Di Fabrizio (del 25/11/2011 @ 09:01:33, in Regole, visitato 2511 volte)
E' passata un settimana da quando il Consiglio di Stato ha dichiarato
illegittimo il
Piano Emergenza Nomadi. Accanto alla giusta soddisfazione di quanti in
questi anni l'hanno contrastato perché antidemocratico ed incostituzionale,
registro reazioni diverse e contrastanti su quello che potrà succedere da ora in
avanti.
VEDIAMO DI CAPIRE COSA POTRA' SUCCEDERE
La destra più becera (e non è una novità) ha immediatamente coniugato
la notizia con un
attacco alla sinistra. Se questi sono i loro ragionamenti, non posso che
essere felice, perché se leggete la risposta che ho lasciato
loro, questi dopo due anni non hanno ancora capito di cosa scrivono, o
peggio mentono sapendo di mentire.
Ma... la sinistra cosa dice? Se scorro quest'articolo
del Corriere, al solito dice tutto ed il suo esatto contrario. Leggendo
tutto, sono presenti anche le altre reazioni: da quella del duo Salvini-De
Corato a quella di segno opposto della Consulta Rom milanese. Ma la parte più
interessante è nel titolo: il rischio è che non ci siano più soldi per gli
sgomberi! (povero Granelli...) Solo alla fine dell'articolo, il
grande giornale nazionale, in un sussulto di obiettività, fa presente che
parimenti mancheranno anche i fondi per quei Sinti e Rom che avevano scelto un
percorso di superamento del campo. Insomma: la logica
desolante è che per l'informazione il Rom è "notiziabile" se sgomberato, ma se
volesse autosgomberarsi non lo è più tanto.
E' o non è un'emergenza anche quella?
Il concetto rispunta (apparentemente simile) in un polemico articolo
di
Tempi (rivista che mi risulta vicina a CL). La tesi è che i fondi stanziati
sarebbero serviti ANCHE a migliorare le condizioni di vita di chi abita nei
campi nomadi. MI PERMETTO UNA CONSTATAZIONE: nei due anni in cui è rimasto in
vigore il Piano Emergenza Nomadi, la situazione è rimasta grossomodo lo stessa.
E MI PERMETTO UN DUBBIO (da quel malfidente che sono): non sarà che la vera
preoccupazione sia il taglio dei finanziamenti al solito privato sociale,
piuttosto che le condizioni di vita dei poveri Rom e Sinti?
Il dubbio mi nasce da un
comunicato dell'AIZO, storica associazione di "tutela" dei Rom e dei Sinti,
che aveva appena ottenuto un
cospicuo finanziamento dal comune di Torino per la gestione di alcuni campi
cittadini. Ora che il Consiglio di Stato si è espresso, c'è il timore che anche
quei finanziamenti siano a rischio, così leggo su quel comunicato: "Dopo
tanto lavoro, ora, con questa sentenza, si rischia di tornare indietro di 20
anni, con il sorgere di campi abusivi in ogni angolo delle periferie, dove
sporcizia e degrado regnano sovrani" che, guardacaso, è esattamente la tesi
espressa dal nostro ex sceriffo De Corato.
In realtà, il discorso è + complesso ed inizia un
paio di anni fa. Una famiglia allargata intende sfruttare il Piano Maroni (13
milioni di euro a disposizione x Milano). Alcuni di loro hanno qui in città un
contratto di lavoro a tempo indeterminato, quindi possono aprire un mutuo x
acquistare una cascina diroccata in Lomellina. Nel loro campo vivono su un
terreno di proprietà comunale da circa 20 anni, ed in questo tempo hanno speso i
loro soldi per costruirsi un riparo che sia più decente della roulotte con cui
arrivarono. La cascina è da ristrutturare, le loro abitazioni + che dignitose, e
lasciarle sarebbe una perdita secca. Sino qua, i soldi arrivano tutti da loro.
Quindi approfittano del Piano Maroni, gestito dalla maggioranza Moratti-De
Corato (non da Pisapia), per farsi finanziare la ristrutturazione e rendere la
cascina abitabile (attualmente non ne avrebbe i requisiti). I soldi sono gli
8.000 euro a 40 Rom (non 40 famiglie!), promessi sempre dal duo Moratti-De
Corato, verranno sbloccati solo con l'avvento di Pisapia (che tecnicamente, si
limita a mantenere un impegno assunto dalla giunta precedente). La partita di
giro prevista dal piano prevede che il comune affidi i soldi al gestore del
campo (Casa della Carità) che li investe in cambio della presentazione del piano
di spesa.
Nel frattempo, i lavori di ristrutturazione sono partiti solo quest'anno, e le
famiglie sono tuttora al campo.
Giudicate voi
"Ogni volta che mi sgomberavano dai campi ero molto dispiaciuto... perché
non pensavo che era un campo, pensavo che era la mia casa. Era il mio posto che
adoravo, dove arrivavo la sera e mi mettevo al caldo... nella casa, nella
baracca".
Marius ha 16 anni. È arrivato in Italia oltre un anno fa ed è stato sgomberato
già otto volte. Il suo sogno era di "andare avanti", di lavorare, di "essere un
ragazzo molto, molto bravo". Ma per lui non è facile.
Nemmeno per Giuseppe, italiano di etnia rom che ha vissuto per oltre 20 anni in
un campo autorizzato a via Idro, è semplice. È venuto sapere che le autorità di
Milano vogliono ridurre il numero di abitanti del campo e trasformarlo in un
"campo di transito". Né lui né la sua famiglia sono stati consultati su questo
piano e temono di dover andar via senza un'alternativa adeguata.
Da un po' di tempo si sente sempre più indesiderato nella sua città natale,
Milano.
In questa città, le autorità da decenni attuano politiche che sembrano
considerare i campi l'unica soluzione abitativa per le persone rom,
disinteressandosi inoltre del fatto che queste persone vivano in container
sovraffollati, con sistemi fognari vecchi e infestati dai topi. Ma negli ultimi
anni, la loro situazione è addirittura peggiorata.
L'"emergenza nomadi", dichiarata dal governo italiano nel 2008, ha permesso alle
autorità di Milano di sgomberare forzatamente dai campi non autorizzati
tantissime famiglie. Le conseguenze sono state devastanti, soprattutto per
centinaia di bambine e bambini rom, la cui frequenza scolastica è stata
interrotta.
Anche i campi autorizzati sono stati presi di mira. Una nuova normativa
fortemente discriminatoria ha permesso di programmare la chiusura di quasi tutti
i campi autorizzati in cui risiedono i rom, anche per consentire l'esecuzione di
progetti connessi all'Expo, che si terrà a Milano nel 2015. I progetti
infrastrutturali per questo evento internazionale hanno già portato alla
chiusura di due campi autorizzati.
Per Amnesty International, dichiarare uno stato di emergenza su basi infondate
nei confronti di una minoranza etnica e mantenerlo per tre anni e mezzo è stato
uno scandalo!
L'"emergenza nomadi", illegale e discriminatoria in base al diritto
internazionale, non avrebbe dovuto mai essere dichiarata. E adesso che anche il
Consiglio di stato, il più alto organo amministrativo del nostro paese, ha
dichiarato la sua illegittimità, occorre un'inversione di rotta!
Il governo Monti deve porre i diritti umani in cima alla sua agenda, fornendo
rimedi alle persone colpite da sgomberi forzati e da altre violazioni dei
diritti umani.
Le nuove autorità di Milano devono immediatamente fermare tutti gli sgomberi
forzati, mettere a disposizione di tutte le persone sgomberate che non sono in
grado di provvedere a se stesse ripari di emergenza, sospendere e rivedere i
piani per la chiusura dei campi autorizzati e assicurare che rispettino in pieno
gli standard internazionali sui diritti umani.
È il momento di un cambiamento reale per le donne, i bambini e gli uomini rom di
Milano!
Di Fabrizio (del 02/12/2011 @ 09:41:57, in Regole, visitato 1667 volte)
Segnalazione di Elvis Asti. Mi immagino le facce nella redazionema già godo
a leggere i commenti. Ricordate che è lo stesso "giornale" che da spazio a
queste notizie...
Furono sgomberati da Maroni Ora i rom chiedono i danni Milano, caos nelle baraccopoli. Dopo la sentenza del Consiglio di Stato,
centinaia di nomadi sono pronti ad azioni legali
I rom sono pronti a chiedere i danni per gli sgomberi e le espulsioni subite
all'interno dei campi regolari negli ultimi tre anni. È il primo effetto
collaterale della sentenza del consiglio di Stato che ha azzerato il piano
nomadi dell'ex ministro Maroni: i giudici hanno dichiarato «illegittimi» gli
atti firmati dal prefetto Gian Valerio Lombardi in qualità di commissario e
demolito il concetto stesso di emergenza. «La presenza di seimila rom a Milano
non giustificava norme straordinarie».
A cascata, diventa carta straccia anche il regolamento approvato in era-Moratti
per garantire la sicurezza delle aree attrezzate. Il principio messo nero su
bianco: fuori dai campi chi ha precedenti, chi delinque, chi ospita amici e
parenti fuori dagli orari dell'area attrezzata. Decine di nomadi - seguendo alla
lettera le nuove norme - sono stati cacciati dagli insediamenti per mettere in
pratica l'agognato «alleggerimento dei campi». il verbo del consiglio di Stato,
però, sbianchetta tutto. «Chi ha subito un danno ora potrà rivalersi verso le
istituzioni» dice Alberto Guariso, uno degli avvocati che ha seguito la
battaglia giudiziaria contro il piano Maroni. «Se il regolamento è un atto
illegittimo, perché bastavano le norme ordinarie, è giusto chiedere un
risarcimento per gli allontanamenti».
Al Tar, ad esempio, è ancora pendente il ricorso di quattro rom italiani di via
Idro espulsi dal campo perché avevano subito condanne penali in un periodo
antecedente all'entrata in vigore del regolamento (oggi polverizzato). Chiosa Guariso: «A questo punto credo che vinceranno la causa, come tutti quelli che si
faranno avanti nella stessa situazione». Diverso il caso degli sgomberi dei
campi irregolari, resi possibili anche dalla legislazione ordinaria e perciò a
prova di ricorso. E le case Aler? Le cascine nel Pavese acquistate con il
sostegno economico del Comune? I rimpatri profumatamente pagati? Quelli, ironia
della sorte, non si toccano. «I vantaggi sono acquisiti» sottolinea Guariso,
«servirà piuttosto un riassestamento di competenze da parte delle istituzioni
per correggere la catena di comando». Il piano nomadi, oltre alla messa in
sicurezza dei campi e alle telecamere, promuoveva anche l'integrazione abitativa
dei rom. «La sentenza è un atto politico gravissimo» dice l'assessore
provinciale Stefano Bolognini. «Per risolvere le situazioni di degrado dei campi
rom servivano poteri straordinari.
Il piano Maroni seguiva il buon senso, i numeri lo dimostrano». Le presenze sono
scese fino a quota 1.200, le quattro aree infernali del Triboniano sono state
chiuse. Di «sentenza politica» parla anche Romano La Russa, assessore regionale
alla Sicurezza. «I giudici confondono il loro ruolo con quello dei politici. È
una sentenza in perfetta armonia con l'orientamento della giunta Pisapia, che ha
allentato i controlli nei campi tollerando anche quelli abusivi». L'ultimo
cambio di rotta è arrivato ieri nella baraccopoli illegale di via Bonfadini, un
campo satellite di quello autorizzato: lo sgombero dei cento occupanti, previsto
per ieri mattina, è stato rinviato al 12 dicembre. «Hanno rifiutato la
sistemazioni dei nostri servizi sociali» dice l'assessore Marco Granelli.
«Queste settimane serviranno loro per trovare una soluzione».
Di Fabrizio (del 19/12/2011 @ 09:49:15, in Regole, visitato 1396 volte)
15 Dicembre 2011
Spett. le Procura della Repubblica di Torino,
Egregi dott. Caselli, dott. Bornia e dott.ssa Longo,
Il Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC)1, la Federazione Romanì2 e Idea
Rom Onlus (Idea Rom)3 Vi scrivono per esprimere preoccupazione per il violento
attacco incendiario del campo Rom, avvenuto a Torino lo scorso 10 Dicembre.
Secondo quanto riportato all'ERRC dai nostri partner locali, centinaia di
persone hanno fatto incursione nel campo informale di via Continassa e hanno
dato fuoco a baracche, camper e macchine. L'attacco è stato scatenato
dall'accusa di stupro rivolta a due Rom. Successivamente la presunta vittima ha
dichiarato di non essere stata violentata. L'intero campo è andato distrutto
inclusi le case e i beni di proprietà di 46 Rom che vivevano li. Testimoni
dicono che alcuni manifesti affissi prima dell'attacco incitavano i residenti a
'ripulire' l'area dai Rom. Mass media e testimoni confermano che un pubblico
ufficiale, il presidente della V circoscrizione era presente alla manifestazione
che ha preceduto la violenza4.
L'ERRC, la Federazione Romanì e Idea Rom chiedono alle forze dell'ordine e alla
Procura della Repubblica di Torino di investigare immediatamente ed
imparzialmente e di considerare la connotazione razziale dell'atto.
Le vittime dell'attacco sono membri della minoranza Rom e date le circostanze è
possibile che si sia trattato di un atto di matrice razzista o di un crimine
d'odio. Dunque, l'indagine dell'incidente e il perseguimento dei colpevoli
riguarda la protezione dei diritti umani, sia degli individui che della comunità
Rom. L'investigazione e la risoluzione del caso renderà giustizia alle vittime
sulla base di quanto stabilito dall'articolo 13 della Convezione Europea per la
Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà
Fondamentali secondo cui ogni persona i cui diritti e le cui libertà
riconosciuti dalla Convenzione (inclusi il diritto alla libertà e alla sicurezza
e il divieto di tortura) sono stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo
davanti ad un'istanza nazionale.
Data l'importanza dell'incidente di cui sopra, le organizzazioni firmatarie
della presente lettera, in accordo con la legge italiana per l'accesso agli atti
amministrativi5, chiedono gentilmente ai Vostri uffici di provvedere per iscritto
le seguenti informazioni:
E' stata aperta un'indagine per tale incidente e quali misure
investigative sono state adottate dal Vostro ufficio al fine di identificare
i colpevoli?
Quali misure saranno prese dai Vostri uffici per accertare le
responsabilità e dare piena
protezione alle vittime?
Oltre le due persone identificate subito dopo l'attacco, sono stati
individuati altri individui
sospetti che hanno organizzato o partecipato all'incidente?
Qualcuno è stato accusato per questo incidente e quali accuse sono
mosse contro di loro?
Rimaniamo in attesa di una Vostra risposta e Vi ringraziamo per gli sforzi
compiuti nel condurre una giusta e rapida indagine del caso.
Distinti saluti,
Dezideriu GergelyDirettore esecutivo European
Roma Rights Centre Nazzareno GuarnieriRappresentante Legale Federazione
Romanì Snezana VuleticRappresentante Legale Idea Rom Onlus
1 Il Centro Europeo per I Diritti dei Rom (ERRC) è
un'organizzazione giuridica internazionale di interesse pubblico impegnata in
una serie di attività volte a combattere il razzismo contro Rom e Sinti e
l'abuso dei diritti umani attraverso contenziosi strategici nell'ambito del
diritto, ricerca e sviluppo di politiche, advocacy e formazione di attivisti Rom
e Sinti.
2 La
Federazione Romanì è una
federazione nazionale formata da 18 organizzazioni Rom e da attivisti e singoli
aderenti di tutta Italia. La mission della Federazione è l'auto-determinazione
della popolazione Romanì attraverso la promozione di una rappresentatività
qualificata delle comunità Rom
3
Idea Rom Onlus è una ONG formata da donne
Rom basata a Torino. Essa promuove la diretta rappresentanza dei Rom ed è membro
della Federazione Romanì.
Lunedì 16 gennaio 2012 alle ore 11.00 presso la sala della FNSI (Federazione
Nazionale Stampa Italiana) a Roma, Corso Vittorio Emanuele II, 349,
l'Associazione 21 luglio illustra i contenuti del Memorandum preparato per il
Comitato per l'eliminazione della discriminazione razziale dell'ONU dal titolo "Violazione della normativa nazionale, internazionale e dei diritti fondamentale
dei rom e dei sinti da parte delle autorità italiane nella procedura di
richiesta protezione internazionale e nella raccolta di rilievi dattiloscopici e
fotografici nella città di Roma".
Il prefetto-commissario Giuseppe Pecoraro aveva dichiarato nel gennaio 2010: la
procedura di raccolta dei rilievi dattiloscopici e fotografici che ha coinvolto
le comunità rom e sinte a Roma serve a «dividere i buoni dai cattivi». Dai
riscontri effettuati con un'indagine svolta dall'Associazione 21 luglio tra il
dicembre 2009 e il gennaio 2012 appare invece evidente che tale procedura viola
le norme nazionali e internazionali in materia di discriminazione etnica o
razziale. Dalla lunga ricerca effettuata emerge il reale intento delle
operazioni: una identificazione e schedatura di massa su base etnica. Al termine
della presentazione verranno illustrate le azioni legali intraprese
dall'Associazione 21 luglio.
Di Fabrizio (del 18/01/2012 @ 09:00:27, in Regole, visitato 1478 volte)
Il campo della Barbuta (Omniroma)
Corriere della Sera - «Le operazioni di raccolta delle impronte
effettuate negli insediamenti romani hanno riguardato esclusivamente rom e sinti»
ROMA - Oltre 30 pagine di Memorandum il cui senso è tutto nel titolo:
«Violazione della normativa nazionale, internazionale e dei diritti fondamentali
dei rom e dei sinti da parte delle autorità italiane nella procedura di
richiesta protezione internazionale e nella raccolta di rilievi dattiloscopici e
fotografici nella città di Roma». Sotto accusa, in altre parole, è il censimento
delle comunità rom avviato sul territorio capitolino. A lanciare l'allarme è
l'associazione 21 luglio: «Le operazioni di raccolta delle impronte effettuate
negli insediamenti romani – denuncia l'associazione – hanno riguardato
esclusivamente rom e sinti al di là del loro status giuridico. Sotto la
copertura fornita dalla definizione di "nomadi" – proseguono dall'associazione –
sono stati interessati dalla procedura tutti e solo i componenti della comunità
rom e sinti presenti nei campi».
«DIRITTI VIOLATI» – Secondo alcune testimonianze raccolte nel Memorandum, che
l'associazione 21 luglio consegnerà al Comitato per l'eliminazione della
discriminazione razziale dell'Onu, sarebbero stati schedati «anche cittadini rom
con carta d'identità italiana». L'associazione evidenzia inoltre il "vuoto
normativo seguito alla illegittimità dello stato di emergenza legato alle
comunità rom e alla questione sicurezza». Anche per questo l'associazione chiede
lo «stop delcensimento nel campo de La Barbuta»: «Il Piano nomadi del Comune è
una azienda che dà lavoro a 450 persone e costa all'amministrazione 500 euro per
ogni persona rom presente nei campi che sono una aberrazione tutta italiana».
Barbacche a La Barbuta (Proto)
CLASS ACTION DEI ROM – «Da martedì una task force sarà inviata nei campi rom –
annunciano i responsabili dell'associazione – per verificare se altri cittadini
italiani di origine rom hanno avuto lo stesso trattamento: avvieremo una azione
legale con carattere risarcitorio». Mentre già dallo scorso 14 novembre,
l'associazione ha avviato un'azione penale nei confronti dell'ex
prefetto-commissario straordinario per l'emergenza nomadi nel Lazio, promossa da
un cittadino rom italiano sottoposto alla procedura di fotosegnalamento. Il
legale dell'associazione, Aurora Sordini, elenca «le violazioni contestate alle
autorità»: «In primis la violazione del diritto al rispetto della vita privata e
famigliare e del diritto di non discriminazione».
PIANO NOMADI E CENSIMENTO – A fronte delle 5 mila persone rom sottoposte alle
procedure di identificazione, si legge nel report, al 31 luglio del 2011 sono
stati 119 i permessi di soggiorno rilasciati dalla Questura per motivi
umanitari. «Secondo i riscontri effettuati – sostengono ancora dall'associazione
21 luglio – al termine della procedura di richiesta protezione internazionale
molti rom, apolidi di fatto, non hanno potuto ottenere il permesso di soggiorno
perché privi di passaporto». Durante la presentazione del Memorandum
l'associazione ha inoltre chiesto alle autorità competenti «la chiusura dello
sportello, ubicato nei locali della Questura di Roma, dedicato esclusivamente
alla procedura di raccolta di foto e impronte che ha coinvolto la comunità rom e sinti» e la «cancellazione di tutti i dati raccolti in base alla dichiarazione
dello stato di emergenza», dati «la cui raccolta non è legittimata» e che
comprendono «foto con interi gruppi familiari o minori di 14 anni con i
genitori».
LA REPLICA DELLA QUESTURA - Nessun database solo per i rom, l'ufficio «Nomadi» è
solo «una comodità». Così Maurizio Improta, dirigente dell'Ufficio immigrazione
rigetta le accuse della «21 luglio». «L'attività di prefettura e questura è
stata corretta. Abbiamo anche chiuso un occhio su furto e ricettazione» Secondo
Improta, però, non c'è nessuna schedatura su base etnica. «Il rilascio del
permesso di soggiorno per lavoro, o per studio, presuppone il rilascio delle
impronte - ha aggiunto - e il fotosegnalamento. L'identificazione presso la
scientifica indica l'altezza, tutti dati biometrici che sono previsti. Noi
italiani per avere il passaporto ormai lasciamo le impronte digitali, ma non è
stata fatta una banca dati a parte. Tutti i dati vanno a confluire in una banca
dati centrale dei richiedenti asilo». Per Improta, quindi, le accuse della «21
luglio» sono «una lettura non corretta di quella che è stata una corretta
attività di assistenza, una procedura prevista dall'Unione con la valutazione in
alcuni casi di eventuali precedenti ostativi».
Simona De Santis - 16 gennaio 2012 | 19:18
Nota della redazione: Insomma: lettura corretta o no?
QUI scaricate il rapporto e ve ne fate un'idea
Di Fabrizio (del 27/01/2012 @ 09:29:35, in Regole, visitato 1591 volte)
Segnalazione di Stojanovic Vojislav
23-01-2012 di Antonio Guarnieri - Recluso alla C.R. di Fossombrone
(PU)
Scrivo su queste pagine per raccontarvi una storia che a dir poco ha
dell'incredibile. Questa storia vede la mia famiglia, più precisamente la mia
consorte, protagonista.
Il giorno 10 novembre dell'anno passato, alle ore 6.00, presso la mia abitazione
a Montemarciano (AN) si presentano 7 carabinieri con mandato di arresto nei
confronti di mia moglie, accusata ingiustamente di aver commesso il primo di
ottobre del 2009, alle ore 13.50 circa, un furto di 200.000 Euro presso
l'abitazione di un'anziana signora di Terni, più precisamente di Ferentillo.
Premetto che la mia consorte ha 35 anni e l'unico reato da lei commesso risale
all'età di 16 anni mentre oggi è madre di quattro figli, nonché nonna di un
nipotino.
Quella mattina, di fronte ai figli - tre dei quali minorenni -, i carabinieri
l'hanno ammanettata e portata via dopo aver provveduto alla perquisizione, anche
nella biancheria intima senza che l'operazione fosse fatta da una donna.
Venne portata in caserma dove mia moglie disperatamente cercò di respingere le
accuse. In lacrime cercò di spiegare che avevano sbagliato persona, ma un
carabiniere di Terni con parole ed atteggiamento intimidatorio disse "Smettila
di fare la sceneggiata di Mario Merola. Visto che hai rubato 200.000 Euro
pensavi di farla franca?! Io sono in piedi dalle 2.00 di mattina per venirti ad
arrestare".
Dopo essere stata condotta alla CC di Pesaro è stata sottoposta al regime di
isolamento in attesa d'interrogatorio.
In sede d'interrogatorio lei ha respinto ogni accusa gridando la sua innocenza.
Il PM per tutta risposta le disse: "Dicono tutti così!". Dato che la mia
compagna era incensurata l'avvocato chiese quantomeno gli arresti domiciliari in
attesa del chiarimento. La richiesta fu rigettata nel mese di novembre dal GIP e
dal PM di Terni motivandola con queste parole: "Non credo alla tua innocenza e
affinché tu neghi, non si rilascia la scarcerazione", facendo un gioco
psicologico che consiste nel distruggere ed annientare mentalmente una persona
cercando conferme dove non ci sono.
Preciso ora che io sono detenuto dal 2005 e nell'anno 2009 ero ristretto presso
la CC di Ferrara. Mantenendo lucidità mentale sono riuscito a ricordare che in
tale periodo di carcerazione effettuavo due colloqui mensili: uno al primo del
mese ed uno a metà mese. Ho cercato conferme per far risultare se in tale data
la mia compagna mi aveva fatto visita. Ho constatato che il primo ottobre 2009,
giorno del reato per cui mia moglie era accusata, era un giovedì, giorno in cui
si effettuano le visite familiari; ho allora, con l'aiuto del nostro legale,
richiesto alla CC di Ferrara se in tale data avevo usufruito del colloquio con
la mia consorte.
La CC di Ferrara ci ha risposto che effettivamente quel giorno mia moglie si
trovava lì con me dalle ore 11.30 alle ore 13.30 quindi il tempo materiale per
recarsi in 20 minuti a Terni non ci poteva essere.
Martedì 13 hanno scarcerato mia moglie per cause di forza maggiore. Ora mi
domando: se anziché trovare conferma che la mia compagna si trovasse al
colloquio quel giorno non avessimo trovato nulla e non fossimo riusciti a
dimostrare la sua innocenza, lei sarebbe ancora reclusa e sarebbe stata
condannata dando per scontato che lei era la colpevole? Sono propenso a pensare
che per il GIP ed il PM la sua unica colpa sia quella di essere di etnia Rom.
Questo è quanto accade in Italia. Vengono giudicate persone senza averne le
prove, vengono trovati capri espiatori sui casi che non si riescono a risolvere.
La giustizia ed i pregiudizi si mescolano e diventano criminogeni.
Di Fabrizio (del 09/02/2012 @ 09:19:39, in Regole, visitato 1379 volte)
Il giornale di BresciaLe roulottes in via Orzinuovi, a ridosso del macello comunale, dove
vivono diciotto famiglie di Sinti italiani - ORE: 13:22 | VENERDÌ, 3
FEBBRAIO 2012
Iscritti e cancellati dall'anagrafe, a discrezione. Accade agli italiani
della minoranza Sinti che vivono dal 2003 in via Orzinuovi. Sono loro a
raccontarlo, in una lettera in cui denunciano un "presunto abuso di potere". Il
documento è stato indirizzato ai ministri dell'Interno Annamaria Cancellieri,
del Lavoro Elsa Fornero, della Cooperazione ed integrazione Andrea Riccardi, al
prefetto di Brescia Narcisa Brassesco Pace, all'Ufficio nazionale
anti-discriminazioni razziali che ha sede alla presidenza del Consiglio dei
ministri e al Difensore regionale della Lombardia.
Le diciotto famiglie Sinti - per un totale di 61 persone - chiedono "una
verifica delle procedure e delle modalità utilizzate dai Servizi demografici del
Comune in materia di iscrizione e cancellazione anagrafica di cittadini italiani
della minoranza Sinti residenti in via Orzinuovi e che venga rimosso ogni
atteggiamento o procedura che possa rivestire un carattere discriminatorio nei
confronti della minoranza ivi residente".
"Dal 2008, ogni volta che ci rechiamo agli sportelli dell'anagrafe del Comune,
sorgono problemi per ottenere sia la residenza anagrafica di nostri congiunti di
primo e secondo grado sia le certificazioni conseguenti - scrivono -. Inoltre,
si ripetono episodi per cui le certificazioni vengono rilasciate solo su
richiesta protocollata e, dopo il rilascio, la certificazione viene di nuovo
bloccata".
Cosa significa "bloccata"? Significa che, se dopo alcuni controlli, la persona
non viene trovata nel luogo di residenza, l'anagrafe blocca la certificazione
per un anno. Poi, ne cancella il nome. E, con esso, la possibilità di avere una
tessera sanitaria e l'assistenza pediatrica per i bambini. Ancora:
"L'Amministrazione comunale ha stabilito che il 28 febbraio la struttura
comunale autorizzata in cui sono residenti le famiglie Sinti verrà, senza se e
senza ma, sgomberata senza dare alternative alle famiglie ivi residenti.
Riteniamo - si legge nella lettera sottoscritta dalle famiglie Sinti - che il
Comune ponga in essere prassi discriminatorie nei nostro confronti e che vi
possono essere gli elementi per ravvedere un reato di abuso di potere da parte
dell'organo amministrativo e di abuso d'ufficio da parte dei Servizi
demografici".
Una lunga vicenda, quella dei Sinti di via Orzinuovi che, pur essendo residenti
al civico 108, non possono abitare le casette costruite per loro con fondi
regionali perché le strutture sono state destinate ad altro uso. Così, da tempo,
vivono nel campo provvisorio poco distante, dove erano stati trasferiti durante
i lavori. Con la spada di Damocle che continua a pendere sulla loro testa e che,
entro la fine di febbraio, potrebbe "colpirli" in modo definitivo, dato
l'annunciato smantellamento del campo da parte dell'Amministrazione comunale.
Che ha, come obiettivo, quello di trasferire alcuni nuclei nel campo di via
Borgosatollo, dove risiedono ancora alcune famiglie Rom. Alle altre - come
testimoniano in via Orzinuovi - "sono stati offerti 4500 euro per andarsene. Ma
noi non ci stiamo: le nostre famiglie risiedono permanentemente nel Comune di
Brescia a partire dagli Anni Settanta".
Poi, per "andare dove?". La domanda si alza forte, nei corridoi innevati e
ghiacciati che separano una roulotte dall'altra. "Vogliamo vivere insieme, nella
nostra piccola comunità e non dispersi in condomini, divisi ed isolati" dicono
le donne Sinti che hanno incontrato alcune aderenti all'Associazione "Se non
ora, quando?". La sistemazione potrebbe essere il campo di via Borgosatollo,
dove nel primo dei tre lotti di case prefabbricate, peraltro, vivono già alcune
famiglie Sinti. "Se si liberasse anche il secondo lotto, il problema potrebbe
trovare una definitiva soluzione".
Il 31 Gennaio, in piena emergenza freddo, il Comune ha sfrattato una donna
con cinque bambini al villaggio rom di Coltano: questa drammatica verità è stata
occultata da una sequela impressionante di dicerie, diffuse prima dagli
amministratori, poi dal principale partito della città. Una vera e propria
"macchina del fango" mobilitata per screditare un'intera famiglia.
A casa della donna, si è detto, si sarebbero trovati gioielli per centinaia di
migliaia di euro, frutto di attività criminose; i parenti sarebbero proprietari
di una villa e di attività commerciali confiscate dalla magistratura; infine, la
donna sarebbe tra le protagoniste del rapimento della "sposa bambina". Nessuna
di queste informazioni corrisponde a verità.
Per il sequestro dei "gioielli", la signora non è neanche imputata: è stata
giudicata estranea ai fatti, ed è un'altra la persona che andrà a processo.
Quanto alla "villa" dei parenti, il 12 Novembre 2011 la Corte d'Appello ne ha
annullato la confisca, mentre il procedimento di sequestro delle attività
commerciali è stato archiviato dal GIP il 10 Ottobre. Resta l'accusa della
"sposa bambina", su cui permangono molti dubbi che - si spera - verranno
chiariti nel processo.
La realtà dei fatti è molto semplice. La signora è stata sfrattata perché
imputata in un processo. Il Comune la considera colpevole a prescindere dalla
sentenza, violando così la Costituzione, la Dichiarazione dei diritti umani e i
principi più elementari del diritto ("l'imputato è innocente finché una sentenza
non abbia accertato la sua colpevolezza"). Con ammirevole candore, il Partito
Democratico afferma che il Consiglio Comunale avrebbe chiesto di "superare, in
questo caso, la cosiddetta presunzione di innocenza". Un principio basilare
dello stato di diritto verrebbe dunque "superato" (sic) dalla delibera di un
Comune! Quando si tratta di rom si sospendono tutte le regole, salvo poi
richiamare gli stessi rom al "rispetto delle regole".
Il PD afferma che in questa vicenda le autorità locali "non hanno nulla di cui
vergognarsi". Perché allora lo sfratto è stato eseguito lontano dagli occhi
indiscreti dei giornalisti? Cosa c'era da nascondere, se tutto era "secondo le
regole"? Si voleva occultare lo spettacolo di una donna e cinque bambini
lasciati al gelo? Si voleva mostrare che la signora aveva "rifiutato le proposte
di accoglienza", nascondendo il fatto che si volevano dividere i piccoli dalla
loro mamma? Lo stesso comunicato del PD indica come soluzione l'affido a terzi
dei bambini (temporaneo, ma per quanto?): l'unica "salvezza" dei figli
consisterebbe dunque nel levarli alla madre… A Pisa quando si parla di rom la responsabilità personale sancita dalla
costituzione svanisce: si accusano intere famiglie, bambini compresi.
Ci pare che il senso vero di questa operazione sia più che trasparente. Il
Comune ha smantellato il programma Città Sottili, sostituendolo con una politica
sistematica di sgomberi. Lo sfratto di Coltano è solo uno dei tasselli di questa
politica, a cui si accompagnano velenose campagne di stampa: si pensi alle
continue esternazioni del Sindaco sulla presenza eccessiva di rom (come se un
gruppo fosse di per sé portatore di problemi). Pisa non è affatto
"all'avanguardia" nelle politiche sociali: le scelte di questa amministrazione
vengono al contrario seguite con crescente inquietudine dalle organizzazioni per
i diritti umani, come dimostra il recente rapporto del Consiglio d'Europa. La nostra città è diventata il teatro di una vera e propria "emergenza diritti
umani": è questa l'amara verità che ricaviamo dalla vicenda dello sfratto di Coltano.
Di Fabrizio (del 14/02/2012 @ 09:20:17, in Regole, visitato 2479 volte)
La notizia mi era sfuggita, grazie a Daniele Mezzana per
la segnalazione
ultimo aggiornamento: 31 gennaio, ore 15:28
Roma, 31 gen. (Adnkronos) - Mai più foto che ritraggono i volti dei
mendicanti. Lo intima la Cassazione, sottolineando che "non è possibile negare
l'oggettiva valenza diffamatoria" alla pubblicazione di uno scatto di chi chiede
la carità: "la coscienza comune - spiega la Quinta sezione penale - pone questi
soggetti in uno dei gradini più bassi della cosiddetta scala sociale ed è allora
naturale che chi sia costretto dalla necessità a praticare la mendicità e venga
additato come tale si sentirà mortificato e gravemente ferito nella sua
onorabilità".
Se si vuole denunciare il dilagare di un fenomeno, dice la Cassazione, è
necessario "coprire i volti delle persone coinvolte in fenomeni sui quali grava
un pesante giudizio negativo della collettività".
La vicenda analizzata dalla Suprema Corte nasce dalla querela sporta da una
rumena ultratrentenne, Ciurar C., comparsa in una fotografia pubblicata a
corredo di un articolo di un giornale di Trento nel quale venivano riportate le
reazioni e i commenti dei cittadini, pure loro rappresentati fotograficamente,
nell'ambito di una tavola rotonda sul 'pacchetto sicurezza' e sull'istituzione
delle ronde. A corredo del servizio, la foto della rumena accompagnata dalla
didascalia 'una questuante all'opera nel centro storico di Trento'. Il gip di
Trento, il 31 gennaio 2011, aveva dichiarato il non luogo a procedere "perché il
fatto non sussiste" nei confronti del direttore e dell'autore dell'articolo,
ritenendo non diffamatorio l'articolo e le foto improntati a scoraggiare
"fenomeni quali la prostituzione, il vandalismo e l'accattonaggio diffuso". La
Cassazione è stata di tutt'altro avviso.
La rumena fotografata a mendicare ha fatto ricorso in Cassazione, facendo notare
che era l'unica delle persone ritratte a rappresentare il problema che il
'pacchetto sicurezza' avrebbe voluto affrontare e che, nel testo, si parlava di
'accattonaggio diffuso legato ad organizzazioni criminali'. Piazza Cavour -
sentenza 3721 - ha accolto la tesi difensiva della rumena e ha osservato che "la
fotografia di Ciurar C., indicata come questuante all'opera, posta a corredo
dell'articolo non può essere considerata neutra, dal momento che il lettore è
portato ad identificare la persona rappresentata con uno dei mali da combattere
- l'accattonaggio diffuso - e l'ipotizzato collegamento con ambienti malavitosi
- ed uno dei problemi da eliminare per garantire una pacifica vita cittadina".
La Cassazione fa notare che "quando per esigenze di cronaca si mostrano immagini
di persone in qualche modo coinvolte in fenomeni sui quali grava un pesante
giudizio negativo della collettività - al fine di evitare che si crei un preciso
collegamento tra un fenomeno generale e una specifica e individuabile persona
fisica ed evitare quindi la conseguente e inutile carica di disdoro personale,
si usa sgranare o comunque coprire il volto della persona ritratta per renderla
non identificabile".
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