| Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
      Da
Famiglia 
Cristiana - di Stefania Di Pietro CRONACHE ITALIANEA NOTO, IN SICILIA, LA BASE DI UN ANTICO POPOLO GITANO
 
 Giostrai, stagnini, ombrellai affollano le feste di paese e sono italiani a 
tutti gli effetti. Non vogliono essere chiamati rom. Ma conservano il vecchio 
spirito nomade.
 
 Rumungri ungheresi, Tattaren svedesi, Bergitka polacchi, Sinti-Gackanè tedeschi, 
Gypsies inglesi, Kalé spagnoli. Sono alcuni dei popoli gitani sparsi in Europa, 
ciascuno con un proprio nome e una storia diversa, ma tutti annotati ai margini 
delle città e battezzati come "genti del vento", perché dall’aria si fanno 
trascinare.
 
 In un panorama così ampio, c’è chi rifiuta d’essere assimilato ai rom. Sono 
i caminanti di Noto, un gruppo "invisibile" di girovaghi siciliani, continuatori 
di un’antica tradizione incentrata sulla parola, il canto e le leggende. Questa 
frangia etnica ben radicata nel territorio cerca di far valere la propria 
identità popolare, ricordando a tutti come la parola "rom" abbia un significato 
ben diverso dall’uso oggi in voga, e sia semplicemente la traduzione di "uomini 
liberi".
 
 I giramondo di Noto negano d’essere "zingari" di professione, nonostante sia 
impresso su di loro come un marchio il destino di un popolo ramingo, fatto di 
venditori e riparatori ambulanti, tutti "camminanti", nel nome e di fatto.
 
 Discendenti dei nomadi sbarcati in Sicilia alla fine del Trecento, al seguito 
dei profughi Arberes’h, i caminanti hanno mantenuto intatta l’originaria 
organizzazione familiare, sotto la guida di un capogruppo più anziano e con 
matrimoni stabiliti all’interno della comunità, un’unica e grande famiglia. 
«Sono nato così», ricorda uno di loro, «quando ero bambino e vedevo i figli di 
chi stava al campo, mio padre mi diceva che eravamo tutti parenti».
 
 Sono considerati i più grandi camminatori della storia, disseminati nel 
ventaglio tra Catania, Agrigento e Siracusa, ma durante l’inverno affollano uno 
storico quartiere di Noto, che porta il loro nome. I "siciliani erranti" sono 
gli ultimi eredi di una cultura fondata sul movimento, ma hanno fatto proprie le 
tradizioni locali, favorendo la nascita di una mescolanza variopinta di stili di 
vita.
 
 «Ci basta avere per tetto il cielo e il fuoco per riscaldarci, ma non siamo 
zingari», continuano, «siamo siciliani e somigliamo alle rondini, perché viviamo 
liberi». Negli anni ’50 i caminanti salivano in cima alle montagne a dorso di 
mulo, oggi si spostano alla guida di roulotte attrezzate, una scelta che li 
accomuna agli altri rom. La Sicilia rimane, però, la loro regione 
d’appartenenza, l’Italia è la vera patria, anche perché vi abitano da decine 
d’anni, mantenendo diritto di voto e cittadinanza. Alcune famiglie d’ambulanti 
continuano a migrare ciclicamente da Sud a Nord, per poi tornare nella provincia 
siracusana in primavera, "svernando" lì come gli uccelli. A ogni cambio di 
stagione, traslocano nei paisi dell’entroterra, chiamati così in dialetto 
baccàgghiu, una lingua inventata dalla fusione tra siciliano stretto e italiano 
e colorata dall’aggiunta d’accenti diversi, per via del troppo girovagare.
 
 Un buon mezzo per comunicare
 
 Sono siciliani in ogni espressione quotidiana, dal culto della campagna 
all’abito di stoffa "buona" indossato per la Messa domenicale, dal modo di 
cucinare e disossare gli animali alla simbolica gestualità isolana, tipica di 
chi ha conosciuto l’alternanza di svariate dominazioni, ritrovando nel gesto 
l’unico mezzo d’intesa. Una mimica colorita, quella dei caminanti, che deriva 
dalla loro essenza raminga, perché continuamente a contatto con genti straniere 
e in cerca di un buon mezzo per comunicare.
 
 La mattina i bambini vanno a scuola, grazie ai numerosi progetti 
socio-scolastici nati a favore dell’integrazione di un popolo autoctono, il cui 
essere itinerante pone non pochi problemi alla scolarizzazione. Gli adulti 
continuano il mestiere dei padri. Arrotini, ombrellai, giostrai, impagliatori e 
riparatori di cucine, famosi per lo squillante richiamo lanciato a gran voce con 
l’altoparlante.
 
 Sono gli "aggiustatori di tutto", svolgono mestieri ormai in disuso, perché 
spinti dalla stessa mentalità umile e adattabile che accompagnava i caminanti 
del primo dopoguerra. A ogni festività, gli uomini inondano le strade con le 
loro giostrine, i palloncini colorati e le bancarelle di calia e semenza, ceci 
abbrustoliti e semi di zucca seccati al sole, preparati in casa dalle donne. In 
autunno, arrivano con i camion stracolmi d’ombrelli, anticipando il primo 
temporale della stagione.
 
 «Un tempo, i nostri mestieri erano tanti», racconta una vecchia caminante della 
provincia di Siracusa, «si vendevano scaldini di metallo, trappole per topi, 
gabbie per galline o mestoli per la ricotta. Gli uomini erano tutti stagnini, le 
donne andavano di porta in porta a raccogliere capelli, per farne poi parrucche 
o bamboline da rivendere».
 
 Oggi, i giovani preferiscono la vita dei conterranei stanziali, chiamati 
"paesani sedentari", scegliendo di non allontanarsi troppo da Noto, dove vendono 
la buona sorte e leggono il futuro ai turisti di passaggio, con un pappagallino 
portafortuna sempre appollaiato sulla spalla. I caminanti sono un popolo nel 
popolo, nei gesti traspaiono i tratti dell’appassionata teatralità siciliana, ma 
il loro spirito è carico d’orgoglio gitano.
   
		
		
			Di Sucar Drom  (del 26/02/2009 @ 21:25:22, in blog , visitato 2132 volte)
		 
      
Garantisti ma anche forcaioli...Questa sera ero in macchina e ascoltavo un programma radio nazionale di 
approfondimento. Il conduttore ha interrogato politici e commentatori su due 
fatti di cronaca: lo stupro di Roma e la condanna dell’avvocato Mills...
 
Ronde, il Quirinale prende le distanze mentre il Vaticano le condannaIl Governo vara la stretta antistupri e il Quirinale prende le distanze. Nel 
provvedimento approvato dal Consiglio dei ministri all'unanimità, e che andrà 
probabilmente in Gazzetta Ufficiale lunedì, ci sono le norme contro la violenza 
sessuale e contro lo stalking, la triplicazione dei tempi di permanenza nei 
Centri d'identificazione ed espulsione per i clandestini,...
 
Rom e Sinti nella letteratura/1 - GLI ESORDILa presenza di personaggi Rom-Sinti all’interno di scritti ed opere letterarie 
di varia natura si riscontra a partire dai primissimi secoli dell’anno Mille, 
subito dopo l’arrivo in Europa dei primi gruppi. Si tratta di una letteratu...
 
Milano, in piazza per dire no alle rondeDopo la manifestazione, organizzata dall’associazione Sinti Italiani, ieri si è 
tenuta la manifestazione indetta dalla Cgil contro il pacchetto sicurezza. 
"Siamo circa 30mila" afferma dal palco il segretario milanese della Cgil Onorio 
Rosati. Interventi dal palco anche di l...
 
L'Associazione Sinti Italiani manifesta in diverse Città italianeL’associazione Sinti Italiani, attraverso un comunicato del Presidente Davide 
Casadio (in foto), ha indetto diverse manifestazioni nel Nord e nel Centro 
Italia per farsi conoscere...
 
A piccoli passi verso l'inciviltàUn governo estremista e irresponsabile introduce d'urgenza nel nostro 
ordinamento le ronde dei cittadini, nonostante le perplessità manifestate dalle 
stesse forze di polizia, accampando la più ipocrita delle motivazioni: lo 
facciamo per contenere la furia de...
 
Trieste, ronde intitolate allo squadrista MutiLa speranza è che sia frutto di un malinteso o di un errore giornalistico. Visti 
i tempi che corrono, invece, è più probabile che si tratti della cruda verità. 
Si parla di ronde. Quelle che il governo pochi giorni fa, con...
 
Roma, sul blitz in via di CentocelleAlle 7,20 di giovedì 19 febbraio circa 30 Carabinieri con il supporto di un 
elicottero, accompagnati da diverse troupe televisive, hanno fatto irruzione 
nell'insediamento di Rom romeni di via di Centocelle a Roma, svegliando...
 
Lazio, nasce lo sportello antidiscriminazioni"Regione-Mondo" è lo sportello istituito dalla Regione Lazio a sostegno dei 
diritti dei migranti e Rom. Dal primo marzo per affrontare le tante emergenze 
quotidiane e denunciare eventuali discriminazioni, ingiustizie e soprusi, tutti 
i rom e migranti residenti sul territo...
 
Reggio Calabria, le ragioni di un'occupazioneL’occupazione senza titolo degli alloggi Aterp del Viale Europa da parte di un 
ingente numero di famiglie rom è una reazione ad una grave condizione di disagio 
abitativo per la quale nessuna risposta è stata mai data...
 
La foto di una donna stuprata affissa sui muri di tutta la città? A Roma si puòChi vive a Roma lo sa bene, chi non ci vive lo avrà scoperto al primo viaggio 
nella Capitale, o grazie al racconto di un amico. Di che parliamo? Dei muri. Ma 
anche delle fermate degli autobu...
 
Roma, ennesima tragedia ma la folla, la politica e la stampa non si scatenanoUn operaio romeno di 31 anni è stato travolto e ucciso domenica sera intorno 
alle 23 mentre camminava lungo il margine della provinciale che conduce a Capena, 
in provincia di Roma. L'investit...
 
Lecce, laboratori di manufatti e cooperazione tra le cultureDa domani, giovedì 26 febbraio, prenderanno avvio i laboratori di 
sartoria-maglieria e costruzione di gioielli con materiale semplice nell’ambito 
del progetto WorkingRom, co-finanziato dall’Assessorato alla Solidariet...
 
Trieste, una brutta storiaSecondo le ultime agenzie stampa undici Cittadini bulgari, appartenenti alla 
minoranza rom, avrebbero portato illegalmente in Italia ragazze bulgare 
minorenni per 'venderle' come spos...
 
Chiari (BS), tutti i diritti umani per tuttiTavolo della Pace Franciacorta Monte Orfano, che raccoglie le associazioni e i 
singoli della Provincia di Brescia e in particolare dei Comuni di Rovato, 
Chiari, Coccaglio, organizza due eventi propedeutici all...
 
Condannata ad essere condannataPubblichiamo la traduzione del reportage del giornalista Miguel Mora sulla 
xenofobia in Italia. Il reportage è stato pubblicato da El Pais il 1 febbraio 
2009 e ha avuto una grande eco in Spagna e in altri Paesi...
   
		
		
			Di Fabrizio  (del 26/02/2009 @ 09:33:15, in scuola , visitato 2940 volte)
		 
      
 Associazione di Volontariato
 Opera Nomadi Milano Onlus
 Via De Pretis n. 13
 0284891841 - 3393684212
 www.operanomadimilano.org
 operanomadimilano@tiscali.it
 
 Dopo circa 6 mesi dall’avvio del nuovo anno scolastico, l’Assessore Moioli è in  procinto di rinnovare l’incarico a termine alle 10 mediatrici Rom che da molti  anni lavorano nella scuola primaria milanese.
 
 Lo farà secondo il suo stile, quello cioè per lo più incurante del buon  andamento dei servizi e del rispetto delle persone, che siano operatori, utenti  o cittadini poco importa.
 
 Lo farà cambiando le carte in tavola, o le "regole", secondo una tipica  espressione ricorrente che però non trova quasi mai riscontro negli atti formali  di questa Amministrazione.
 
 Lo farà frammentando una storia, quella di un gruppo di donne rom, che non solo  hanno saputo e potuto costruire la propria professionalità attorno  all’esperienza avviata e sostenuta dalla sola Opera Nomadi in tutto il contesto  milanese, ma approfittando di continue proposte di studio e aggiornamento  portate avanti negli anni con l’attivo sostegno dell’Università e del CSA di  Milano.
 
 Lo farà infine, con la complicità e il "disinteresse" di quanti sono nel  frattempo subentrati nella gestione dei campi comunali milanesi (associazioni,  fondazioni e cooperative che si "spartiranno" il nuovo "scomodo" personale),  accettando di rimanere troppo spesso in silenzio di fronte a quanto di negativo  e sconcertante sta accadendo.
 
 Il fallimento totale delle politiche sociali appare oggi infatti persino  peggiore e devastante dello stato di abbandono in cui l’Amministrazione  Albertini aveva lasciato questi insediamenti, privandoli di risorse, strumenti  di dialogo e integrazione e peggiorandone quindi, inevitabilmente la condizione.
 
 Ma che cosa è cambiato in questi due anni?
 
 A partire dal famigerato "Patto di legalità e socialità", sostenuto oltre che  dal Comune, dalla Prefettura, dalla Provincia di Milano e dalla Casa della  Carità, la voragine che si è aperta attorno ai Rom appare inarrestabile,  divorando e calpestando i diritti delle persone come se queste nemmeno  esistessero.
 
 Il prossimo passo, dopo un inizio d’estate caratterizzato dalla "caccia alle  impronte" e da un censimento maldestro e ben poco veritiero, sarà quello della  stesura definitiva di un Regolamento delle aree comunali che manderà  definitivamente in soffitta la storia di un confronto spesso difficile e  contrastato, quello tra i rom e la città, ma attorno a cui almeno si continuava  a ragionare.
 
 Regolamento o resa dei conti?
 
 Riportiamo di seguito un intervento ripreso dal libro "I Rom e l’azione  pubblica" (Teti editore – Milano – Novembre 2008) sulla storia e il significato  della mediazione culturale in ambito scolastico e sanitario nella nostra città  da parte di un gruppo di donne rom.
 
 Introduzione
 Sono trascorsi 15 anni da quando, a Milano, l’Opera Nomadi avviò il primo corso  di formazione per mediatrici culturali scolastiche rivolto inizialmente a dieci  giovani donne rom.
 
 Da allora, altre romnià hanno seguito questa strada, lavorando fianco a fianco  con gli insegnanti, nei consultori familiari, nelle amministrazioni locali e  finanche nel Carcere di Bollate.
 
 Alcune di loro hanno nel frattempo conseguito un diploma, frequentato corsi  tenuti da docenti universitari, partecipato come relatori a master e convegni,  imparando a gestire un lavoro complesso in condizioni di grande precarietà e di  sostanziale isolamento sociale.
 
 Certamente, il contesto culturale di quasi due decenni fa esprimeva un orizzonte  di situazioni e relazioni critiche ma comunque aperte al cambiamento, dove anche  i rom si illudevano di cimentarsi in un confronto nuovo alla ricerca di un  proprio spazio di rappresentazione sociale e politica.
 
 Oggi non più. L’isolamento spaziale dei campi nomadi, quelli che molti  definiscono con qualche eccesso delle pattumiere sociali ma che segnano il  confine simbolico e materiale di una separazione reale, unitamente al forte  pregiudizio politico, fulcro di politiche amministrative discriminatorie ed  inefficaci, hanno ristretto fin quasi ad annullare del tutto questa prospettiva.
 
 Le cose cambiano? Sì, un po’, lentamente, faticosamente. Ma la realtà, guardata  dal punto di vista dei Rom è sempre quella: il fastidio, la diffidenza, il  disprezzo, l’apartheid.
 
 Immobili, permanenti, pesantissimi.
 
 La fase contemporanea è segnata da un’assenza di proposte e dal congelamento  delle risorse pubbliche. Assistiamo invece un po’ attoniti all’inasprimento di  norme ideologiche autoritarie e sanzionatorie (a Milano e Roma rappresentate dai  "Patti di Legalità e socialità"), mitigate nei lori effetti più devastanti da un  complice sostegno offerto da enti e fondazioni ecclesiastiche promotori di  interventi assistenziali e caritatevoli. Non di diritti.
 
 Quand’anche i più attenti critici fanno osservare che spessissimo gli  investimenti pubblici non raggiungono le persone alle quali sarebbero  indirizzati, se non in forme indirette e di servizi dei quali sono solo  fruitori, si dimenticano di indicare attraverso quali processi alternativi i rom  potrebbero appropriarsi di strumenti indispensabili per agire sul proprio  destino.
 
 Perché i problemi esistono e sono reali e si chiamano mancanza di istruzione,  lavoro, riconoscimento e tutela della salute, scarsità o inadeguatezza di  abitazioni e abbandonati a loro stessi e al tentativo contraddittorio e  lacerante di tenere insieme, in un equilibrio instabile, valori e modelli  tradizionali con quelli imposti dall’asimmetria economica e culturale della  globalizzazione, non possono che aggravarsi.
 
 Ogni cultura dà per scontato che il proprio modo di comunicare, i suoi valori,  le rappresentazioni della realtà siano in un certo senso uniche o migliori e che  gli altri, per esempio gli appartenenti alle minoranze, debbano adeguarsi anche  senza condividerle.
 
 E’ necessario invece aumentare le capacità di interazione delle comunità e  consolidare la presenza di figure professionali, quali i mediatori culturali,  che mettano in comunicazione e sinergia concittadini con pari dignità, offrendo  a sinti e rom la possibilità di un riconoscimento di loro stessi come membri di  una comunità che si oppone alla logica della cultura dell’assimilazione e  dell’emarginazione.
 
 La presenza dei mediatori culturali rom nei servizi socio sanitari e  scolastici
 La formazione e l’inserimento di mediatori culturali ha finora riguardato  il consolidamento di esperienze positive di accoglienza e integrazione  scolastica per lo più rivolte a comunità stabilmente insediate sul territorio  milanese e provinciale.
 
 Il forte incremento della popolazione rom straniera e la richiesta di nuove  iscrizioni da parte delle famiglie di recente immigrazione, porrebbe tuttavia la  necessità di estendere il ricorso a nuovi mediatori culturali che siano anche  espressione dei gruppi più significativi (romeni e yugoslavi), i quali  costituiscono i due terzi dell’attuale popolazione rom, consentendo alle Scuole  di contrastare con maggior efficacia il fenomeno della dispersione scolastica e  potendo contare sull’operato di una significativa rete sociale di sostegno.
 
 In tal modo sarebbe possibile promuovere una effettiva distribuzione sul  territorio cittadino della gran parte dei minori in età scolare garantendo un  effettivo diritto allo studio.
 
 L’insegnamento della lingua e cultura rom costituirebbe un’esperienza innovativa  di forte interesse per i minori iscritti nella scuola dell’obbligo e  un’opportunità di conoscenza per tutto il gruppo classe e gli insegnanti.
 
 La lingua infatti, è il tratto identitario più forte della cultura rom ma è  altresì trasmessa solo oralmente e pochi sono gli educatori rom in grado di  insegnarla.
 
 La trascrizione faciliterebbe inoltre il passaggio da un apprendimento di tipo  mnemonico, agrafico, alla familiarizzazione e interiorizzazione della scrittura  non vissuta solo come un veicolo di comunicazione estraneo.
 
 Il progetto iniziale di formazione di mediatrici culturali rom si realizzò a  Milano a partire dalla metà degli anni ’90 con l’obiettivo di favorire un  positivo dialogo tra l’istituzione scolastica e le famiglie zingare, facilitando  l’inserimento e l’apprendimento scolastico dei bambini, nel rispetto e recupero  della propria identità culturale.
 
 In particolare, considerati i pregiudizi presenti nei confronti dei Rom e dei  bambini presenti a scuola, insieme al Provveditorato agli Studi venne deciso di  inserire nelle classi dei mediatori culturali provenienti dai campi nomadi, che  col trascorrere del tempo diventarono un punto di riferimento autorevole pei i  bambini, le loro famiglie, gli insegnanti intervenendo significativamente anche  sul problema della dispersione scolastica.
 
 Un ulteriore passaggio, di particolare interesse perché integrò azioni fra loro  diverse ma con obiettivi comuni, fu quello di rispondere alla richiesta,  soprattutto delle giovani donne, di aveve un’occasione di lavoro e istruzione,  aprendosi a un confronto positivo con la realtà esterna.
 
 Il Corso di formazione venne realizzato nel 1993 in collaborazione con  l’Università degli Studi di Milano (équipe coordinata da Susanna Mantovani,  allora docente di Pedagogia Sperimentale, oggi vice Rettore all’Università  Milano Bicocca).
 
 Nel 1996, le mediatrici parteciparono a un aggiornamento (della durata di 50  ore) gestito sempre in collaborazione tra Università e Opera Nomadi.
 
 Questo secondo momento di formazione, preceduto da un’attività di ricerca  (interviste e colloqui con le mediatrici e con insegnanti e dirigenti  scolastici), ebbe lo scopo di monitorare l’andamento dell’esperienza, offrendo  un supporto formativo in campo pedagogico e culturale e rilanciando il ruolo  delle mediatrici culturali all’interno della scuola e con le stesse famiglie  zingare (analisi e riflessione sulle problematiche emerse, bisogni specifici di  cui prima si era consapevoli in modo generico, prospettive future di  cambiamento).
 
 All'inizio del 1998 le mediatrici culturali, sostenute dalle scuole e dai loro  dirigenti, vennero incaricate direttamente dall'Amministrazione Comunale con  contratto diretto, per poi passare nuovamente per un triennio in convenzione con  l’Opera Nomadi e, dall’inizio del 2008 ancora una volta con contratto a termine  con il Comune.
 
 Ogni passaggio di natura "contrattuale" non fu estraneo alle difficoltà e ai  contrasti politici del momento, ma nascose e accompagnò l’insidia di  un’interruzione del rapporto di lavoro che da allora rimane pur sempre di  carattere precario.
 
 Nel 2005, l’allora Ministro del MIUR Moratti, oggi Sindaco di Milano e il  Direttore Generale, Moioli, oggi Assessore ai Servizi Sociali ed Educativi,  firmarono un Protocollo d’Intesa con l’Opera Nomadi Nazionale per la diffusione  dei progetti di mediazione culturale nelle Sovrintendenze Regionali Scolastiche.
 
 Dal 2005 al 2007, grazie ad un progetto finanziato dall’Assessorato alla  Famiglia e Solidarietà Sociale della Regione Lombardia, 15 mediatrici ebbero la  possibilità si seguire dei corsi retribuiti di formazione e tirocinio (100 ore  annue), con ricercatori dell’Università Bicocca, Dirigenti e Funzionari  dell’Ufficio Scolastico Provinciale, conseguendo dei diplomi di scuola superiore  e la certificazione per l’insegnamento della lingua italiana.
 
 Tra il settembre e il dicembre 2007 lo stesso Assessore Moioli non rinnovò la  convenzione con l’Opera Nomadi di Milano, lasciando per 4 mesi senza lavoro le  mediatrici e contemporaneamente rescindendo il contratto di lavoro a 2  cooperative rom che operavano nei campi nomadi comunali. Altri 20 posti di  lavoro in meno.
 
 Dopo 23 anni di servizio, diretto e indiretto, per l’Amministrazione Comunale,  l’unico Rom diplomato che collaborava con un servizio sociale di coordinamento,  esprimendo uno dei più alti livelli di professionalità esistenti in Italia  venne, senza alcun motivo, lasciato a casa.
 
 
 Com’è immaginabile, molteplici furono le difficoltà incontrate dalle mediatrici,  soprattutto nei primi anni di attività: preparazione iniziale insufficiente,  richieste eccessive delle scuole che non ne compresero appieno la funzione.
 
 Benché anche attualmente i loro compiti non siano stati del tutto definiti con  chiarezza, per cui alle mediatrici si chiede contemporaneamente di provvedere  all’accudimento dei bambini fino all’assunzione del ruolo di insegnanti e al  mantenimento dei rapporti con le famiglie, la centralità del ruolo della  "mediazione culturale" appare aver integrato significativamente l’offerta  scolastica.
 
 Le mediatrici affiancano le insegnanti agendo sull’intero gruppo classe e  stabilendo dei contatti e comunicazione con le famiglie rom ma senza scaricare  su se stesse un compito di mediazione che dovrebbe prima di tutto riguardare  sempre il docente.
 
 Le mediatrici oggi vantano un percorso di crescita formativa che le ha portate  ad assumere una notevole consapevolezza e capacità di riflessione rispetto al  loro ruolo e ai loro compiti, con cognizione di molte delle contraddizioni  irrisolte, delle difficoltà incontrate, dei momenti di conflitto che hanno  imparato a gestire e a superare anche grazie ad una autentica capacità di  mediazione culturale conquistata sul campo.
 
 L’esperienza condotta in questi anni ha sicuramente permesso loro di crescere  umanamente e culturalmente, di confrontarsi in modo ravvicinato con il mondo dei  cosiddetti gagé al di là dei reciproci stereotipi e pregiudizi e di  testimoniare, all’interno della famiglia e della comunità rom un diverso ruolo  della donna.
 
 La possibilità di guadagnarsi onestamente da vivere con un lavoro qualificato,  stimolante e di sicura utilità per i bambini rom oltre che per tutta la scuola,  senza essere costrette alla mendicità o ad altri espedienti, è un’esperienza  preziosa non solo da salvaguardare, ma da promuovere ulteriormente (per esempio  aumentando il loro impegno lavorativo a scuola, oppure puntando al  riconoscimento giuridico del ruolo nelle scuole dell’infanzia o nella scuola  primaria).
 
 Queste giovani donne hanno acquisito un certo grado di autonomia e indipendenza  dalla famiglia, dopo un periodo di difficili rapporti perché oggetto di invidie  e di rivalità da parte delle altre donne e, per quelle sposate, di difficoltà a  conciliare il proprio ruolo di madri e di mogli con l’impegno lavorativo.
 
 Esse si sono guadagnate il rispetto di molte famiglie rom proprio per il ruolo  che svolgono nella scuola. Grazie alla loro presenza, i genitori affidano più  volentieri i loro figli, sapendo che esse possono essere un interlocutore  diretto ed affidabile, domandando direttamente ad esse oltre che all’insegnante  che cosa accade ai loro bambini, come e che cosa imparino o non imparino, quali  siano i problemi e le difficoltà da superare.
 
 L’essersi impossessate di alcuni strumenti culturali del mondo alfabetizzato,  senza venir meno al rispetto dei valori della cultura di origine, l’aver  lavorato all’interno dell’istituzione scolastica e l’aver conosciuto regole e  condizioni di vita profondamente diverse dalle loro, ha potenziato le loro  capacità che, unitamente alle peculiari doti e risorse della cultura rom, ha  permesso loro di assumere iniziative e di reagire anche agli aspetti di  incertezza della loro condizione lavorativa.
 
 In questi anni le mediatrici hanno acquisito maggiore autonomia ed  autorevolezza, maggiore capacità d’iniziativa e di collaborazione nel rapporto  con docenti e dirigenti scolastici e maggiore consapevolezza delle regole che il  lavoro dentro l’istituzione scolastica comporta. Esse svolgono un ruolo cruciale  nel primo inserimento dei bambini rom a scuola e collaborano con le insegnanti  nel predisporre il setting dell’esperienza educativa e nell’attivazione dei  dispositivi necessari all’accoglienza dei bambini.
 
 La loro conoscenza dei bambini e delle loro famiglie, la conoscenza della loro  cultura e soprattutto l’uso della lingua materna, il romanés, lingua che viene  così riconosciuta ed anche valorizzata, sono i punti di forza della loro opera  di mediazione culturale in tutti i contesti d’ interazione e di relazione.
 
 Svolgono cioè un ruolo cruciale nella mediazione dei conflitti e nella prassi  educativa e didattica.
 
 Attraverso questa esperienza le mediatrici hanno acquisito anche capacità  d’insegnamento, non solo nei confronti dei bambini rom, ma anche verso gli  alunni stranieri e quelli con difficoltà di inserimento e apprendimento. Ciò è  avvenuto affiancando le insegnanti delle classi o gestendo direttamente i  bambini nell’apprendimento svolto in piccoli gruppi e nelle attività di  laboratorio.
 
 In particolare, sul piano metodologico e didattico, esse hanno compreso il  valore di una didattica che si fondi:
 
    sull’imparare facendo e giocandosulla predisposizione degli spazi e sull’organizzazione degli ambienti e  	dei materialisull’esperienza della narrazione (recupero del patrimonio orale delle  	fiabe e dei racconti di vita zingara) sullo sviluppo della creatività. I dati dell’aumento della frequenza scolastica e dell’innalzamento degli  obiettivi formativi degli alunni rom, costituiscono un’ulteriore conferma della  validità del loro operato e sono, certamente, l’intervento di politica sociale  più convincente attuato a favore delle comunità rom. 
 Sastipe (Stare bene): salute e scenari culturali
 La salute è un fondamentale diritto dell’individuo e interesse della  collettività… recita l’art. 32 della Costituzione. Badate bene: "dell’individuo  e della collettività (ricordava Carlo Cuomo). Abbiamo visto con quale  drammaticità si pone, per le comunità zingare, la questione della salute ma  anche dell’intervento coordinato dei servizi socio sanitari territoriali, così  come una specifica formazione degli operatori riguardo alla realtà antropologica  delle comunità e la collaborazione dei mediatori.
 
 Le problematiche sanitarie
 L’analisi dei fenomeni sanitari evidenzia aspetti di grave preoccupazione,  legati soprattutto all’assenza di interventi mirati di prevenzione e cura delle  principali patologie riscontrabili.
 
 Gli indici relativi ai tassi di natalità, morbilità, mortalità rilevabili nei  diversi gruppi rom e sinti sono drammaticamente accostabili a quelli dei Paesi  poveri del sud del mondo e sono la conseguenza diretta non solo delle cattive  condizioni di vita ma anche di un rapporto con le strutture sanitarie di base e  quelle ospedaliere incerto ed occasionale.
 
 I sistemi informativi sanitari risultano inadeguati per fornire informazioni  specifiche sulle caratteristiche dell’utenza ai rom (la malattia non è un evento  che investe solo il singolo individuo, bensì può diventare un problema sociale  che coinvolge l’insieme del gruppo familiare esteso), mentre gli spostamenti dai  luoghi di residenza impediscono di eseguire valutazioni longitudinali  consistenti.
 
 Il primo accesso nel nostro sistema sanitario per i rom è rappresentato quasi  esclusivamente dal pronto soccorso ospedaliero, per la sua visibilità,  accessibilità ad ogni orario, gratuità, assenza di controllo di documenti, per  la possibilità di accompagnamento e di solidale permanenza accanto al paziente.
 
 Il ricorso a tale struttura avviene dunque, secondo tradizione, nel momento di  conclamata necessità: fatti traumatici o l’apparire di sintomi acuti della  malattia, mentre affezioni anche gravi permangono ignorate a lungo.
 
 I dati (pochi) di dimissione ospedaliera relativi ai ricoveri in Regione  Lombardia evidenziano ad esempio un alto ricorso all’ospedalizzazione in età  pediatrica, soprattutto nel corso del primo anno di vita, con una predominanza  di ricoveri per malattie infettive, respiratorie e per patologie neonatali.
 
 Più che una nomenclatura clinica si possono quindi raggruppare e classificare  fattori di rischio che sviluppano patologie acute, croniche e da stress che  determinano la rilevanza di malattie delle alte e basse vie respiratorie, del  sistema digerente (le carie dentali sono un fenomeno diffusissimo a partire  dalla prima infanzia), dermatologiche, cardio e cerebrovascolari strettamente  correlate alle condizioni materiali di esistenza (situazioni ambientali malsane,  vicinanza ad arterie stradali a grossa percorrenza, discariche, accumulo di  rifiuti, ratti e insetti; abitudini alimentari che combinano carenze  quantitative e qualitative a occasionale sovralimentazione disordinata (obesità)  e abuso di fumo e bevande alcooliche; una cultura del corpo e della malattia che  rende difficile il rapporto tra medicina ufficiale e zingari).
 
 Inoltre si riscontra anche un atteggiamento delle strutture sanitarie che,  riflettendo passivamente il senso comune corrente, combina incomprensione,  indifferenza e atteggiamenti discriminatori: non si tenta di capire la cultura  "altra", vista solo come indice di ignoranza se non di barbarie; non si prende  coscienza né della gravità né della stessa esistenza del problema; spesso -  anche se con numerose lodevoli eccezioni - si discrimina più semplicemente il  rom che cerca il contatto con le strutture sanitarie.
 
 Per affrontare direttamente la questione sanitaria andando al nocciolo del  problema occorrerebbe dunque partire dal difficile rapporto tra la cultura del  corpo e della salute delle comunità rom e sinte e la cultura specifica degli  operatori dei servizi sanitari progettando percorsi di mediazione culturale tra  queste due culture.
 
 Ad esemplificazione di quanto detto i Rom e i Sinti esprimono, ad esempio, una  valutazione alquanto diversa del proprio stato di salute rispetto a quanto noi  siamo soliti attribuire loro sulla base di riscontri biomedici e dati  statistici, non riconoscendosi come gruppo particolarmente soggetto a malattie o  con una aspettativa di vita media di gran lunga inferiore rispetto alla  popolazione maggioritaria.
 
 La stessa struttura demografica delle comunità zingare ci fornisce la scelta  dove indirizzare le nostre proposte di intervento: l’altissimo numero di  gravidanze e di parti, quel 48 – 52% di popolazione infantile e  pre-adolescenziale impongono "naturalmente" il coinvolgimento dell’area del  materno – infantile.
 
 Ma a queste ragioni obiettive se ne sommano altre.
 
 Visto che si tratta di mediare tra due culture diverse, la scelta da effettuare  è quella di investire innanzitutto sulla mediazione tra due culture femminili  diverse: da una parte non la cultura "media" dei servizi sanitari ma la cultura  fortemente innovativa delle operatrici dei servizi territoriali del materno –  infantile (puntando soprattutto sulle operatrici dei consultori familiari e dei  consultori pediatrici, da sempre tese all’ascolto attento delle utenti e,  dall’altra, la specifica cultura del corpo, della sessualità, della gravidanza,  dei parti e dell’accudimento – allevamento dei bambini di cui sono portatrici le  romnìà, le donne zingare.
 
 Tanto più che l’esperienza parallela della mediazione scolastica ci rivela una  peculiarità femminile all’interno della cultura zingara: l’essere cioè le donne  custodi della tradizione e, contemporaneamente, le più audaci portatrici del  bisogno dinamico di cambiamento.
 
 La mediatrice sanitaria rom è quindi un’operatrice che all’interno della propria  cultura e comunità, da quel luogo di vita quotidiano in cui essa stessa vive,  impara a rapportarsi alla cultura maggioritaria rappresentando la specificità  culturale del proprio gruppo (i bisogni, i problemi e le risposte che in esso  maturano) ed acquisendo dalla cultura "altra" tutto quello che può essere  utilmente riportato.
 
 In questa dinamica di interscambio culturale assumono quindi un ruolo centrale i  servizi dell’area della famiglia, infanzia, età evolutiva, in relazione agli  scenari demografici (soprattutto se si pensa al ben più consistente fenomeno  migratorio in atto) e ai bisogni di prevenzione che modificano o meglio,  costringono a ripensare il superamento di un modello di intervento solo di tipo  emergenziale e per questo frammentario e una struttura dei servizi molto poco  incentrata su un sistema complesso di interazioni.
 
 Milano: un’esperienza di mediazione culturale nel consultorio familiare
 Dal 1996 l’Opera Nomadi ha avviato con la ASL di Milano – Dipartimento ASSI  la formazione e l’inserimento nei Consultori Familiari di mediatrici culturali  sanitarie rom, dando vita a un’esperienza pilota in questo settore.
 
 Nell’ultimo triennio questa azione ha riguardato in particolare l’intervento a  favore delle donne dei gruppi romeni che intendevano recarsi al Consultorio con  o senza il loro partner.
 
 Il Consultorio è progressivamente diventato un punto di riferimento importante  per le comunità di rom stranieri e italiani e, a partire da questa relazione,  anche altri Servizi socio sanitari hanno iniziato ad acquisire ai loro occhi una  specifica e riconosciuta fisionomia.
 
 Nel percorso di formazione professionale le mediatrici hanno raggiunto un  consistente grado di autonomia nei rapporti con i Servizi e un livello di  riconoscimento da parte delle comunità Rom che ha inciso anche sulla loro  condizione di donne.
 
 All’interno dei villaggi rom la fiducia acquisita le ha messe in condizione di  operare per un lavoro di sensibilizzazione sui problemi sanitari e di educazione  igienica dei bambini, a partire dalla profilassi delle vaccinazioni, i controlli  in gravidanza, il ricorso alla contraccezione.
 
 La continuità ha rappresentato un valore specifico di rafforzamento  dell’esperienza acquisita e di perfezionamento della sperimentazione condotta.
 
 Ma nello specifico della cultura e della condizione dei rom essa è anche:
 
    una condizione essenziale per mantenere un rapporto di fiducia,  	faticosamente raggiunto, verso la nostra società e verso gli operatori che  	hanno saputo accogliere, formare e accompagnare le mediatrici nella loro  	attivitàuna complessiva risorsa delle comunità interessate, lungo un cammino  	lento di integrazione che va reso il più possibile sicuro e continuo: ogni  	interruzione rappresenterebbe infatti una rovinosa perdita di credibilità  	globale e quindi un probabile abbandono dei processi avviati.   
		
		
			Di Fabrizio  (del 26/02/2009 @ 09:28:55, in media , visitato 2204 volte)
		 
      Ricevo da Fabrizio Boni Ciao a tutti,vi mando il link ai trailer a un paio di lavori che sto provando a vendere.
 http://www.vimeo.com/user1333204
 Nell'attesa gli faccio prendere un po' d'aria.
 
 Saluti e baci
 
 Fabrizio Boni
 Tel/Fax: +39 0657302088
 Mob: +39 3358168363
 Email: fbrz.boni@gmail.com
 PS: Savorengo Ker è bruciata il 12 dicembre.
QUI la cronaca dal blog Casilino900   
		
		
			Di Fabrizio  (del 25/02/2009 @ 09:43:52, in Italia , visitato 2408 volte)
		 
      Ricevo da
Marco Brazzoduro Marian è un rom romeno che da qualche mese vive insieme a sua moglie in uno 
dei cosiddetti “insediamenti abusivi” della Capitale, una baraccopoli di oltre 
70 persone (di cui la metà minori) invasa dai topi. Ogni mattina, Marian si alza 
all’alba e, insieme al cugino, percorre le strade della città a bordo del suo 
Fiat Iveco alla ricerca di ferraglia varia da poter rivendere al peso. Grazie a 
questa attività, può rientrare ogni sera al campo con qualche spicciolo nelle 
mani sudice e rovinate da una giornata di ricerca e fatica. Quei soldi raccolti 
onestamente, senza rubare niente a nessuno, apportando involontariamente un 
servizio di riciclaggio alla città, sono l’unica fonte di reddito per sè e per 
sua moglie, l’unico mezzo per mangiare alla sera. 
 Sabato 14 febbraio, il giorno di San Valentino, alle ore 18.00, poco prima che a 
qualche chilometro di distanza si consumasse una mostruosa violenza contro una 
coppia di ragazzini, Marian e sua moglie vengono fermati a bordo del loro 
camioncino da un’attenta coppia di vigili – un uomo ed una donna di cui non 
pubblicheremo il nome – per un normale controllo.
 
 L’assicurazione è perfettamente in regola, la patente del conducente anche, i 
parametri di sicurezza del mezzo sono ok, non vi sono contraffazioni di sorta, i 
bolli sono tutti pagati. Eppure, il mezzo viene sequestrato.
 
 Marian protesta e si rifiuta di firmare il verbale, ma la municipale consegna 
loro un foglio in cui si legge che il mezzo sarà condotto al deposito di via 
Artena per violazione dell’art. 100 del Codice della Strada.
 
 La nostra Associazione (Popica Onlus), che collabora con i rom dell'insediamento 
di Marian, viene avvertita solo lunedì mattina. L’art. 100 del CdS reca questo 
titolo: “Targhe di immatricolazione degli autoveicoli, dei motoveicoli e dei 
rimorchi”.
 
 Decidiamo di accompagnare Marian allo sportello della Polizia Municipale del 
Municipio VI per cercare di capire cosa sia successo.
 
 La funzionaria, in modo non proprio accomodante, ci spiega che il problema sta 
proprio nella targa. È contraffatta? No. È illeggibile? No. È vecchia? No. E 
allora qual è il problema? La targa ha perso di rifrangenza.
 
 Ci viene da ridere, ma forse dovremmo piangere. Al comma 5 del suddetto art. 100 
del Codice Stradale, in effetti si dice: “Le targhe indicate ai commi 1, 2, 3, 4 
devono avere caratteristiche rifrangenti”.
 
 Ci scorrono nella mente le immagini fugaci di tutte quelle targhe vecchie e 
scolorite che ogni giorno ci passano davanti nel traffico capitolino: targhe 
scritte sul cartone, targhe completamente ricoperte di fango e adesivi, targhe 
su cui sono stati apposti dei cd rifrangenti sui lati per evitare il flash degli 
autovelox.
 
 La situazione avrebbe una sua comicità, se non fosse tragica.
 
 Non possiamo esimerci dal complimentarci con i funzionari della polizia 
municipale per l’encomiabile lavoro svolto, per l’impeccabile applicazione della 
legge.
 
 Intanto Marian per riavere il mezzo dovrà passare dagli uffici della municipale 
alla motorizzazione più volte, mentre il Fiat Iveco arricchirà le casse del 
deposito. Ci vorranno centinaia di euro per riprendersi il furgoncino.
 
 Come associazione abbiamo immediatamente contattato un avvocato per il ricorso. 
Il legale, nonostante sia da anni impegnato nel settore, si è detto però 
assolutamente nuovo ad un caso del genere.
 
 Ci hanno detto che “la legge è uguale per tutti”: crediamo però che, in questo 
caso, la legge sia stata “più uguale” per questa coppia di rom, che stasera non 
avrà soldi per mangiare perché è stato loro sottratto il lavoro proprio in nome 
della legge e della loro integrazione.
 
 di Gianluca Staderini e Michele Camaioni
 POPICA ONLUS - www.popica.org
 http://www.myspace.com/popicaonlus
   
		
		
			Di Fabrizio  (del 25/02/2009 @ 09:27:21, in Europa , visitato 2735 volte)
		 
      Da
Roma_Daily_News COMUNICATO STAMPA GREEK HELSINKI MONITOR [Traduzione in inglese di 
GHM dall'articolo originale in greco su
http://www.e-tipos.com/newsitem?id=75693 (da me ritradotto in italiano)] 
  I Rom di Aghia Varvara (municipalità della Grande Atene, con una sostanziale 
presenza di Rom) lo chiamano "esempio della razza". E' cresciuto e ha 
frequentato la scuola locale, completando i suoi studi alla Facoltà di Medicina 
di Atene e la sua specialità medica all'ospedale "Sotiria". Ha aperto il suo 
studio e qualche tempo fa è stato nominato nel ramo regionale dell'IKA (il 
principale Fondo di Sicurezza Sociale greco, che ha anche una clinica 
regionale). Il 42enne specialista dei polmoni Christos Vassileiou si sente 
orgoglioso di aver infranto il "muro" di analfabetismo e di essere diventato un 
modello per la nuova generazione di Zingari. "Per gli standard della mia razza, 
è rivoluzionario lavorare nel campo medico."
 La strada per l'Università e della realizzazione professionale è stata 
tutt'altro che facile. "Se sei uno Zingaro, non puoi aspettarti aiuto da nessuna 
parte. Trovi solo muri e porte chiuse. Attraverso questo percorso devi mantenere 
le orecchie chiuse e rimanere impegnato sulle tue mete. Per molti anni ho cercato, ma invano, di ottenere un lavoro in ospedale. Ho 
portato pazienza ed alla fine sono stato ricompensato. Sono anche stato 
fortunato. Se fossi nato in un'altra città, forse non ce l'avrei fatta". Molti 
Zingari che vivono ad Aghia Varvara, hanno fatto in modo di assicurarsi una vita 
decente. "Sono stati fatti alcuni passi. Diciamo che è una delle aree dove vive 
l'elite degli Zingari. [Puoi trovare] gente istruita, dottori, studenti che 
hanno buoni voti, uomini d'affari. Il modello Aghia Varvara dev'essere 
ampliamente promosso e costituire un esempio per tutti gli insediamenti. Nella 
maggior parte dei quali, i genitori non possono permettersi il latte per i loro 
figli e raccolgono tutto ciò che possono trovare nella spazzatura per poter 
vivere". Nell'accampamento di Aghia Sofia e Dendropotamos in Tessalonica, 
nell'accampamento di Sofades a Karditsa e Nea Smirni a Larissa, la gran 
maggioranza dei Rom vive in baracche senza acqua corrente, fognature ed 
elettricità. A Votanikos (nel centro di Atene) i bambini giocano accanto ai topi 
morti. Nell'area di Psari ad Aspropyrgos, in campi con antichi alberi d'olivo e 
mucchi di rifiuti e di macerie, circa 100 famiglie vivono in tende e baracche di 
legno. Anche ad Aghia Vaarvara d'altra parte, la "città modello", rimangono 
irrisolti bisogni di base nei campi dell'istruzione e dell'assistenza medica. 
Vicino a Vassileiou vivono bambini senza nessun documento, che non parlano greco 
e non sono mai andati a scuola. "Non possono nemmeno andare in ospedale. Non 
hanno assicurazione medica o libretto sanitario. Non hanno nome. Le più grande 
afflizioni sono l'analfabetismo, la disoccupazione e la ghettizzazione nelle 
scuole. A Zefyri (un'altra municipalità vicino alla grande Atene con una 
significativa presenza di Rom), c'è una scuola primaria dove quasi tutti gli 
alunni sono Rom. Nessuno manda i propri bambini a frequentare quella scuola. 
Come possono i giovani integrarsi in una società che li tiene ai margini? Lo 
stesso fenomeno si può osservare in altre aree, come ad esempio in Chalkida o 
Tessalonica." Adesso da alcuni mesi, visita due volte a settimana gli uffici 
dell'Associazione Culturale Zingara Pan-Ellenica ed esamina gratuitamente i Rom 
con problemi respiratori. "Molti di loro iniziano a fumare da quando hanno otto 
anni. Quando sono sulla quarantina, i loro polmoni sono distrutti". Due o tre 
volte all'anno visita gli accampamenti in varie aree del paese e aiuta quelli 
che ne hanno bisogno, esaminandoli o fornendo loro le medicine. "Provo a star 
loro vicino. Dato che lo Stato non se ne cura, la responsabilità ricade su di 
noi che abbiamo scelto di contrastare il fato di quanti appartengono alla nostra 
razza. Abbiamo il dovere di riempire il gap lasciato dallo Stato". "Il terzo mondo è vicino a noi" "A scuola mi hanno insegnato storia greca antica. La Grecia è la mia patria, 
il mio paese. E se sarà il caso, la difenderò. D'altra parte ci sono giovani 
Zingari che non hanno gli stessi sentimenti. Lo Stato deve assegnare priorità 
all'integrazione dei nostri bambini nella società". Le stime riguardo la 
dimensione della comunità Rom in Grecia variano. Greek Helsinki Monitor 
considera che ci siano 350.000 Rom, ma la Confederazione Pan-Ellenica 
dell'Associazione dei Rom Greci (POSER) fa una stima di 714.000. "Non è 
importante quanti siamo ma in che condizioni viviamo". Nel nostro paese ci sono 
approssimativamente 250 comunità di Zingari. In molti accampamenti dove vivono 
"gli abitanti delle tende", il 99% sono positivi all'epatite A, mentre il 50% lo 
è all'epatite B. Il 90% dei Rom che vive in Grecia è analfabeta, il 40% 
disoccupato e l'80% non hanno nessuna assicurazione sociale. "Ci si ricorda di 
noi solo in caso di incidenti che attraggono cattiva pubblicità. E durante le 
elezioni". Ora da alcuni mesi, Vassileiou sta riunendo informazioni riguardo le 
condizioni di vita del suo popolo. "La nostra unica soluzione risiede 
nell'appellarci alle agenzie dell'Unione Europea. Abbiamo compilato documenti 
con i nostri desideri e promesse. Sento sempre la gente che parla dei bambini 
del terzo mondo. Se visitassero Aspropyrgos, lo incontrerebbero. Vivono accanto 
a noi. Tra di noi." GREEK HELSINKI MONITOR (GHM)Address: P.O. Box 60820, GR-15304 Glyka Nera
 Telephone: (+30) 2103472259 Fax: (+30) 2106018760
 e-mail: office@greekhelsinki.gr  
website: 
http://cm.greekhelsinki.gr
   
		
		
			Di Fabrizio  (del 25/02/2009 @ 09:16:27, in Europa , visitato 1773 volte)
		 
      Da
Hungarian_Roma Budapest, 20 febbraio (MTI) - Orban Kolompar, capo dell'Autorità Nazionale 
Zingara (OCO), ha chiesto alle comunità rom ungheresi di contribuire ad 
un'analisi delle recenti manifestazioni anti-Rom e di addivenire a proposte che 
calmino le tensioni con la società, ha detto venerdì Kolompar a MTI. I sentimenti anti-Rom tenderanno a crescere nei prossimi mesi, in quanto i 
nazionalisti radicali stanno facendo sforzi per aumentare la loro base 
elettorale alimentando questi sentimenti, ha detto Kolompar. Ha aggiunto che Fidesz, il principale partito d'opposizione, sta fornendo 
"tacito appoggio" a queste attività, citando la recente dichiarazione del leader 
di Fidesz, Victor Orban: "Non esiste un crimine zingaro, ma ci sono zingari 
criminali". Kolompar ha detto che OCO non permetterà che la comunità rom sia etichettata 
collettivamente come un gruppo di criminali. "Chiunque usi questa retorica sta 
giocando col fuoco," ha aggiunto. I leaders dei 1.127 governi locali Rom d'Ungheria si incontreranno per una 
conferenza nazionale agli inizi di marzo. L'agenda include anche i temi del 
lavoro, dell'istruzione e della sicurezza pubblica, ha detto Kolompar.   
		
		
			Di Fabrizio  (del 24/02/2009 @ 14:27:03, in Italia , visitato 1475 volte)
		 
      
 Lunedì 23 febbraio 2009 - ORE 17.20 -
Si è tenuto stamattina, in un clima di cordiale collaborazione, l'incontro tra i 
rappresentanti delle Organizzazioni sociali e del lavoro e il Procuratore Capo 
della Repubblica di Foggia Vincenzo Russo. L'iniziativa di cui si sono fatte 
promotrici le ACLI, la Caritas, la Cgil, la Cisl, l'Arci, l'Acsi, l'Opera 
Nomadi, l'Associazione Genoveffa de Troia, l'Ordine dei medici e Solidaunia ha 
avuto come oggetto la situazione del campo Rom di Borgo Arpinova, danneggiato 
dall'incendio del 19 dicembre scorso nel quale trovò la morte il piccolo Geylo. 
Dalle parole del Procuratore Capo si è appreso che l'istruttoria, seguita al 
sequestro disposto dalla Procura della Repubblica di Foggia dopo l'incidente, si 
avvia alla conclusione e a breve, quindi, il Comune di Foggia potrà disporre 
dello spazio per le opere di ricostruzione. La prima maggiore difficoltà 
incontrata dopo l'incidente viene così rimossa, dando alle circa 60 famiglie Rom 
e ai 67 bambini la possibilità di un ritorno alla normalità e ad una vita 
dignitosa. Pochi giorni ancora e il Comune di Foggia, con il quale più volte le 
stesse Organizzazioni avevano promosso iniziative di confronto su quella che è 
divenuta, nel frattempo, una vera e propria emergenza abitativa e sanitaria, 
soprattutto, per le 10 famiglie Rom più gravemente colpite dall'incendio, potrà 
iniziare il lavoro di ricostruzione. L'augurio, che ha trovato conforto nel 
dialogo costante con l'Assessore comunale Paolo De Vito, è che il dissequestro 
dell'area possa, nel più breve tempo possibile, stabilire le migliori condizioni 
di vivibilità del Campo di Borgo Arpinova, anche attraverso la dotazione di 
sistemi di sicurezza adeguati alla situazione. 
 redazione Teleradioerre
   
		
		
			Di Fabrizio  (del 24/02/2009 @ 09:26:11, in Europa , visitato 1605 volte)
		 
      Da
Roma_Daily_News (tutti i link sono in tedesco o inglese) 17 febbraio 2009 – Assieme ai Liberali, la coalizione di Conservatori e 
Socialdemocratici ha definitivamente rigettato, mercoledì scorso, una
mozione 
introdotta dal partito di sinistra "Die Linke", che richiedeva una 
temporanea moratoria sui rimpatri forzati verso il Kosovo. "Die Linke" 
chiedeva anche al Governo Federale di garantire uno status di residenza 
permanente ai membri delle minoranze etniche e di altri gruppi vulnerabili. Il 
partito diceva anche che la Germania aveva una particolare responsabilità verso 
i Rom, risultante dall'Olocausto. In un
articolo sugli uffici del primo ambasciatore tedesco nominato per il Kosovo, 
la rivista internet net.de scrisse che uno dei suoi compiti principali 
sarebbe stato organizzare i ritorni dei rifugiati. Secondo l'ambasciatore, circa 
200.000 abitanti del Kosovo vivono in Germania, la maggior parte con passaporto 
serbo o jugoslavo. Tra questi, 35.000 molti di questi Rom, Askali ed Egizi sono 
soltanto "tollerati". Sono a rischio di deportazione forzata in Kosovo, una 
volta segnato l'accordo di riammissione tra Kosovo e Germania. Romano Them
 Vedere anche:
   
		
		
			Di Fabrizio  (del 24/02/2009 @ 09:21:30, in Italia , visitato 1543 volte)
		 
      Ricevo da Agostino Rota Martir Un gruppo di famiglie Rom Bosniache che vive fuori Livorno ha dato 
accoglienza al cittadino Rumeno Karol Racz, presunto autore dello stupro della 
minorenne avvenuto a Roma il 14 febbraio scorso. I Rom in questione erano del tutto ignari del grave reato commesso (?) dal 
cittadino Rumeno pochi giorni prima a Roma. Conoscevano Karol, già un anno fa 
questi si era rivolto a loro perché bisognoso di aiuto e aveva trovato in questa 
piccola comunità di Rom il necessario sostegno e la possibilità di svolgere 
qualche piccolo lavoro: raccolta ferro, pulizia del campo. Si era sempre 
mostrato gentile e calmo con tutti i componenti della famiglia Rom, ancora fanno 
fatica a credere alle accuse che gli vengono mosse. Allora viveva con un gruppo 
di suoi connazionali a poca distanza dal campo Rom. Poi aveva lasciato Livorno 
per andare a Roma. Qualche giorno fà Karol si era ripresentato al campo per chiedere agli stessi 
Rom la possibilità di poter dormire e di fermarsi solo qualche giorno il tempo 
per guadagnare qualche soldo per poi ripartire di nuovo. Era notte, faceva 
freddo, giusto appunto c'è anche una roulotte libera, così i Rom accettano di 
ospitarlo il tempo necessario, lo conoscono e si fidano: non immaginano 
lontanamente che Karol è ricercato dalla Polizia per il presunto reato di stupro 
a danno di una minorenne. In quel momento i Rom vedono una persona, un uomo, un povero che chiede un 
aiuto, un'ospitalità.. anche loro ci sono passati, sanno benissimo cosa vuol 
dire essere rifiutati, messi fuori, passare le notti al freddo, sentirsi soli e 
affidarsi alla bontà di qualche "cristiano" capace ancora di compassione. Per 
loro in quel momento l'uomo precede la regola, il calcolo, il dentro e il fuori. 
Si potrà ragionare e disquisire all'infinito senza arrivare a delle certezze 
matematiche, e 
quel dubbio che mina ogni possibile ragionamento: "ma se avessero saputo che lui 
era ricercato, cosa avrebbero fatto?" Cosa avremmo fatto noi di fronte ad un 
conoscente, ad un amico? Ma non è questo il punto, perché in quel momento le 
famiglie Rom non lo potevano certo pensare o immaginare quali fossero le reali 
intenzioni del Rumeno: davanti a loro c'era una richiesta di aiuto, quella di 
Karol conosciuto l'anno prima, e la risposta fu quella di aprire la loro porta 
ed accoglierlo. " Venite, voi che siete benedetti dal Padre mio..perché io ero forestiero e 
mi avete ospitato nella vostra casa.." (Mt.25, 35 ss.) Quei Rom hanno accolto, non nascosto! Ingenuità o profezia? La nostra società sa ancora accogliere l'altro senza calcolo, senza per forza 
dover programmarlo secondo i nostri progetti o senza rivestirlo dei nostri 
percorsi? E' ancora valida un'accoglienza dell'altro capace di rispettare la sua 
identità, le sue tappe, le sue scelte e senza la pretesa di essere sempre e solo 
noi a dover determinare tutto? Ne siamo ancora capaci? Ti accolgo se accetti di cambiare al ritmo della mia bontà, se dimostri di 
volerti integrare, se sottoscrivi questi patti, altrimenti.." Quando offri un 
pranzo o una 
cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi 
vicini..perché tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un 
banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno 
da ricambiarti." ( Lc 14, 12-14) Bisogna riconoscere che non poche volte comunità di Rom e Sinti accolgono al 
loro interno persone (italiani e non) di passaggio, a volte sono persone feritedentro, emarginate dalla società..lì ritrovano anche quel calore umano che 
altrove gli è precluso, rifiutato, negato o condizionato. E' un'accoglienza 
semplice, 
sopratutto umana e discreta ma spesso capace di ridare coraggio e di aprire 
cammini nuovi a chi attraversa periodi di disagio e difficoltà.
 Regolamento di campi imposto e blindato, quasi copiato nello spirito alle 
leggi razziali d'un tempo che ci illudevamo di aver lasciato alle spalle, 
demolizioni di 
insediamenti abusivi, ordinanze contro mendicanti, lavavetri, censimento dei 
senza fissa dimora, ronde..piano piano accettiamo come normalità interventi 
sempre più duri contro i poveri, gli immigrati e i Rom in particolare; in nome 
della sicurezza trangugiamo ogni sorta di boccone, spesso imbevuto con piccole 
dosi quotidiane di razzismo, fino a non farci sentire il disgusto o la vergogna 
per i nostri silenzi o peggio ancora collaboratori attivi a questi progetti. 
L'accoglienza che questi Rom hanno donato a Karol, nonostante tutto è stato un 
gesto di genuinità, di squisita solidarietà: hanno offerto il loro spazio, hanno 
aperto all'accoglienza la loro mano, a differenza di gran parte della società 
che in questi ultimi tempi vuol far mostra della sua "cattiveria" attraverso il 
suo pugno chiuso. Grazie per questo vostro messaggio umano e cristiano!Don Agostino Rota Martir - Campo nomadi di Coltano (PI) - 21 Febbraio 2009
   |