| Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
		
		
			Di Fabrizio  (del 18/11/2013 @ 09:05:30, in media , visitato 1662 volte)
		 
      
 By Ivan Ivanov - 6th November 2013 Ivan Ivanov spiega perché il "resocontare responsabile" è così 
essenziale nel cambiare le opinioni e gli atteggiamenti verso i Rom La recente copertura mediatica sul caso di una bambina greca ritrovata in un 
campo rom in Grecia, ha sollevato la consapevolezza che ci sono "angeli biondi" 
anche tra i Rom. Ciò contrasta con il ritratto fin troppo stereotipata e dannoso 
dei Rom come "diavoli scuri". Rimuovere la sola bambina bionda dalla 
famiglia rom con altri 14 figli di pelle più scura, è la dimostrazione che lo 
stereotipo dei "Rom che rubano i bambini ai non-rom" è tuttora vivo nella testa 
della gente. Voce smentita dato che la bambina è di origine romanì. L'altro 
stereotipo generato dalle autorità e dai media è che i Rom siano "trafficanti 
d'infanzia". Anche questo teorema è stato smontato, dato che la bambina bionda è 
stata informalmente adottata da una famiglia molto povera della Grecia con 14 
bambini, da un'altra famiglia povera della Bulgaria con 10 figli. Un'azione così ben combinata da parte di alcuni media e politici anti-rom, ha 
un forte impatto negativo in un momento in cui i sentimenti anti-rom in Europa 
sono in crescita. L'impatto della recente isteria mediatica è profondamente 
preoccupante in quanto riproduce miti e stereotipi negativi sui Rom, rinforzando 
pregiudizi che possono incitare al razzismo e alla discriminazione contro queste 
comunità. Resoconti parziali e bigotti possono avere dure conseguenze sulla vita 
quotidiana delle comunità rom in tutta Europa ed indebolire qualsiasi sforzo 
della società civile, del mondo accademico e di alcune istituzioni nel 
promuovere un'identità ed un'immagine rom che sia differente e maggiormente 
positiva. Purtroppo, il giornalismo sensazionalista e di parte vende più della 
cronaca etica e responsabile, libera da stereotipi e pregiudizi. Il caso della bambina rom bionda ritrovata in una famiglia rom mi da 
speranza. Questo caso è un chiaro esempio della forza dei media e della loro 
rapida influenza nella società. Perché non lavoriamo assieme per redirigere il 
potere dei media verso un cambiamento progressivo, utile a combattere i 
pregiudizi e gli stereotipi anti-rom, invece che ad incitarli? Dato che altri 
canali e strumenti non sembrano funzionare o essere così efficaci, perché non 
adoperare l'influenza dei media per cambiare opinioni e atteggiamenti della 
gente? So che questo genere di media non vende, ma lo spero comunque. Ivan Ivanov è direttore esecutivo dell'European Roma Information Office   
		
		
			Di Fabrizio  (del 19/11/2013 @ 09:01:02, in Europa , visitato 1416 volte)
		 
      
 Romeo Franz: L'Europa dev'essere libera da discriminazione e razzismo Berlin, 11.11.2013 23:47, (ROMEA) Veronika Patochkovà, translated by Gwendolyn 
Albert
 
 Quanto segue è un'intervista a Romeo Franz, 46 anni - compositore, pianista e 
violinista. Fondò il suo primo gruppo, Romeo Franz Ensemble, nel 1991 e 
nel 2012 compose il pezzo "Mare Manuschenge", in commemorazione delle 
vittime romanì del nazismo. Nel 2011 Franz si è iscritto al partito dei Verdi ed è diventato attivista 
politico. Prima era stato presidente dell'Unione dei Sinti Tedeschi della Renania-Palatinato 
e membro del consiglio di amministrazione del Consiglio Centrale dei Sinti e Rom 
Tedeschi. Franz è risultato sesto tra i candidati dei Verdi alle elezioni parlamentari 
del 22 settembre 2013. Purtroppo non ha ottenuto un seggio all'Assemblea 
Federale. Qual è stato il momento o l'evento che ti hanno spinto a diventare un 
attivista politico, cioè, a varcare la linea di impegno in quanto comune 
cittadino a confronto delle opzioni offerte dalla società civile?   Da tempo ero attivo come difensore dei diritti civili e come vice-presidente 
dell'Unione dei Sinti Tedeschi della Renania-Palatinato. Grazie a questa 
attività ho accumulato una grande esperienza e ho lavorato con persone che si 
trovano in situazioni difficili, che avevano bisogno d'aiuto, ecc. Ho imparato 
molto in quel periodo. Decisi di iscrivermi ad un partito quando osservai che 
come membro dell'Unione potevo raggiungere solo cambiamenti limitati - non si 
riusciva ad andare oltre. Si è sempre nella posizione di supplicare, non si può 
decidere nulla da se stessi. Col tempo ho deciso che così non si poteva 
continuare, che così non si andava da nessuna parte. Decisi di entrare in 
politica. Grazie al mio lavoro nell'Unione ho avuto esperienze con molti partiti 
e mi sono fatta un'immagine precisa di ognuno di loro. Il partito dei Verdi era 
quello on cui avevo più cose in comune. Quindi, non c'è stato un preciso momento in cui hai deciso di darti 
alla politica? E' stata una decisione per gradi. Ho sempre intuito che fosse una 
possibilità, ad esempio quando ricercavo appoggio nei vari progetti nell'area 
dell'istruzione, sia per gruppi specifici che nel campo generale dell'istruzione 
interculturale. Per anni ho lavorato di volta in volta sulle opportunità, senza 
che nessuno dei miei progetti fosse approvato. A causa di ciò non sono stato in 
grado di realizzarli o di lavorare con le persone, con i giovani... mi era 
chiaro che andavo a sbattere contro un determinato muro. Perché hai scelto i Verdi, in particolare? In Repubblica Ceca, 
l'ultima volta non sono riusciti ad entrare nella Camera Bassa. Potresti 
spiegare la tua decisione ai lettori cechi da un punto di vista tedesco? In Germania i Verdi sono in Parlamento. Sono un partito che esiste da oltre 
30 anni. In Germania hanno costruito una buona relazione con i loro votanti. 
Come dicevo, grazie al mio lavoro precedente ho accumulato molte esperienze, ed 
i Verdi fondamentalmente incontrano le mie esigenze meglio degli altri partiti, 
riguardo all'ambiente, ai diritti umani e delle minoranze. E' per questo che la 
mia decisione di unirmi a loro è stata abbastanza rapida. Anche in Repubblica Ceca ci sono stati nove uomini e donne romanì 
candidati nelle liste dei Verdi. E' la testimonianza del fatto che i Verdi sono un partito molto importante 
per questa minoranza, uno che apertamente e sinceramente rappresenta i loro 
interessi. La decisione di quei candidati ne è una prova lampante. Prima delle elezioni, chiunque andasse sul sito dei Verdi nel tuo 
distretto elettorale di Ludwigshafen avrebbe visto immediatamente la tua 
fotografia. Eri in un buona posizione nella lista dei candidati, al sesto posto, 
anche se eri iscritto al partito da soli tre anni. Perché? Può dipendere dal fatto che sono abbastanza conosciuto come musicista, e per 
la mia attività politica tanto in Germania che nella mia regione. Grazie al mio 
attivismo, ho una discreta esperienza. Penso che sia anche per questo. Un'altra 
cosa, di cui sono assolutamente sicuro, è che alle elezioni nel mio collegio 
elettorale hanno votato compattamente. Significa che nel nostro partito c'è 
stata una enorme accettazione e grande volontà politica di nominare un 
rappresentante dei Sinti come candidato al Parlamento. Due settimane dopo, 
quando durante la conferenza regionale ho chiesto un posto specifico nella lista 
dei candidati, ho ottenuto il terzo posto tra gli uomini. Significa che i Verdi 
hanno una grande comprensione per la minoranza sinti. La esprimono non 
vergognandosi di sostenere i diritti delle minoranze, mettendo rappresentanti 
sinti nelle loro fila, e con una grande apertura. Credo che sia un messaggio 
favoloso per la società. Non pensi che i Verdi in Germania dovrebbero essere preoccupati di 
perdere voti, quando scelgono come candidato un Rom o un Sinto? In Germania il partito dei Verdi non deve preoccuparsene. Il partito è 
conosciuto per il suo impegno nel proteggere l'ambiente e per la difesa dei 
diritti delle minoranze. Ogni elettore dei Verdi lo sa. Questo si collega alla mia prossima domanda, cioè è visibile che i 
Verdi in Germania hanno anche altri rappresentanti di minoranza - l'esempio 
migliore è che uno dei co-presidenti, Cem Oezdemir, ha origini turche. Tuttavia, 
ci sono anche rappresentanti di minoranze che non hanno vissuto in Germania per 
tutto il tempo dei Sinti. Perché i Sinti sono così sottorappresentati in 
politica? Questo è il punto: noi Sinti abbiamo vissuto in Germania per oltre 600 anni. 
Le nostre vite sono state profondamente toccate dall'Olocausto. Tuttavia, anche 
dopo la II guerra mondiale, non abbiamo mai ricevuto molti riconoscimenti. I Rom 
e Sinti tedeschi che fecero ritorno in Germania dopo la guerra, non vennero 
accolti a braccia aperte, al contrario, continuarono ad essere discriminati. In 
Germania Occidentale, i responsabili che dovevano prendersi cura dei 
sopravvissuti all'Olocausto erano spesso le stesse persone che in passato 
avevano organizzato i trasporti [verso i campi di concentramento]. Il genocidio 
dei Sinti venne riconosciuto solo nel 1981 dal cancelliere Helmut Schmidt, e lo 
fece perché Romani Rose ed altri sopravvissuti entrarono in sciopero della fame 
a Dachau. In quanto minoranza, abbiamo perso molto tempo perché per lungo tempo 
non abbiamo preso parte alla vita della società. Per prima cosa abbiamo 
costruito una base civile attiva. Il Consiglio Centrale dei Sinti e Rom 
Tedeschi, come le singole unioni statali, hanno fatto in modo che quanti fossero 
stati coinvolti nell'Olocausto ricevessero un indennizzo, anche se qualcuno lo 
sta ancora aspettando. Adesso i Sinti e i Rom tedeschi stanno lentamente 
acquisendo abbastanza fiducia in se stessi e la volontà di impegnarsi in 
politica. Ecco il bello della mia candidatura - grazie a ciò sono riuscito a 
convincere molti Sinti ad unirsi a partiti democratici ed essere attivi in 
politica. Quanti Romanì e Sinti tedeschi conosci che abbiano preso esempio da 
te? Per loro sei un modello? So di quattro Sinti e di un Rom che fanno parte di partiti tedeschi. Uno è 
nell'Unione Cristiano Democratica, uno con i Socialdemocratici, uno con Die 
Linke e due nei Verdi. Penso che sia un'ottima cosa. Ho anche una controparte in 
Bulgaria, che si chiama Orhan Tahir, è avvocato e membro dei Verdi. Anche lui è 
stato in corsa per il parlamento, dopo che sono andato a trovarlo in Bulgaria 
l'aprile scorso. Il segno che è giusto impegnarsi in politica è ottenere una 
buona risposta dalla nostra comunità. Altri che vorrebbero ottenere qualcosa si 
stanno unendo a noi. Ricevo email e segnalazioni su Facebook in cui la gente si 
congratula con me e che stanno per mettersi all'opera anche loro. Considero 
degna questa attenzione e credo che la mia candidatura sia stata di successo 
solo per questo, indipendentemente dai risultati. Come si pongono i Romanì non-tedeschi in Germania, ad esempio, quanti 
vi sono immigrati dall'Europa orientale o meridionale? Ho letto da qualche parte 
che vuoi rappresentarli anche in politica, ma che vuoi che sia chiaro che i 
Romanì non-tedeschi hanno destini differenti e bisogni differenti dai Sinti e 
Rom tedeschi. Se tu, Sinto tedesco, parli per i Rom immigrati, non c'è il 
rischio di un'ulteriore omogeneizzazione? La vedo in maniera un po' differente. Il concetto di Sinti-e-Rom esiste solo 
in Germania. A causa di questa doppia etichetta, si genera la sensazione che non 
ci siano differenze tra Romanì e Sinti, che siamo un gruppo omogeneo, ma in 
realtà questo è un errore. Per esempio. i Sinti tedeschi vivono in Germania da 
oltre 600 anni, ma i Rom tedeschi sono qui da 200 anni. Ci sono anche Romanì 
arrivati qui dopo la II guerra mondiale, o dopo la caduta del Muro di Berlino 
nel 1989-1990. Non sono parte dei Rom e Sinti tedeschi, ci sono molti gruppi 
nazionalmente differenti ed eterogenei. Ognuno di questi è una minoranza 
nazionale che ha vissuto in altri paesi per 800 anni - in Serbia, ad esempio. In 
quei paesi avevano la loro cultura romanì, proprio come in Germania abbiamo la 
cultura sinti. Anche la lingua è differente. La società maggioritaria deve 
tenere conto di queste differenze. Non è possibile equiparare automaticamente, 
immediatamente, le tematiche dei Rom immigrati con quelle dei Sinti tedeschi. 
Penso che succeda spesso e che produca ulteriore stigmatizzazione per tutti. Per 
questo credo sia un mio compito spiegare alla gente che ci sono differenze tra i 
gruppi. Integrazione e politiche migratorie sono le tue aree, ma ciò non à 
immediatamente auto-esplicativo, né tu né la tua famiglia siete immigrati, sotto 
questo punto di vista. Non è una tua esperienza personale diretta. Vedo il mio compito come quello di aiutare la gente, e non perché siano 
Tedeschi, o Romanì, o Sinti. Intendo appoggiare gli immigrati e i nuovi arrivati 
in Germania. Ho questo bisogno perché, grazie alla mia storia ed esperienza, ho 
appreso quanto sia orribile è subire il razzismo e l'esclusione dalla società. 
E' per questo che mi son dato l'obiettivo di lottare per tutte le minoranze che 
sono discriminate o spinte lontano dalla società, senza l'opportunità di 
parteciparvi. Personalmente non amo il termine "integrazione". Preferisco 
parlare di inclusione, perché questa comprende meglio quanto le minoranze o i 
socialmente esclusi fondamentalmente intendono raggiungere. Vogliono essere 
parte della società, suoi membri di diritto. La tua famiglia e i tuoi genitori cosa dicono della tua candidatura? La mia famiglia ama davvero cosa faccio. Sono uno dei fattori grazie a cui ho 
coltivato un interesse nella politica. Fondamentalmente i componenti della mia 
famiglia mi hanno portato a tutto ciò attraverso il loro modo di vivere - sono 
stati il mio modello. Il nazismo è un argomento ricorrente in casa nostra. La 
mia famiglia ha perso sei parenti durante l'Olocausto e - come spiegarlo? In 
qualche maniera siamo in obbligo verso quelle persone. Sulla base di quegli 
eventi ed esperienze, mi sono interessato alla politica. Per questo la mia 
famiglia mi appoggia in così pienamente, approva quanto faccio, e mi da forza - 
e questo è molto importante. Come dicevo, anche in Repubblica Ceca ci sono stati uomini e donne in 
corsa per il parlamento. In conclusione, vorrei chiederti se vorresti mandare 
loro un messaggio. Con molto piacere! Vorrei dire loro che considero magnifico che siano 
politicamente attivi. Spero che stiano assieme così da potere comunemente 
contribuire allo sviluppo della società europea. L'Europa dev'essere una terra 
per tutti e dev'essere libera da discriminazione e razzismo.   
      
Giornalettismo - 19/11/2013 - Ben congegnata, fa già molte vittime 
 Una divertentissima bufala pubblicata dal blog 
Giornaledelcorriere sta facendo 
il giro di Facebook, con un gustoso codazzo di fessacchiotti che ci credono e si 
sentono scandalizzati per il tutto:
 
 La bufala (scritta in maniera da imitare il linguaggio giornalistico, e anche 
molto bene) recita:
 Approvato finalmente il D.lgs. 958/2013 che la Commissione Consultiva 
dell'Integrazione ha richiesto per la salvaguardia delle popolazioni nomadi, le 
quali sono rappresentate dal 1971 dall'Unione Rom Internazionale. Questo 
movimento mira al riconoscimento di un'identità e di un patrimonio culturale e 
linguistico nazionale senza stato né territorio, cioè presente in tutti i paesi 
europei.La massima del Decreto entrato in vigore con l'ultima Gazzetta Ufficiale cita 
testualmente:
 "L'individuo che dimostri con la buona fede di appartenere ad un gruppo Rom 
(etnico e nomade) non sarà passibile di nessuna pena relativa al reato di furto 
(art.624 c.p.) se il valore economico del bene o denaro sottratto è inferiore a 
€ 200, in quanto l'unico sostentamento di determinate strutture sociali deriva 
esclusivamente e da generazioni da tali azioni. Il soggetto dovrà altresì 
dimostrare sul momento di non avere regolare residenza o fissa dimora in Italia. 
Il presente non vale per chi possiede la cittadinanza italiana da almeno 10 
anni".
 In poche parole: se uno zingaro ruba oggetti o denaro del valore inferiore a 200 
Euro, non potrà essere denunciato per furto in quanto la sua azione è legata da 
secoli di usi e costumi del suo gruppo di appartenenza. Ovviamente, bastano trenta secondi di ricerche su internet per scoprire che 
nulla di tutto ciò è vero. E ad essere interessante è anche la firma: " Ilenia Tripidosi 
- Corrispondente Estero"
ha già firmato molte altre bufale e trollate 
a cui tanti hanno abboccato. D'altronde, come diceva Franz Kafka, "Tutte le 
mattine escono di casa un furbo e un coglione. Se si incontrano l'affare è 
fatto". (no, non l'ha detto Franz Kafka; bravi!)   
      
 clicca sull'immagine per ulteriori informazioni Dall'introduzione: E TU, QUANTI ZINGARI CONOSCI? Era lo 
slogan di una campagna dell'UNAR dell'anno scorso. Questo piccolo volume non 
parlerà della cultura rom, o delle origini della loro lingua, o delle 
persecuzioni che hanno subito... Parla del conoscersi. I Rom e i Sinti sono in mezzo a noi, ovunque in Italia e in Europa, e quando 
viene loro concesso, lavorano tra noi, mandano a scuola i loro figli assieme ai 
nostri. Perché a Pessano deve essere diverso? Perché aspettarsi che possano 
migliorare, se si nega loro la possibilità di affrancarsi dalla miseria? Ma questi fogli raccontano anche di una cultura, che magari non si trova nei 
testi di antropologia, che è vivere quotidiano, proprio in questo Nord-Est 
milanese. In parole povere: per una volta non si scrive di tutto ciò di cui 
avrebbero bisogno (anzi: avrebbero diritto), ma di quello che potrebbero 
insegnarci, anche da subito, se ne avessero la possibilità. Sempre per la solita 
ragione: sono in mezzo a noi tutti i giorni. Testimonianze pratiche: sono sicuro che a tutti (anche a chi non sopporta gli 
zingari), interessa conoscere qualcosa su STAR BENE e MANGIARE. Scoprirete che 
anche un'anziana romnì può avere qualcosa da insegnarci. QUESTA E' LA PRIMA RAGIONE. La seconda è che queste famiglie, che stiano 
accanto a noi (magari insegnandoci qualcosa) o che vadano via (ad insegnarlo 
altrove), potrebbero vivere in una roulotte, in una casa, sotto un ponte, in un 
campo... non cambierebbe niente nella loro cultura. Ma, dovunque andranno o si fermeranno, dovranno trovare la possibilità e i 
mezzi per vivere. Il terzo punto, altrettanto interessante, è GUADAGNARE, tutti 
(voi con Maria e la sua famiglia): non vi chiediamo carità, ma rispetto e 
condivisione. Se una persona dovesse dipendere per sempre dal vostro buon cuore, 
rimarrà sempre qualcuno "ai margini" di cui sarà facile disfarsi. Se invece 
troverete interessante quello che ha scritto Maria, a voi costerà poco, ma per 
lei il ricavato della vendita di queste pagine sarà importante. Per i soldi, certo, ma anche perché dopo tanto tempo ASSIEME si sarà 
cominciato a costruire una relazione. A tutti i lettori, un sincero augurio di continuarla. [...] L'autrice: Hajrija Seferovic (Maria) è 
nata da genitori Kalderasha nel 1938 a Tramnik, nell'ex Jugoslavia, prima di 
cinque figli. La famiglia si spostava spesso per guadagnarsi da vivere con la 
vendita di cavalli, e facendo pentole e piatti di rame che vendevano ai mercati. 
Maria si ricorda una gioventù bella, sotto le tende in una grande "kumpanja". 
Nei vari spostamenti il suo gruppo veniva spesso in Italia. All'inizio della 
guerra in Bosnia la famiglia è scappata con l'aiuto di organizzazioni umanitarie 
(ONU). Alcuni dei suoi familiari sono andati a vivere in Francia, altri in 
Germania e negli Stati Uniti, lei e la sua famiglia a Torino dove hanno vissuto 
per 10 anni, e da dove dopo sono stati sgomberati. Da allora hanno cercato di 
mettere radici a Napoli, in Sicilia, a Roma, e Bologna ma sono sempre stati 
sgomberati. All'inizio del 2000 si sono nuovamente spostati arrivando 
a Pessano con Bornago, ove hanno comperato un piccolo terreno agricolo con 
l'intento di fermarsi, per essere vicini al marito di Maria che era in cura a 
San Raffaele per una grave malattia, che lo ha portato alla morte. Maria allora decise di fermarsi a Pessano ma ciò non fu 
possibile a causa dei continui sgomberi. In questo momento Maria sta a Trezzo 
sull'Adda in una povera roulotte, dove continua a curare suo figlio cieco dalla 
nascita ed ha vicino la maggiore parte dei suoi numerosi figli. Coordinamento editoriale: 
				Natalija HalilovicFrances Oliver CataniaFabrizio Casavola Copertina: Dettagli: 
				Copyright A.S.D. La Comune, via Novara, 97 Milano (Licenza 
				di copyright standard)II edizionePubblicato il 20 novembre 2013Lingua ItalianoPagine 30Formato del file PDFDimensioni del file12.86 MBPrezzo 2,50 euro 
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			Di Fabrizio  (del 22/11/2013 @ 09:05:55, in scuola , visitato 1549 volte)
		 
      
 di Cinzia Gubbini - Intervista a Luigi Guerra, direttore del Dipartimento 
di Scienze dell'Educazione dell'Università di Bologna su
Cronache di Ordinario Razzismo 
 La scuola media Besta di Bologna, nel quartiere periferico di San Donato, ha 
smesso di turbare il dibattito pubblico. La decisione del preside della scuola e 
del Consiglio dei docenti di formare una prima classe "sperimentale", composta 
soltanto di alunni di origine straniera, ha dapprima suscitato qualche 
indignazione, per poi essere giudicata praticamente all'unanimità un atto 
coraggioso, necessario a risolvere una situazione complicata. Il dirigente 
scolastico Emilio Porcaro, infatti, dopo le prime notizie aveva tenuto a 
precisare che si trattava di un modo per permettere innanzitutto a questi 
ragazzi, arrivati in Italia a agosto a classi già formate, di frequentare la 
scuola - visto che altre scuole li avrebbero rifiutati - e di inserirli solo 
successivamente nelle classi "normali", una volta insegnato loro l'italiano. 
Eppure c'è chi, pur lodando il tentativo della scuola, sin dal primo momento non 
ha rinunciato a evidenziare gli aspetti dannosi di questo metodo. Tra questi c'è 
una voce autorevole: quella di Luigi Guerra, direttore del Dipartimento di 
Scienze dell'Educazione dell'Università di Bologna e professore di didattica e 
pedagogia speciale.
 
 Professore, lei ha detto che il metodo della scuola Besta è "pedagogicamente 
sbagliato": cosa intende?
 Vorrei premettere che stimo molto il dirigente e gli insegnanti di quella 
scuola. Penso che abbiano fatto tutto quel che era nelle loro possibilità, 
considerata la situazione difficile. Detto questo non è accettabile comporre una 
classe di soli migranti. Che siano tre, dieci, otto. E' un metodo inammissibile, 
perché è l'esatto contrario del concetto di inclusione. Qualsiasi insegnante di 
linguistica sa cosa succede in queste situazioni: gli individui tendono a 
rinchiudersi in aree di linguaggio omogenee. Potrebbe accadere che il tunisino 
parli con il marocchino in francese o il filippino con il peruviano in spagnolo, 
ma tendenzialmente accade esattamente quel che accade ai nostri figli quando li 
mandiamo a Londra con gli amici per imparare l'inglese: normalmente non imparano 
nulla, perché continuano a muoversi in un contesto in cui a prevalere è la 
lingua italiana. E' un discorso che ovviamente funziona anche quando in una 
classe ci sono quindici stranieri e otto italiani. La lingua si impara per 
immersione: e quando mi immergo c'è tanta acqua.
 
 Eppure le motivazioni addotte dal preside sembrano molto ragionevoli: sono 
ragazzi che non sanno neanche una parola di italiano, vogliamo solo introdurli 
alla lingua e a questo sistema scolastico che non conoscono, poi verranno 
introdotti nelle altre classi. Insomma, è una classe ponte. Cosa c'è di 
sbagliato?
 Ma non funziona così. La scelta più giusta, a mio avviso, doveva essere: ti 
metto in una classe normale poi, caso mai, per due ore al giorno mi dedico a te 
con un progetto speciale, un laboratorio linguistico funzionale 
all'apprendimento della lingua italiana. D'altronde questo dovrebbe essere il 
modo in cui si accolgono tutti i bambini con dei bisogni speciali in una scuola.
 
 Al di là del "giusto modo" di accogliere una persona, c'entra anche 
l'apprendimento tra pari?
 C'entra eccome, ed è stato dimostrato che l'insegnamento tra pari è uno dei 
principali e più efficaci veicoli di apprendimento linguistico. I bambini 
apprendono dagli altri bambini: imparano l'italiano litigandosi la merenda o 
chiedendo dov'è il bagno. Il lavoro dell'insegnante è certamente importante, ma 
ha soprattutto la funzione di purificazione e formalizzazione.
 
 Lei dice che bisognerebbe accogliere in modo speciale bambini speciali, ma come 
si fa se non ci sono risorse sufficienti?
 Beh certamente: se le risorse sono scarse ci tocca usare modelli approssimativi. 
L'importante, però, è non far coincidere il "meglio che potevano" con il modello 
pedagogicamente corretto. E' come quando due genitori che lavorano mi dicono: 
riesco a stare solo mezz'ora al giorno con i miei figli, va bene? Certo che non 
va bene, ma se non si può fare a meno di fare quel tipo di lavoro c'è solo da 
cercare di fare il meglio in quella mezz'ora.
 
 La scarsità di risorse peraltro diventa spesso una "condanna" per le scuole 
migliori, più avanzate e "ricche" di esperienze. Il preside della scuola Besta 
ha raccontato di essersi trovato in "emergenza" proprio perché sulla sua scuola 
sono ricadute le domande di tutte le famiglie che sono riuscite a ricongiungersi 
con i loro figli solo in estate. Le altre scuole li avrebbero rifiutati...
 Purtroppo accade spesso, troppo spesso. Conosco il caso di una scuola di 200 
alunni in cui sono arrivati in tre anni 150 alunni migranti. Cosa è successo? 
Che quella scuola ha chiuso i battenti. Sono cose che non dovrebbero accadere, 
anche perché una programmazione è possibile. Ma, soprattutto, bisognerebbe avere 
una cultura di sistema, che parta dal territorio innanzitutto. Dovrebbe esistere 
una rete reale e capace di parlarsi e organizzarsi. Non esisterebbero emergenze.
 
 Tra i soggetti che potrebbero fare rete e diffondere una cultura 
dell'interculturalità, però, ci sono anche le università. Cosa fate voi, come 
voce forte e competente?
 Noi diventiamo matti pur di fare qualcosa: e prima di tutto formiamo insegnanti. 
Li formiamo come possiamo, in modo gratuito. Con gli insegnanti interessati e 
che per venire a seguire i nostri corsi devono scappare di scuola, perché 
difficilmente vengono incentivati gli spazi di formazione. Ma lo facciamo, anche 
noi, in emergenza: nel mio Dipartimento il prossimo anno chiudiamo due corsi di 
laurea e mandiamo a spasso 300 studenti che ci avevano investito. Questa è la 
realtà. Dunque è ovvio che per fare buona integrazione e promuovere 
l'interculturalità sarebbero necessarie altre premesse.
   
      
 Il titolo significa poco... solo alcuni pensieri randagi. Da qualche giorno 
si sta ricordando il cinquantenario dell'assassinio di Kennedy. Ieri sera, una 
radio per ricordare quei tempi trasmetteva il brano che trovate in fondo. 
Ascoltavo quel pezzo, vecchio e stranoto, come se fosse la prima volta. Strade 
da percorrere all'infinito, una pace impossibile da trovare, morti, pianti e 
gente che non vuol vedere e non vuol sentire... Non soltanto una frontiera, un 
equilibrio da cercare, ma la storia, quasi didascalica, di quelle genti ospiti 
delle pagine di Mahalla. Senza essere un flamenco, senza essere balcanica, 
quella è una canzone rom. Credo che Bob non se ne sia reso conto, aveva 21 anni nel 1963... Ma, se un 
gagio con radici ebraiche, è stato capace di fare un manifesto generazionale di 
quella ricerca e di quel vagare, significa che la "condizione esistenziale" dei 
Rom e dei Sinti è qualcosa che anche noi possiamo intendere e sentire 
sulla nostra pelle. Sentirli, ogni tanto, quasi fossero vicini, forse fratelli 
(no, forse sto esagerando), con cui dividere un inno. E non alieni portatori di una cultura (ma cosa significa, cultura????) 
inconciliabile col nostro modo di vita. How many roads must a man walk downBefore you call him a man?
 Yes, 'n' how many seas must a white dove sail
 Before she sleeps in the sand?
 Yes, 'n' how many times must the cannon balls fly
 Before they're forever banned?
 The answer, my friend, is blowin' in the wind,
 The answer is blowin' in the wind.
 
 How many times must a man look up
 Before he can see the sky?
 Yes, 'n' how many ears must one man have
 Before he can hear people cry?
 Yes, 'n' how many deaths will it take till he knows
 That too many people have died?
 The answer, my friend, is blowin' in the wind,
 The answer is blowin' in the wind.
 
 How many years can a mountain exist
 Before it's washed to the sea?
 Yes, 'n' how many years can some people exist
 Before they're allowed to be free?
 Yes, 'n' how many times can a man turn his head,
 Pretending he just doesn't see?
 The answer, my friend, is blowin' in the wind,
 The answer is blowin' in the wind.
   
		
		
			Di Fabrizio  (del 24/11/2013 @ 09:04:28, in sport , visitato 2512 volte)
		 
      
 di Andrea De Benedetti, 22 novembre 2013 su
DONNEUROPA Quattro ragazze italiane e quattro rom, unite da una maglia, partita dopo 
partita. Un'associazione che in campo porta solidarietà e integrazione. Insieme 
sono uno sport, il calcio, quando sa essere il più bello del mondo
 
 C'è Sara, che pratica da anni ginnastica ritmica, ma non rinuncerebbe 
all'allenamento del giovedì per tutto l'oro del mondo. C'è Florina, che sa di 
essere bella e a volte fa un po' la leziosetta beccandosi gli implacabili 
cazziatoni del mister. Ci sono Lucrezia e Serena, che una volta alla settimana 
risalgono la corrente del traffico torinese da Sud a Nord per sudare e giocare 
con Adelina e Lavinia. Ci sono Alice e Arianna, che secondo Sara sono le più 
brave di tutte, o forse no, ma comunque sono quelle che tirano il gruppo. E c'è, 
anzi c'era, Ionela, che tirava certe legnate da far paura, ma adesso è andata ad 
abitare altrove e ha lasciato un vuoto grande così nel gruppo.
 
 Insieme si chiamano New Team, e non c'è squadra, in Italia, che possa dirsi più 
nuova di questa. Quattro ragazze rom e quattro italiane unite dalla stessa 
maglia, un esperimento di integrazione sociale e convivenza con il pallone nel 
ruolo che meglio gli si confà: quello di mediatore culturale. Perché il pallone, 
là dove c'è da far dialogare mondi, la sua parte la fa sempre: non c'è link 
sociale più efficace di un assist, non c'è modello di scambio culturale più 
perfetto di una triangolazione ben riuscita.
 
 Non che le otto ragazze abbiano ancora imparato a triangolare o a colpire la 
palla come dio comanda: "Dico la verità: per il momento sono un mezzo disastro", 
spiega Mister T, al secolo Timothy Donato, allenatore e presidente 
dell'associazione Nessuno Fuorigioco di cui la New Team è il progetto cardine: 
"è quasi un anno che cerco di insegnare loro a stoppare un pallone, e va già 
bene se adesso si ferma a sei metri. Però hanno entusiasmo da vendere e 
tantissima voglia di imparare e stare insieme: per noi è quello che conta".
 
 Il progetto è nato quasi due anni fa con la squadra maschile dei pulcini. Tutti 
rom dei campi nomadi di Lungo Stura e di via Germagnano, a Torino, le zone rosse 
di una marginalità sociale che i media si ostinano a declinare con le parole 
spaventate di sempre: emergenza, allarme, problema. Timothy e gli altri (Marina, 
Emanuele, Enrico, Sara) su quell'"emergenza" e su quel "problema" hanno 
costruito un'opportunità di integrazione ed emancipazione. L'idea iniziale era 
quella di allestire anche per i maschi una squadra mista, ma trovare famiglie 
italiane disposte a lasciare i propri figli in compagnia di pericolosissimi 
zingari, ancorché minuscoli, è stato più complicato del previsto.
 
 Paradossalmente è stato più facile mettere insieme la squadra delle ragazze, e 
anzi in quel caso le obiezioni principali non hanno avuto a che fare con il 
pregiudizio etnico ma con quello di genere: "Mia mamma all'inizio non voleva che 
giocassi a pallone", spiega Sara, l'unica delle quattro ragazze rom che vive in 
appartamento e non nel campo nomadi: "diceva che non è uno sport da bambine, che 
preferiva mi dedicassi a qualcos'altro: alla fine ha accettato, ma è stata 
dura".
 
 Fatta la squadra, il problema adesso è quello di trovare altre società con cui 
organizzare un campionato femminile di calcio a 5 under 20 all'interno della 
sezione Uisp torinese: finora hanno aderito in tre, ma la speranza è di 
allargare il bacino di squadre per dare un senso all'enorme lavoro del mister e 
dell'esercito di volontari che lo accompagnano. Anche se poi il senso vero di 
questo progetto non consiste nel vincere i campionati, ma nel mettere in 
comunicazione due mondi molto meno distanti di quanto non appaia: "All'inizio 
c'era un po' di diffidenza - precisa ancora Sara - ma adesso andiamo 
d'accordissimo: ci troviamo su Facebook, usciamo insieme, parliamo delle nostre 
cose, siamo andate persino due giorni insieme a Venezia".
 
 Amicizie autentiche, relazioni tra pari, normalità: il pallone rifugge la 
retorica e offre cose concrete. Tutt'altra cosa rispetto alla melassa buonista e 
velleitaria di altre esperienze analoghe fatte di sentimenti concessi in 
elemosina: "Il rischio era un po' questo -ammette Mister T - le ragazze italiane 
vengono tutte da esperienze con gli scout e avevo paura che fossero venute qui 
per fare la classica buona azione. Invece grazie a quest'esperienza hanno 
cambiato prospettiva rispetto all'idea del diverso. Ora il diverso non esiste 
più. Esistono le persone". Poco importa se quelle persone non sanno ancora 
stoppare un pallone. Prima o poi impareranno, forse.
   
		
		
			Di Fabrizio  (del 25/11/2013 @ 09:00:57, in Italia , visitato 2064 volte)
		 
      di Ernesto Rossi Sono passati pochi giorni dalla Giornata Mondiale dei Diritti dell'infanzia. 
Il Comune ha rischiato di ripetere l'impresa di Moioli-decorato: lei a 
celebrarla coi discorsi, lui con lo sgombero di Rubattino. Occasione persa. Ma 
lo sgombero rimane: in via Brunetti e Montefeltro si prepara quello di circa 
1500 rom romeni, metà bambini, che si sono lasciati 'accumulare' ...anzi, vi si 
è contribuito con tutti gli altri sgomberi diffusi sul territorio milanese di 
piccoli gruppi che venivano ad aggiungersi qui, non avendo dove rifugiarsi. Così 
ora si procede, con un unico intervento spettacolare. Una ripulitura generale 
della città, perché si presenti al meglio in vista dell'EXPO 2015. Ma dove andranno, visto che i posti in emergenza che sono stati predisposti 
(via Barzaghi, Lombroso, Novara) non sembrano superare le duecento unità? E 
perché, proprio adesso che arriva il gelo di 'Attila', mettere per la strada 
centinaia di persone senza riparo e di bambini? È 'l'Europa che ce lo chiede'? Non pare. A Natale del 2011 venne a Palazzo 
Marino il Signor Schokkenbrok, inviato appositamente dal Consiglio d'Europa. 
Incontrò a porte chiuse il Sindaco e gli assessori Granelli e Majorino: neppure 
un comunicato stampa, per una visita così importante, ma la materia era 
...delicata: si chiedeva al Comune di Milano di cessare gli sgomberi o comunque 
di adeguarli alle prescrizioni dell'UE: preavviso, assistenza, destinazione 
alternativa garantita.Sono anni che si parla di prevenzione. Per la salute, ma vale anche nel sociale. 
Costa meno, evita sofferenze. Serve a tutelare i Diritti fondamentali delle 
persone. Boh.
 Insomma, per tutte queste ragioni (!) lunedì mattina si sgombera. Manteniamo 
le tradizioni.  Sono nomadi? E noi li aiutiamo.   
      
Banda rock romanì da lezione di cultura a giovani rappers
the BOLTON News 7:40am Wednesday 20th November 2013 in NW
  KAL con il gruppo-laboratorio di Kamosi 
GIOVANI rapper di talento hanno azzeccato ogni nota dopo aver condiviso la 
ribalta nella con alcune superstar reali. 
I rocker romanì KAL questa settimana si sono uniti al gruppo Kamosi di Wigan 
sul palco del Leigh's Derby Rooms per un master class su musica, patrimonio e 
identità culturale. 
La band di Belgrado ha portato con sé un importante messaggio sul riconoscere 
l'identità romanì e combattere i pregiudizi. Dragan Ristic, front-man di Kal, ha 
detto: 
"Sono davvero impressionato dai giovani che abbiamo incontrato stasera. Vogliamo 
mostrare loro che possono esprimersi attraverso la musica. Può aiutare gli altri 
a capire cosa pensano e sentono... Vogliamo anche che continuino a celebrare la 
loro cultura. Sono venuti qui dall'Europa Orientale e si sono adattati ad un 
nuovo modo di vita, ma conservare il senso della loro identità per loro può 
essere un vantaggio. Abbiamo apprezzato molto lavorare con loro e il messaggio 
che abbiamo lasciato loro e di concentrarsi sulla loro istruzione e di lavorare 
duro. Così potranno davvero realizzare i loro sogni e fare quello che vogliono 
nella vita." 
I menestrelli serbi mescolano i suoni rom balcanici con una stupefacente varietà 
di stili, tra cui tango, musica mediorientale, turca e occidentale. 
Tano Udila, di 13 anni, della Westleigh High School, ha detto: "Per noi è 
un'opportunità fantastica di mostrare il nostro talento e parlare di chi siamo. 
Il rap che abbiamo composto è tutto sull'amore, perché sentiamo che è importante 
per tutti, di qualsiasi provenienza o cultura. La musica è un grande modo per 
far girare un messaggio e mi ha fatto anche comprendere il valore di un'idea 
sulla propria storia." 
L'evento è stato organizzato da Wigan Council's Voice and Engagement Service, 
Community Arts Northwest (CAN) e da Manchester's-own World Music DJ collective 
Satellite State Disko (SSD).   
		
		
			Di Sucar Drom  (del 27/11/2013 @ 09:07:28, in blog , visitato 1902 volte)
		 
      
Riparte la caccia alle streghe...Il caso greco di Maria sta facendo il giro del Mondo, innescando com'era 
prevedibile una caccia alle streghe contro le famiglie, appartenenti alle 
minoranze linguistiche sinte e rom. Lo stereotipo di rapitori di bambini è 
vecchio di secoli ma viene...
 
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