| Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
		
		
			Di Fabrizio  (del 28/03/2013 @ 09:04:22, in lavoro , visitato 1658 volte)
		 
      Da 
Roma_ex_Yugoslavia  Centro commerciale chiede la rimozione dei lavoratori rom 
 Budapest, 21 marzo 2013: Skopje City Mall, 
un centro commerciale macedone, ha incaricato l'agenzia che fornisce il 
personale addetto alle pulizie di rimuovere tutto lo staff romanì che lavorava 
nel reparto alimentare. Skopje City Mall ha inviato una mail il 9 gennaio 
2013, richiedendo che i lavoratori romanì fossero lasciati a casa entro il 20 
gennaio 2013. La vicenda è venuta alla luce
sui media nazionali solo questa settimana.
 L'agenzia di pulizia, Land Service, si è opposta alla richiesta. Secondo 
quanto riportato sui mezzi d'informazione, il centro commerciale ha motivato la 
richiesta in seguito ai furti di beni alimentari. L'agenzia impiega lavoratori 
rom e no nel reparto - soltanto i Rom sono stati stigmatizzati sulla base della 
loro etnia. ERRC respinge in toto l'azione dei manager di City Mall, che viola la 
costituzione macedone, i codici del lavoro e quelli anti-discriminazione. 
L'azione viola inoltre le norme internazionali sui diritti umani. "Non è accettabile incolpare collettivamente il personale in base alla sua 
origine etnica," ha detto Dezideriu Gergely, direttore esecutivo di ERRC. 
"Questo tipo di discriminazione sul posto di lavoro contro i Rom, 
presumibilmente sulla base di stereotipi come -la criminalità zingara- non 
devono essere tollerati." ERRC sta sollecitando il corpo macedone sull'uguaglianza ad affrontare il 
caso, che sta seguendo con le pertinenti istituzioni UE. Comunicato stampa disponibile anche in
macedone. Per ulteriori informazioni, contattare:.Sinan Goekchen
 Media and Communications Officer
 European Roma Rights Centre
 sinan.gokcen@errc.org
 +36.30.500.1324
   
      
 RadioBremen I Rom in Germania "I nostri bambini venivano picchiati" Devono combattere contro molti pregiudizi: si tratta dei Rom. Un rapporto sul 
loro gruppo etnico - spesso perseguitato dal punto di vista politico - nota come 
sempre più Rom vengano in Germania. Nella battaglia per il loro riconoscimento 
sociale trovano un sostegno presso il "Refugio", un'associazione che assiste 
psicologicamente i profughi provenienti da aree di crisi. "Refugio" è un centro 
di trattamento psicosociale e terapeutico per profughi e per sopravvissuti a 
torture, persone che hanno visto la guerra con i loro occhi. Il più delle volte 
si tratta di superare dei traumi: le persone che vengono al "Refugio" sono state 
perseguitate a causa della loro appartenenza religiosa, politica, etnica o 
sessuale e, talvolta, hanno subito anche torture.
 Il signor M. - che non intende rivelare il suo nome per intero - vive in 
Germania da tre anni. Con i suoi cinque figli e sua moglie ha cercato asilo in 
Germania, poiché la vita da rom nel suo villaggio di origine in Serbia diventava 
ogni giorno più difficile. "Non avevamo pace, i nostri bambini venivano 
picchiati. Tornavano a casa da scuola sempre piangendo". La goccia che ha fatto 
traboccare il vaso: una delle sue figlie venne investita da un'auto; 
sopravvisse, riportando però gravi lesioni. Il conducente dell'auto ammise di 
aver travolto la bambina di proposito - perché si trattava di una bambina rom.
 
 Scarso accesso all'assistenza sanitaria
 Adesso la famiglia di M. vive in Germania e si sente al sicuro, grazie anche 
all'aiuto del "Refugio". L'anno scorso sono arrivati al centro di trattamento 
della città anseatica 16 Rom, "un po' più degli anni precedenti", spiega Bjoern 
Steuernagel, direttore del "Refugio" di Brema. I pazienti hanno vissuto sulla 
loro pelle discriminazione ed emarginazione: "Si può parlare a tutti gli effetti 
di una violenza sistematica nei confronti della minoranza etnica dei Rom, che si 
manifesta nello scarso accesso all'assistenza sanitaria e ai contributi sociali. 
Si tratta di un tipo di emarginazione dalla quale scaturisce poi inevitabilmente 
la povertà".
 
 800 Rom vivono a Brema - tendenza in aumento
 Nessuno sa con esattezza quanti Rom vengano via via in Germania. Questo perché 
l'ufficio federale per la migrazione e per i profughi non rileva i singoli 
gruppi etnici. Sono soltanto i paesi di origine a fornire un'indicazione. 
Veniamo così a sapere che è di etnia Rom circa il 90 per cento dei richiedenti 
asilo provenienti dagli stati balcanici quali Macedonia, Serbia, Kosovo e 
Bosnia-Erzegovina. Da questi paesi, fino ad ottobre 2012, erano arrivati in 
Germania circa 5000 Rom. A settembre erano ancora 2800. E da allora il numero 
dei richiedenti asilo è aumentato ancora. A Brema vivono attualmente 800 Rom. 
Secondo l'Associazione Federale dei Sinti e Rom di Brema questa tendenza sarebbe 
in aumento.
 
 Tra gli immigrati rientrano anche i cittadini dell'UE provenienti dalla Romania 
e dalla Bulgaria. Afferma Steuernagel: "Dove comincia il diritto di asilo e dove 
finisce? Perché anche persone provenienti dalla Romania o dalla Bulgaria possono 
venirsi a trovare in condizioni esistenziali di grave disagio economico e, di 
conseguenza, decidere di venire qua - grazie alla libera circolazione 
all'interno dell'UE - nell'aspettativa di un lavoro almeno temporaneo". 
Steuernagel stima che, nei paesi di origine, fino al 90 per cento dei Rom sia 
senza lavoro. A questo punto, secondo lui, il passo successivo verso la povertà 
e verso i margini della società viene di conseguenza.
 
 Razzismo profondamente radicato
 Steuernagel attribuisce ad un razzismo profondamente radicato il motivo 
principale della situazione attuale in cui si trovano i Rom. Un razzismo che è 
presente in tutti i paesi europei. M. afferma che non gli siano mai capitati 
direttamente episodi di razzismo, ma di essere a conoscenza, tuttavia, dei 
pregiudizi esistenti nei confronti dei Rom e di averne timore: "E' una brutta 
cosa. Se tutti cominciassero a pensare che i Rom non siano in grado di dare il 
loro contributo alla società, allora anche qui in Germania non ci sarebbe più 
posto per noi, esattamente come in Serbia".
   
		
		
			Di Fabrizio  (del 26/03/2013 @ 09:08:17, in Europa , visitato 1836 volte)
		 
      
 Stefano Galieni | 18 marzo 2013 | Fonte:
corriereimmigrazione.it 
 Il titolo del convegno è esplicito: Il ruolo delle donne rom nella tutela dei 
diritti umani e in tempi di crisi economica. Lo ha organizzato a Roma la sezione 
italiana di Amnesty international, riunendo quattro donne unite da forti 
motivazioni, esperienza, capacità comunicative e competenza: Isabella Miheleche, 
attivista per i diritti delle donne in Romania, Beatriz Carrillo, presidente 
dell'associazione Fakali, per i gitani nella regione spagnola dell'Andalusia, Dijana Pavlovic, dell'associazione Rom e Sinti insieme che opera in Italia, e 
Dzemila Salkanovic, per l'associazione 21 luglio.
 
 Isabela Michalache, nel denunciare l'aumento delle discriminazioni, le 
difficoltà nell'accesso al lavoro e ai servizi pubblici (è successo che anche i 
medici, a volte, abbiano rifiutato le cure), ha toccato anche il delicato tasto 
delle problematiche interne alle stesse comunità, dai casi di violenza fra le 
mura domestiche al ripristino di regole ancestrali come quella sulla verginità e 
ai matrimoni precoci. A causa della crisi, ha spiegato, le donne sono divenute 
ancora più vulnerabili. In Romania era stato approvato un piano strategico 
nazionale che prevedeva interventi a lungo termine, soprattutto nel campo della 
formazione e dell'istruzione, ma non ci sono le risorse per attuarlo. 
"Bisognerebbe – ha affermato Michalache – operare per rendere le donne più 
autonome, fornendo libri di testo, sussidi alle famiglie, favorendo la 
concessione di crediti per chi ad esempio in Moldavia, vuole lavorare la terra, 
bloccare sfratti e sgomberi che creano emarginazione e disagi, produrre 
cambiamento anche valorizzando le ong composte da rom. Ci sarebbero mille 
piccoli interventi alla nostra portata, non solo in Romania, e che produrrebbero 
cambiamenti importanti e duraturi".
 
 Beatriz Carrillo, con un intervento molto appassionato, ha voluto aprire una 
riflessione su quella che ha definito "storia muta e invisibile", anche se è 
consapevole che la situazione spagnola finora è stata fra le migliori d'Europa. 
Sarà per una presenza numericamente molto consistente, stabile e nata da tempi 
lontani e per una programmazione di interventi messi in atto per la salute, il 
lavoro, l'istruzione, fatto sta che in Spagna sono nate istituzioni partecipate 
e riconosciute dal governo come il Consiglio statale del popolo rom e l'Istituto 
di cultura gitana. In Spagna si è tenuto il primo congresso mondiale delle donne 
gitane senza aver bisogno di intermediari. "La Spagna in questo senso è un 
modello da seguire – ha dichiarato la relatrice- Ma da noi è stato più facile 
anche grazie all'alto numero di gitani che esercitano professioni che hanno 
esercitato influenza nella cultura spagnola e che si sono amalgamati con la 
società". L'immagine che però viene riaffermata anche in Spagna delle 
popolazioni rom è carica di negatività, tanto che nelle scuole, a detta di Carrillo, spariscono la lingua, le differenze e anche la rivendicazione di 
identità. "Anche da noi, come nel resto d'Europa, le cose peggiorano. Gruppi 
estremistici entrano nei governi e nei parlamenti con un messaggio razzista e 
discriminatorio. Gruppi che vengono condannati a parole ma mai concretamente 
sanzionati. La situazione è poi precipitata anche da noi con la crisi. Non 
vogliamo essere un fanalino di coda ma essere ad armi pari. Non siamo disposte a 
vedere annientati i nostri valori culturali, vogliamo affrontare anche con gli 
uomini la società gitana. Fakali è impegnata per l'emancipazione femminile e per 
far valere i nostri valori di solidarietà e rispetto rifiutando però 
l'assimilazione". E c' è stato anche modo e tempo per ricostruire un percorso 
che attraversa gli anni bui della dittatura franchista e che ha una svolta nel 
1978 quando, nel primo governo democratico, trova posto anche un rom che si era 
distinto per l'impegno in anni scomodi. Le donne rom hanno operato anche insieme 
alle altre cittadine spagnole, per una legislazione più paritaria, sono entrate 
nelle università e hanno fatto sentire anche politicamente la propria voce.
 
 Dijana Pavlovic ha stupito e commosso recitando una parte del monologo Vita mia 
parla, basato sulla vita di Mariella Mehr, scrittrice e poetessa jenish (nome 
dato ai rom svizzeri), che nel paese elvetico fu vittima del programma di 
sterilizzazione forzata imposto dagli anni Venti fino al 1974 tramite 
l'istituzione Pro Juventute. Un testo violento e diretto, in cui si raccontano 
con crudo realismo le violenze subite e l'odio accumulato, torture che non 
sembrano possibili e che pure sono state reali in un Europa cieca e pronta a 
girarsi dall'altra parte.
 
 Dzemila Salkanovic, invece, come racconta nella lunga 
intervista che ci ha 
rilasciato, ha parlato della vita difficile che nella capitale italiana 
conducono i rom, tanto divisi e poco capaci ancora di fare fronte comune.
 
 Numerose le domande che hanno trovato puntuale e non scontata risposta. A chi 
criticava il machismo spesso diffuso nelle comunità rom è stato comunemente 
risposto come il machismo, la violenza sulle donne, gli elementi di 
problematicità a volte drammatica, siano caratteristica comune e da combattere 
in ogni cultura. Non nascondendosi dietro alla presunzione che il problema 
riguardi solo universi ritenuti inferiori ma mettendosi, come uomini e come 
donne, in discussione. Fra i tanti elementi emersi, che meriterebbero ulteriori 
approfondimenti, il peggioramento delle condizioni nell'Est europeo dopo il 
crollo del muro e dei regimi. C'era concordia nell'affermare che la 
privatizzazione di ogni servizio abbia approfondito le disparità, tolto ai rom 
diritti acquisiti come la casa, la sanità, la scuola e il lavoro. Duro accettare 
che tali disagi vengano comunemente imputati alla "democrazia". E' comune la 
richiesta di una moratoria continentale della politica degli sgomberi, capaci 
solo di produrre disperazione. E a dirlo, a spiegarlo non sono attivisti neutri 
di associazioni che si occupano dei rom, ma donne rom in carne ed ossa.
   
		
		
			Di Fabrizio  (del 25/03/2013 @ 09:05:07, in Europa , visitato 1884 volte)
		 
      By 
Valeriu Nicolae - 12 marzo 2013 L'errore economico
 Analisi superficiali sui costi economici dell'inclusione sociale sono diffuse 
tra le classi politiche dell'Europa Centrale e Orientale (ECO). In questo 
articolo cercherò di individuare un errore economico riguardo un gruppo 
immaginario di Rom che chiamerò "Frankestein", termine che intende sottolineare 
la confusione e l'archetipo semplicistico sui Rom che è largamente diffuso tra i 
decisori politici.[1] Molti politici e decisori pensano alla parola "Rom" come ad un eufemismo per 
tutti i piccoli criminali (inclusi naturalmente quei criminali che non sono 
Rom). Come per qualsiasi stereotipo, la percentuale di Rom che corrispondono 
alla descrizione di "Frankestein" è appena una frazione sul numero totale dei 
Rom. I professionisti rom di successo tendono ad essere invisibili a politici e 
decisori, in quanto non si adattano alla tipologia, razzista ma diffusa, del 
"vero" Rom. Nei fatti, esistono più professionisti Rom di quelli "Frankestein". L'errore economico sui Rom "Frankestein" è ritenere che i loro paesi siano 
migliorabili, in termini economici, senza di loro. Questa convinzione giustifica 
tanto l'inazione nella madrepatria (mancanza di sforzi e fondi per l'inclusione 
sociale), che lka riluttanza a lavorare per arginare l'immigrazione verso 
l'Europa Occidentale. I governi ECO pensano che la maggior parte dei Rom che lasciano i loro paesi 
siano, nella migliore delle ipotesi, cantanti, ballerini o lavoratori non 
qualificati (nel campo delle pulizie o della ristorazione), ma che la maggior 
parte viva di assistenza sociale, furti, o operando sul mercato nero. 
Indipendentemente da ciò, i Rom sono una perdita economica significativa per le 
economie dei loro paesi. Credono anche che una volta partiti i Rom "Frankestein", i paesi ospitanti 
(Europa Occidentale) debbano assumersi i costi del welfare, del controllo, 
dell'istruzione, della sanità, dell'alloggio - mentre quegli stessi Rom 
invieranno la maggior parte dei loro risparmi in patria. E' un messaggio crudo e 
sbagliato, ma semplice, da mandare alla maggioranza dei votanti, che comunque 
non amano o odiano apertamente i Rom. I Rom "Frankestein" devono essere incentivati e resi responsabili sulla loro 
cittadinanza. Ciò richiederebbe un'aggressiva campagna per far capire ai Rom che 
sono una parte importante della loro nazione, attraverso investimenti massicci 
nell'inclusione sociale, combattendo l'antiziganismo e promuovendo la 
cittadinanza attiva tra le comunità e i ghetti più problematici. Un simile piano d'azione richiede misure strategiche a lungo termine (oltre 
20 anni), prevede budget significativi e sarebbe da moderatamente ad altamente 
impopolare. Richiede un impegnativo lavoro a livello di base, attività 
disprezzata non soltanto dai politici ma anche dalle maggior parte delle OnG 
attive nel campo dei Rom e dell'inclusione sociale. Perché uno stato dovrebbe farlo? La risposta è semplice - non c'è un'altra 
soluzione. La maggior parte dei governi dei Rom "Frankestein" vuole sbarazzarsi di chi 
non si insedierà stabilmente in altri paesi. Continueranno a vivere di welfare 
nei paesi di origine come in Occidente. Alcuni useranno le loro esperienze 
criminali in occidente per rafforzare la rete criminale nei loro paesi. Sta già 
succedendo: nel ghetto dove opero, negli ultimi anni ho visto salire alle stelle 
il numero di tossicodipendenti. Arrivano sempre più soldi da traffico di droghe 
e prostituzione. Le bande criminali controllano un numero significativo di 
persone, attraverso denaro o minacce, e sono in grado di influenzare le 
elezioni. La corruzione è rampante. I collegamenti tra questi criminali e 
politici di alto livello sono talvolta pubblici. Tutto questo porta a costi 
significativamente più alti di quanto le misure di inclusione sociale possano 
costare. Un'altra ragione per lavorare verso l'inclusione sociale è la situazione 
catastrofica dei bambini e della gioventù rom, nei gruppi inclini a migrare. 
All'inizio degli anni '90 alcuni Rom fecero fortuna andando in Europa 
Occidentale coi loro figli. Questi bambini divennero la prima di tante 
generazioni perdute. Bambini ed adulti erano coinvolti nell'accattonaggio, 
alcuni nella piccola criminalità, alcuni suonavano in cambio di denaro e altri 
compravano e rivendevano metalli. Alcuni di questi si misero in affari con 
vestiti e macchine di seconda mano. Spendono il guadagnato in patria, per lo più 
come stridente segno di benessere. Per molti Rom, fare soldi è diventato molto più importante dell'istruzione o 
di cercare un lavoro stabile. I Rom furono tra i primi a perdere il lavoro, 
durante la transizione dal socialismo alla democrazia all'inizio degli anni '90. 
Il successo di pochi nel fare soldi facili all'estero, fu molto più visibile del 
"normale" ma più a lungo termine successo di quanti avevano investito nella 
propria istruzione. Successo a lungo termine reso ancora meno visibile dal fatto 
che la maggioranza di quanti erano riusciti a completare gli studi avevano 
lasciato i ghetti o le loro comunità. Professionisti rom, istruiti e prosperi, 
si trovano a dover scegliere tra il nascondere le proprie radici e cercare di 
fondersi con la popolazione maggioritaria (personalmente conosco almeno un 
centinaio di casi), oppure affrontare il razzismo strutturale a tutti i livelli 
(vedi i miei precedenti articoli sul razzismo strutturale). I loro risultati non 
sono mai così visibili come le "conquiste" di chi ha fatto soldi "facili". Quanti finiscono in prigione tentando di fare denaro "facile" vengono 
ignorati, in quanto il carcere è considerato parte del normale ciclo della vita 
in queste comunità. I bambini che negli anni '90 facevano soldi con le elemosine o rubando, sono 
diventati adulti che usano i loro figli per elemosinare o rubare. Questi 
bambini, a loro volta, lo faranno coi loro figli quando ce ne sarà 
l'opportunità. I bambini che rubano non possono essere messi in prigione, ed 
alcuni di loro diventano fonti di reddito per i genitori, parenti o reti 
criminali che li sfruttano. Gli stessi principi si applicano quando si tratta di 
prostituzione o spaccio di droga. La molla di far soldi distrugge generazione dopo generazione, quei giovani 
che vivono di questi "mestieri". E' un'economia "di nicchia", una volta molto 
produttiva, ed in alcuni casi lo è ancora. Conosco un buon numero di famiglie 
che viaggia in aereo per mendicare. Mentre l'istruzione richiede disciplina e non ha un ritorno immediato, 
elemosinare o rubare porta ad un minorenne centinaia di euro al mese. Spacciare 
droghe diventa il nuovo "lavoro" sempre più produttivo nei ghetti delle grandi 
città nell'Europa Centrale e Orientale. E' quasi impossibile stimare il danno psicologico patito dai bambini 
coinvolti in questi "traffici", e nella maggior parte dei casi è completamente 
ignorato dai genitori, che pensano al beneficio economico dei loro figli. Questi 
bambini diventano adulti che non avranno alcuna possibilità di competere nel 
mercato del lavoro, ma hanno le competenze, le reti, l'appoggio e la motivazione 
per fare bene nell'economia criminale. Spaccio, prostituzione, furto ed 
accattonaggio, per un giovane non istruito (e di solito analfabeta) pagano 
comunque meglio di qualsiasi lavoro legale possibile. Una prostituta su cento è fortunata e riuscirà a pagare i trafficanti, 
fuggire da droga e protettori, fare ritorno col denaro necessario ad aprire un 
centro di massaggi erotici, che è l'unico modello in questione nel ghetto dove 
lavoro. Le storie di quante muoiono di overdose, sono picchiate a morte da 
clienti o trafficanti, o contraggono l'HIV o altre malattie, sono semplicemente 
ignorate dalle ragazze che vivono in condizioni di abbietta povertà e vedono la 
prostituzione come l'unica possibilità per uscirne. Inoltre, le peggiori condizioni in Europa Occidentale, sono meglio sotto 
quasi ogni aspetto del vivere nei ghetti delle misere comunità in Europa 
Orientale. Migliori l'assistenza e i servizi sociali, migliore il sistema 
scolastico. Per criminali, mendicanti e prostitute (che siano Rom oppure no) più 
ricco è il paese e più si guadagna. Prostitute e mendicanti a volte guadagnano 
dieci volte di più che nei loro paesi. Le condizioni carcerarie sono di gran 
lunga migliori e le pene detentive più brevi. E' vero che ci sono immediati benefici economici se i Rom "Frankestein" 
lasciano il loro paese. Ma tutto ciò ha effetti disastrosi nel lungo termine, 
distruggendo i propri figli generazione dopo generazione. Possono esserci 
ripercussioni a lungo termine: i Rom hanno la percentuale di giovani più alta di 
qualsiasi gruppo etnico in Europa; questi giovani devono completare gli stuidi 
per poter competere sul mercato del lavoro. La sostenibilità di molte pensione 
negli stati membri UE potrebbe dipendere da ciò. I benefici economici derivanti dall'accattonaggio o dalla microcriminalità 
sono già di molto inferiori a quanto erano negli anni '90, e presto non ci 
saranno più "nuovi mercati" da sfruttare. La crescita dell'antiziganismo è già 
un effetto diretto della migrazione e renderà più difficile e costosa 
l'inclusione sociale. Il risultato finale sarà un pericoloso effetto a spirale 
di rifiuto sempre più generalizzato da parte della società maggioritaria. L'antiziganismo 
rampante può risolversi in conflitti interetnici - i cui costi economici sono 
impossibili da stimare. L'attuale flusso delle migrazioni dei Rom "Frankestein" dev'essere 
indirizzato meglio. E' impossibile bloccarlo completamente, ma usare in maniera 
più efficiente i fondi UE può portarne ad un significativa riduzione 
(specialmente di bambini) che lasciano i loro paesi. La responsabilità di molti di quei bambini, giovani e adulti di queste 
generazioni perdute, ricade non solo sugli irresponsabili genitori e gli inetti 
amministratori e politici locali, ma anche sui burocrati rinchiusi a Bruxelles o 
nelle capitali europee. Una valutazione responsabile ed indipendente di tutte queste burocrazie e di 
come siano spesi centinaia di migliaia di euro sulle tematiche rom è necessaria 
se vogliamo successo con l'inclusione sociale dei Rom. Valutazioni che sono un 
normale requisito che queste organizzazioni impongono alle OnG - non c'è ragione 
per cui loro non debbano sottostare agli stessi controlli. 
 [1] Contrariamente alla credenza popolare. Frankenstein 
non era un mostro, ma il creatore pieno di speranze di quello che si è rivelato 
un mostro. Victor Frankentein è descritto come molto intelligente ed istruito. 
Il problema è che il suo orgoglio e la sua arroganza circuirono le sue 
responsabilità.   
      
 foto Paola Castagna © Tour primavera 2013 di
Paul Polansky Sono 
								riportati solo gli eventi 
								confermati: 28 marzo 2013 h. 20.45PAPACQUA, via Daino 1 - MANTOVA.
 Introduzione di Igor Costanzo. Durante la 
								serata proiezione di fotografie in 
								collaborazione con Paola Castagna.
 5 aprile 2013 h. 21.00LE STORIE DEL MANEGHETO, vicolo Cere 24, VERONA
 Non ci sono confini agli orti di Spagna: storie, poesie, immagini e 
musica di gente di viaggio. Con la fisarmonica di Tommaso Tommo Castagnini e le 
immagini di Paola Castagna. Cena alle 19.30 - meglio prenotare 045-8014299
 7 aprile 2013 h. 17.30TEATRO Valle Occupato, via del Teatro Valle 
								21, ROMA.
 Il tempo dei Rom, con Paul 
								Polansky, Pino Petruzzelli, Bianca Stancanelli, 
								la musica di Djovedì Django e degli Errichetta 
								Underground, la danza di Barbara Breyhan e 
								Daniela Evangelista, il canto di Debora Longini 
								e Daniela Bruno accompagnate da Ivan Macera e da 
								Mauro Tiberi, Stefano Liberti ed Enrico Parenti, 
								autori del documentario prodotto da ZaLab "Campo 
								sosta". Il tutto allietato dalla cucina rom.
 9 aprile 2013 h. 21.00LIBRERIA 
								POPOLARE, via Tadino 18 - MILANO.
 Presentazione "Il pianto degli zingari"
 10 aprile 2013 h. 21.00ARCI Martiri di Turro, via Rovetta 14 - 
								MILANO.
 Paul and friends: SLAM POETRY. Alle 
								20.00, cena in compagnia (costo circa 10-15 
								euro,
								
								consigliata la prenotazione)
 11 aprile 2013 h. 21.00ARCI Via d'Acqua, 
								viale Bligny 83, PAVIA.
 Impegno, musica, 
								poesia: programma in via di definizione
 13 aprile 2013 h. 18.30SUNSET CALDE' Piazza del Lago, 3 - 21010 - Castelveccana (VA)
 SLAM POETRY
 15 aprile 2013 h. 21.00C.A.M. Ponte delle Gabelle, via san Marco 45 - 
								MILANO.
 Presentazione "Il pianto degli zingari"
 16 aprile 2013 h. 10.00Isis GIOVANNI FALCONE, Via Matteotti 3, GALLARATE 
								(VA).
 Le parole sono luce: dialogo con gli 
								studenti. Introduzione di Ernesto Rossi. 
								Accompagnamento musicale di Mario Toffoli
 17 aprile 2013 h. 18.30LIBRERIA UTOPIA, 
								via Vallazze 34, MILANO.
 Chiusura tour 
								milanese
 18 aprile 2013 h. 19.30Spazio CENTO-TRECENTO, via Centotrecento 1/a BOLOGNA
 Chiusura tour italiano
 Il pianto degli zingariDanica è una ragazza intelligente. Nella scuola che frequenta a Monaco prende 
ottimi voti, aiuta i compagni in grammatica. Forse farà l'insegnante, o forse la 
dottoressa. Ma dalle quattro di una mattina d'inverno, di punto in bianco deve 
lasciare casa libri amici lingua futuro, salire a forza con i genitori e la 
sorellina su un aereo pieno di rom diretto a Pristina e a un incubo seppellito 
nella mente dieci anni prima assieme a una lingua.
 "Avna o nemcoja", aveva gridato suo padre quella mattina di giugno del 1999. 
"Arrivano i tedeschi!", lo spauracchio che tornava nei racconti del nonno sulla 
seconda guerra mondiale e sui nazisti in cerca di vergini da violentare. Ma 
erano stati i vicini albanesi, vestiti di scuro, a cacciarli di casa agitando 
asce e forconi. Lei aveva sette anni. Ora, alle quattro di mattina, il passato 
ritorna a sfondare la porta di casa. Ma lei non è tedesca? Ha l'uniforme 
scolastica, ha vinto una borsa di studio. E questa vicina che piange e protesta 
coi poliziotti la considera come una figlia.
 Lo stile spoglio e fattuale di Polansky è perfetto per una storia raccontata da 
un'adolescente. Il reportage trasfigurato in racconto in versi è una denuncia 
che rimane oltre il tempo dell'emergenza. Se non ci fossero emergenze senza 
scadenza.
 Il pianto degli zingari è un libro per tutti e dovrebbe entrare nelle aule 
scolastiche, per animare i concetti di dignità umana, diritti dei minori, 
cittadinanza, accoglienza, integrazione col volto e la voce di Danica.
 Roberto Nassi
 Note:Autore: Paul Polansky
 Edizione: 
Volo press
 Postfazione: 
Rainer Schulze
 Immagini: Stephane Torossian
 Traduzione: Fabrizio Casavola
 Euro 10,00
   
		
		
			Di Sucar Drom  (del 23/03/2013 @ 09:03:00, in blog , visitato 1925 volte)
		 
      
Mantova, Berini: respingo tutte le accuse strumentali di Elena MagriRespingo le accuse strumentali dell'assessore provinciale Elena Magri e la 
invito a leggersi le relazioni inviate annualmente. Per l'annualità 2012 è stato 
chiesto all'associazione Sucar Drom di prolungare l'annualità 2012 fino al 
mese...
 
Porrajmos, la testimonianza di Rita PrigmoreRita Prigmore, figlia di una famiglia sinta tedesca presente in Germania da 
molte generazioni, nel 1943 fu sottratta alla madre da militari nazisti appena 
nata insieme alla sorella gemella Rolanda, fu trasferita in un ospedale per 
essere sottoposta ai crudeli esperimen...
 
Elezioni in Lombardia
  
Rom e Sinti, Strategia nazionale al via ma il Nord Italia disattende gli impegniLa Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha approvato nel corso 
della seduta del 24 gennaio un documento in cui si impegnano a costituire tavoli 
regionali per il coordinament...
 
Reggio Calabria, si toglie la vita perché non trova lavoroDramma a Reggio Calabria, si toglie la vita Luigi Berlingeri sopraffatto dalla 
crisi economica. Lo ricorda Giacomo Marino presidente dell'Opera Nomadi di 
Reggio Calabria che spiega...
 
Habemus Papam
  
Diamante (CS), nasce l'associazione Sulla Strada CalabriaNasce a Diamante la prima associazione composta da italiani e appartenenti a 
famiglie italiane di origine rom e nasce proprio a Diamante divenuta simbolo 
della piena integrazione di cinquanta famiglie rom che sin da...
 
Pisa, la sposa bambina? Tutto falso!Nessuna violenza sessuale di gruppo. Nessuna riduzione in schiavitù, né alcuna 
tratta degli esseri umani. Nessun maltrattamento su minorenne. Nessun matrimonio 
forzato. E' netta la sentenza pronunciata oggi dal Tribunale di Pisa nel 
processo cosiddetto "della sposa bambina"...
 
Mantova, 21 marzo 2013: il presente della memoriaGiovedì 21 marzo, alle ore 17, presso la sala del Plenipotenziario di p.zza 
Sordello 43, a Mantova, Articolo 3 Osservatorio sulle discriminazioni presenta 
il suo 5° Rapporto annuale. Non a caso l'evento si svolge proprio il 21 marzo, 
u...
   
		
		
			Di Fabrizio  (del 22/03/2013 @ 09:01:10, in scuola , visitato 1859 volte)
		 
      Crescono sempre più i nati in Italia. I bimbi rom sempre più esclusi 
dal sistema scolastico.
  15 marzo 2013 - 
Presentato il rapporto "Alunni con cittadinanza non italiana. 
Approfondimenti e analisi. A.s. 2011/2012" elaborato dal Ministero 
dell'istruzione e dalla Fondazione Ismu. 
 Sono 415 le scuole italiane nelle quali la presenza degli alunni stranieri 
raggiunge o supera il 50% e se si considerano le sole scuole dell'infanzia otto 
bambini stranieri su dieci sono nati in Italia.
 
 Lo evidenzia il rapporto Alunni con cittadinanza non italiana. Approfondimenti e 
analisi. A.s. 2011/2012 elaborato dal Ministero dell'istruzione, dell'università 
e della ricerca (Miur) e dalla Fondazione Ismu. Nell'anno scolastico 2011/2012, 
gli alunni stranieri nati in Italia sono 334.284 e rappresentano il 44,2% sul 
totale degli alunni con cittadinanza non italiana. Cinque anni fa erano meno di 
200mila, il 34,7%. Nelle scuole dell'infanzia i bambini stranieri nati in Italia 
sono l'80,4%, più di otto su dieci, ma in alcune regioni la percentuale è ancora 
più alta e supera l'87% in Veneto e l'85% nelle Marche, sfiora l'84% in 
Lombardia e l'83% in Emilia Romagna. Mentre non raggiunge il 50% nel Molise e lo 
supera di poco in Calabria, Campania e Basilicata. Negli ultimi cinque anni gli 
studenti stranieri nati in Italia sono cresciuti del 60% nelle scuole 
dell'infanzia (dove hanno raggiunto le 126mila unità, a partire dalle 79mila del 
2007/2008) e nelle primarie (145mila), mentre sono più che raddoppiati nelle 
secondarie di primo grado (46mila) e di secondo grado (17mila).
 
 Secondo il rapporto del Miur e dalla Fondazione Ismu in totale le scuole in cui 
la presenza di alunni stranieri non è inferiore a quella degli italiani sono 415 
(corrispondenti allo 0,7% delle scuole), 10 in più dell'anno scolastico 
precedente. Due terzi delle province italiane hanno almeno una scuola con un 
numero di alunni stranieri non inferiore al 50%. Le scuole dell'infanzia con 
almeno il 50% degli alunni stranieri sono 233. Le province con il maggior numero 
di scuole con almeno il 50% di alunni stranieri sono Milano (55), Torino (34), 
Brescia (32).
 
 Gli alunni con cittadinanza rumena si confermano, per il sesto anno consecutivo, 
il gruppo nazionale più numeroso nelle scuole italiane (141.050 presenze), 
seguono gli albanesi (102.719) e i marocchini (95.912). Tra le crescite annue 
più rilevanti si registrano quelle degli alunni moldavi (+ 12,3%) nei diversi 
livelli scolastici, e ucraini (+ 11,7%) nelle primarie e filippini nelle 
secondarie di primo grado (+8,5%) e di secondo grado (+11,2%).
 
 La Lombardia si conferma la prima regione per il maggior numero di alunni con 
cittadinanza non italiana (184.592). Seguono il Veneto, (89.367), e l'Emilia 
Romagna con (86.944), il Lazio (72.632) e il Piemonte (72.053). Quanto agli 
alunni rom, sinti e caminanti diminuiscono gli iscritti. Sono 11.899 nell'anno 
scolastico 2011/2012, il numero più basso degli ultimi cinque anni, in 
diminuzione del 3,9% rispetto al 2010/2011. Significativo il calo di iscritti 
nelle scuole superiori di secondo grado (con una variazione del -26% dal 
2007/2008 al 2011/2012) scesi a sole 134 unità di cui 10 in tutto il Nord Ovest. 
Si osserva un calo degli iscritti nella scuola primaria, -5,7% rispetto ai 
cinque anni precedenti, nelle scuole dell'infanzia, -5,8%, mentre risulta 
leggermente in crescita il numero di iscritti nelle scuole secondarie di primo 
grado. Un fortissimo calo di iscrizioni si registra già nel passaggio dalla 
scuola primaria alla scuola secondaria di primo grado, solo la metà degli alunni 
rom prosegue gli studi pur essendo nella fascia dell'obbligo di istruzione.
 (Red.)   
		
		
			Di Fabrizio  (del 21/03/2013 @ 09:07:30, in Europa , visitato 1559 volte)
		 
      
 di Carlotta Sami - direttrice generale di Amnesty International Italia "Spesso subiscono le conseguenze più pesanti delle politiche di segregazione e 
sgomberi. Ma sono anche tra le più attive per rivendicare un miglioramento delle 
condizioni di vita"
 
 Amnesty International è impegnata da anni nella difesa dei diritti delle donne e 
in una campagna europea contro la discriminazione delle persone rom, inoltre a 
Gennaio ha lanciato una grande campagna sui Diritti umani in Italia: Ricordati 
che devi rispondere, 
www.ricordatichedevirispondere.it. Uno dei 10 punti 
riguarda proprio i diritti dei rom nel nostro Paese.
 Vogliamo mettere insieme questi due temi evidenziando il ruolo, fondamentale, 
che le donne hanno nell'attivismo per i diritti umani - questo è vero sempre, ed 
è vero anche per le persone rom, che in Italia e in tutta Europa hanno di fronte 
a sé un impegnativo cammino di rivendicazione e conquista dei propri diritti.
 
 Un impegno e un attivismo che avrà l'obiettivo di una maggiore rappresentanza, 
anche politica.
 Le informazioni e le analisi sulle quali si basa la nostra campagna europea per 
i diritti dei rom emergono dalla ricerca sul diritto a un alloggio adeguato e 
sugli sgomberi forzati che abbiamo svolto in Italia, Francia, Macedonia, 
Romania, Serbia e Slovenia. L'impatto delle violazioni che i rom subiscono è 
particolarmente grave per le donne, spesso vittime di discriminazione multipla, 
a causa del genere e dell'appartenenza etnica, e costrette a sormontare ostacoli 
altissimi per accedere all'alloggio, all'assistenza sanitaria, all'istruzione e 
al lavoro.
 La loro condizione va a inscriversi infatti in un contesto - quello Europeo - in 
cui le comunità rom affrontano un sistematico pregiudizio e politiche 
inadeguate, quando non palesemente discriminatorie, da cui derivano rischi 
altissimi per i diritti e talvolta la stessa incolumità personale di adulti e 
bambini.
 
 Fanno parte di questo contesto i frequenti sgomberi forzati, spesso in mancanza 
di alternative abitative accettabili, e una sistematica difficoltà di accesso a 
un alloggio adeguato. Milioni di persone rom in Europa sono di fatto costrette a 
vivere in baraccopoli, senza accesso ad acqua corrente o elettricità, a grande 
rischio di malattie e senza assistenza sanitaria. Nei casi in cui, durante gli 
sgomberi, le autorità offrano alloggi alternativi, essi sono spesso costruiti in 
condizioni molto precarie e privi di servizi essenziali quali l'acqua, il 
riscaldamento, l'energia elettrica. Ciò ha un particolare impatto sulla vita 
delle donne rom le quali, a causa del loro ruolo all'interno della comunità, 
hanno di fatto la responsabilità primaria della cura dei bambini e delle 
attività domestiche come la pulizia della casa e la cucina.
 
 Alle cattive condizioni abitative si accompagna spesso la collocazione dei rom 
in campi lontani dai centri abitati, con quanto ne segue in termini di 
isolamento e segregazione. Secondo le testimonianze di donne rom che i nostri 
ricercatori hanno raccolto a Roma, ad esempio, una particolare difficoltà deriva 
dal fatto che i campi siano scarsamente collegati ai quartieri abitati, ai 
negozi e ai servizi tramite i mezzi pubblici o strade con marciapiedi sicuri su 
cui camminare. I negozi di generi di prima necessità, i medici e le scuole e 
strutture per l'infanzia sono difficili da raggiungere e questo rende la vita 
delle donne rom che li abitano e dei loro bambini ancora più difficile.
 
 La segregazione in aree periferiche isolate rende, inoltre, ancora più difficile 
la ricerca di un lavoro e può aumentare il rischio di violenza sulle donne e sui 
loro bambini, perché esse vengono a perdere le proprie reti di sicurezza e 
solidarietà.
 
 Vivere in insediamenti informali a rischio di sgombero forzato provoca, nel 
complesso, grande incertezza e sofferenza. La stessa salute psicologica delle 
donne rom viene segnalata come significativamente peggiore di quella del resto 
della popolazione femminile dei paesi europei, proprio a causa delle condizioni 
di vita inadeguate, alloggi disagiati, della povertà e della posizione 
svantaggiata delle stesse nel loro ambiente domestico.
 
 Amnesty International lavora al fianco delle donne rom che vivono nei campi e 
negli insediamenti informali in Europa. In molti casi, le donne rom sono 
impegnate in prima persona nelle campagne di sensibilizzazione per porre fine a 
sgomberi forzati e alla segregazione, e dovrebbero essere, a nostro avviso, 
ulteriormente sostenute in questo loro impegno, perché nessun vero cambiamento e 
miglioramento per i diritti umani è possibile senza un ruolo centrale e 
determinante delle donne.
 
 Alle donne occorre dare accesso al credito e opportunità di indipendenza 
economica: solo in questo modo si cancellerà la violenza e sarà possibile 
garantire ai bambini e alle bambine l'accesso all'istruzione.
 
 Dobbiamo credere nelle enormi potenzialità di queste donne e abbiamo, da loro, 
molto da imparare.
   
		
		
			Di Fabrizio  (del 20/03/2013 @ 09:04:38, in Italia , visitato 1909 volte)
		 
      Relazione consegnata il 16 marzo scorso a Daniela Benelli 
(Assessore milanese all'Area metropolitana, Decentramento e municipalità, 
Servizi civici), durante il convegno 
Oltre via Padova Premesse 
				Quella di via Idro è una comunità rom storica della zona 2, per niente 
incline al nomadismo visto che nell'arco di oltre 40 anni si è spostata di soli 
2 km. (in accordo con l'Amministrazione Comunale).La sua partecipazione alla vita di zona non è una novità degli ultimi anni, 
ma risale ad almeno 30 anni fa. I primi tentativi di scolarizzazione risalgono 
alla metà degli anni '80. Già con il trasferimento nell'attuale campo di via 
Idro, partecipavano alle sedute del Consiglio di Zona (allora in via Padova), a 
iniziative in quartiere, organizzandone loro stessi al campo.Il nostro gruppo è composito e assolutamente non gerarchizzato, con una 
caratteristica che lo distingue da esperienze precedenti di lavoro con i rom: 
siamo persone impegnate a vari livelli nell'attivismo di zona, e quindi la 
				"questione rom" non è un ghetto mentale in cui ritagliare il nostro spazio, ma 
una delle molte tematiche che riguardano le periferie, da affrontare 
congiuntamente alle altre. Primi contatti e iniziativeL'insediamento per lungo tempo è stato indicato come "un campo modello per la 
realtà milanese", nonostante ci siano sempre stati problemi di vario tipo. La 
situazione inizia a deteriorarsi dal 2000, in parte per la caduta di sbocchi 
lavorativi della 
cooperativa LACI BUTI, fondata dagli stessi rom all'inizio 
degli anni '90, in parte 
perché i rapporti con le istituzioni comunali, che sono continuati anche con le 
prime amministrazioni di centro-destra, vanno via via diradandosi. Il rapporto 
col mondo esterno continua quasi esclusivamente tramite la scuola, non a caso la 
prima istituzione che li ha accolti.
 Occorre dire che nello stesso tempo anche per gli altri insediamenti (comunali e 
non) inizia una stagione travagliata, che dipende in parte dal passaggio di 
competenze dall'amministrazione centrale ad associazioni esterne, in parte dal 
fatto che nello stesso periodo si inizia a mettere in discussione l'esistenza 
stessa dei campi sosta, anche se con segnali contraddittori (vedi l'istituzione 
dei campi di Triboniano e via Novara). Attorno al 2006, un primo nucleo di volontari riprende il contatto con gli 
abitanti di via Idro. A farlo, inizialmente, sono alcuni membri del comitato 
Vivere in Zona 2, già impegnato su altre tematiche del mondo di via Padova e 
dintorni. Dopo le prime diffidenze reciproche, il clima si fa più disteso e si 
prendono le prime iniziative comuni: L'altro scopo di iniziative simili è creare un ponte con quanto si va 
risvegliando attorno a via Padova, e di creare i presupposti per un lavoro 
condiviso. Questi sforzi rischiano di interrompersi bruscamente nel
settembre 2010, quando al campo arrivano una ventina di lettere di sfratto 
che coinvolgono un centinaio di persone, quasi la totalità degli abitanti. In questa situazione di crisi effettiva, al nucleo iniziale del gruppo si 
aggiungono (continueranno a farlo in seguito) associazioni, volontari, 
cittadini, anche esponenti di partito. Il gruppo non perde la sua caratteristica 
di informalità e continua a essere composito e non gerarchizzato.  Altri punti caratterizzanti l'esperienza del gruppo sono: 
				l'attenzione al diritto ad abitare, coniugata con il NO unitario al paventato 
campo di transito;il coinvolgimento attivo della comunità rom, o quantomeno di chi è disposto a 
farsi coinvolgere, e l'attenzione alla sua autodeterminazione (come gruppo 
discutiamo di continuo con gli abitanti del campo e sosteniamo le loro scelte, 
ma in caso di divergenze non imponiamo la nostra volontà);la rivalutazione dell'insediamento esistente;l'attenzione al nesso tra abitare, lavoro e sostenibilità delle soluzioni 
individuate;il contrasto alle politiche anti-rom;il contatto con analoghe esperienze cittadine;infine, un rapporto stretto col Consiglio di Zona e con il quartiere. Su queste basi, seguono altre iniziative pubbliche: 
				febbraio 2010: l'incontro pubblico 
				"Oltre la paura. Dare cittadinanza alla 
questione rom", molto partecipato, che non si limita ai problemi della zona, ma 
				offre un momento di confronto con varie realtà milanesi;marzo 2011: 
				denuncia degli sgomberi immotivati, che ottiene una discreta 
				risonanza mediatica;maggio 2011: festa pubblica al campo (la prima dopo quasi una quindicina 
d'anni), che diventa una specie di evento d'apertura della festa "Via Padova è 
meglio di Milano" e vede una partecipazione inaspettata da parte degli abitanti 
				della zona. Un sommario bilancio di questo primo periodo possiamo illustrarlo in questo 
modo, evidenziando i risultati ottenuti e i limiti del nostro intervento:
 Pregi
 
				Iniziative pubbliche;sinergie col lavoro su via Padova;coinvolgimento attivo di parte del campo;ampia discussione in mailing list e presenza sul web. Limiti 
				scarsa attenzione da parte dell'amministrazione centrale;carenza di unitarietà tra i temi sollevati;incapacità di coinvolgere nel dialogo tutti gli abitanti del campo. Un nuovo quadroLe votazioni di maggio 2011 vedono protagonisti anche i rom dell'insediamento di 
via Idro (chi ha detto che i rom non votano?), complici anche le dichiarazioni 
del sindaco Moratti e del vicesindaco De Corato, che per tutta la campagna 
elettorale ripetono che il campo è destinato a chiudere, dimenticandosi di 
precisare come, quando e soprattutto perché.
 È da precisare che gli abitanti dell'insediamento sono tutti cittadini italiani, 
e questo pone difficoltà alle autorità nell'adoperare gli strumenti classici 
dello sgombero e del rimpatrio; quindi la tattica adottata è quella del "non ti 
mando via, ma ti rendo la vita impossibile". Il cambio di giunta suscita aspettative tra gli abitanti dell'insediamento, come 
nel nostro gruppo, e la prima reazione da parte dei rom è quella di inviare ai 
nuovi amministratori un promemoria sugli 
interventi attesi da anni e sul tipo di 
collaborazione che si può instaurare tra campo ed istituzioni.  Nel contempo, da questa lettera nasce nella primavera del 2012 un
progetto partecipato tra abitanti 
del campo e un decina di associazioni, 
che pone le basi per il mantenimento e la riorganizzazione dell'insediamento, a 
cavallo tra la città e il costituendo Parco della Media Valle del Lambro. A maggio 2012 il campo si propone come un vero e proprio polo della festa "Via 
Padova è meglio di Milano", con una due giorni di balli, spettacoli per 
bambini, cinema, musica, presentazioni di libri. Dopo quest'esperienza, il campo presenta una propria programmazione estiva per i 
concittadini, dove alle attività "culturali" 
si affiancano momenti conviviali. Il conoscersi, la coesione sociale, si realizza quindi 
non solo attraverso la cultura come la intendiamo noi, ma mangiando e 
chiacchierando assieme (la cultura come la intendono i rom). Infine, parte agli inizi del 2013 il progetto Social Rom-cittadinanza attiva, 
con l'obiettivo di stimolare i giovani a diventare "cittadini attivi", 
protagonisti del cambiamento della società, e anche a sviluppare una mentalità 
interculturale attraverso un lavoro di gruppo. Il progetto prevede la 
partecipazione di giovani italiani, rom harvati, figli di immigrati a tre 
laboratori creativi:  
				workshop artistico-performativo;workshop fotografico;workshop narrativo.  ProspettiveCome gruppo, non solo abbiamo agito per praticare quella "coesione sociale" che 
auspichiamo, ma ci siamo accollati anche, forse sbagliando, compiti spettanti 
all'amministrazione pubblica e ai gestori. Il ruolo di un sano volontariato 
dovrebbe essere quello di stimolo verso le istituzioni e la politica, e non 
quello di un delegato a costo zero. Riteniamo che questo sia un argomento 
portante non solo per la nostra piccola ridotta di via Idro, ma riguardi più in 
generale tutto ciò che si sta muovendo attorno a via Padova.
 Purtroppo, le aspettative sollevate dal cambio di giunta non sono state 
soddisfatte e non uno dei punti sollevati nella lettera inviata dalla comunità 
quasi due anni fa è stato affrontato. Nel frattempo sono intervenute nuove 
emergenze. Non staremo a ripetere l'elenco degli interventi necessari e di 
quelli richiesti, perché gli assessorati competenti sono stati puntualmente 
informati, da noi, dal Consiglio di Zona, dagli abitanti stessi ogni volta che 
si è presentata l'occasione. I problemi che d'ora in avanti si pongono, tanto all'amministrazione che al 
prosieguo della nostra attività sono: 
				i fondi: ci sono problemi ineludibili, nel senso che la situazione ambientale al 
campo va deteriorandosi, e sono possibili incidenti anche gravi. La 
responsabilità penale è del comune. A gennaio è stata evitata per poco il 
rischio di emergenza sanitaria, che si sarebbe propagata anche nell'abitato 
attorno. Il prossimo rischio è che la situazione di emergenza attuale, legata 
anche a questioni di sicurezza, travalichi i confini del campo;dopo quasi due anni, la fiducia degli abitanti è nuovamente ai minimi termini e 
si stanno deteriorando anche i rapporti tra i gruppi familiari. È così diventato 
un ostacolo anche per noi persone esterne al campo avere un rapporto propositivo 
con i suoi abitanti. Inutile nascondersi che questa situazione è stato favorita 
dall'inerzia dell'Amministrazione, che, vogliamo ricordarlo, ha preso precisi 
impegni nel corso della campagna elettorale ed è la prima responsabile della 
situazione del campo, che è regolare e si trova su un terreno comunale; il terzo punto è la sintesi degli altri due. Se il linguaggio adottato da questa 
amministrazione verso i rom è, fortunatamente, cambiato in meglio, nel 
quotidiano rimane la stessa sensazione di distanza provata negli anni scorsi. 
Non solo per gli impegni assunti pubblicamente e rinviati sine die, ma anche 
riguardo alle possibilità di dialogo. Da un anno e mezzo si parla di colloqui 
individuali con le famiglie per verificarne stato e aspettative, che però non 
sono mai iniziati. Per capire quale possa essere il livello attuale di fiducia, 
si consideri che la stessa promessa era stata fatta quasi otto anni fa 
dall'allora assessore Moioli, con il medesimo risultato. Rete degli Amici della Comunità Rom di Via Idro   
		
		
			Di Fabrizio  (del 19/03/2013 @ 09:08:53, in Italia , visitato 2508 volte)
		 
      
 ilReferendum di Valentin Ipuche 
 "Sporchi. Ladri. Criminali. Sempre pronti a portarci via i nostri bambini, 
nascondendoli sotto una lunga gonna di stracci, non appena distogliamo lo 
sguardo. Non serve neanche esplicitare il soggetto, perché questi pregiudizi 
rimandano senza esitazione all'idea comune dello zingaro."
 Così recitava il volantino di invito all'incontro sull'antiziganismo tenuto dal 
docente di antropologia culturale Leonardo Piasere al primo piano 
dell'Università di Verona.
 
 In un'aula piccola ma gremita i ragazzi del collettivo 
Studiare con lentezza, 
promotori dell'incontro, hanno fatto riferimento alle problematiche dell'Aula 
Zero, un'aula autogestita aperta a tutti gli studenti. Lo spazio rischia infatti 
di essere chiuso dopo i fatti del 12 febbraio, quando in occasione di un 
incontro sulle foibe i ragazzi del collettivo hanno subito un'aggressione da 
parte di formazioni neofasciste veronesi.
 
 Il tema"antiziganismo" molto articolato e complesso è stato affrontato in modo 
dialettico, rispondendo alle domande piuttosto che con l'uso del monologo.
 Il concetto dell'identità nelle diverse realtà rom, la storia dei movimenti 
migratori dei più grandi gruppi come i sinti, i calderas, etc e il ruolo della 
tradizione sono elementi chiave per comprendere il razzismo condiviso nei loro 
confronti. Elementi comuni ma anche di diversità come il tema dell'omosessualità 
all'interno di tali comunità, tenendo sempre presente che non si può 
generalizzare: le popolazioni romanì in Europa sono composte da 11 milioni di 
persone. Questo vuol dire che se fossero la popolazione di uno Stato ufficiale 
sarebbe il 12esimo all'interno dell'UE per numero di abitanti, e avrebbe diritto 
a 22 rappresentanti nel Parlamento comunitario. Tanti quanti l'Olanda.
 
 Il relatore, che ha vissuto a lungo all'interno di comunità rom, ha discusso dei 
problemi con cui questa convive. Uno su tutti è lo stato di invisibilità totale 
in cui vivono molte persone, in condizioni di apolidi di fatto, senza nemmeno il 
riconoscimento di apolidia. Ma come gli zingari vedono le popolazioni che li 
circondano?
 
 La figura dello zingaro è estremamente stereotipata ed è colma di luoghi comuni 
che circondano queste popolazioni. L'alone romantico di mistero esotico che 
circondava lo zingaro ha fatto in modo che non troppi decenni fa nella bassa 
veronese i bambini "stregati" venissero fatti allattare da balie gitane. Oggi è 
totalmente svanito.
 Gli zingari lasciano segni segreti sui cancelli, sulle porte: per malocchio o 
per segnalare ai complici di una possibilità di furto. Questa è una leggenda 
metropolitana nata da un racconto di un autore tedesco risalente agli inizi del 
XIX secolo, che tra l'altro parlava di una singola donna che praticava 
quest'usanza a scopi mnemonici e non di una comunità.
 
 Nato invece da una commedia veneziana è un altro mito razzista: gli zingari 
rapiscono i bambini.
 Leonardo Piasere fa chiarezza: quando uno zingaro rapisce un bambino della 
comunità locale è rapimento mentre quando lo Stato sottrae alla comunità rom i 
suoi bambini è "difesa dell'infanzia". In tale ottica lo studioso ha esaminato 
tutti i casi di presunti rapimenti di bambini degli ultimi vent'anni, scoprendo 
che in tutti i casi la storia si sgonfiava, tranne in due in cui si è arrivato a 
giudizio e ci sono state due condanne, secondo il relatore inconcepibili stando 
agli atti.
 Nello stesso lasso di tempo lo Stato Italiano ha dichiarato adottabili 300 
bambini rom. La probabilità che un bambino rom sia dichiarato adottabile è 17 
volte maggiore rispetto a un bambino "comunitario".
 
 In Italia non esiste una politica nazionale in questo ambito, ma solo qualche 
regolamento regionale.
 
 Ironico è anche il fatto che per la comunità europea le priorità sono in 
quest'ordine l'educazione, il lavoro, la salute e l'alloggio. Per le comunità 
romanì l'ordine è specularmene invertito.
 
 La storia del rapporto dell'Italia con queste comunità non è dei più felici. Ci 
sono stati campi di concentramento istituiti esclusivamente per gli zingari, 
all'interno di un piano studiato a partire dal '36. Un atteggiamento ostile che 
non ha mai smesso di perpetuarsi, e che vede la sua massima espressione nei 
partiti di estrema destra e nella Lega Nord. Quando Roberto Maroni è stato per 
seconda volta ministro dell'Interno sotto Berlusconi ha istituito 5 commissari 
straordinari per supervisionare gli zingari, provvedimento bocciato dal 
Consiglio di Stato che ha accolto i ricorsi dell'associazione
European Roma 
Rights Centre Foundation.
 
 Zoomando ancora di più sul locale, Flavio Tosi sindaco di Verona è stato 
condannato nel 2009 in via definitiva per propaganda razzista per una raccolta 
firme nel 2001. Insieme a lui la sorella Barbara Tosi (consigliere comunale), 
Matteo Bragantini (Commissario Federale della Lega Nord Südtirol e componente 
del Direttivo Nazionale Veneto della Lega Nord), Enrico Corsi (assessore), Luca 
Coletto (assessore) e Maurizio Filippi (altro esponente del partito).
 I leghisti avevano avviato una pesante campagna mediatica per la raccolta di 
firme per cacciare gli zingari dalla città, in particolare nei confronti di un 
gruppo di famiglie sinti che tra l'altro avevano residenza a Verona, ed erano 
quindi incacciabili.
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