Rom e Sinti da tutto il mondo

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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 02/10/2011 @ 09:21:02, in scuola, visitato 1427 volte)

Gazzetta di Parma Enrico Gotti - 26/09/2011 - STRAJÈ-STRANIERI

Non c'è acqua, non possono lavarsi: niente scuola per quattro bambini. Manuela ha nove anni, dovrebbe essere in classe assieme ai suoi compagni, nella terza elementare della Racagni. Invece gioca fra i tappeti di casa, nel campo nomadi del Cornocchio. L’Iren ha staccato l’energia elettrica e la fornitura dell’acqua, perché le bollette non sono state pagate per anni, fino a un conto totale di oltre diecimila euro.

I genitori non hanno iscritto i figli a scuola: «Qui non c'è acqua, non c'è il bagno, non c'è luce. I bambini devono essere puliti, altrimenti i loro compagni li allontanano, i genitori e le maestre si lamentano - dice la madre - E poi vogliono che lasciamo il campo. Ci hanno detto: dovete spostarvi. Come facciamo a mandarli a scuola se ci mandano via?»

Il Comune dice che il regolamento più volte non è stato rispettato, con la costruzione di strutture abusive, con l’ingresso di furgoni e di famiglie non in regola con il permesso di soggiorno.

Allo stesso tempo, la questione delicatissima: per mandare i bambini a scuola, togliendoli in questo modo dalla strada, il Comune deve fare intervenire il tribunale, il che vuol dire strappare i bambini dai genitori.

Gli altri piccoli del campo nomadi del Cornocchio vanno tutti in classe. In tutto, i minori sono 27. C'è un pulmino pubblico che li passa a prendere ogni mattina e li porta a scuola con gli educatori. Durante l’anno ci sono anche volontari che al pomeriggio li aiutano a studiare e fare i compiti.

Il campo è diviso in due, da una parte ci sono i rom macedoni, dall’altra parte, separati da una rete e da una fitta siepe, ci sono i rom bosniaci: ed è proprio qui che vivono i quattro bambini che non sono in classe. Lo scorso anno avevano fatto numerose assenze: perché si era spostati a Roma e poi erano ritornati a Parma.

I quattro bambini sono nati in Italia. Il più grande doveva essere in terza media. Un altro, più piccolo di un anno, non è tornato in seconda media. Un bambino doveva frequentare la classe seconda delle elementari di Fognano e poi c'è Manuela (in realtà ha un altro nome, ma nel campo tutti la chiamano così) che non è alla Racagni.

Suo padre abita da quindici anni nella casa «provvisoria» del Cornocchio. Dei quattro minori che non frequentano la scuola dell’obbligo, tre sono suoi figli, e uno è suo nipote: «Mi piacerebbe che andassero a scuola, per capire qualcosa nella vita, non per diventare come me, che di mestiere faccio il rottamaio» commenta lui.

Pentole e mosche. Vestiti appesi a un filo legato al palo della luce. Tappeti e letti stretti uno accanto all’altro. Fiori e roulotte. Chi vive nel campo nomadi paga affitto, costo dei consumi energetici e dell’acqua. Per cucinare o lavarsi, la famiglia di Manuela da mesi usa l’acqua dell’idrante, che è a un passo dal suo tetto. L’idrante è aperto tutto il giorno, Iren poi chiede il conto alle casse comunali.

All’ingresso del campo, dicono i responsabili della struttura, ci sarebbe la possibilità di far fare la doccia agli studenti. Ma fra maxibollette e regolamenti non rispettati è ormai muro contro muro e a farne le spese sono i più piccoli.

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Di Sucar Drom (del 01/10/2011 @ 09:35:42, in Kumpanija, visitato 2062 volte)

Amiche e amici di Articolo 3 vi aspettiamo giovedì 6 ottobre alle ore 9.00
Presso l'aula magna della Fondazione Università di Mantova – via Scarsellini, 2 - Mantova

in occasione della conferenza internazionale
In Other Words

Discuteremo di stereotipi, rappresentazione delle minoranze e media con:
Udo Enwereuzor, esperto COSPE
Rosita D'Angiolella, magistrata, UNAR
Verica Rupar, professoressa Università di Cardiff e ricercatrice Media Diversity Institute
Eva Rizzin, ricercatrice Articolo 3
Davide Provenzano, presidente ArciGay 'La salamandra'
Porpora Marcasciano, presidentessa Movimento Identità Trans
Mostafa El Ayoubi, giornalista e caporedattore 'Confronti'
Saji Assi, giornalista Rai News 24
Daniel Reichel, giornalista 'Pagine Ebraiche'
Tiziana Ferrario, giornalista Tg1, consigliera nazionale Ordine dei giornalisti

La conferenza è organizzata dalla Provincia di Mantova nell'ambito del progetto europeo "In other WORDS ", di cui Articolo 3 è partner.

Per informazioni e iscrizione:
Matteo Bassoli sei3@provincia.mantova.it - 0376.204369

Il programma completo è in allegato assieme all'appuntamento con Articolo 3 presso l'Altrofestival - l'Italia sono anch'io di venerdì 30 settembre alle 20.30 a Villa Brescianelli (Castiglione delle Stiviere) in occasione della campagna CGIL per i diritti di cittadinanza delle persone straniere

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Di Fabrizio (del 01/10/2011 @ 09:02:44, in Italia, visitato 1326 volte)

Sarebbe un mondo più giusto, quando fatti come questi non fossero più una notizia. Ma per il momento andrebbe bene anche così, non fosse per qualche commento che m'è rimasto sullo stomaco...

La notizia è destinata a frantumare tanti luoghi comuni, anche nella solare Riviera del Corallo. Non solo documenti nel portafoglio ma anche carta di credito. Felice il pensionato che aveva smarrito il portafogli

ALGHERO - Una signora residente nel campo nomadi di Fertilia, nella mattinata di lunedì si è recata nella Stazione dei Carabinieri di via Don Minzoni per restituire un borsellino appena ritrovato per strada.

Non solo documenti nel portafogli, ma carta di credito e la somma considerevole di 570 euro. Sarà stato felice il pensionato 60enne originario di Bitti, a cui sono stati restituiti tutti i suoi averi.

Saranno sorpresi tutti coloro - i pregiudizi sono in agguato per tanti - che associano un'etnia solo a determinati comportamenti, spesso negativi. Qualche volta ci sono delle sorprese, per cui vale sempre la pena cambiare idea, o se non altro riservare il beneficio del dubbio.

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Di Fabrizio (del 30/09/2011 @ 09:51:01, in lavoro, visitato 1471 volte)

...che abbiano lavorato in Italia per almeno due anni consecutivi dalla data dell’11 gennaio 2008. Lo può richiedere anche un datore di lavoro diverso.

23 settembre 2011: Lo ha chiarito il Ministero dell’interno con la circolare n. 6914 del 12 settembre 2011.

Il 22 marzo scorso ha preso il via la procedura on line, attiva fino al 31 dicembre 2011, per la presentazione delle domande di nulla osta per lavoro stagionale prevista dal DPCM del 17 febbraio 2011 che consente l'ingresso in Italia di 60.000 lavoratori extracomunitari stagionali. Novità di quest’anno la possibilità di richiedere un nulla osta pluriennale per quei lavoratori, cittadini dei Paesi indicati nel decreto, che siano già entrati in Italia per prestare lavoro subordinato stagionale per almeno due anni consecutivi. Una grande semplificazione per i datori di lavoro che, consapevoli di avere bisogno del lavoratore anche per le stagioni future, il prossimo anno potranno confermare l’assunzione del lavoratore indipendentemente dal decreto flussi stagionale. Ma i due anni consecutivi devono essere immediatamente antecedenti la data di presentazione della domanda? Può presentare la domanda un datore di lavoro diverso da quello per cui si è già lavorato? A queste domande, poste dalle Questure, ha risposto il Ministero dell’interno attraverso la circolare n. 6914 del 12 settembre 2011. Per quanto riguarda "i due anni consecutivi", chiarisce il Ministero, si intendono due anni a partire dall’11 gennaio 2008, data in cui è entrato in vigore il sistema di rilevazione delle comunicazioni obbligatorie di assunzione "indispensabile per verificare l’effettiva sussistenza dei due pregressi rapporti di lavoro stagionali" mentre, per quanto riguarda il secondo quesito "si ritiene che il datore che presenti, per la prima volta, l’istanza di rilascio del nulla osta pluriennale possa essere anche persona diversa da quella delle due precedenti annualità".

(Maria Rita Porceddu)

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Di Fabrizio (del 30/09/2011 @ 09:33:57, in scuola, visitato 1509 volte)

Segnalazione di Stefano Pasta da Libero. Da notare che basta abbandonare i toni da crociata che in questi casi sono soliti per quel giornale (difatti si tratta di un pezzo che arriva da Adnkronos ; - )) e anche i soliti commentatori razzisti stanno zitti.

Milano, 22 set. (Adnkronos) - A quindici anni ha imparato, in soli sei mesi, a leggere, scrivere e fare di conto, in tempo utile ad iscriversi ad una scuola professionale, dove potra' imparare un mestiere che gli dia da vivere. Protagonista della storia e' un giovane rom venuto dalla Romania a Milano e a raccontarla e' Elisa Graziano, insegnante all'Itc Schiaparelli-Gramsci di Milano e, all'occorrenza, insegnante di strada.

"E. (l'iniziale e' di fantasia, ndr) - riferisce la Graziano - e' uno studente sedicenne al centro di un progetto piuttosto avventuroso: a quindici anni ha seguito un percorso di studi organizzato esclusivamente per lui da un gruppo di insegnanti volontari. Quando Stefano Pasta, della Comunita' di Sant'Egidio, ci ha chiesto di occuparcene ci ha spiegato che bisognava insegnargli a leggere, a scrivere e a far di conto nell'arco di otto mesi, perche' questo era il tempo massimo per non perdere il treno dei corsi di formazione professionale".

"La cosa - continua l'insegnante - poteva sembrare complessa, benche' fattibile, ma lo era oltre le nostre aspettative perche' E. si esprimeva esclusivamente in lingua romanes, l'idioma della sua famiglia e del suo popolo, la lingua dei rom. Era troppo grande per essere inserito nelle scuole elementari ma decisamente analfabeta per le scuole medie. Sapevamo che era fuggito dalla miseria di un villaggio romeno per cercare opportunita' di vita".

"Poi - prosegue l'insegnante - la faccenda si e' complicata anche perche' abbiamo dovuto seguirlo negli spostamenti causati dagli sgomberi dei campi a Milano. C'e' da dire che la determinazione di questo adolescente ci ha aiutati a proseguire comunque, infatti non abbiamo fatto nessuna fatica a fargli rispettare i nostri appuntamenti di studio: ricordo che un pomeriggio si e' presentato bagnato fradicio, ma con i quaderni asciutti, per aver dormito in un giardinetto sotto l'acqua scrosciante di novembre, dopo l'ennesimo sgombero".

"Ancora pazienza - continua la Graziano - la nostra scuola itinerante e' continuata tra la sede Acli di via Conterosso e la biblioteca di via Valvassori Peroni, a Milano, dall'ottobre del 2010 a giugno del 2011, per 10 ore settimanali, di pomeriggio. Studente tenace e fiducioso, il nostro E. ha frequentato le lezioni nonostante, da due mesi, venisse da Pavia, dove tuttora vive in una casa abbandonata, per completare l'anno scolastico con i suoi insegnanti di sempre: se noi abbiamo avuto pazienza, lui ha dovuto trovare risorse interiori di ben piu' alto respiro".

"Sostenuto dal nostro affetto e da una nostra piccola borsa di studio - conclude l'insegnante - ha potuto ancora proseguire sulla strada della sua personale emancipazione sino a tagliare il suo primo personalissimo traguardo: l'inserimento in una scuola di formazione professionale a settembre. Adesso ci sentiamo di ringraziare sia Stefano, della Comunita' di S. Egidio, che molti altri cittadini i quali , facendo rete con il loro sostegno, ci hanno permesso di realizzare questo piccolo ma concreto gesto di solidarieta'".

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Di Marylise Veillon (del 29/09/2011 @ 09:52:38, in Europa, visitato 1903 volte)

Da Roma_Francais

Le Parisien Giudicato per aver pulito la baraccopoli Julien Heyligen | Publié le 09.09.2011, 07h00

Villabé, il 27 marzo. Serge Guichard (a sinistra), con l'aiuto dei volontari e degli abitanti della baraccopoli, aveva pulito il campo rom di Moulin-Galant. Oggi è accusato di "deposito o abbandono sulla strada pubblica di rifiuti e altri materiali". | (lp/louise combet.)

Nel mese di marzo scorso, Serge Guichard presidente di un'associazione di sostegno ai rom, aveva aiutato a pulire il campo di Villabé. Una spazzata che gli costa una denuncia per "deposito di rifiuti su suolo pubblico".

"La solidarietà non è un delitto" Serge Guichard, presidente dell'Associazione di solidarietà in Essonne, con le famiglie rumene e rom (ASERFF), lo dice ad alta voce da sempre.
Oggi, la sua frase prende una risonanza del tutto particolare. Il volontario dovrà comparire davanti al Tribunale di Evry il 22 settembre alle 14.00

"E' totalmente assurdo. Ho pulito il campo rom tra Ormoi, Corbeil e Villabé in accordo con le autorità e preavvisando gli uffici comunali interessati. Mi ritrovo oggi denunciato..." dice sospirando. I fatti rimproverati al volontario risalgono a marzo. Quel mese, con l'aiuto di altri volontari e degli abitanti del campo, pulisce il campo rom di Moulin-Galant. E' urgente. I ratti invadono le casupole. Il fiume Essonne, che scorre a due passi, incomincia ad essere inquinato dall'immondizia. Il consiglio generale, proprietario del terreno, fornisce i sacchi. In poche ore, circa duemila ne sono riempiti. Prima di toglierli, la spazzatura viene sistemata lungo la strada. Il consiglio generale finanzia la raccolta realizzata dai servizi della comunità dell'agglomerato Evry Centre Essonne (CAECE), del quale dipende Villabé, dove si trova ubicato la maggiore parte del campo. Un container viene posizionato. Da allora è utilizzato dai rom ed è regolarmente svuotato dalla CAECE. "Funziona piuttosto bene" attesta Serge Guichard.

Una petizione di 800 firme.

A luglio, il presidente dell'ASEFRR riceve la chiamata di un ufficiale giudiziario. Deve andare a prendere una convocazione per il Tribunale. Serge Guichard, incuriosito, pensa a un "eccesso di velocità un po' elevato". Scoprendo la verità, casca dalle nuvole. I sostegni del volontario si organizzano. Con una petizione sono state raccolte finora 800 firme.

Varie associazioni, come la Lega per i diritti dell'Uomo, e associazioni politiche, come il Partito Comunista, sostengono l'accusato. Alcuni confinanti con il campo, anche se non ancora pronti a firmare la petizione, sono piuttosto soddisfatti dell'operazione di pulizia. "E' certamente più pulito di prima. Ora ciò che occorrerebbe sono dei servizi igienici...." dice una vicina.

Nel frattempo, l'origine della denuncia resta un mistero. Malgrado le sue richieste, Julie Bonnier-Hamon non ha avuto ancora accesso al fascicolo. "Che passi così velocemente in aula dopo la denuncia di un confinante mi sorprende. Potrebbe anche essere che il procuratore abbia fatto tutto lui. Ma l'operazione era sostenuta da istituzioni importanti. Francamente, questo fascicolo non ha nessun senso. Pulire un campo rom, non vedo dove sia il male."

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Di Sucar Drom (del 29/09/2011 @ 09:15:49, in musica e parole, visitato 1901 volte)

Articolo21

Ci sono le ladre rinchiuse nel carcere romano di Rebibbia e le bambine mandate a mendicare, ma anche la giovane regista di Torino superpremiata per il film in cui racconta la storia della sua famiglia e la sua passione per Woody Allen, l'artista che ha scolpito il monumento in onore del Porrajmos, l'Olocausto rom, l'ex maestro che rifiutò di insegnare nelle classi speciali per i rom e che, alla guida di un'associazione, si batte per tirar fuori la sua gente dal degrado dei campi nomadi, il ragazzino di origine slava che a scuola è tra i primi della classe e da grande vuole fare il soldato, i rumeni sgomberati dalle baraccopoli abusive di Milano che oggi vivono in dignitosi appartamenti. È un caleidoscopio di storie che riunisce italiani, slavi, rumeni nel ritratto sorprendente di un popolo apparso in Italia nel 1422, ma ancora oggi considerato sempre e solo straniero. Rimprovera all'autrice la fragile Ermina: «Ci giudicate senza averci conosciuto». Il viaggio che questo libro propone è un viaggio di conoscenza, un utile antidoto contro l'assedio dei luoghi comuni, a cominciare dal primo, il più diffuso, che gli zingari siano nomadi.

BIANCA STANCANELLI, autrice del libro "La vergogna e la fortuna" ha gentilmente messo a disposizione dei lettori di Articolo21 uno dei capitoli del suo libro.

Il suo sogno italiano, Ramona può riassumerlo in sette parole: «fare una vita bella per i figli.» Mi accompagna da lei Donatella De Vito. Ramona ha trentasei anni, un marito cinque anni più grande e tre figli. Appartiene alla generazione che ha fatto in tempo a conoscere la Romania co­munista e il dopo. Preferiva la dittatura: «Quando lui era vivo, lavoravi.» Non pronuncia il nome di Nicolae Ceausescu: solo quell'ingombrante pronome evocativo. Quando c'era "lui", Ramona si guadagnava da vivere come contadina nei campi di mais e suo marito aveva un impiego come operaio in fabbrica. Caduto il regime, hanno perso il lavoro. Nel 2003 hanno deciso di venire in Italia, lasciando alla nonna materna, all'inizio, i tre figli. A Milano sono arrivati nel campo di via Capo Rizzuto, verso l'autostrada per Torino, una baraccopoli nascosta tra gli alberi. Ci abitavano trecento persone: alcuni avevano chiesto l'asilo politico, altri, portandosi dietro un figlio malato, avevano ottenuto un permesso di soggiorno. Per due anni vissero in pace e in miseria. «Nessuno veniva a trovarci» dice Ramona, e quel nessuno è la polizia. Niente di cui gioire, in quella quiete: «Avevo una vita malissima.» Suo marito è un musicista della casta dei lautari, il suo strumento, purtroppo, è la batteria. Purtroppo? Gli amici con cui era venuto, musicisti come lui, andavano a suonare in metropolitana e guadagnavano benino, ma non potevano portarselo dietro «perché faceva troppo rumore.» Per tirare avanti, Ramona chiedeva l'elemosina davanti ai supermercati. Nel giugno del 2005 li sgomberarono e sulla loro strada si alzò la mano protettrice della Casa della Carità. Cinque anni dopo, la famiglia di Ramona vive in affitto, in un bilocale di periferia. L'appartamento è modesto e confortevole. Ai balconi, sgargianti tende di garza rossa, contro il malocchio. La figlia maggiore, che ha ventidue anni, è impegnata in un tirocinio come assistente alla persona, una via di mezzo tra un'infermiera e una badante, il figlio sedicenne frequenta un corso per diventare meccanico, il piccolo va a scuola, il marito è stato assunto in una cooperativa che ha in appalto dal Comune la pulizia delle docce pubbliche, Ramona lavora come domestica, una sua sorella di vent'anni si è sposata con un italiano e gli ha pure confessato di essere rom senza esserne ripudiata (ma ai suoceri non l'hanno detto, non si sa mai), altre due sorelle, che si erano trasferite in Italia con la famiglia, sono tornate indietro perché non hanno trovato nulla. Quanto alla Romania, i suoi figli non hanno nessuna intenzione di tornarci e lei vuole solo dimenticarla: «Speriamo che non ci vado più.» Questo quadretto di tranquillità domestica prospera al riparo di un'identità "di copertura". Nessuno dei vicini, dei datori di lavoro, dei compagni di classe dei figli sa che la famiglia è zingara. La Casa della Carità ha giudicato che tacere questo dettaglio sia il metodo migliore per offrire ai rom sgomberati l'opportunità di rifarsi una vita. Sembrano precauzioni eccessive, ma l'esperienza insegna che non sono mai troppe. Ramona si è giocata un posto scoprendosi per sbaglio come zingara e ancora non se lo perdona. L'errore, forse un minuscolo peccato di vanità, è stato prender parte a un film con i comici Ale e Franz. S'intitolava, come per sberleffo, Mi fido di te. È successo nel 2006, quando da due anni Ramona faceva le pulizie a casa di una ricca signora milanese che vendeva a domicilio abiti firmati, aveva un vasto giro d'amicizie e l'abitudine di seminare i soldi per casa senza problemi. Capitava che la signora andasse a prendere Ramona alla fermata della metropolitana e che, in macchina, incontrassero rom. La signora si sfogava: «Che gente schifosa, questi zingari: ne arrivano a milioni, non se ne può più.» Seduta accanto a lei, rigida come un lampione, Ramona farfugliava: «Ma davvero, ma che schifo» e tremava di paura al pensiero che da un segno, da un gesto, la signora capisse che anche lei era zingara e la cacciasse. Né Ramona né, probabilmente, la sdegnata signora che le sedeva accanto potevano sapere che la capitale della Lombardia ha un'antica tradizione di odio antizigano. Uno dei più brutali editti che mi sia capitato di leggere è una grida pubblicata a Milano l'8 agosto 1693. Consente a chiunque incontri zingari «d'ammazzarli impune e levar loro ogni sorta di robbe, bestiami e denari che gli trovasse.» Trecento anni dopo quella grida, Ramona traccia i suoi giudiziosi distinguo tra gli zingari: «I rom jugoslavi sono cattivi davvero. Anche noi rumeni siamo zingari, ma non facciamo male.» La ascolto, non replico: dopotutto, perché a noi italiani soltanto deve essere riservato il privilegio del pregiudizio? La sua conclusione non ammette repliche: «Tutti credono che i zingari fanno male, così non ti danno lavoro se sei zingaro.» Quando accettò di recitare in quel film, in una particina minuscola, confusa in un gruppo di rom, Ramona non sospettava che la signora avrebbe mai potuto saperlo. Lo scoprì, invece; forse qualcuno che aveva visto il film le riferì che, tra gli zingari che recitavano la parte di allegri truffaldi, c'era Ramona. Stanata, non poté più nascondersi: «Sai come stavo male quando quella signora ha saputo che ero zingara? Prima mi dava i soldi della spesa, mi faceva tenere le chiavi. Dopo il film, mi stava sempre vicino, mi controllava, alla fine mi ha lasciato a casa.» Grazioso eufemismo per definire il licenziamento di una presunta nomade. Don Massimo Mapelli mi dice che, per i progetti che riguardavano più di duecento rom sgomberati negli anni dal 2005 al 2007, sono stati impiegati due milioni di euro. È meno della metà della cifra che il Comune ha speso in sgomberi nei quattro anni dal 2006 al 2010. Ma gli sgomberi producono solo altri sgomberi, in uno sfiancante inseguimento tra guardie e zingari, mentre i progetti della Casa della Carità hanno trasformato i minacciosi invasori in famiglie serene. Non tutti e non sempre, naturalmente. E non senza frizioni, difficoltà, inciampi. Don Massimo sa bene che «dovendo sopravvivere, i rom tendono a concepire la relazione con te secondo il modello "devo succhiare tutto quello che posso".» Come se il manghél, l'elemosina, fosse diventato uno stile di vita. «L'idea che ha guidato gli interventi sui rom è sempre stato l'assistenzialismo. Farli passare all'autonomia è complicato. Noi ce l'abbiamo fatta perché, detto brutalmente, eravamo a casa nostra, potevamo mettere le cose in chiaro: se non ci stai, amici come prima, ma te ne vai. È quello che nei campi non si può fare. Intendiamoci, non tutti accettano. Qualche famiglia se ne è andata, ha preferito continuare a vivere in quel sottobosco dove l'informale si lega all'illegale.» È in quel sottobosco che gli zingari, spesso, incontrano gli italiani. Don Massimo fa un esempio: «Nei campi abusivi, abbiamo scoperto che i rom lavoravano in nero a fabbricare bancali, perché gli zingari non li vuole nessuno, ma i bancali in nero li vogliono tutti. Allora abbiamo fondato una cooperativa per fabbricarli noi, mettendoci dentro sette rom e due nordafricani. In un anno di crisi pesante come il 2009, abbiamo creato posti di lavoro e regolarizzato un settore che era in nero.»

In nome di un'esperienza lunga cinque anni, don Massimo può dichiarare: «Il problema rom è un problema che, finché resta tale, è utilizzabile.» Amara sentenza che dà ragione della curiosa inefficienza milanese nell'inventare soluzioni diverse dai brutali, costosi, inutili sgomberi e di altre storie accadute qua e là in Italia. Come la cacciata dei prefetti di Roma e di Venezia, rimossi d'autorità – e senza spiegazioni – nel pieno dell'"emergenza nomadi". Il primo, nel novembre 2008, fu Carlo Mosca, prefetto di Roma che rifiutò di prendere le impronte ai bambini rom e mai venne meno al motto «Si sgomberano le macerie, non le persone.» Il secondo, nel dicembre 2009, è stato Michele Lepri Gallerano, prefetto di Venezia per quattro mesi: il tempo di gestire il trasloco di 38 famiglie di sinti veneziani dalle baracche a un villaggio di casette allestito dal Comune. Trasloco compiuto a mezzanotte, in trentotto minuti – troppo pochi perché le torpide truppe antizigane potessero accorgersene e impedirlo.

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Di Fabrizio (del 28/09/2011 @ 09:49:07, in lavoro, visitato 2075 volte)

Da Coopofficina

In Abruzzo nel mese di maggio 2011 è stato avviato il progetto Fattoria sociale bravalipè per dare occupazione ai giovani, in particolare giovani rom. L'iniziativa è stata promossa da una partership composta da associazione RomSinti@ politica, Centro studi e ricerche CILICLO', Azienda agricola Ciattoni.
Obiettivo ambizioso dell'iniziativa è di avviare due fattoria sociali in provincia di Chieti e di Pescara per dare occupazione a 15 giovani.

Dopo un periodo di preparazione dell'iniziativa dal 22 agosto 2011 sono iniziate le assunzioni di giovani e dai primi di settembre QUATTRO giovani rom sono stati regolarmente assunti e svolgono le attività agricole della fattoria.
Nelle prossime settimane saranno assunti altri giovani rom e non rom e nel mese di Marzo 2012 le assunzioni di dovrebbero completare con 15 giovani che lavorano.

I promotori dell'iniziativa in queste settimane stanno valutando la possibilità di apertura di punti vendita dei prodotti della fattoria sociale in alcune città, iniziativa che potrebbe dare occupazione ad alcune ragazze.

Portiamo a conoscenza che da ogni regione italiana è possibile acquistare i prodotti della fattoria sociale, attualmente i prodotti disponibili per la spedizione sono: miele ed olio extravergine di oliva biologico.

Nelle prossime settimane ci sarà una conferenza stampa dei promotori dell'iniziativa e dei giovani che già lavorano nella fattoria per informare l'opinione pubblica, i media, gli enti locali e le istituzioni dell'iniziativa, per sfatare il pregiudizio che " i rom non vogliono lavorare" , ma anche per far conoscere che i progetti destinati alla popolazione romanì devono essere adeguati ai bisogni della persona rom coinvolta nell'ottica della "normalità" e con il rifiuto di ogni forma di assistenzialismo.

Dott. Nazzareno Guarnieri

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Di Fabrizio (del 28/09/2011 @ 09:32:49, in conflitti, visitato 2920 volte)

Fonti varie

Su Youtube da Euronews (20" in inglese ndr.) QUI in italiano.

Da domenica scorsa sono in corso violenti scontri a carattere etnico in tutto il paese.

Tutto è iniziato quando nel villaggio di Kanunitsa (160 Km. a sud di Sofia) un uomo è stato investito (decedendo in seguito) da un furgone guidato da un appartenente ad una famiglia rom molto ricca ed in vista nel paese. Come succede spesso in casi simili, si dice che la fortuna della famiglia sia collegata ad attività fuorilegge: in questo caso il commercio illegale di alcool.

L'investitore è poi fuggito. Gli abitanti del villaggio hanno immediatamente pensato che si fosse trattato di un'azione deliberata, a causa di minacce precedenti subite dalla vittima, ed hanno assalito la villa della famiglia rom. Durante questo assalto, ci sono stati 5 feriti, tra cui 3 poliziotti, ed un giovane è caduto in coma, morendo durante il trasporto in ospedale. La polizia ha operato 127 arresti ed è riuscita ad arrestare l'investitore, mentre cercava di oltrepassare il confine con la Turchia.

immagine dal sito della Radio Bulgara

Nonostante gli appello alla calma delle autorità, dello stesso primo ministro (e di converso, del capo dell'opposizione), di diverse organizzazioni, tra cui quelli di esponenti della minoranza turca e di altre associazioni civili e politiche, gli incidenti si sono subito propagati in tutto il paese, tanto nei piccoli villaggi che nelle grandi città, vedendo tra gli assalitori diversi fan ultrà delle squadre di calcio ed i soliti gruppi neonazisti; un dato significativo e preoccupante indicherebbe che un terzo di chi sta manifestando contro i Rom sia minorenne. Tra le città coinvolte Plovdiv (350.000 abitanti, ospita il quartiere di Stolipinovo, dove abitano 40.000 Rom), la capitale Sofia (con una manifestazione di migliaia di persone davanti al Parlamento), la città marittima di Varna (corteo di 200 persone verso la mahala rom di Maksuda), ed inoltre a Pleven e Burgas, con diversi incidenti che hanno coinvolto membri della comunità rom, le loro macchine e negozi.

Attualmente a causa dei timori, molti bambini sono tenuti a casa da scuola ed i loro padri non si stanno presentando al lavoro.

Si vocifera di possibili manifestazioni della comunità rom, per esprimere solidarietà e vicinanza alle famiglie dei morti e preoccupazioni per i disordini che sono succeduti, ma ovviamente il clima molto teso invita anche alla prudenza estrema prima di esporsi. Nel contempo, circolano anche voci (preoccupanti ma da verificare) che i Rom asserragliati nei loro ghetti, si stiano armando per resistere.

Sono in corso riunioni, tanto a livello locale che nazionale, sia nella polizia, che nel governo e nelle amministrazioni decentrate, che tra le associazioni della società civile, nel tentativo di porre freno alla catena di violenze che attualmente non si sono ancora fermate.


Nel contempo, la situazione rimane molto tesa anche in Repubblica Ceca, soprattutto nelle regioni confinanti con Polonia e Germania, nonostante l'azione repressiva della polizia.

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Di Sucar Drom (del 27/09/2011 @ 09:59:25, in casa, visitato 1787 volte)

Sempre dalla newsletter di Articolo 3, un aggiornamento su una situazione segnalata 10 giorni fa. di Elena Borghi*

Apriva la guida alla rassegna stampa della newsletter n.30 una riflessione sugli avvenimenti che da circa un mese animano la vita di Torrazza Coste (PV).
Niente di speciale, all’apparenza: una trattativa in corso tra due privati, per l’acquisto di un terreno parzialmente edificabile, sito in una delle vie più "in" del paese dell’Oltrepò. Un banale episodio di compravendita come ne accadono ogni giorno, senza mai finire sulle pagine dei giornali.
Ma questo caso è diverso. La notizia ha ottenuto l’attenzione del giornale locale, la Provincia Pavese, è passata di bocca in bocca tra i millesettecento abitanti di Torrazza – schieratisi a sostegno o contro il compaesano deciso a vendere quel terreno –, ha fatto mettere in campo polizia locale ed avvocati, e probabilmente sta guastando il sonno a più persone, coinvolte a vari livelli nell’episodio.
A trasformare questa ordinaria vicenda in fatto di cronaca è un particolare piccolo ma evidentemente insormontabile, l’appartenenza etnica degli acquirenti: rom, una parola minuscola che desta preoccupazioni enormi.

Avevamo promesso di approfondire l’episodio, e così abbiamo cercato di fare, recandoci a Torrazza Coste. Ma quel che possiamo raccontare è solo una serie di impressioni.
Le persone con cui abbiamo parlato, infatti, sono state vaghe e sfuggenti: tanto timide nell’azzardare commenti personali, quanto decise nell’affermare la propria estraneità ai fatti, restie a fare i nomi dei compaesani più direttamente coinvolti, caute nella scelta dei termini e barricate dietro una facciata politically correct impenetrabile, come chi si stia muovendo su un terreno pericoloso e cerchi di tenersi al riparo da possibili scivoloni.
Al Bar Sport siedono gli avventori più loquaci. Parlano della vicenda di via Moro come di una cosa che non li riguarda granché, cercano di esporre i fatti in ordine cronologico e di astenersi da notazioni personali. Punzecchiati sulla questione della petizione – che qualcuno in paese avrebbe organizzato per scongiurare l’arrivo dei rom, radunando oltre 350 firme [1] – si lasciano scappare un commento: "Beh, nessuno li vuole…", con il tono di chi sta dicendo la cosa più ovvia del mondo, una verità universale e condivisa.
Intanto, in via Moro scorre tranquillo il sabato pomeriggio, dietro i cancelli e i muri di cinta alti e robusti, dietro le porte blindate di villette pretenziose, troppo simili a miniature di castelli, dentro i Suv e sulla ghiaia dei vialetti d’ingresso, che annunciano ospitali: "Attenti al cane". Non c’è niente di così diverso, in fondo, in questa via e in questo paese, rispetto a centinaia di altre piccole città italiane, familiari a tutti noi; eppure, il sospetto che qui si stia consumando una silenziosa ingiustizia rende minacciosi particolari che, altrimenti, ci parrebbero assolutamente normali, addirittura rassicuranti.

Il terreno incriminato, ora deserto perché da giorni i futuri acquirenti non si fanno più vedere a Torrazza, sorge in mezzo a questo idillio borghese a tinte pastello: c’è una parte di verde ed alberi (per quelli che la famiglia rom ha abbattuto è già intervenuta la Forestale, con una multa al proprietario), una parte di semplice terreno, una piccola costruzione in pietra fatiscente – forse un ex capanno per gli attrezzi. Niente altro. Episodi spiacevoli, nei giorni in cui la famiglia è stata con i camper sul terreno? Pare di no. Arrivavano al mattino, ripartivano al tramonto. Segni di incuria, immondizie, rottami? No.
Sono stati fatti intervenire (a scopo preventivo, si direbbe) Carabinieri e Polizia locale; si sono ipotizzati sgomberi, scritte e firmate petizioni, allertate le autorità locali. Eppure i residenti di via Moro con cui abbiamo parlato dicono di non sapere nulla – più criptici della Sibilla, omertosi come neanche in terra di mafia.
Gli abitanti della prima casa in cui ci rechiamo ci danno un’indicazione nemmeno troppo velata. Loro naturalmente non sanno nulla, ma: "Chiedete ai signori di fronte, che sono i più aggiornati sulla questione", riferendosi ai proprietari della villa confinante con il terreno incriminato. Ma no, nemmeno loro sanno essere precisi. "Non voglio dire cose di cui non sono certa" – ripete la signora, assicurando che ora è l’amministrazione comunale a occuparsi dell’intera faccenda. Sì, forse una raccolta firme c’è stata, ma lei non ne sa granché. Stessi occhi sospettosi, stesse mezze parole anche nelle due case successive. Questi trecentocinquanta nomi paiono essersi volatilizzati.
Pare che il rogito ancora non sia stato stipulato, sembra che sia circolata una petizione e si siano raccolte delle firme, corre voce che la petizione sia stata recapitata in Comune, si dice che l’amministrazione si stia facendo direttamente carico della faccenda, forse alla ricerca di quella "soluzione pacifica che soddisfi i residenti" di cui parla la Provincia Pavese, e che consisterebbe nel "convincere i proprietari a trovare nuovi acquirenti".
Ripartiamo con i taccuini vuoti e nessuna vera informazione in più.

Ci rimane addosso solo un’impressione generale di disagio, l’inquietudine che inducono i luoghi apparentemente inattaccabili, perfetti, nel giusto – facciate dietro le quali spesso si consumano pesanti ingiustizie e prevaricazioni. E’ questo, il messaggio sotteso ai silenzi e alle parole vaghe delle persone che abbiamo intervistato?
E’, questa, una vicenda in cui qualcuno – elettori e cittadini benestanti, affidabili, "pacifici e forti" – sta non solo accettando di avere il coltello dalla parte del manico, ma decidendo di far valere questa condizione contro qualcun altro, persone che del coltello vedono sempre e solo la punta acuminata? Non possiamo ancora dirlo. Ripartiamo con il dubbio ben vivo in mente, in attesa che lo sviluppo degli eventi decida il carattere di questa piccola grande storia.
Poco fuori il paese, sul ciglio della strada si erge una chiesetta bianca, di cui qualcuno ha imbrattato la facciata, stampandovi un Sole delle Alpi leghista, bello grande, in verde d’ordinanza.

  • * Titolo da: Ascanio Celestini, I miei racconti "in fila indiana" contro il razzismo (Corriere Sera, 30/5)
  • [1] Firme contro l’area nomadi. Residenti di via Moro in rivolta (Provincia Pavese, 1/9)
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