Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
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Richiediamo chiarezza. Di Rom si parla poco e male, anche quando il tema delle notizie non è "apertamente" razzista o pietista, le notizie sono piene di errori sui nomi e sulle località

La redazione
-

\\ Mahalla : VAI : Regole (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 

da U Velto

L'Autorità per l'energia e per il gas con Delibera 38/2012 ha sospeso la Delibera 67/2010 che abrogava la possibilità di stipulare contratti a forfait a favore delle famiglie sinte, rom, giostraie e circensi.

La Federazione Rom e Sinti Insieme è soddisfatta di una decisione che riconosce le argomentazioni e le richieste serie fatte in questi mesi per evidenziare la grave situazione vissuta da tante famiglie sinte, rom, giostraie e circensi.

Dal 9 febbraio 2012 è possibile stipulare contratti annuali a forfait in media e bassa tensione, sulla base della potenza richiesta e di una durata di utilizzo pari a 6 ore/giorno.

In queste ore abbiamo verificato che molti gestori, a partire dall'ENEL, non si sono ancora adeguati alle nuove disposizioni e per questo li invitiamo al rispetto della Delibera 38/2012. La Federazione ha attivato uno sportello segnalazioni (telefono 0376 360643, orario ufficio) che si occuperà di fornire le informazioni esatte ed eventualmente segnalare alla stessa Autorità i disservizi che si potessero creare nei prossimi giorni.

La Federazione è già impegnata nel redigere le osservazioni al Documento per la Consultazione deliberato dall'Autorità per l'energia e per il gas per affrontare in maniera seria e definitiva le problematiche rilevate nella Delibera 67/2010.

Ci preme ringraziare il Presidente dell'Autorità e tutto lo Staff della Direzione Tariffe, a partire dal Direttore, per la serietà con cui hanno affrontato la materia e per la loro la capacità di ascolto dimostrata in questi mesi.

Un ringraziamento anche all'Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale ed Etnica (UNAR), in particolare ringraziamo il Direttore Massimiliano Monnanni, e il Punto di contatto nazionale per la strategia nazionale rom e sinti per il supporto offerto alla Federazione Rom e Sinti Insieme.

Per contatti con la stampa
e-mail: sintirom.insieme@gmail.com - mobile: 345 6123932

 
Di Fabrizio (del 17/02/2012 @ 09:20:00, in Regole, visitato 1521 volte)

Convegno sulle politiche nazionali d'integrazione della comunità Rom
22 Febbraio 2011 ore 15.00
Fabbrica delle e
Corso Trapani 91
Torino

La sentenza di novembre 2011 ha dichiarato inesistente lo stato d'emergenza rispetto alla questione rom sollevata con il Piano Maroni nel 2008. Il decreto emanato dall'ex- Ministro dell'Interno prevedeva la realizzazione di progetti volti a controllare la presenza e l'esistenza dei Rom sui territori delle città italiane maggiormente colpite dal fenomeno: Milano, Roma e Napoli e subito dopo Torino e Venezia; censimenti, commissari speciali, campi con video sorveglianza le misure previste per ridurre il pericolo e dare sicurezza ai cittadini italiani all'alba delle elezioni.

Ora è il momento di porre la vera questione di emergenza per le comunità Rom.

Noi crediamo che sia l'inclusione sociale, sia ridare dignità a donne, bambini e uomini che vivono in campi nomadi senza servizi igienici, a rischio alluvione e senza i più diritti elementari. Vogliamo mettere insieme forze e idee per garantire lo studio ai bambini, per l'inclusione abitativa delle famiglie e per l'inserimento lavorativo degli adulti.

Abbiamo vissuto l'esperienza del Dado a Settimo, non solo una comunità di accoglienza, ma un più ampio percorso sociale.

Oggi, anche in seguito alla recente visita al Dado del Ministro Fornero, vogliamo confrontarci con le altre realtà, in particolare con le esperienze delle città oggetto del decreto per scambiare buone pratiche, con la politica locale e con la società civile, discutendo con chi vive con la comunità Rom tutti i giorni, siano essi insegnanti, operatori sociali o mediatori, per capire come andare avanti.

Dibattito moderano i giornalisti Gianluca Gobbi e Sara Strippoli
Quali proposte per il futuro?

Interverranno:
Antonio Ardolino, Progetto Controcampo e Cooperativa Berenice di Roma
Sergio Bontempelli di Africa Insieme di Pisa
Don Massimo Mapelli per Casa di Carità di Milano
Pietro Cingolani, FIERI
Arch. Guido Lagana Ex docente Politecnico Torino
Oliviero Alotto per Terra del Fuoco
Aldo Corgiat, Sindaco di Settimo Torinese
Elide Tisi, Comune di Torino

 

Giornalismi.info L'avvocato del ragazzo italiano: "rispetto per la vittima, ma va fatta giustizia, è competente il tribunale dei minori".
Hanno puntato il dito contro Rom, Slavi, Nomadi e "Zingari": ma l'arrestato e' italiano, come anche suo padre. Hanno detto che il ragazzo e' maggiorenne basandosi sull'approssimazione di un esame radiologico, ma il test del DNA e i certificati di nascita dicono il contrario. Quando la sete di giustizia si trasforma in voglia di vendetta e "caccia allo straniero". 18 febbraio 2012 - Carlo Gubitosa

(clicca per ingrandire)

Rom, rom di etnia sinti, zingaro, nomade di origine slava, slavo nato in Germania. Sul ragazzo recluso a San Vittore per l'omicidio del vigile urbano Nicolò Savarino è stato detto di tutto, ma ora sappiamo che Remi Nikolić è un cittadino italiano nato a Parigi il 15 maggio 1994, fratello di Gojko Jovanović (cittadino italiano nato ad Hamm, Germania), figlio di Snežana Nikolić (cittadina serba nata a Rašanac) e di Zoran Jovanović (che nonostante il suo nome straniero è un cittadino italiano nato a Busnago, nel cuore brianzolo della Padania).



Mentre la comunità Rom di Milano attende invano delle scuse per il trattamento da "caccia allo zingaro" riservatole dalla stampa quotidiana nel corso di questa vicenda, la procura di Milano sarà chiamata nelle prossime ore a misurarsi con questi dati, che oggi noi possiamo confermare in esclusiva dopo aver esaminato i documenti del nucleo familiare e Il test forense del DNA datato 10 febbraio 2012 che ne certifica gli effettivi legami di sangue.

Dati che sembrano consegnare alla cronaca un ulteriore dramma che si aggiunge al lutto della famiglia Savarino: la possibilità molto concreta che un ragazzo minorenne sia recluso in un carcere per adulti tra i più "duri" d'Italia, con la giustizia che si trasforma in vendetta negando quel supporto educativo, psicologico e assistenziale che la legge prevede anche per gli assassini, quando hanno meno di 18 anni.

Un pasticcio aggravato dalle false generalità fornite dal ragazzo, che attualmente è registrato a San Vittore con il nome del fratello ventiquattrenne Gojko, a cui si aggiunge l'ondata di sdegno che ha attraversato il paese in seguito all'omicidio Savarino, aumentando il "peso" sul tavolo del Gip dell'esame radiologico che attribuiva al ragazzo una età approssimativa di diciotto anni.

In assenza dei riscontri che oggi il test del DNA è in grado di fornire, la competenza del caso è stata quindi attribuita al tribunale ordinario, e sono serviti a poco il certificato di nascita rilasciato dalla quarta circoscrizione del comune di Parigi (dichiarato inammissibile in quanto prodotto in copia) e il documento d'identità rilasciato al ragazzo dal comune di Albignasego, che a sua volta aveva provveduto alle opportune verifiche con le autorità francesi.

(clicca per ingrandire)

Per confermare la competenza del tribunale dei minori sul caso del vigile ucciso a Milano, l'avvocato David Russo, che assiste il minore Remi Nikolić, ha richiesto e ottenuto che si procedesse ad un test del DNA per verificare gli effettivi legami di parentela tra le persone coinvolte nella vicenda. Dai risultati delle analisi forensi effettuate dalla sezione dipartimentale di Medicina Legale dell'Università degli studi di Milano, il ragazzo arrestato risulta figlio della signora Nikolić con una probabilità del 99,999% il che dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio che è proprio lui quel ragazzo nato a Parigi "domenica quindici maggio 1994, alle ore ventuno e trentacinque minuti, in rue D'Arcole n.2" e registrato dalle autorità francesi diciassette anni e nove mesi fa come figlio di Snežana Nikolić.

Anche il legame di paternità risulta confermato dalle analisi con valori che "consentono di ritenere i rapporti di maternità, paternità e genitura come praticamente provati".

Le prove sono state presentate nel corso dell'udienza che si e' svolta il 15 febbraio presso il tribunale del riesame di Milano, dove David Russo, l'avvocato del ragazzo, ha invocato ancora una volta la competenza del tribunale dei minori per questo caso.

"Siamo ben consapevoli che è stata stroncata una vita umana - ha dichiarato l'avvocato Russo - e non possiamo che essere vicini al dolore dei familiari. Ma quello che chiediamo è che venga fatta giustizia, e non possiamo condannare questo ragazzo se prima la giustizia non accerta chi è e quanti anni ha. E' prioritario effettuare questo accertamento - prosegue Russo - perché c'è il rischio che tutti gli atti processuali raccolti finora possano essere considerati nulli in quanto prodotti da un tribunale incompetente".

Analisi di maternita' e paternita' (clicca per ingrandire)

Ma il 17 febbraio il tribunale del riesame di Milano ha deciso: al collegio giudicante basta un semplice esame radiografico (e non una perizia legale) per determinare che quel ragazzo è maggiorenne con assoluta certezza, e valgono a poco certificati di nascita e test del DNA, di cui potete visionare degli estratti in questa pagina.

Le motivazioni di questa maggiore età "assegnata d'ufficio" sono piuttosto kafkiane. Di fronte a quell'unico esame radiografico, a detta dei giudici Martorelli, Taccone e Corte il dubbio sull'età del nomade "sfuma, ed appare evidentemente superfluo, foriero di inutili costi per la collettività".

E qui l'interpretazione si fa difficile: il dubbio sfuma o è superfluo? Perché se sfuma bisogna capire cosa lo fa sfumare, e quali documenti di prova lo fanno sfumare perfino di fronte ad un test del DNA eseguito dall'Università di Milano. Se invece il dubbio sembra superfluo, allora state violando i diritti di un minore perché il codice penale prevede che in caso di dubbio si facciano degli accertamenti affidando il soggetto al tribunale dei minori fino alla determinazione della sua età, e quindi il dubbio sarà superfluo per il collegio giudicante, ma è fondamentale per il codice penale.

Alle motivazioni incomprensibili si aggiungono quelle risibili: per il tribunale del riesame il ragazzo "in più occasioni, ha dichiarato date di nascita che ne attestano la maggiore età", e poco importa che poi sia stato indagato con l'accusa di false generalità.

Per il collegio giudicante i documenti prodotti dalla difesa si basano su "dichiarazioni di sedicenti parenti e testi", ma la parentela "sedicente" è in realtà biologica, visto che i giudici non hanno in alcun modo confutato il test del DNA eseguito dalla sezione dipartimentale di Medicina Legale dell'Università degli studi di Milano. Semplicemente non lo hanno preso in considerazione.

Inquietante poi l'affermazione in base alla quale sarebbero "costi inutili" quelli sostenuti dalla collettività per la tutela legale dei minori o dei "non certamente maggiorenni", anche quando sono assassini. Chi se ne frega se ha 17 anni e 9 mesi o 18? Lo buttiamo in galera, gettiamo la chiave e risparmiamo anche dei soldi.

Ma la vera motivazione di questa negazione dell'evidenza documentale sembra trasparire da un'altra frase del collegio giudicante, che attribuisce al ragazzo "assoluto spregio per la vita umana", e probabilmente è questa la ragione per cui "si merita" di stare a San Vittore, indipendentemente dalla sua età e da quello che prevede la legge per ragazzi della sua età.

Ma questo non è diritto, è vendetta. Una vendetta che a qualcuno potrà dare una forma di macabra soddisfazione, appagamento o sollievo, ma che di fatto aggiunge una nuova vittima a questa tragedia: lo stato di diritto. Se abbandoneremo la giustizia per passare al giustizialismo, all'elenco delle vittime di questo dramma umano, familiare, cittadino e sociale andrà aggiunta anche la nostra civiltà democratica, che si manifesta anche anche in quel rispetto della persona umana e dei suoi diritti riconosciuto dal codice penale e dalla costituzione anche ai criminali.

Se cederemo all'odio, alla vendetta e alle reazioni di pancia che portano alla negazione dell'evidenza documentale perfino quelli che indossano una toga, su quel maledetto asfalto non avremo perso solo la vita di un vigile, ma anche lo stato di diritto, che un tempo nel nostro paese veniva fatto valere anche per capimafia come Riina e Provenzano, senza processi sommari e con un puntiglioso esame delle carte. E questo nonostante l'"odiosità dei crimini commessi" e il più che assoluto disprezzo per la vita umana attribuito agli imputati.

Oggi questo stato di diritto sembra sospeso per questo ragazzo a cui le carte rifiutate dal tribunale attribuiscono 17 anni e 9 mesi, un ragazzo che possiamo odiare quanto ci pare in quanto assassino o presunto tale, ma che almeno in teoria non possiamo privare di quei diritti che lo stato riconosce "perfino" agli assassini minorenni, a meno di non voler sostituire il codice penale con l'"occhio per occhio".

E noi adulti non dovremmo essere migliori dei ragazzi a cui pretendiamo di insegnare la morale e la giustizia? Vogliamo davvero che l'omicidio che ha portato in galera questo ragazzo trascini a fondo anche noi, in un sonno della ragione che porta i tribunali ad azioni che negano la realtà documentale e il diritto penale? Cedere alla giustizia sommaria non è in fin dei conti una sconfitta per chi cede alla tentazione della barbarie e della vendetta? La giustizia chiara, limpida e cristallina al di sopra di ogni dubbio o sospetto sui diritti negati all'imputato non è anche un dovere di rispetto verso la famiglia della vittima?

Domande, queste, destinate a perdersi nei corridoi del palazzo di Giustizia di Milano, dove il ventennale di "Mani Pulite" verrà macchiato da una grave ingiustizia che nega elementi chiave di fatto e di diritto. Ma questa macchia la vedrà soltanto chi avrà la mente abbastanza aperta da capire la differenza tra la tolleranza verso un omicidio e l'intolleranza verso l'ingiustizia.

La famiglia di questo ragazzo se ne faccia una ragione: la civilissima Italia ha deciso che non merita gli stessi percorsi di recupero riconosciuti agli assassini minorenni, l'ha fatta troppo grossa, ha dato troppo scandalo. E' "maggiorenne ad honorem", perché Milano ha deciso che il Beccaria è un carcere troppo leggero per lui. Che rimanga pure a San Vittore.

La "caccia al Rom" sui media italiani

L'omicidio dell'agente di polizia municipale Nicolò Savarino e' stato arricchito nella cronaca da molti particolari "etnici", con la comunita' Rom di Milano nel mirino dei titoli di giornale.

"Vigile ucciso, è caccia a due slavi" (La Repubblica), "Incastrati dal cellulare: sarebbero due rom sinti" (Corriere della Sera), "I Rom finiscono sotto torchio" (Il Giornale), "Blitz nel campo rom ma gli assassini erano appena fuggiti" (Il Giornale), "Basta fare favori ai Rom" (Libero): E' stato questo il tenore dei titoli apparsi nei giorni immediatamente successivi all'uccisione del vigile.

A partire da questi titoli, l'ondata di intolleranza si e' propagata, con articoli a sostegno della pena di morte e vere e proprie istigazioni al linciaggio che hanno attraversato per giorni i blog e i social network.

Ma ora la cittadinanza italiana di Remi Nikolic, attualmente recluso a San Vittore, e' un dato consegnato alla cronaca, come le origini "padane" del padre Zoran Jovanović, che nonostante il suo nome straniero è un cittadino italiano nato a Busnago, nel cuore della Brianza.

Di fronte al trattamento riservato dalla stampa alla comunità rom in occasione dell'omicidio del vigile Savarino, c'e' chi ha chiesto ragione di quello che a posteriori appare come un "accanimento mediatico". Tra questi c'è Dijana Pavlovic, membro della "Consulta Rom" del Comune di Milano e vicepresidente della Federazione "Rom e Sinti Insieme", che ha stigmatizzato il ruolo giocato dai media e dalla politica in questa vicenda.

"E' l'ennesima volta che si strumentalizzano fatti di cronaca - afferma la Pavlovic - con vere e proprie istigazioni all'odio razziale che hanno portato a situazioni violente come quelle che si sono verificate a Torino. Sin da subito abbiamo invocato il rispetto della carta di Roma, chiedendo che la vicenda di Milano non venisse cavalcata politicamente e mediaticamente, ma questo e' avvenuto nonostante i nostri inviti".

Dopo essere stata trascinata suo malgrado sulle prime pagine dei giornali, la comunita' Rom di Milano adesso presenta il conto della disinformazione. "Di fronte alla provata falsita' di tutte le etichettature etniche dell'omicidio Savarino - ha dichiarato Dijana Pavlovic - valuteremo con l'Osservatorio sulla discriminazione la possibilita' di intraprendere opportune azioni legali a tutela della comunita' Rom di Milano".

Ndr. considerazioni del mese scorso:

 
Di Fabrizio (del 08/03/2012 @ 09:22:30, in Regole, visitato 3149 volte)



In un articolo firmato da Carlo Stasolla, ieri vi avevamo parlato della campagna di raccolta firme che l'Associazione 21 luglio ha lanciato contro lo sgomberto forzato e illegale dei cittadini romanì di Roma. Sotto, lo spot che spiega tutti i motivi dell'iniziativa, che ha due solide basi: la prima è il rispetto dei diritti umani e delle convenzioni internazionali; la seconda l'applicazione di una sentenza del Consiglio di Stato, che ha stabilito che il piano per l'Emergenza Rom è illegale, frutto di pura fantasia propagandistica.

Alla sentenza avrebbe dovuto immediatamente seguire la soppressione del Piano Nomadi del Comuni di Roma e dunque lo stop immediato agli sgomberi che, invece, procedono a gonfie vele spinti dal vento della propaganda più becera, razzista e populista.



L'appello lanciato dall'Associazione 21 Luglio ha in poche ore raccolto centinaia di firme. Tra gli altri, hanno appoggiato la campagna anche intellettuali ed artisti: Moni Ovadia, Erri De Luca (autore, tra l'altro, di un video-appello), Susanna Tamaro, Giorgio Parisi (fisico, premio Boltzmann), Alex Zanotelli, Valerio Mastandrea e Sabina Guzzanti. Anche il Teatro Valle Occupato ha aderito all'iniziativa.

Proprio in merito alla campagna dell'Associazione 21 luglio alcuni esponenti politici della maggioranza hanno pensato di dire la loro. Tra gli altri, spicca l'onorevole Fabrizio Santori (presidente della Commissione Sicurezza di Roma Capitale).

    "Prendiamo atto con il dovuto rispetto dell'appello lanciato dal mondo della cultura sottoscritto da molti intellettuali, anche non romani, che si sgolano lanciando anatemi contro gli sgomberi dei rom. E' dunque questa l'occasione per rompere finalmente le barriere ideologiche, per non chiudersi dietro frasi fatte e slogan già detti e trovare finalmente una soluzione al problema. Rilancio la proposta dell'albo della solidarietà. Chi vuole dare una casa e un lavoro ai rom si faccia avanti e si iscriva nell'albo che da mesi abbiamo proposto. Invece di gridare allo scandalo gli intellettuali passino ai fatti e offrano una fattiva collaborazione ospitando i rom nelle proprie case, seconde e terze abitazioni, e propongano eventuali offerte di lavoro. Chi invece ha ottenuto in via privilegiata una casa di enti a prezzi modici, la metta a disposizione dei bisognosi e ristabilisca così l'uguaglianza sociale che tanto propugna".

(clicca sull'immagine per ingrandirla ndr)

Poi Santori, evidentemente non soddisfatto, ha pensato bene di rincarare la dose:

    "La giunta Alemanno - ha affermato in una nota - è legittimata dal voto popolare a procedere con gli sgomberi e con l'allontanamento dal territorio dei nomadi che si accampano illegalmente in città. Invitiamo chi contesta questa volontà a lasciare il lusso delle proprie abitazioni e dei propri quartieri signorili, dei paesaggi incontaminati e dei celesti silenzi, per condividere con migliaia di romani quello che resta dei loro, di quartieri, in preda alle scorribande dei rom e al modo tipico della stragrande maggioranza dei nomadi di vivere nel degrado, nella sporcizia e nell'illegalità".

Ma come è possibile che si permetta a un amministratore pubblico di utilizzare un linguaggio così razzista e populista? E come è possibile che l'amministrazione comunale continui, dopo quasi 4 mesi, a ignorare una sentenza del Consiglio di Stato che vieta espressamente l'applicazione delle iniziative dell'Emergenza Rom?

Noi l'abbiamo domandato a Moni Ovadia, uno dei primi firmatari dell'Appello dell'Associazione 21 luglio. Moni Ovadia è attore, drammaturgo, scrittore, compositore e cantante tra i più impegnati del nostro Paese.



- Signor Ovadia, secondo il presidente della Commissione Sicurezza di Roma Capitale lei - insieme a tutti gli altri intellettuali - dovrebbe mettersi in casa i rom, anziché firmare petizioni contro gli sgomberi forzati...
- Guardi, non ho parole. Siamo a livello di "retrobar dello sport". Questo Santori dovrebbe dimettersi subito perché oltre a utilizzare un linguaggio offensivo non sa che il 75% dei rom sono cittadini italiani, e che gli altri sono comunque cittadini comunitari, in quanto tali titolari di dignità e diritti. Questi politici di destra, questi nostalgici del ventennio mussoliniano, lo dicano chiaramente se alla Costituzione italiana preferiscono la legislazione nazista, o quella fascista. Cosa vogliono fare dei rom? Bruciarli vivi?

- Lei è ebreo, ha narrato più volte lo sterminio e conosce lo stigma, la discriminazione...
- Facevano così anche con noi ebrei: ci sgomberavano da un luogo all'altro prima di mandarci nei campi di sterminio. Ora i politici fanno i carini e i simpatici con noi per aggraziarsi gli Stati Uniti e Israele: chissà se questo Santori direbbe le cose che ha detto dei rom anche di un ebreo: chissà se avrebbe il coraggio di dirmi "sporco ebreo". Per i romanì invece si permette di farlo perché sa che il populismo in Italia paga, anche in termini di consenso elettorale. Ma guardi, personalmente ho firmato quell'appello ritenendolo un dovere morale. Noi auspichiamo soluzioni serie, umane, dignitose, non facciamo propaganda.

- Anche perché gli sgomberi dei rom a Roma sono costati 6 milioni di euro.
- Con quel denaro avrebbero potuto risolvere seriemente il problema dell'emergenza abitativa. Ma le dico anche altro: il prossimo anno a Roma si eleggerà il nuovo sindaco e sicuramente assisteremo ad altre dichiarazioni come quella di Santori.

- Nella sua orchestra suonano musicisti rom...
- Non solo: io ospito abitualmente i miei musicisti a casa, come ha suggerito il presidente della Commissione Sicurezza. I miei musicisti sono rom rumeni, sono artisti eccezionali. Mi permetta di consigliare a Santori un libro: si intitola "Rom Genti Libere", l'ha scritto il mio amico Santino Spinelli, docente universitario, intellettuale e rom.

 
Di Fabrizio (del 13/03/2012 @ 09:09:01, in Regole, visitato 1694 volte)

Segnalazione di Agostino Rota Martir

E-IL MENSILE online 8 marzo 2012 - Antonella De Vito

Ibadet Dibrani è una giovane donna rom molta coraggiosa. Un coraggio che in questo momento le nasce dalla disperazione, ma che le conferisce comunque la caratteristica di una donna forte e combattiva, non disponibile ad arrendersi alla logica e al potere di un'amministrazione comunale che da una parte dà e dall'altra toglie sulla base di logiche e principi che lasciano molti dubbi. Oggi Ibadet ha 34 anni e con i suoi 5 figli, la cui più piccola ha solo 9 mesi, è stata sfrattata dalla casa dove viveva da oltre un anno. Da una piccola e vecchia roulotte sistemata a pochi metri dall'abitazione, senza vestiti per potersi cambiare e con poche coperte per tutti i bambini, continua a chiedersi perché ce l'hanno proprio con lei. "È la prima volta che qualcuno della nostra etnia, arriva fino alla Corte d'Assise" spiega Ibadet. I suoi figli, tutti minorenni, sono Belen di 9 mesi, Corona di due anni e mezzo, Merema di 12 anni, Ekrem di 13 e Toni di 15. Tutta la famiglia raggiunge gli onori delle cronache nel 2010 quando ad appena due mesi dal matrimonio, la moglie di suo figlio Toni decide di rompere l'unione accusando il marito e tutta la sua famiglia, di averla rapita, violentata e trattata da schiava. I giornali locali si gettano sulla storia battezzando il caso come "la sposa bambina" dividendo subito i protagonisti della vicenda fra buoni e cattivi. Toni ha 15 anni e così sua moglie, anche se sugli organi d'informazione alla sposa, per essere ancora più bambina, attribuiscono 13 anni, e le fanno indossare le vesti della giovane eroina, che denunciando i suoi aguzzini infonde il coraggio per ribellarsi, ad altre coetanee nelle sue condizioni. Questa la storia letta sulla stampa.

Diversa è invece la vicenda raccontata dai protagonisti che incontriamo al campo di Coltano in provincia di Pisa dove la famiglia Dibrani vive. A parlare è Ibadet, che stanca di subire i pregiudizi, le sentenze e i provvedimenti amministrativi che l'hanno gettata fuori di casa con i suoi figli, decide di raccontare la sua storia a chi ha voglia di ascoltarla.

"Accetterò la decisione del magistrato -ci dice Ibadet- e se riterrà che la nostra famiglia è colpevole lascerò spontaneamente la casa che mi ha assegnato la Società della Salute di Pisa. Ma fino a quel momento ho dei diritti, e desidero difendere la mia famiglia dalle tante ingiuste bugie che sono state dette. La prima è quella di aver dato alla moglie di mio figlio 13 anni, quando in realtà ne hanno entrambi 15, fra loro vi sono solo due mesi di differenza. Per il nostro popolo sposarsi giovani è una tradizione. Dopo il matrimonio di mio figlio ci sono state tante altre unioni di questo tipo nel territorio pisano e italiano, ma nessuno se n'è interessato: perché allora ce l'hanno solo con noi? Perché il comune di Pisa ha dato ascolto, fin dall'inizio solo ad una versione dei fatti? Perché non aspetta che sia il Tribunale ad esprimersi? Perché non rispetta la Costituzione Italiana, dove si dice che la responsabilità penale è sempre individuale e che non può ricadere mai sui minori?".

Il matrimonio di Toni è stato, secondo tradizione rom, accordato fra le due famiglie, dopo che i due giovani si erano conosciuti. Infatti i genitori si sono incontrati due volte in Kosovo, stabilendo la dote e festeggiando con una grande festa, prima con i genitori della sposa in Kosovo e poi a Coltano con gli altri parenti e amici del campo. Dopo la denuncia della ragazza sono stati arrestati Ibadet, suo marito Riza di 35 anni, il figlio Toni, i nonni, lo zio e la zia dello sposo. "Mio figlio -continua Ibadet- ha fatto sei mesi di carcere dove è stato anche picchiato dal suo compagno di cella. Io sono stata la prima ad uscire dopo 26 giorni perché ero incinta, poi mia suocera e successivamente mio suocero e gli zii di mio figlio". In carcere a Prato resta il marito in attesa di giudizio, che dovrebbe arrivare dopo il processo iniziato in questi giorni e che non è prevedibile sapere quanto durerà.



In questo periodo sembrano essere emerse varie contraddizioni nell'accusa e nel racconto della 'sposa bambina', mentre sono state raccolte prove a favore della famiglia di Ibadet: nel frattempo la Società della Salute dell'area pisana ha revocato la concessione amministrativa con la quale aveva assegnato la casa ai Dibrani e ad altre 13 famiglie Rom, all'interno del progetto chiamato "Città sottili". Secondo la Società della Salute, la famiglia di Ibadet non ha rispettato i patti, infrangendo le leggi. "Non abbiamo commesso nessun reato. Dopo il matrimonio in Kosovo, siamo tornati in Italia e l'abbiamo trattata come una regina, non le abbiamo mai fatto del male. Non capisco perché non posso entrare nella mia casa -continua-. Io al momento sono solo un'imputata ed ho diritto a tre gradi di giudizio. Il Comune ci ha condannati prima del giudice e ci ha buttato fuori di casa, senza darmi il tempo di prendere le mie cose. Adesso tramite l'avvocato dovrò fare la richiesta per poter riavere almeno i vestiti per me e i miei figli".

Ma come si può togliere la casa a dei bambini, nel periodo più freddo dell'anno? Che colpe hanno loro in tutta questa storia? Il Comune di Pisa ha la risposta pronta, ed ha invitato Ibadet ad andare a Pontedera dai suoi suoceri, affermando che hanno una grande casa, ma non dicendo che vi abitano già molte persone, e non c'è certo lo spazio sufficiente per la famiglia Dibrani. Ma il Comune è anche disposto a prendersi cura dei bambini di Ibadet, togliendoli alle cure e all'affetto della madre, usando un metodo molto discutibile e criticato anche da diversi assistenti sociali e pedagogisti, che non credono assolutamente che disgregare una famiglia, allontanando i figli dall'affetto dei genitori, sia una procedura positiva e corretta. Il legame affettivo fra questi bambini e Ibadet è molto forte, proprio come quello delle madri italiane con i loro figli, l'essere rom non vuol dire trascurare i bambini, tutt'altro. Basterebbe entrare in un campo per rendersene conto. Ed i bambini Rom reagiscono come tutti i bambini italiani, perché non sono diversi da loro: "La scorsa notte -ci spiega Ibadet- Corona che ha due anni e mezzo ha pianto fino alle due di notte perché voleva il suo cuscino rimasto dentro casa, voleva andare nel suo letto, abbiamo pianto insieme perché non sapevo cosa dirgli". Possiamo immaginare quale trauma sarebbe per lui essere separato anche dalla madre.



Dopo che Ibadet ha rifiutato di andare a Pontedera e di lasciare il figli alle cure del Comune, pare che neanche la piccola e vecchia roulotte sistemata nel campo possa rispettare le regole. Idadet non può continuare a stare sul territorio del Comune di Pisa, perché le sue condizioni sono definite "precarie" e quindi deve andarsene. Secondo l'amministrazione, Ibadet adesso può raggiungere i suoceri a Pontedera o i genitori in Belgio, ed il Comune è anche disposto a pagare il viaggio, naturalmente di sola andata, a lei e alla famiglia poiché - questo è stato messo in chiaro - anche se Ibadet e la sua famiglia saranno assolti, non riavranno la casa. Non importa se non potrà essere presente al processo, non importa se i figli che hanno iniziato un percorso scolastico dovranno cambiare compagni, non importa se i più piccoli, che hanno già vissuto lo sfratto dalla casa come un episodio traumatico, dovranno subire anche l'allontanamento dal campo dove sono nati e la separazione dalle persone che hanno conosciuto fin dalla nascita. L'unica cosa che conta per l'amministrazione è che Ibadet vada fuori dal territorio del comune.

Quello dei Rom è uno dei popoli più discriminati della storia dell'umanità, il loro avere solo una tradizione orale li mette ai margini della società, di loro nessuno ricorda o forse neanche conosce, le numerose persecuzioni che possiamo far risalire a molti secoli fa, passando dai lager nazisti, fino alle più recenti guerre balcaniche. Anche Ibaded è scappata allo scoppio del conflitto in Kosovo risparmiandosi le violenze che questa etnia ha dovuto subire fino al culmine delle atrocità compiute nel '99 da Milosevic con le sue operazioni di pulizia etnica.

Alla discriminazione si aggiunge discriminazione. E' Ibadet stessa che racconta: "Dopo le notizie pubblicate dai giornali locali non potevamo più salire sull'autobus che la gente ci sputava; una donna rom del campo è stata aggredita verbalmente; un medico si è rifiutato di visitarmi quando ero incinta. Perché mi hanno condannato prima del giudice senza ascoltare quello che avevo da dire? Perché gli operatori del comune che ci frequentavano, se ne stanno zitti?".

 
Di Fabrizio (del 26/03/2012 @ 09:47:21, in Regole, visitato 1667 volte)

22 marzo 2012 - L'azienda pubblica Atac e l'Unar hanno sottoscritto un accordo contro razzismo sui bus.

Autisti e personale di bordo dei mezzi pubblici romani si formeranno per prevenire e contrastare fenomeni di discriminazione etniche e razziali.

È quanto prevede l'accordo sottoscritto a Roma, in occasione della Giornata contro il razzismo, dall'azienda Atac e dall'Unar, l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali.

Il protocollo è stato firmato dal direttore dell'Unar, Massimiliano Monnanni, dall'assessore alla Mobilità di Roma Capitale, Antonello Aurigemma, e dall'Ad di Atac, Carlo Tosti. L'accordo, in particolare, è destinato al personale dei mezzi e mira a formare autisti e dipendenti alla prevenzione ed al contrasto delle discriminazioni etniche e razziali che si potrebbero verificare sui mezzi dell'Atac.

"Questo protocollo – ha spiegato Monnanni – impone le parti a forme di coordinamento operativo sul tema delle discriminazioni, promuove attività formative per gli operatori di front line dell'azienda, come gli autisti di tram ed autobus o gli addetti dei capolinea, e spinge all'organizzazione di convegni e seminari comuni sull'argomento".

(Red.)

 
Di Fabrizio (del 28/03/2012 @ 09:16:07, in Regole, visitato 1622 volte)

StranieriinItalia SABATO 24 MARZO 2012

Decisione opposta a quella presa a Modena

Milano, 24 marzo 2012 - Dejan Lazic è un rom nato in Italia ma per il giudice di pace di Milano deve restare nel Cie di via Corelli.

Si tratta di una decisione opposta a quella presa ieri a Modena dove erano stati liberati due fratelli bosniaci perchè nati nel nostro paese.

Lazic è nato a Moncallieri 24 anni fa. Ha sempre vissuto in Italia, ha frequentato la scuola elementare (anche se non l'ha mai terminata). Non ha chiesto la cittadinanza al compimento del 18 anno perché non sapeva di doverlo fare. È uno zingaro che vive alla giornata, di espedienti. Ha anche dei precedenti penali per piccoli furti. Nella stessa situazione sono anche i suoi familiari. È stato portato a Corelli perché gli hanno notificato un provvedimento di espulsione all'uscita del carcere (dove è stato detenuto 5 mesi per scontare un vecchio procedimento definitivo).

Nel provvedimento prefettizio è stato scritto, su una sua presunta dichiarazione, che si sarebbe sottratto ai controlli di frontiera facendo ingresso in Italia nel 2005, senza poi richiedere il permesso di soggiorno. Dejan Lazic è del tutto analfabeta. Davanti al giudice ha negato di aver fatto tale dichiarazione.

Gli avvocati Eugenio Losco e Mauro Straini affermano di avere i documenti relativi alla sua storia e di voler preparare al più presto ricorso avverso l'espulsione avanti al giudice di pace di Milano.

 
Di Fabrizio (del 04/04/2012 @ 09:19:37, in Regole, visitato 1781 volte)

Da Roma_ex_Yugoslavia

Muscatine Journal

31/03/2012 - Mercoledì 7 marzo, l'attivista rom bosniaco e fotografo Dervo Sejdic ha posato per una foto durante l'intervista con l'Associated Press di Sarajevo. Dervo Sejdic non ha mai voluto essere presidente. Ma irritato perché gli era impedito di concorrervi in quanto zingaro, ha deciso di battersi per i propri diritti "per una questione di principio". Sejdic ha chiesto di correre per la presidenza durante le elezioni del 2005, ma è stato seccamente respinto dalla commissione elettorale, in quanto non è "Bosniaco, Croato o Serbo". Appellatosi alla corte costituzionale, ricevette un rifiuto simile. (AP Photo/Amel Emric)

[...] Jakob Finci è ambasciatore bosniaco in Finlandia e ha detenuto diversi incarichi per il governo. Ma non può partecipare perché Ebreo.

Tutti e due hanno citato la Bosnia di fronte alla Corte Europea per i Diritti Umani, per obbligare la nazione a cambiare la sua costituzione, che permette solo ai Bosniaci musulmani, ai Serbi ortodossi ed ai Croati cattolici di correre per la presidenza o per la camera alta del Parlamento.

La Carta venne redatta a Dayton, Ohio, dai negoziatori di pace nella corsa per fermare la guerra di Bosnia 1992-95 che opponeva i tre principali gruppi etnici uno contro l'altro. Per cercare di fermare i combattimenti, i negoziatori dovettero elaborare un complicato accordo che escludeva le minoranze.

La costituzione cristallizzò la nazione in due ministati - uno per i Serbi e l'altro condiviso da Bosgnacchi e Croati - uniti da un governo centrale. Vennero stabiliti tre presidenti, uno per ognuno dei maggiori gruppi etnici.

Nessuno prestò molta attenzione quando nel 2009 Sejdic e Finci vinsero il processo. Ma quando l'anno scorso la UE ha dichiarato che applicare quella sentenza era "una delle precondizioni per richiedere l'adesione alla UE" i leader di Bosnia sono stati obbligati a tenerne conto e da allora la notizia è al centro del dibattito nazionale.

Nonostante gli sforzi frenetici per trovare una soluzione e salvare l'offerta di unire la nazione alla UE, è scaduto il mese scorso un altro termine fissato dalla corte per i diritti umani, senza che il verdetto fosse attuato. Le controparti, dice Sejdic, rimangono "a chilometri di distanza le une dalle altre."

I Serbi si oppongono con veemenza ad una significativa modifica della costituzione, perché temono che diluisca l'autonomia del loro ministato.

I Bosniaci intendono cambiare la costituzione per consentire alle minoranze di concorrere alle alte cariche, sperando che così si producano riforme che rimpiazzino il sistema condiviso con una democrazia unificata.

Anche i Croati chiedono cambiamenti, ma nella direzione opposta: un sistema condiviso più forte che dia loro più poteri, anche se tra i tre i Croati sono il gruppo più piccolo.

[... Ricorda Sejdic:] "Mi è stato letteralmente risposto che prima dovevo cambiare la costituzione e poi riprovare. Sino allora, i Rom non saranno una -categoria costituzionale-".

Questo è ciò che nel 2009 innestò la causa alla Corte Europea per i Diritti Umani. Ben presto venne informato che un altro bosniaco, Finci, aveva intentato una causa simile. Il tribunale di Strasburgo, in Francia, combinò le due cause passandolo in giudizio l'anno stesso.

Sejdic e Finci divennero eroi per i componenti delle 17 minoranze di Bosnia, come pure dei figli di matrimoni misti, che lamentavano di essere stati discriminati per due decenni, nel prendere parte all'elezione per la presidenza o la camera alta.

Per i politici, sono un mal di testa che non passa.

Non solo devono pensare agli interessi dei rispettivi gruppi etnici, ma anche alla complessa logica che sta dietro alla sentenza del tribunale di Strasburgo.

Si dovrebbe aggiungere un ulteriore presidente di minoranza ai tre inefficaci e costosi già esistenti? O dovrebbe esserci un solo presidente, eletto direttamente dai votanti di entrambe i ministati, un passo verso l'unificazione tanto temuta dai Serbi?

"Vedi, il diavolo è nei dettagli," dice Krstan Simic, il membro serbo della commissione parlamentare incaricata di trovare una soluzione.

Se la Bosnia non troverà il modo di risolvere il problema entro le prossime elezioni nel 2014, potrebbe essere espulsa da Consiglio d'Europa, un ulteriore battuta d'arresto delle sue prospettive UE.

Nel frattempo, Sejdic continua a spingere. "Amo la Bosnia," dice. "Per questo l'ho citata in giudizio."

 Nel 2010 ha fatto un'altra causa, perché la sentenza del 2009 non era stata raccolta. Ma questa volta ha chiesto un risarcimento: "Quattro anni di mancati introiti presidenziali", circa 125.000 euro (160.000 dinari).

Se non gli fosse permesso di concorrere alle elezioni del 2014, chiederà un ulteriore risarcimento pewr altri quattro anni di mandato presidenziale.

"Posso andare avanti per tutta la vita".

 
Di Fabrizio (del 06/04/2012 @ 09:20:36, in Regole, visitato 1373 volte)

VITA di Gabriella Meroni - 04 aprile 2012

Il governo attuale difende le decisioni del precedente sull'emergenza rom. E l'Asgi si chiede perché

L'Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione) esprime "sconcerto e perplessità" per la scelta del governo Monti di impugnare davanti alla Corte di Cassazione la sentenza del Consiglio di Stato che, con riguardo ai decreti sull'emergenza nomadi emanati dal Governo Berlusconi nel maggio 2008, aveva negato che esistessero i presupposti legali per la dichiarazione dello stato di emergenza.

La sentenza del massimo giudice amministrativo, che risale al novembre scorso, "seguiva quella del Tar del Lazio del 2009 - ricorda l'Asgi - che, pur riconoscendo invece la legittimità della proclamazione dell'emergenza, aveva comunque censurato l'operato del governo che aveva imposto il "censimento" etnico e che aveva regolamentato impropriamente i cosiddetti campi nomadi di Roma". L'Asgi chiede dunque che il Governo Monti desista dall'azione giudiziaria intrapresa, "così dimostrando di discostarsi dalla politica discriminatoria del precedente esecutivo e riconoscendo piena dignità alle popolazioni rom e sinte".

 
Di Fabrizio (del 09/04/2012 @ 09:33:22, in Regole, visitato 1476 volte)

(foto Keystone) Corriere del Ticino AI: vietato discriminare gli zingari
Secondo il TF bisogna tenere conto del loro particolare modo di vita 5.04.2012 - 12:01 ats

LOSANNA - Gli zingari non devono essere discriminati nei riguardi dell'assicurazione invalidità (AI): il Tribunale federale (TF) ha accolto il ricorso di una donna a cui è stata rifiutata una rendita, col motivo che i suoi problemi di salute non le impediscono di svolgere un'attività sedentaria.

La donna, appartenente alla comunità svizzera degli zingari, vive nella regione di Ginevra nei mesi invernali e si sposta il resto dell'anno in Francia, Germania e nella Svizzera tedesca. Dopo essere stata impiegata dall'impresa del marito rigattiere, dal 2006 non è più in grado di lavorare a causa di una lombalgia cronica. Le autorità ginevrine le avevano tuttavia negato una rendita AI.

La valutazione del grado d'invalidità - rilevano i giudici federali - deve tener conto del modo di vita degli zingari. Nel loro caso, i dati statistici sui quali è basato il calcolo del reddito che la persona potrebbe conseguire non sono adeguati.

Per aver omesso di tener conto dell'itineranza della donna, il rifiuto opposto dalle autorità ginevrine è contrario al divieto di qualsiasi discriminazione, diretta o indiretta, previsto dalla Costituzione federale e agli impegni, relativi alla protezione delle minoranze, sottoscritti dalla Svizzera sul piano internazionale, sentenzia la Corte suprema.

 
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