico file.

Il 30 ottobre 2003, l'allora capo missione del Tpi a Skopje e Pristina, Eamonn Smyth, trasmette all'Aia - al collega Patrick Lopez Terres, capo della sezione Indagini - una serie di informazioni "confidenziali, non circolabili" che ha appreso, a sua volta, il giorno precedente da Paul Coffey, direttore del dipartimento Giustizia Unmik. Date, orari, tragitti, nomi e cognomi di vittime e presunti carnefici.

E luoghi. Dal documento emerge infatti che nel 2003 gli investigatori non erano solo in possesso delle coordinate Gps, ormai di pubblico dominio, della tristemente nota 'casa gialla', presunto luogo materiale degli espianti che più testimoni riconoscono, anche se ridipinta di bianco, tra dieci fotografie: "era pulito è c'era un odore molto forte di medicinale. Mi ha ricordato quello di un ospedale, dolciastro e mi ha dato fastidio", racconta un testimone (pag. 10/30).

Le descrizioni raccolte vanno ben oltre, consentendo agli inquirenti di localizzare almeno tre siti in territorio albanese di presunte fosse comuni delle vittime (pagg. 15 e 16/30).

"Parliamo anche dei dispersi, delle indicazioni che vi sarebbero fosse comuni in tre aree dell'Albania settentrionale", scrive nel 2008 l'ex procuratore capo Tpi, Carla Del Ponte, nel suo libro denuncia 'La caccia. Io e i criminali di guerra' (Milano, Feltrinelli, 2008, pag.297). "Così, alla fine – riferisce Del Ponte del buco nell'acqua a cui portò nel 2004 il sopralluogo in Albania del Tpi – i procuratori e gli investigatori sui casi dell'Uck decidono che le prove per procedere sono insufficienti. Senza le fonti e senza un modo per identificarle e rintracciarle, senza i corpi, e senza prove che colleghino indiziati di alto livello a questi atti, tutte le strade di indagine sono sbarrate".

Eppure in queste pagine ci sono fonti e sono identificate, anche se gli autori vi si riferiscono sempre, per ragioni di sicurezza, attraverso numeri e lettere e precisano che "la loro credibilità non è testata" e che "non hanno mai assistito alle operazioni chirurgiche" (pag 29/30).

Ci sono i corpi. "Questa volta ho visto i corpi avvolti in coperte grigie dell'esercito. Ho sentito l'odore del sangue, dunque so che erano freschi. (...) Le fosse erano già scavate quando siamo arrivati. Due corpi per ogni fossa. Ho impiegato un'ora e mezza per finire" è il drammatico resoconto di un trasferimento di cadaveri dal Kosovo in Albania (pag. 7/30).

Ci sono le vittime. "Erano civili, serbi, paesani (...) Ho pensato che sarebbero stati uccisi, ma vi erano ordini rigorosi di non trattare male i prigionieri, di non picchiarli e dare loro cibo e acqua" (pag. 11/30). O ancora, "anche delle ragazze furono portate nella casa (la casa/clinica) e usate come 'pezzi di ricambio'. Ricordo di essere stato molto triste perché erano ragazze albanesi" (pag 10/30).

Ci sono i medici, tra i quali viene riconosciuto da più fonti "un arabo". I campioni di sangue, le cartelle cliniche.

Ci sono gli organi. "Dalla prima coppia di serbi vennero estratti solo due reni e poi vennero uccisi. L'intenzione era di lanciarsi sul mercato. In seguito si erano organizzati molto meglio e incassavano 45.000 dollari a persona", riferisce un testimone. "Normalmente – prosegue – volavano (gli organi) su voli di linea per Istanbul il lunedì e il mercoledì ". Lo scalo di partenza era quello tiranese di Rinas, dove "alle persone che vi lavoravano venivano dati dei soldi per chiudere gli occhi e stessa storia a Istanbul" (pag. 25/30).

Ci sono nomi e cognomi: "Ramush e Daut Haradinaj" - l'ex premier kosovaro e il fratello - insieme ad almeno altre tre persone, vengono infatti indicati da un testimone come architetti del macabro crimine. "L'operazione è stata sostenuta da un uomo legato alla polizia segreta albanese operativa del precedente governo di Sali Berisha", ricostruisce inoltre, nel suo sommario, l'allora capo missione del Tpi a Skopje e Pristina, Smyth (pag. 2/30). Così, Del Ponte aveva riferito nel suo libro del "possibile coinvolgimento di servizi segreti albanesi" (p. 297).

Reazioni e domande in cerca di risposta
Il nome che non compare mai è invece quello di Hashim Thaci, neo riconfermato premier di Pristina, il quale sarebbe invece implicato secondo il rapporto pubblicato lo scorso dicembre dal senatore svizzero presso il Consiglio d'Europa, Dick Marty. "No – ha confermato a France24 - non conoscevo il documento e non l'avevo mai visto. D'altra parte mi erano noti i fatti descritti". Perché mai in oltre due anni di indagini, nessuno ha condiviso con Marty queste informazioni? "Siamo in diritto di interrogarci sull'efficacia della cooperazione internazionale", risponde lui stesso.

Tra tante domande, infatti, c'è una certezza: "Unmik ovviamente conosceva il documento perché lo ha generato, è in corso una indagine sulla fuga di notizie", ha confermato l'ambasciatore Zannier a Tmnews. Ma il capo di Unmik precisa anche che "la missione Eulex dispone del documento che è stato trasmesso al Capo dipartimento Giustizia EULEX dell'epoca (Alberto) Perduca ed al procuratore capo di EULEX dr Jacobs, nel marzo 2009". Pertanto, "gli elementi contenuti nel rapporto del 2009 non sono stati nascosti", conclude il diplomatico italiano che guida la missione Onu in Kosovo.

"E' vero che Unmik trasmise nel 2009 la documentazione sui crimini di guerra che venne a sua volta inoltrata alla Procura speciale del Kosovo (Spkr, mista Eulex-magistrati locali, competente esclusiva per crimini di guerra e altre fattispecie, ndr)", conferma a Osservatorio Perduca, oggi Procuratore aggiunto a Torino. "Sulla base di quelle informazioni, nel luglio 2009 Eulex chiese ed ottenne dal magistrato autorizzazione ad avviare un'indagine sul traffico d'organi: l'indagine è partita, resta aperta la questione dei risultati a cui ha condotto".

Servono prove, servono i corpi e il solo posto dove cercare è l'Albania. Un Paese membro della Nato, che ambisce al suo posto nell'Unione europea, ma da cui la Comunità internazionale non è mai riuscita ad ottenere l'autorizzazione a scavare nei presunti siti delle fosse comuni. O, invece, non ha mai voluto, non con la forza e le pressioni necessarie perlomeno? Al di là degli adempimenti formali, è lecito pensare che sia ancora in piedi quel 'muro di gomma' sostanziale denunciato dalla Del Ponte nel suo libro?

Lo stesso che ha impedito ieri al Tribunale dell'Aia, oggi alla missione Eulex di cercare un riscontro probatorio di informazioni tanto preziose, quanto vane ai fini giudiziari finché resteranno nient'altro che pezzi di carta 'confidenziali'? Lo stesso dietro cui si nasconde Tirana, giustificandosi di non essere stata né parte, né teatro dei conflitti balcanici degli anni novanta?

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Di Fabrizio (del 28/02/2011 @ 09:17:14, in Italia, visitato 2554 volte)

InchiostrOnline

Elvira, una bambina gentile e solare, gioca con la sorellina di 2 anni, gira per casa, anche se quella dove vive è difficile definirla casa. Una baracca di 20 metri quadrati dove vivono in otto, i genitori e sei figli. Fanno parte della comunità rom di Scampia e si sono costruiti un'abitazione di fortuna con lamiere e altri materiali trovati in strada. Entrando, però, l'atmosfera è sorprendentemente accogliente: ci sono mobili, un televisore al plasma, tappeti, un tavolo di legno e un divano in velluto. Le bambine ridono, si divertono. Quando vedono Viola, la volontaria dell'associazione 'Non uno di meno', le corrono incontro felici. Il rapporto che i volontari hanno instaurato con le famiglie rom è ottimo: loro sanno che grazie a Viola i bambini potranno andare a scuola e riuscire ad integrarsi con gli altri bambini italiani.

Circa 70 famiglie, giovani, anziani e molti bambini. Tra i campi Rom di Scampia, quello di viale della Resistenza, proprio di fronte alla scuola elementare Ilaria Alpi, è uno dei più a rischio. Dopo il tragico incidente verificatosi a Roma il 6 febbraio scorso, che ha visto la morte di 4 bambini a seguito di un incendio divampato in un campo nomadi, l'attenzione verso la problematica rom si sta facendo sentire in tutte le città italiane. E anche a Napoli la situazione non è delle più tranquille. A Scampia esiste una delle comunità nomadi più grandi del Paese. In tutto 400 famiglie. Il Comune ha messo a norma uno dei campi alla periferia nord della città, ma per molti altri le condizioni igieniche e di sicurezza restano davvero minime.

La scorsa settimana la Commissione d'Inchiesta Anticamorra, per la vigilanza e la difesa contro la criminalità organizzata, ha visitato il presidio sociale nel campo di Scampia, denunciando il forte degrado e sottolineando la necessità di "un potenziamento dei servizi per prevenire e contrastare le emergenze sociali". Ma la strada da fare è lunga e le scelte condizionate dalla politica.

Dai campi le famiglie lanciano il loro appello: "Abbiamo bisogno di case decenti in cui vivere e di un aiuto dallo Stato per cercare di integrarci nella comunità". Così uno degli uomini della baraccopoli di viale della Resistenza spiega che la difficoltà sta soprattutto nella mancanza del permesso di soggiorno. Molti di loro, infatti, non sono cittadini italiani e questo rende ancora più complicato la ricerca di un lavoro. La mancanza di denaro li spinge verso attività illecite, portandoli spesso a fare i conti con la giustizia e allontanando la speranza di un permesso di soggiorno. "Un circolo vizioso che lo stato dovrebbe interrompere", spiega il "capofamiglia", un uomo forte, in Italia dal 1980, ma ancora con passaporto macedone.

Annalisa Perla
[22.2.2011 - 13.06]

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Di Fabrizio (del 28/02/2011 @ 09:14:07, in lavoro, visitato 2182 volte)

IlSole24ORE

DOMENICO MODAFFERI. Esiste uno stereotipo radicato: quello che con i rom non ci sia niente da fare, che ce l'abbiano nel sangue di non rispettare le regole, di vivere da parassiti nei confronti della società. Noi, attraverso la formazione al lavoro, abbiamo educato al rispetto delle regole della convivenza, smontando questo luogo comune. In una città come Reggio Calabria, coi problemi di disagio e disoccupazione che esistono, la nostra cooperativa offre lavoro regolare ai rom, nel campo ecologico e dello smaltimento dei rifiuti. Ricordo un episodio all'inizio della nostra attività: in un quartiere della città avevamo da poco incominciato a fare manutenzione del verde; una signora, passando, commenta visibilmente soddisfatta: «Finalmente il Comune ci manda qualcuno!». Avendole spiegato che si trattava di ragazzi rom, la signora si ferma e dice in dialetto: «Chisti sun zingari fora»; ovvero, questi non possono essere zingari di Reggio Calabria... Lo stereotipo del rom incapace di lavorare era messo in crisi. La sua sorpresa era il segno del percorso culturale che stavamo avviando.

Abbiamo sempre pensato che per creare le condizioni di integrazione non si dovesse fare un percorso di assistenzialismo, ma di rispetto delle regole del lavoro e della convivenza.
In questo senso, per educare al rispetto della legalità, è stato importante anche ottenere come sede della cooperativa un bene confiscato alla 'ndrangheta. Lo stato, assegnandocelo, ha affermato il principio della legalità togliendo un bene al malavitoso e affidandolo a chi, vivendo nel disagio, ha sempre considerato il malavitoso un soggetto vincitore. Lavorare in una struttura confiscata è stato educativo per tutta la comunità rom, perché ha fatto capire che non sempre la persona che ha il potere criminale nella città riesce a farla franca.

Quello che mette in crisi il percorso di educazione alla legalità attraverso il lavoro è, invece, la lontananza delle istituzioni. Ad esempio, la mancanza di appalti per la cooperativa. Questo fa vacillare la fiducia nelle regole che cerchiamo di costruire con la nostra attività. Cosa rispondo se un rom, padre di famiglia, mi dice: «Io ho scelto di lavorare e di sudare, anche rispetto a tanti altri rom che hanno voluto scegliere strade più comode... loro però adesso i 50 euro per dare il pane ai figli li hanno, io no».

Domenico Modafferi è il presidente della cooperativa sociale Rom 1995, nata con l'obiettivo di allontanare i rom da emarginazione e devianza attraverso percorsi di inserimento lavorativo nella gestione dei rifiuti solidi urbani. La cooperativa ha sede in un immobile confiscato alla 'ndrangheta.

[...]

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Di Fabrizio (del 27/02/2011 @ 09:49:11, in Italia, visitato 2213 volte)

È pomeriggio. Il campo rom è avvolto da fumo, fuliggine, odore nauseabondo di liquami. La spazzatura non viene ritirata da giorni. Pozzanghere di melma fuoriescono in tutta la zona abitata. Cani e bambini giocano nell'area se pur impraticabile. Le fogne della parte nuova del campo, consegnata da pochi mesi per il nuovo progetto, risultano non funzionanti. La pendenza della strada è stata sbagliata: i liquami dei 16 prefabbricati non finiscono nella prevista fogna a dispersione ma fuoriescono nelle case, attraverso i minuscoli bagni dei primi alloggi. I "lavori pubblici", pur investiti per giorni del problema, non intendono intervenire. Alcuni rom aprono un tombino alla fine della strada ed i liquami abbandonano le casette e si liberano nel campo. I rappresentanti del campo chiamano a loro spese autospurghi per tentare di trovare soluzioni da sé. Inutilmente perché il problema non è che risolvibile da un'impresa.

La parte vecchia del campo, quella delle baracche è in parte invivibile a causa del descritto sovraccarico fognario ed a causa della rottura del vecchio impianto idrico che non ha retto al tempo allagando parte delle baracche.

Bambini, adulti con gravi forme di disabilità (amputazione degli arti, dialisi, ictus, epilessia), dormono nell'acqua e non ricevono alcuna assistenza. I bagni sono comuni e non adiacenti alle baracche. Poi un'ispezione. Un'ingiunzione di abbattimento. Un tempo limitato per trovare soluzioni ad una situazione che facile non è e che si trascina da anni. Troppi. Quasi venti. Iniziata con un' infausta decisione amministrativa di far diventare campo e comunità semplicemente alcune famiglie di concittadini che scappando dalla guerra in Jugoslavia avevano cercato rifugio in città. Il ghetto negli anni si è protratto, è cresciuto nell'incuria politica di tutti. Un'ignavia politico-organizzativa generalizzata, intervallata da interventi estemporanei dettati da una qualche situazione emergenziale. Pagamento delle utenze, autospurgo, spazzatura. Alcuni container forniti con finanziamento provinciale, un nuovo ultimo progetto abitativo ma mai interventi congiunti, organici, a lungo periodo, mirati intanto al superamento del campo (perché il campo per forza?) edal concreto inserimento sociale e lavorativo dei rom.

I bambini nati qui, cresciuti nelle scuole della città non hanno di fatto un futuro diverso che vivere, crescere e morire nel campo. Da soli non ce la fanno nemmeno ad affrontare la scuola media. non hanno ancora i libri! Stamane, durante l'incontro avvenuto a Palazzo Carafa col Sindaco di Lecce ed altri rappresentanti istituzionali, abbiamo appreso con sollievo la dichiarata volontà politica dell'amministrazione comunale di non voler agire un indiscriminato sgombero delle famiglie rom di campo Panareo ma la disponibilità anzi, ad un tavolo di concertazione che possa mettere in campo progettualità possibili.

La convocazione dei piani di zona, inoltre, risulta un percorso indispensabile, stante la disponibilità finanziaria derivante dalla misura PO FESR 2007-2013, asse III, linea 3.4 azione 3.4.1., il cui bando - che sta per scadere a brevissimo - è fruibile solo dai comuni ed è rivolto, fra i possibili beneficiari anche ad "adulti in condizione di disagio, minoranze quali nomadi e stranieri immigrati, altri soggetti marginali o a rischio di emarginazione sociale, culturale, economica e lavorativa". È un finanziamento che non può essere utilizzato per usi edilizi ma bensì per il pagamento di fitti, per progetti di inserimento sociale e lavorativo e quant'altro si possa mettere in atto per un ammontare massimo di 700mila euro. Con l'individuazione di strategie possibili ed un minimo di coordinamento fra i differenti settori del Comune di Lecce e fra questo e i Comuni del Salento, non diventerebbe più impossibile mettere in campo dei canali di risoluzione delle problematiche sociali ed abitative dei rom come di altri soggetti svantaggiati della città.

Ma se l'uso di fondi regionali già esistenti risulta proficuo per la determinazione di servizi possibili utili sia al provvisorio arginamento dell'emergenza abitativa sia alla collocazione ed al sostegno dei disabili residenti al campo, rimane da risolvere e presto la gravissima situazione igienico-ambientale in cui versano attualmente le famiglie rom.

È necessario un intervento straordinario ed urgente, possibile, con facilità, solo con un impegno celere, sinergico e congiunto fra istituzioni. Qualcuno deve intervenire e fondi straordinari ed immediati possono essere reperiti da qualsiasi ente, intanto, ad esempio, da quello principe che è l'Ente Provincia.

L'invito finale rivolto ai soggetti istituzionali coinvolti ed a quelli silenziosi è quello di recarsi di persona, almeno per una volta, al campo Panareo, perché prima di decidere se intervenire o meno, come o come non farlo, si ha il dovere etico, morale e politico di conoscere la realtà e di vedere la situazione coi propri occhi.

Non sfuggirebbe lo stridio fra il degrado estremo del campo Panareo e la forza, la dignità, lo sforzo di cura della famiglia e degli spazi, altrettanto estreme e tenaci, che contraddistinguono gli abitanti, anche i più piccoli, e la loro solitudine.

Katia Lotteria,
Rete Antirazzista Salento

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(mi-lorenteggio.com) Buccinasco, 23 febbraio 2011 - La Associazione Apertamente di Buccinasco che gestisce il Punto Parco Terradeo, è una associazione costituita da Sinti e Gage ( non Sinti) la quale in collaborazione con l'Associazione BUCCinBICI ha il piacere di invitarvi alla serata presso la locale Cascina Robbiolo mercoledì 02.03.11 ore 21.00.( ...)

La serata è anche a sostegno del Progetto Mobilità (conosciuto come progetto Ciclofficina), finalizzato a creare alcuni posti di lavoro per giovani Sinti, offrire alcuni servizi alla cittadinanza, e contemporaneamente cercare di dare qualche risposta ai problemi di mobilità del nostro comune e quelli limitrofi.

Oltre ad Apertamente, contribuiscono all'impresa Buccinbici e la Banca del Tempo e dei Saperi con il patrocinio dell'Amministrazione Comunale ed è stata finanziata dal "Fondo Maroni" gestito dal Commissario Straordinario per l'emergenza Nomadi in Lombardia (Prefetto di Milano Lombardo).

-Durante la serata verrà presentata la guida "A partire da Buccinasco" contenente informazioni su percorsi ciclopedonale che risponde alle richieste delle persone che vogliono esplorare il Parco Agricolo Sud.(all.2)

-Sarà comunicato il programma della prossima stagione ciclistica di Buccinbici.

-Inoltre , vi sarà la proiezione delle foto scattate nelle scorse stagioni.

Redazione

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Di Fabrizio (del 26/02/2011 @ 09:32:23, in musica e parole, visitato 2559 volte)

 Link per chi legge da Facebook

sabato 5 marzo dalle ore 22.00
Allo Spazio A di Sesto San Giovanni (attaccato a Milano) | via Maestri del Lavoro| info@spazioa.org | http://www.spazioa.org/

UDITE! UDITE! SIORE E SIORI!
GRANDE CONCERTO serale e STAGE pomeridiano (fantasia di valzer a 3, 5, 8, 11 tempi)

con i travolgenti
BAL O'GADJO - http://www.myspace.com/balogadjo
5 strepitosi musicisti manouche del Sud della Francia

Vieni in bicicletta, in moto o in automobile?
Da Milano, percorrere viale Monza sino al termine. Oltrepassata la fermata di Sesto Marelli della MM1 restare sulla destra senza salire sul cavalcavia. Subito dopo l'ufficio postale (circa 100 metri) girare a destra in via Maestri del Lavoro. La costruzione sulla sinistra è spazioA, di fronte a un ampio parcheggio gratuito.

Vieni in metropolitana?
Prendere la MM1 fino a Sesto Marelli. Appena usciti restare sul lato destro di viale Monza (il lato della sede CGIL-CISL-UIL) e proseguire in direzione Sesto san Giovanni. Oltrepassato un porticato con le colonne rosse, proseguire sino all'ufficio postale e girare a destra in via Maestri del Lavoro. La costruzione sulla sinistra è spazioA.

Per info:
Gianmarco - 335.8395877
Daniela - 320.0877526
Pietro - 349.6342214

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Di Fabrizio (del 26/02/2011 @ 09:10:33, in Italia, visitato 2149 volte)



mercoledì 2 marzo dalle 10.00 alle 17.00
a Brescia in Via Orzinuovi n. 108

L'incontro è aperto a tutte le associazioni aderenti alla Federazione, a tutte le associazioni sinte e rom e a tutti i singoli sinti e rom che vogliono impegnarsi per il riconoscimento dei diritti di minoranze linguistiche.

Ordine del Giorno:
1) Stati generali della federazione;
2) Azioni dei Presidenti delle associazioni aderenti nei diversi territori;
3) Analisi della situazione di Roma e Milano e preparazione di un comunicato stampa.

Per informazioni
Presidenza
Pastore Davide Casadio, casadio1970@libero.it
Dijana Pavlovic, dijana.pavlovic@fastwebnet.it

Logistica
Consigliere, Pastore Renato Henich (sneco)
mobile 3398569507

L'evento su Facebook

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Di Fabrizio (del 26/02/2011 @ 09:00:28, in musica e parole, visitato 2309 volte)

sabato 5 marzo alle ore 22.00
Teatro Bibiena, Mantova


Ancor prima di uscire dal ventre materno, Boulou ed Eliòs Ferrè hanno ascoltato le note di una chitarra. Loro padre, Matelo Ferrè, è tuttora considerato una leggenda. Compagno di strada di Django Reinhardt, Matelo aveva formato con i suoi fratelli Baro e Sarane un trio divenuto celebre. In particolare Baro, componente del quintetto di Django, è considerato come l’inventore del “valse swing”, un vero e proprio fuoco musicale degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta. Con Django, Gus Viseur e Jo Privat, i fratelli Matelo, Baro e Sarane hanno colorato di francese il jazz.

Il primogenito di Matelo, Boulou, ha le stimmate del genio fin da piccolo: è capace di suonare qualunque cosa ascolti, e in casa Ferrè di musica se ne ascolta tanta! Django, certo, ma anche Charlie Parker e Dizzy Gillespie, di cui Boulou impara tutti i “chorus” ad orecchio, la musica zigana, la classica (Ravel, Bebussy, Faurè...). Insomma, un conservatorio domestico. E’ a otto anni, con suo padre, che Boulou tiene il suo primo concerto: canta, suona, improvvisa. Fra chi lo ascolta provoca stupore e meraviglia. Ancor prima di Raphael Fays e Bireli Lagrene, Boulou è il bambino prodigio della grande famiglia manouche.
Qualche anno più tardi troviamo Boulou insieme a suo fratello Elòs, di 5 anni più giovane, all’Olympia, in diretta televisiva. Quindi iniziano gli incontri con i grandi del jazz, fra cui Dexter Gordon.

Ingresso: 15 euro - studenti 12 euro

Domenica 6 Marzo 2011 dalle ore 11.00 alle 13.00
Stage con Boulou ed Elios Ferrè
Iscrizione 15 euro
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