Di Fabrizio (del 27/08/2009 @ 09:44:22, in Regole, visitato 2284 volte)
Ricevo da Federazione Romanì
Comunicato 26 Agosto 2009
Due ristoranti di Silvi Marina rifiutano di far pranzare nel loro esercizio
pubblico un gruppo di 14 alunni di Roma e 5 accompagnatori, perché sono di etnia
Rom (vedi
QUI ndr).
La denuncia pubblica della Federazione romanì per la grave discriminazione
razziale subita a Silvi Marina dagli alunni rom di Roma in visita guidata in
Abruzzo con il progetto scolarizzazione, attivato da XI° Dipartimento del comune
di Roma e gestito da Casa dei Diritti sociali in collaborazione con
l’associazione Romà onlus, aveva la finalità il sollecitare una reazione
dell’opinione pubblica e della politica contro ogni forma di discriminazione
razziale e razzismo, infatti tanti cittadini residenti e ospiti presenti in
città hanno incontrato i ragazzi rom per manifestare la loro solidarietà, gesto
che i ragazzi rom e tutto il gruppo Romano hanno molto apprezzato.
La denuncia pubblica di questo fatto era doveroso per la sua gravità in una
città sempre accogliente e tollerante, per storia e cultura, come Silvi Marina,
in cui vivono 32 diverse etnie, più di 1300 persone di cultura diversa (circa
10% della popolazione totale residente), compresi una decina di famiglie rom
Italiani, comunitari ed immigrati.
Spiazza il silenzio dell’amministrazione comunale e di tutte le forze politiche
di Silvi a fronte di un atto di discriminazione razziale tanto grave. Un
silenzio preoccupante che dimostra l’assenza di una volontà politica a percepire
i cambiamenti in atto e programmare la sicurezza sociale, culturale ed economica
di tutti i cittadini.
Quella sicurezza tanto "propagandata" dalla politica nazionale e locale per
contrastare la "paura" dei cittadini, la "paura" che è diventata lo strumento
della politica per ricercare il potere e molto pericolosamente per la
cancellazione di reazioni umanitarie.
Se la politica oggi non è LIBERA di esprimere pubblicamente la propria
indignazione a fronte di gravi atti di discriminazione razziale e di razzismo
(negare di un pasto caldo ad innocenti bambini, perché di etnia rom, è crudele)
allora significa che la "fabbrica della paura" può produrre nelle persone solo
la morte sociale e culturale.
Ma … non è mai troppo tardi per sperare in un intervento pubblico degli
amministratori e delle forze politiche di Silvi Marina per condannare la grave
discriminazione razziale subita dai bambini rom ed esprimere loro la solidarietà
Il presidente Nazzareno Guarnieri
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Nel settembre 2008 sono stato tra i 7 membri di una delegazione del
Parlamento Europeo in visita in Italia per una missione investigativa. La
ragione della nostra visita erano gli eventi nei "campi Nomadi", il censimento e
i decreti d'emergenza.
L'idea dell'indagine nasceva a giugno 2008, quando il Parlamento Europeo
accettava una Risoluzione contro la profilazione etnica dei Rom tramite raccolta
di impronte digitali e di informazioni sulla religione.
L'interesse nella missione era alto: circa 30 Membri del Parlamento Europeo (MEPs)
avevano visitato l'Italia, assieme al Presidente del comitato LIBE per la
Giustizia. In Italia ci furono incontri col Senato, il Garante, il Ministro
Maroni e altri. La nostra delegazione visitò anche campi come il Casilino 900 e
Campo Salone.
Nella conferenza stampa della delegazione del Parlamento Europeo, le
condizioni dei campi furono descritte come degradanti, dove i "Rom" sembravano
essere nomadi che non si muovevano. Ma ad alcuni membri della delegazione era
anche sembrato che l'Italia volesse tentare di rendere le proprie leggi
nuovamente compatibili con la Legislazione Europea.
La preparazione delle autorità cittadine di Milano a sgomberare di forza
circa 200 Rom che vivono nell'area Rubattino ad est della città, sembra la prova
del contrario. Gli sgomberi forzati sono illegali. Ogni stato membro della UE e
- come uno degli stati fondatori - l'Italia dovrebbe essere d'esempio agli
altri, e notificare singole ingiunzioni ai futuri sgomberati, che così possono
fare ricorso.
Mi appello urgentemente a lei per il rispetto del diritto dei nostri
co-cittadini di opporsi in tribunale alle decisioni su basi individuali, come in
ogni stato costituzionale.
Di Fabrizio (del 24/09/2009 @ 09:45:34, in Regole, visitato 3081 volte)
Ricevo da Ernesto Rossi
Non c'e' riduzione in schiavitu' nel caso in cui il baby accattonaggio viene
praticato in "part-time", in tal caso si puo' solo configurare un'ipotesi meno
grave di reato: quella di maltrattamento in famiglia. E' quanto afferma la Corte
di Cassazione che ha fatto rilevare come
l'impiego di minori da parte degli adulti nella richiesta di elemosina se
ridotto ad uno spazio breve della giornata costituisce un'ipotesi di reato meno
grave. Nella motivazione della sentenza (n. 44516/2008) la quinta Sezione penale
spiega che l'adulto che sia dedito "alla mendicita' per le necessita' della sua
famiglia e si dedichi a tale attivita' per alcune ore del giorno portando con se
i figli" non puo' essere condannato per il reato di riduzione in schiavitu'
perche' giacche' "e' ben possibile che, dopo avere esercitato la mendicita'
nelle ore del mattino, nella restante parte della giornata" la madre che si
dedica all'accattonaggio "si prenda cura dei figli in modo adeguato cercando di
venire incontro alle loro necessita' e consentendo loro di giocare e frequentare
altri bambini". Sulla scorta di tale principio la Corte ha prosciolto una nomade
che era stata sorpresa due volte a mendicare con in grembo una
bambina e con un figlio di 4 anni che
elemosinava nei paraggi per poi consegnare i soldi a sua madre. La donna veniva
condannata dalla Corte d'Assise di Santa Maria Capua Vetere a ben 6 anni di
reclusione avendo ipotizzato sia il reato di riduzione in schiavitu' sia quello
di maltrattamenti in famiglia. I giudici di prime cure avevano sostenuto che la
donna avrebbe approfittato "di una situazione di inferiorita' psichica del
minore costretto all'accattonaggio con finalita' di sfruttamento economico".
Stessa decisione era stata adottata dalla Corte d'Assise d'Appello di Napoli che
pero' ridimensionava la pena a 5 anni di reclusione ritenendo non ravvisabile il
delitto di maltrattamenti. La donna contro una condanna cosi' pesante si e'
dunque rivolta agli ermellini che ribaltando le due precedenti decisioni ha
chiaramente affermato che non si puo' criminalizzare "il 'mangel' usualmente
praticato dagli zingari". La donna quindi, dovra' essere condannata solo per
maltrattamenti in famiglia e non per riduzione in servitu'. Deve escludersi -
spiega la Corte - che la donna "facesse parte di una organizzazione volta allo
sfruttamento dei minori perche' l'uomo arrestato insieme a lei, al quale la
donna avrebbe versato il denaro guadagnato dal figlio con l'attivita' di
accattonaggio, e' stato assolto per non avere commesso il fatto". Nella
decisione a quanto pare e' stata determinante la modalita' in cui si svolgeva
l'accattonaggio che veniva praticato dalle 9 del mattino fino alle 13. Proprio
per questo i supremi giudici hanno evidenziato come "dalla ricostruzione dei
fatti operata dai giudici del merito non emerge quella integrale negazione della
liberta' e dignita' umana del bambino che consente di ritenere che versi in
stato di completa servitu'".
[...] I presunti assassini di Petru Birladeanu (vedi
QUI ndr), il musicista rom rumeno che suonava la fisarmonica nella
stazione Cumana di Montesanto, assassinato la notte del 26 maggio, sono stati
arrestati a Torremolinos, vicino a Malaga, dagli agenti della brigata mobile di
Napoli, con la collaborazione della polizia spagnola
Si tratta di Maurizio e Salvatore Forte, presunti appartenenti alla
Camorra, secondo fonti informative della polizia napoletana.
I due arrestati, rispettivamente di 29 e 31 anni, erano assieme e la cattura
da parte della giustizia italiana accade dopo alcuni mesi che furono accusati
di omicidio aggravato.
Petru Birladeanu, il musicista rom assassinato dalla Camorra.
L'arresto è avvenuto ieri notte (26 settembre ndr). I due delinquenti
vivevano in un appartamento e si erano anche segnalati per lo stile di vita che
conducevano e per i contatti con altri delinquenti. Uno dei due, Maurizio Forte,
è stato fatto uscire grazie ad uno stratagemma e catturato di fronte alla porta
stessa di casa. La cattura è accaduta in queste circostanze perché la
legislazione spagnola non permette alla polizia di entrare nei domicili privati
senza un ordine giudiziale. Il fratello di Maurizio, Salvatore Forte, è stato
catturato poco dopo, mentre faceva ritorno a casa.
Le autorità italiane ritengono che entrambe parteciparono allo scontro
armato tra clan rivali nei quartieri spagnoli di Napoli dello scorso 26
maggio, in cui venne ucciso un musicista di strada di nazionalità rumena e
risultò ferito un adolescente di 14 anni.
Per questo omicidio era già stato arrestato lo scorso luglio Mario Ricci, 27
anni, considerato uno dei più importanti membri del clan Ricci della
camorra.
Secondo gli investigatori, i fratelli Forte possono aver collegamenti con
altri due clan, quello di Mariano-Ricci e quello D’Elia, entrambi
localizzati nei quartieri spagnoli di Napoli.
La vedova di Petru ed i suoi figli abbandonarono l'Italia dopo il tragico
assassinio
LA CAMORRA NAPOLETANA UCCIDE UN MUSICISTA ROM
La vedova di Birladeanu, che è rientrata in Romania assieme ai suoi
due figli, ha denunciato il trattamento ricevuto dal pronto intervento. "Se
fossimo stati italiani non avrebbero atteso tanto", dice affermando che si è
prestata attenzione solo al minore italiano ferito.
COSI' UCCIDE LA CAMORRA
Nei quartieri spagnoli di Napoli, il 26 maggio del 2009, i
componenti di due bande malavitose della camorra napoletana entrano
in scena a bordo di varie motociclette con l'obiettivo di segnare il loro
territorio, si tratta di un regolamento di conti tra due famiglie.
Petru Birladeanu, musicista rom che per vivere suona la fisarmonica
sui treni, si dirige assieme a sua moglie verso la stazione della
metropolitana della Cumana, con una borsa in una mano ed il suo mezzo di
sussistenza nell'altra.
La vittima riceve due colpi mortali alla gamba ed al torace,
mentre tenta di rifugiarsi nella vicina stazione della metropolitana. Cade
al suolo prima di raggiungere i tornelli.
Solo sua moglie tenta di aiutarlo, davanti all'indifferenza del resto
dei passanti. I viaggiatori fuggono dalla stazione e lei rimane
completamente sola col marito agonizzante.
Muore poco dopo, davanti all'impotenza di sua moglie. Rimane
ferito anche un giovane italiano, minore di età, raggiunto alla spalla
però con una sorte migliore del musicista.
Durante il tempo che aspettava i servizi di emergenza, una mezz'ora,
Petru è morto. L'ospedale più vicino stava a soli 100 metri.
Tre videocamere di sicurezza installate sul luogo dei fatti hanno
registrato quanto accaduto. Le immagini che ora si diffondono in diversi
media italiani sono a disposizione della Direzione Antimafia del Distretto,
che investiga sul caso.
FONTE: Estratto da diversi periodici che se ne fecero eco
Il proprietario di un bar a Lucenec chiede scusa ad un Rom per
discriminazione
Košice, Slovacchia: Il 5 ottobre 2009 un altro caso di discriminazione
riguardo l'origine etnica è stato portato in discussione in Slovacchia. Il caso
si è concluso con un accordo amichevole.
Il fatto è successo il 14 luglio 2008, quando Jan Danco visitò il bar "Piccollo"
di Lucenec (una cittadina della Slovacchia meridionale) con sua nipote. Entrato
nel bar di cui era un cliente abituale, gli è stato improvvisamente rifiutato di
servirlo da un cameriere, con la spiegazione che il padrone del locale non
avrebbe più servito i Rom. Il caso apparve anche sulla TV privata Markiza.
L'uomo discriminato decise, con la cooperazione di un'OnG di Kosice, il
Centro per i Diritti Civili ed Umani, di rivolgersi al tribunale civile
appellandosi alla Legge Antidiscriminazione Slovacca.
"Il comportamento del cameriere è stato per me offensivo ed umiliante. Io
stesso alcuni anni fa ho lavorato come cameriere, e non mi sono mai permesso di
discriminare un mio cliente per il colore della sua pelle. Ho fatto causa per
mostrare chiaramente che questo tipo di trattamento è dannoso ed illegale, e che
è possibile resistervi. Sono lieto che il padrone del bar si sia scusato..."
ha dichiarato Danco alla decisione della corte.
Il proprietario del bar ha espresso il proprio rammarico per l'incidente,
espresso pubbliche scuse per la discriminazione e pagato un risarcimento a Danco,
oltre alle spese processuali.
Chi volesse più informazioni sul caso, può contattare:
Poradňa pre občianske a ľudské práva
(Centro per i Diritti Civili ed Umani)
Krivá 23, Slovakia.
Tel./fax.: +421 55 68 06 180
E-mail: poradna@poradna-prava.sk
Di Fabrizio (del 27/10/2009 @ 09:47:21, in Regole, visitato 2009 volte)
I fatti a cui si riferisce l'articolo erano stati trattati (tra l'altro)
QUI e
QUI
26 ottobre 2009
Il prosindaco di Treviso non potrà fare comizi per tre anni
Aveva tuonato davanti alla sua platea più congeniale, i militanti del Carroccio
alla Festa dei Popoli Padani a Venezia, ma le frasi usate da Giancarlo Gentilini,
lo `sceriffo´ prosindaco di Treviso, gli sono costate prima un’inchiesta per
istigazione all’odio razziale e oggi una condanna. Il Gup di Venezia Luca
Marini, al termine del rito abbreviato, ha condannato Gentilini a 4.000 euro di
multa e al divieto per tre anni di partecipare a comizi politici, con la
sospensione di entrambe le pene.
A sostenere l’accusa il procuratore della Repubblica Vittorio Borraccetti che ha
chiesto il massimo della pena, 6.000 euro di multa, pari a un anno e 5 mesi di
reclusione, e non il carcere vista l’età dell’imputato. razzismo inflittagli, in
primo grado, dal Tribunale di Venezia. Alla festa della Lega a Venezia, il 14
settembre del 2008, il prosindaco trevigiano era salito sul palco infiammando il
popolo del Carroccio.
Con voce tuonante e piglio deciso, aveva toccato tutti i temi `caldi´ già
trattati in altre occasioni, con relativa apertura di polemiche e prese di
posizione, come quando aveva deciso di togliere le panchine o provocatoriamente
aveva detto di travestire gli immigrati da `leprotti´ per addestrare i
cacciatori. A Venezia erano state così lanciate frasi pesanti sull’immigrazione
clandestina, sulle presenze di nomadi, fino alle possibili realizzazioni di
moschee in territorio veneto. «Voglio eliminare - aveva detto - i campi nomadi,
voglio eliminare dalle strade quei bambini che vanno a rubare in casa degli
anziani» ed ancora «voglio una rivoluzione contro chi vuole aprire moschee e
tempi islamici», dicendosi pronto «ad aprire una fabbrica di tappeti per
regalarli agli islamici perché vadano a pregare nel deserto e non a casa
nostra».
Un discorso documentato dalla Digos ma anche da tanta gente con videocamara
tanto da far diventare il suo intervento - per breve tempo - un video `cult´ su
youtube.
Da parte sua, la procura di Venezia aveva avviato un’inchiesta che oggi è giunta
al suo primo risultato in aula con la sentenza di condanna. Il difensore di
Gentilini, l’avv. Luigi Ravagnan del Foro di Venezia, ha respinto con forza la
decisione del Gup e ha annunciato - in attesa delle motivazioni della sentenza -
il ricorso in appello.
Per il legale, nelle frasi di Gentilini, «non c’era nessuna maliziosità contro
le razze, bensì il sostegno ad idee ben note del mio assistito finalizzate
all’integrazione tra etnie diverse». Per nulla turbato lo `sceriffo´, che con la
voce robusta e risata sorniona, come quelle che accompagnano i suoi interventi
pubblici, dice che le accuse mossegli sono state fatte «ad un uomo che, per le
proprie idee, è abituato ad andare all’assalto e ad esporsi al fuoco nemico
porgendo il proprio petto mentre qualcuno è pronto a spararmi alle spalle».
Di Fabrizio (del 20/11/2009 @ 09:42:44, in Regole, visitato 1496 volte)
NEWS (Osservatorio razzismo) - 19-11-2009 Razzismo, divieto di comizi per il sindaco Tosi Verona, la pena accessoria della Cassazione alla condanna per l’offesa ai
sinti: niente interventi pubblici per tre anni la Repubblica (edizione cartacea), giovedì 19 novembre 2009
PAOLO BERIZZI
VERONA - Tosi come Gentilini. Dopo la condanna (istigazione al razzismo)
inflitta al fumantino vicesindaco di Treviso, tocca ora al primo cittadino
leghista di Verona subire l’onta e le conseguenze di un provvedimento definitivo
(propaganda razzista) per i suoi eccessi contro gli immigrati. In questo caso i
cittadini sinti che nel 2001, con una campagna muscolare fatta di slogan
martellanti, Tosi voleva cacciare dalla città che oggi amministra. Anche per
lui, oltre a due mesi di reclusione (pena sospesa), i giudici hanno stabilito,
in via definitiva, il divieto di partecipare a comizi politici per tre anni. Una
pena accessoria di fatto congelata, ma che - sul piano politico - fissa dei
paletti.
È tutto contenuto nelle motivazioni, depositate il 30 ottobre, della sentenza
della Corte di Cassazione. Dieci pagine nelle quali si fa riferimento al reato
per il quale Flavio Tosi è stato punito: «Propaganda di idee fondate sulla
discriminazione e l’odio razziale». L’inciampo del sindaco veronese, pupillo del
ministro degli Interni Maroni, risale al 2001. Assieme alla sorella Barbara e ad
altri quattro dirigenti della Lega (tutti condannati, tra loro il deputato
Matteo Bragantini e l’assessore comunale Enrico Corsi) Tosi diffuse dei
volantini con scritte tipo «Firma anche tu per cacciare i sinti», «Sgombero
immediato! Via gli zingari da casa nostra», e dichiarazioni stampa come «dove
arrivano loro ci sono i furti». Che quei sinti accampati nel quartiere di Borgo
Venezia fossero iscritti all’anagrafe e veronesi da generazioni, al gruppo
capeggiato da Tosi importava niente. Sollevate barricate contro i campi nomadi,
lanciate petizioni per farli sloggiare, promesso che la Lega ne avrebbe impedito
l’insediamento «in qualsiasi altra area del territorio», Tosi, dopo gli esposti
di un gruppo di associazioni antirazziste, si trovò a dover rispondere di tutto
questo in tribunale: non smentì nulla. Si giustificò dicendo che la sua era una
battaglia per il ripristino della legalità. Il processo istruito dal procuratore
di Verona, Guido Papalia, culminò con una condanna in secondo grado a due mesi
di reclusione. La Cassazione, inizialmente, annullò con rinvio la condanna,
sentenziando, in sostanza, che se sono ladri è legittimo discriminare i nomadi
(«La discriminazione per l’altrui diversità è cosa diversa da quella per
l’altrui criminosità»). Poi però è arrivato il giudizio definitivo. Che inchioda
Tosi ad un comportamento «non rivolto al ripristino della legalità quanto alla
discriminazione». Federica Panizzo e Lorenzo Picotti sono i legali dei sinti
costituitisi parte civile. «Dopo otto anni - dicono - si mette la parola fine su
un processo nel quale è emersa tristemente l’attualità e la pericolosità di un
"razzismo contemporaneo" che, anche per il solo fatto di essere propagandato
pubblicamente, è in grado di scalfire la pacifica convivenza dei cittadini.
Tutti, senza distinzioni».
Verona, 19 nov. (Adnkronos) - ''Ho dato incarico ai miei legali di querelare
il giornalista Paolo Berizzi del quotidiano la Repubblica per l'articolo
pubblicato oggi con il titolo ''Razzismo, divieto di comizi per il sindaco Tosi,
corredato da un occhiello che dice ''niente interventi pubblici per tre anni''.
Tutti sanno, tranne Berizzi che volutamente ignora la realta' dei fatti, che non
esiste nei miei confronti alcun divieto di comizi o alcuna limitazione di
interventi pubblici, tant'e' che ne faro' uno anche domattina in un'emittente
televisiva nazionale (Mattino 5, La Telefonata con Maurizio Belpietro)''. Lo
annuncia, in una nota, il sindaco di Verona, Flavio Tosi'.
''D'altra parte, a Verona, si e' gia' avuto modo di notare quanto poco accurato
e scrupoloso sia il signor Berizzi nelle sue cronache, specie riguardanti la
nostra citta': in un suo libro ha persino sbagliato, tra le tante cose, la data
dell'uccisione del giovane veronese Nicola Tommasoli'', conclude Tosi.
Su
http://www.cestim.it/ potete leggere il testo integrale della Motivazione
della Sentenza, e il commento degli Avvocati di parte civile.
Ieri Angelica (vedi
QUI e
QUI ndr) ha compiuto 17 anni: gli ultimi due vissuti da detenuta nel
carcere minorile di Nisida.
Angelica viene da Bistrita-Nasaud in Transilvania (Romania Nord Occidentale).
Era arrivata in Italia da pochi mesi (presumibilmente inizi di aprile 2008) in
compagnia del giovane marito (21 anni) Emiliano, del fratello di lui con sua
moglie ed il loro figlio di otto anni. La figlia, Alessandra Emiliana (3 anni) è
rimasta, invece, con i nonni paterni in Romania. Non conoscevano nessuno.
Vivevano sopratutto di elemosina ma anche di piccoli furti.
Il 25 aprile del 2008, infatti, Angelica è sorpresa con un paio di orecchini,
probabilmente, rubati in una casa sempre a Ponticelli. Viene fermata e “messa”
in una casa famiglia dalla quale scappa subito dopo.
Pochi giorni dopo, il 10 maggio, l’accusa “infamante” di aver tentato di rubare
una neonata. Viene rinchiusa a Nisida.
In tutti e due i casi subisce due tentativi di linciaggio, “provvidenzialmente”
salvata dalla polizia. Nessuno dei suoi aggressori è stato mai identificato.
Il processo: tutto si basa sul racconto della Sig.ra Flora Martinelli. Nessuno
ha visto Angelica con la bambina in braccio se non la Martinelli. Oggettivamente
il racconto della mamma è poco verosimile. Non credo sia stata effettuata una
“perizia tecnica” sui luoghi: se fatto si sarebbe facilmente potuto verificare:
- per entrare in quella casa, senza essere vista, si sarebbero dovute verificare
tutta una serie di circostanze favorevoli: cancello d’ingresso al cortile
aperto, portone d’ingresso del fabbricato aperto, porta di casa con serratura di
sicurezza aperta;
- le distanze sono così minime che Angelica si doveva muovere al rallentatore
per poi ritrovarsi, immobile, sull’uscio della casa con la bambina in braccio
senza, tra l’altro, opporre alcuna reazione o minaccia alla mamma di lei;
- si è giudiziariamente accertato che era da sola e, quindi, se anche fosse
riuscita ad allontanarsi dall’abitazione dei Martinelli con la bambina in
braccio avrebbe dovuto percorrere a piedi circa 2 km per raggiungere il campo
più vicino rendendosi “invisibile” alla gente del quartiere.
L’accusa si fonda anche sulla testimonianza di un poliziotto al quale lei
avrebbe riferito che voleva prendere la bambina per venderla in Romania.
Probabilmente voleva solo dire che aveva una figlia in Romania e c’è, dall’altro
canto, una testimonianza della mediatrice culturale che accerta che all’epoca
dei fatti Angelica non era in grado di parlare e capire l’italiano, anche se
oggi dopo quasi due anni di detenzione riesce ad esprimersi molto bene.
Tutto si basa, quindi, sul racconto della mamma e non è stato tenuto in nessun
conto che la Martinelli ha precedenti giudiziari per “falso ideologico” ed anche
il padre di lei, Ciro Martinelli detto ‘O Cardinale, nel 1999 condannato a nove
mesi per associazione a delinquere. è un “collaboratore” del Clan Sarno, come
riferiscono Marco Imarisio del Corriere della Sera e Miguel Mora de El Pais.
Tutti sanno che i Rom a Ponticelli vivevano in un clima di sottomissione e
nessuno si sarebbe mai sognato di fare un’azione del genere in un quartiere
interamente gestito dalla camorra. E’ vero, invece, che i terreni dovevano
essere liberati al più presto, servivano per un piano urbanistico di recupero
(Ospedale, parco e centro commerciale a firma dell’Architetto Renzo Piano), con
un finanziamento pubblico di milioni di euro e proprio là dove era il campo
“bruciato” dai camorristi sull’onda dell’emozione popolare per il tentato
rapimento, si realizzerà un grandissimo centro commerciale o Città della Musica
(Palaponticelli).
Angelica giudiziariamente è una “minore non accompagnata”. Il legislatore
ritiene che un minore di età debba rimanere in Istituto il minor tempo
possibile, favorendo tutte le possibilità di reinserimento sociale, ed Angelica
è detenuta dal maggio 2008. Non le è stata mai concessa alcuna misura
alternativa la carcere. Diverse sono, quindi, le opportunità fra un minore a
rischio italiano ed un minore a rischio straniero, anche se in un primo momento
Angelica era stata affidata ad una casa famiglia ma, evidentemente, senza nessun
serio “progetto” di sostegno: semplicemente parcheggiata.
Non le è stata concessa “la messa alla prova”, un importante istituto
giudiziario che pone come alternativa al carcere un “percorso” di studio e
lavoro. Paradossalmente, infatti, è difficile trovare un giudice minorile che
disponga un simile “azione” se non in presenza dell’ammissione della colpa, ed
Angelica ha sempre detto e sostenuto con convinzione che quella bambina proprio
non la voleva “rubare”. Vale a dire che se uno si dichiara innocente non ha
possibilità di essere messo alla prova (ma questo vale per tutti).
Nonostante la sua condizione di minore non accompagnata in evidente difficoltà,
in un paese straniero non le è stata concessa alcuna attenuante anzi, per il
fatto che secondo l’accusa la mamma si trovava nell’altra stanza e la neonata
era quindi da sola, le è stata data l’aggravante della “minorata difesa della
persona offesa” che in verità viene riconosciuta soltanto in presenza di
particolari requisiti di tempo e spazio, come nel caso di un reato commesso di
notte e in un luogo isolato. Senza questa aggravante, probabilmente, sarebbe già
potuta uscire dal carcere.
Non le è stato possibile capire bene in quale situazione si trovava perché
nessun atto d’imputazione le è stato tradotto nella sua lingua ed, in ultimo,
non le è stato concesso il “patrocino gratuito” perché era impossibile stabilire
le sue condizioni “finanziarie” in Romania (ma anche questo pare un fatto comune
a tanti altri casi).
Di Fabrizio (del 02/12/2009 @ 09:23:05, in Regole, visitato 1770 volte)
Segnalazione di Elisabetta Vivaldi
COMUNICATO STAMPA:PROCESSI BREVI E … PROCESSI SOMMARI
A.V. è la quindicenne rom accusata di aver rapito una neonata a Ponticelli (Na)
nel maggio 2008, avvenimento che scatenò la feroce devastazione dei campi rom di
Ponticelli. L’accusa contro A.V. fu formulata dalla madre della neonata, unica
testimone dell’avvenimento, che fornì una versione dei fatti oggettivamente poco
verosimile. Secondo il racconto della madre, infatti, A. V. sarebbe riuscita ad
introdursi nella sua abitazione dove, approfittando del fatto che la neonata
sarebbe rimasta per pochi attimi sola in cucina, sarebbe riuscita a “rapire” la
neonata e ad uscire dall’appartamento, il tutto in pochissimi secondi, senza
produrre il minimo rumore e senza provocare il pianto della bambina.
L’Avv. Cristian Valle, difensore della piccola rom, ha messo in evidenza la
scarsa verosimiglianza del racconto.
Nonostante ciò, il Tribunale per i Minorenni di Napoli ha condannato la minore
rom a 3 e 8 mesi, fondando la decisione di colpevolezza sul presupposto che la
madre della neonata non avrebbe avuto alcun interesse ad accusare la minore rom
se il fatto non fosse realmente accaduto.... Mostra tutto
La difesa della piccola rom ha sempre denunciato la violazione dei diritti
fondamentali come, ad esempio, la mancata traduzione degli atti nella lingua
conosciuta dall’imputata, questione più volte sollevata ma sempre respinta,
nonostante le dichiarazioni della mediatrice culturale che accolse a Nisida la
piccola rom, secondo la quale A.V. al momento dell’arresto non comprendeva
minimamente la lingua italiana. Ogni richiesta della difesa è stata
sistematicamente respinta, perfino la richiesta della messa alla prova e
l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, con la motivazione che A.V.
potrebbe avere ingenti patrimoni nel suo paese d’origine. Non le è stato
concesso alcun beneficio di legge benché la minore risulti incensurata e in
stato di abbandono. I familiari di A.V., infatti, sono scappati a seguito della
devastazione del campo rom e delle persecuzioni verificatesi a Ponticelli. La
sentenza d’appello ha confermato in pieno quella di primo grado e si attende ora
la decisione della Corte di Cassazione. Con il processo ancora in corso, la
piccola rom si trova in custodia cautelare nel carcere di Nisida da un anno e
mezzo. A nulla sono valse le motivate istanze di scarcerazione.
Da ultimo, il Tribunale per i Minorenni di Napoli, in sede di appello al
riesame, ha rigettato le richieste della difesa con una motivazione
assolutamente sconcertante e che conferma le denunciate violazioni dei diritti
fondamentali della piccola rom. Si legge infatti nel breve provvedimento:
“Emerge che l’appellante è pienamente inserita negli schemi tipici della cultura
rom. Ed è proprio l’essere assolutamente integrata in quegli schemi di vita che
rende, in uno alla mancanza di concreti processi di analisi dei propri vissuti,
concreto il pericolo di recidiva.” La decisione afferma, quindi, l’esistenza di
un nesso di causalità tra l’appartenenza etnica e la possibilità di commettere
reati e, ancora più insidiosamente, la tendenza a condotte recidive. Questo
assunto, sfacciatamente razzista, si traduce nella decisione di non concedere
nemmeno misure alternative alla carcerazione: “Sia il collocamento in comunità
che la permanenza in casa risultano, infatti, misure inadeguate anche in
considerazione alla citata adesione agli schemi di vita Rom che per comune
esperienza determinano nei loro aderenti il mancato rispetto delle regole. Da
quanto detto ne consegue il rigetto del proposto appello.”
Il provvedimento di rigetto della richiesta di modifica della misura cautelare
afferma a chiare lettere che il collocamento in comunità non è ammissibile in
quanto la minore aderisce agli schemi di vita del popolo cui appartiene. In modo
assolutamente sconcertante, si afferma l’opzione del carcere su base etnica, e,
attraverso la definizione di “comune esperienza”, i più biechi e vergognosi
pregiudizi contro la minoranza rom vengono elevati al rango di categoria
giuridica.
Questa decisione del Tribunale dei Minorenni - e le stesse parole usate,
agghiaccianti quanto spudorate - è perfettamente coerente alle attuali politiche
in materia di immigrazione, andandosi a delineare l’esistenza di due distinte
giurisdizioni, una per i cittadini e l’altra per gli stranieri.
In un paese che sanziona la clandestinità come reato, l’intera vicenda di A.V. è
rappresentativa dell’accanimento giudiziario contro gli “stranieri” che
gravemente annichilisce i diritti umani, e della perdita di limiti etici e
giuridici oltre i quali le pulsioni più cupe, non incontrando più filtri di
alcun genere, si caricano di forza di legge e fondano decisioni giudiziarie.
Ai nomadi che non hanno commesso reati verrà rilasciato un permesso di soggiorno
per motivi umanitari. Questo l’accordo raggiunto con il Prefetto di Roma,
Pecoraro alla vigilia dell’attuazione del piano nomadi del Comune di Roma.
I nomadi residenti nei campi della Capitale privi di permesso di soggiorno ma
senza precedenti penali, chiederanno alla Questura di Roma il rilascio di un
permesso di soggiorno per motivi umanitari. La valutazione del possesso dei
requisiti per il rilascio sarà valutata da una commissione governativa e chi non
ne avrà diritto sarà espulso. “Il documento umanitario”, spiega Najo Adzovic,
rappresentante del Casilino 900 “consentirà a quelle persone che mostrano
volontà di integrazione, di lavorare e mandare i figli a scuola, di
regolarizzare la loro posizione. Basta pensare che molti di questi sono in
Italia da oltre 30 anni”. Sono già cominciate presso l’ufficio immigrazione
della Questura di Roma le operazioni di fotosegnalamento dei primi Rom dell’ex
Jugoslavia del campo nomadi di via di Salone.
Il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, come spiega Adzovic,
si è reso necessario soprattutto a seguito dell’ entrata in vigore della legge
sulla sicurezza che ha previsto il reato di ingresso e soggiorno illegale in
Italia. Le sanzioni penali – un’ammenda da 5mila a 10mila euro - sarebbero
dunque scattate per tutti i residenti del campo privi di permesso di soggiorno.
Accanto al permesso di soggiorno resterà comunque il Dast (Documento di
autorizzazione allo stanziamento temporaneo) presentato dal Campidoglio che
servirà per attestare la residenza di una persona in un determinato campo
nomadi.
Il permesso di soggiorno per motivi umanitari è regolato dall’articolo 5 comma 6
e dall’articolo19 comma 1 del Testo Unico Immigrazione che prevedono l’inespellibilità
se ricorrono seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi
internazionali che non consentono l’allontanamento dal territorio nazionale. Può
essere rilasciato dalla questura a seguito di acquisizione di documentazione
riguardante i motivi della richiesta relative ad oggettive e gravi situazioni
personali – art. 11 c. 1 lett. C)ter DPR 394/99.
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