Siviglia. 28 settembre 2008 - Mario Maya (Spagna 1937-2008) riconosciuto
come uno fra i più grandi ballerini, compositori e coreografi nella storia del
flamenco, è morto ieri nella sua casa a Siviglia circondato dai familiari.
Maya era nato da una famiglia Rom di Granada ed aveva iniziato da ragazzino la
sua carriera nelle Zambras del Sacromonte. Ha dedicato tutta la sua vita al
flamenco, ha ricevuto dozzine di premi e girato il mondo con i suoi spettacoli.
La sua prolifica carriera include la creazione degli spettacoli "Camelamos Naquerar" ("Vogliamo
parlare" in Calo) e "Ay! Hondo" che furono cruciali nel enunciare la
repressione e le discriminazioni storiche che i Gitani hanno sofferto in Spagna.
I suoi funerali, tenutisi ieri nella città di Siviglia, hanno visto la
partecipazione di centinaia di persone e sono previsti eventi in diverse nazioni
per commemorarlo.
Per chi capisce lo spagnolo, questo articolo uscito su
EL PAIS
Di Fabrizio (del 26/09/2008 @ 14:51:24, in Kumpanija, visitato 3749 volte)
Sono passati circa dieci anni (giorno più, giorno meno)
dalla dipartita di Carlo Cuomo, figura chiave nella vita politica e associativa
milanese e anche nazionale. Ho ritrovato questo articolo sul vecchio sito
dell'Opera Nomadi Milano (da lui presieduta per anni), incredibile come dieci
anni dopo sia ancora attuale. Da rileggere con attenzione.
Per l'italiano medio, "normale", anche se democratico e di sinistra, la parola
"zingaro", la vista nel proprio quartiere di una famiglia di zingari (la
roulotte, i moltissimi bambini, le donne con le gonne lunghe) provocano
inquietudine, diffidenza, qualche ribrezzo.
Nessun'altra minoranza etnica suscita un così forte e totale sentimento di
"sgradevolezza", nessuna è altrettanto misconosciuta, ignorata. Noi, i "gagé" -
i non zingari - non sappiamo niente di queste comunità, di questo piccolo popolo
che vive tra di noi da più di cinque secoli. Ma crediamo di sapere. Al posto
della conoscenza mettiamo un mito e crediamo che il mito sia conoscenza.
"Sono molti, moltissimi - pensano i "gagé" -, dilagano, ci invadono; sono
vagabondi senza arte né parte, nomadi disordinati; sono pigri e ladri;
maltrattano e sfruttano i loro bambini; non sono una realtà etnica, sono una
realtà malavitosa; sono infidi, violenti, pericolosi; sono - come recitava il
titolo di un vecchio film sui borgatari romani - "sporchi, brutti e cattivi".
Nel nostro immaginario collettivo questo mito negativo convive, a sprazzi -
complice un po' di mediocre cinema e mediocrissima letteratura e tanti ambigui
nostri desideri -, con un mito diverso, opposto, che esprime fascinazione: "Sono
liberi, "figli del vento"; sono musicisti straordinari; le loro donne sono
voluttuose e i loro uomini fieramente virili; non si piegano alle false lusinghe
della civiltà e del progresso; loro sì, che sono felici!" La diversità basta non
vederla com'è, basta esorcizzarla nei sogni delle nostre nevrosi, delle nostre
paure, dei nostri ambigui desideri.
Prevale, comunque, fortemente, il primo mito, quello negativo. Ogni fatto di
cronaca viene accolto se conferma il mito, rimosso se lo contraddice. Se
Brambilla ruba, conferma semplicemente che ci sono i ladri; se uno zingaro ruba,
conferma che gli zingari sono tutti ladri; se un bambino viene stuprato in una
famiglia borghese di Milano o venduto a Napoli o prostituito ad Amsterdam c'è
allarme per la sorte e il destino dell'infanzia; se un bambino zingaro viene
"ceduto" per svaligiare appartamenti, si rafforza la nostra certezza che gli
zingari maltrattano e sfruttano i loro bambini. Eccetera. Non bisogna stupirsi.
Già nell'Ottocento (e ancora oggi...) quanta parte dell'opinione pubblica
rimuoveva il funzionamento strutturale della finanza e dell'industria
capitalistica per vedere solo il finanziere ebreo o, nella Francia cattolica, la
"banque protestante"? E Lenin definiva l'antisemitismo "il socialismo degli
imbecilli"... Non si tratta, badate bene, di un mito negativo passivo. Esso
viene agito. Questo nostro "sguardo" sulla realtà zingara ha drammatiche
conseguenze pratiche su di loro.
Sulla localizzazione delle loro comunità, per esempio. I campi attrezzati dai
Comuni (pochi, bruttissimi) bisogna cercarli lungo le ferrovie, le tangenziali,
i canali, le periferie più abbandonate, lontani dalle linee di trasporto, dai
servizi, dai negozi, dalle scuole. Lontani dai luoghi della "gente per bene".
Gli stessi zingari, per i loro insediamenti spontanei, scelgono di sfuggire al
nostro "sguardo" e di stare lontani e nascosti. "Popoli delle discariche",
scrive Leonardo Piascre. Popoli che le nostre sinistre paure collocano nelle
nostre discariche. Di fatto, per gli zingari vige l'apartheid.
Non solo per gli insediamenti. Certo, nessuna legge vieta loro di prendere i
mezzi di trasporto, di entrare nei negozi e nei bar, di andare a scuola, di
frequentare i servizi sanitari. Ma entrare in un negozio o in un bar è entrare
nel territorio del sospetto, della fretta di servirti per vederti uscire; a
volte, non ti servono. Se prendi un tram, la gente si scansa. Ci sono medici di
base che rifiutano l'iscrizione di zingari o che, come ripiego, chiedono loro di
frequentare l'ambulatorio solo determinati giorni, per "non disturbare la gente
normale". Ci sono stati scioperi di genitori perché gli zingarelli non
frequentassero la scuola e scuole che ne scoraggiano l'iscrizione; nelle scuole,
quando va bene, c'è assistenzialismo paternalistico e solo in pochi casi c'è
accoglienza vera, intelligente e rispettosa. Se uno zingaro cerca lavoro deve
nascondere la propria appartenenza etnica, camuffarsi, mentire; se no, il lavoro
offerto scompare d'incanto. Un bambino zingaro cresce così, sotto questo
sguardo, in queste condizioni, in questo clima di fastidio, diffidenza,
disprezzo. Nell'apartheid. Ed è questo che partorisce, fra gli zingari presenti
in Italia, tassi di morbilità, di mortalità, di analfabetismo, di disoccupazione
che sono a livello boliviano o honduregno. Ed è questo che partorisce anomia.
Le cose cambiano? Sì, un po', lentamente, faticosamente. Ma la realtà, guardata
dal punto di vista degli zingari, è essenzialmente quella: il fastidio, la
diffidenza, il disprezzo, l'apartheid. Immobili, permanenti, pesantissimi.
Minoranza misconosciuta, dicevamo, ignorata. Ormai sappiamo nominare gli
esseri del sud e del nord, i ceceni, i turchi gagauzi, gli armeni e gli azeri,
gli abkhazi, i musulmani della Bosnia, gli albanesi del Kosovo e della
Macedonia, gli ungheresi della Voivodina e della Transilvania, le comunità
etniche di Los Angeles una per una - ma non sappiamo riconoscere e nominare
quell'arcipelago di comunità che formano, fra di noi, il popolo zingaro. Gli si
nega l'identità socio-economica, etnica, linguistica, storica. Sappiamo tante
cose sulla natalità e mortalità nel mondo, sulla fame, le malattie; ma ignoriamo
quei pochi drammatici dati socioeconomici che riguardano donne, uomini,
pochissimi anziani e moltissimi bambini che da cinque secoli vivono fra di noi.
Pensiamo alla Spagna del 1492 e per noi significa scoperta dell'America,
cacciata degli Ebrei e dei Mori; e rimuoviamo il bando antizingaro del 1499.
Parliamo di Maria Teresa d'Austria ma non sappiamo niente del suo tentativo di
etnocidio culturale degli zingari. Parliamo dell'Olocausto ma cancelliamo il
loro Olocausto: 500.000 morti nei lager. Celebriamo la Resistenza ma rimuoviamo
la loro partecipazione alla lotta armata. Da anni, inchiodati davanti alle
nostre TV, ci indigniamo per gli eccidi nell'ex Jugoslavia; ma non ci
interroghiamo mai sulla sorte degli zingari jugoslavi, su cosa significhi,
nell'orrore generalizzato, l'essere zingaro musulmano, oggi, nella Bosnia o
nell'Erzegovina (e quando, per sfuggire all'orrore, arrivano tra di noi, devono
- per scansare la nostra ostilità nascondersi nelle discariche delle nostre
periferie più degradate dove i loro bambini muoiono di freddo o nei roghi di
fuochi improvvisati e da dove ordinanze sindacali e prefettizie li sgomberano
brutalmente). L'apartheid, quindi, non è solo territoriale, comportamentale; è
anche apartheid cognitivo: segreghiamo gli zingari nelle periferie oscure della
nostra ignoranza per farli riaffiorare nei luoghi mitologici delle nostre paure.
Con questo numero del Calendario del Popolo vorremmo dare un contributo al
passaggio dal mito alla conoscenza della realtà zingara e, quindi, dalle
ricadute pesanti e discriminatorie del mito negativo all'azione consapevole e
rispettosa che può nascere da una conoscenza razionale. Precisiamo, quindi, in
apertura, alcune semplici verità.
Gli zingari non sono "molti, moltissimi", non dilagano, non ci invadono.
Sono, in un Paese di circa 56 milioni di abitanti, 100/110.000 (circa il due
per mille della popolazione italiana...) di cui 70/80.000 cittadini italiani
e 20/30.000 cittadini stranieri provenienti, per l'essenziale, da varie
parti dell'ex Jugoslavia. Sono pochi, pochissimi quindi e non tendono a
concentrarsi in specifiche parti del territorio. Le loro scelte insediative
si basano piuttosto su strategie di dispersione territoriale. Quasi metà di
questo piccolo popolo ha meno di 15 anni, meno del 3% supera i 60 anni.
Isolati nelle nostre periferie più degradate, gli zingari muoiono giovani. I
tassi di morbilità e di mortalità sono alti fra gli adulti, altissimi fra i
bambini. La scolarizzazione è bassa e irregolare, l'analfabetismo diretto o
di ritorno diffusissimo; la disoccupazione, generalizzata. Nessun paragone è
possibile con la struttura demografica, le condizioni di salute, la
scolarizzazione, l'inserimento al lavoro del resto della popolazione.
Sono arrivati nel nostro Paese in momenti diversi: i sinti dal Nord, via
terra, nei primi anni del Quattrocento; i rom nell'Italia meridionale, via
mare, provenienti dalle zone grecofone del morente Impero bizantino, nella
seconda metà del Quattrocento; gli harvati, dall'est, con le modifiche
territoriali della prima guerra mondiale e (già allora!) con le tragedie che
la seconda guerra mondiale aveva creato in Slovenia, Croazia, Istria,
Dalmazia. Più recentemente, a partire dagli anni '60, la crisi economica
jugoslava ha prodotto una ripresa di movimenti dall'est verso l'Italia e,
infine, il precipitare della guerra, delle pulizie etniche e dei massacri un
arrivo massiccio a partire dal 1991.
Definirli "nomadi" è sbagliato e fuorviante. Il nomadismo, con certe
forme e certe sue regole, è uno dei modi di essere delle comunità zingare;
sono numerosissimi invece - nel tempo storico e nello spazio geografico - i
gruppi semi sedentari o compiutamente sedentarizzati, per esempio
nell'Italia centrale e meridionale, in Spagna, in Ungheria, in molte parti
dell'ex Jugoslavia, nell'impero bizantino e in quello ottomano, a Bassora
sin dal VII secolo. Meglio definirli ("nominarli", come dicevamo sopra)
zingari, come vuole una tradizione "gagé" consolidata, o, meglio, con i
sostantivi Rom e Sinti, come si autodefiniscono, seguiti, volta per volta,
da un aggettivo specificativo (harvati, kalderaš, xoraxané, abruzzesi,
eccetera). Sono - in Italia come nel resto del mondo - un popolo, composto
di tante comunità distinte. Ed è come tali che vanno riconosciuti, nominati,
individuandone le diversità specifiche, comunità per comunità, e i tratti
comuni.
Parlando di zingari, occorre tenere distinti gli aspetti giuridici da
quelli antropologici. Giuridicamente, con tutte le conseguenze pratiche che
ciò comporta sul piano dei diritti formali, si possono distinguere gli
zingari presenti in Italia sulla base della cittadinanza: cittadini italiani
(la maggioranza), cittadini della Comunità europea (francesi, spagnoli,
ecc.), cittadini extracomunitari (soprattutto ex jugoslavi).
Antropologicamente, però, è molto più significativo sul piano scientifico e
più rispettoso della soggettività delle comunità zingare distinguere per
aggregazioni e comunità etnico-linguistiche: vedi la tradizionale
distinzione rom/sinti, indipendente dalla cittadinanza; i lovara, di origine
ungherese-rumena ma spesso, nelle stesse comunità presenti in Italia, con
cittadinanza o italiana o francese o spagnola; l'intensità di rapporti tra
rom harvati, cittadini italiani, e rom sloveni, croati, istriani, dalmati,
cittadini ex jugoslavi, confrontata con la freddezza di rapporti tra rom
harvati e rom abruzzesi, cittadini italiani gli uni e gli altri.
Gli zingari sono quindi un popolo articolato in comunità, plasmato dalla
sua storia - storia della difesa orgogliosa della propria identità e storia
delle proprie strategie di adattamento al mutare delle situazioni,
interagendo con le culture ospiti - e dalla nostra secolare ostilità, dal
suo modo di rispondere, per secoli, alla storia delle nostre persecuzioni.
Un popolo portatore di tradizioni e di culture: modi specifici di
rapportarsi al cibo, al sesso, agli anziani e ai bambini, di definire e
vivere le regole della comunità. Un popolo che parla una lingua neo-indiana,
divisa in dialetti frutto dei modi diversi in cui questa lingua ha
interagito, nel tempo storico e nello spazio geografico, con le parlate dei
popoli incontrati e dei paesi attraversati - ma con un robusto fondo comune
lessicale, morfologico, sintattico. Sono - qui e oggi - un certo modo,
contraddittorio e lacerante, di tenere insieme, in un equilibrio instabile,
valori e modelli di vita tradizionali con i valori e modelli che la TV, in
ogni sgangherata roulotte, propone loro quotidianamente. Sono il prodotto
del nostro disprezzo di oggi, che li accompagna dalla culla alla tomba;
della segregazione nei nostri meschini e mediocri campi comunali; dei
brutali e continui sgomberi notturni che sbattono gli "abusivi" da una
discarica all'altra. E della loro resistenza-adattamento a tutto questo.
di Carlo Cuomo - tratto da "Il calendario del Popolo"
Sono estremamente dispiaciuto nell'informarvi che la nostra cara amica
Sylvia Dunn è passata a miglior vita, dopo una lunga malattia. Voce grande e
forte del movimento Zigano e Traveller. Fondatrice dell'Associazione delle Donne
Zingare in GB, ha portato la situazione di Dale Farm nel cuore delle cronache
mondiali, combattendo per i diritti dei nostri bambini e delle nostre donne.
Onestamente, assieme a Len Smith, fu guida saggia e materna, una delle più forti
nostre sostenitrici in Europa. Si candidò contro Michael Howard alle elezioni
nazionali. Per questo e molto altro, Grazie Sylvia, per la tua guida e il tuo
spirito.
Joe Jones
Gypsy Council
International Gypsy & Traveller Affairs
Traveller Law Research Unit (Cardiff University) European Romany and Traveller Forum
National Federation of Romany Gypsies & Irish Travellers
Il 18 maggio 2008 si è costituita la "Federazione Rom e Sinti insieme"
con l’approvazione dello statuto e la elezione degli organi sociali, che
resteranno in carica fino al 30 Aprile 2009, tale breve periodo è stata una
scelta per dare la possibilità ad altre organizzazioni e singole persone di
aderire alla Federazione e quindi di partecipare attivamente alla elezione degli
organi sociali per il triennio 2009/2011.
Le organizzazioni Rom e Sinte e le singole persone sono invitate a
prendere visione dello statuto sul blog della Federazione e formulare la
richiesta di iscrizione, alla prossima assemblea del 27 Settembre 2008 si
delibererà in merito alle richieste pervenute.
Continua il lavoro della federazione in Italia ed in Europa per perseguire le
finalità dello statuto, in particolare per concretizzare un ruolo attivo e
propositivo dei Rom e dei Sinti, il dialogo diretto con il Governo, le
Istituzioni nazionali, le Istituzioni Europee, per affermare la cultura della
legalità ed il contrasto agli abusi di potere.
Lo scorso 10 Luglio 2008 la federazione Rom e Sinti insieme ha promosso a
Roma la sua prima iniziativa, un’Assemblea pubblica per dire BASTA alla
discriminazione, alle politiche differenziate per Rom e Sinti, e chiedere
l’avvio di un dialogo diretto con il Governo Italiano e le istituzioni
Nazionali.
Il 12 luglio il presidente della Federazione ha inoltrato la richiesta di
incontro ai Prefetti di: Napoli, Roma, Milano ed al Ministro dell’Interno
Roberto Maroni.
Nel mese di Luglio due diverse delegazioni della Federazione hanno incontrato
i prefetti di Milano e di Roma ed il prossimo 16 Settembre ci sarà l’incontro
con il Ministro dell’Interno.
Il prossimo 16 Settembre due importanti impegni attendono la federazione: 1. Una delegazione della Federazione composta dal vice presidente Radames
Gabrielli, dal segretario Graziano Halillovic e dalla consigliera Eva Rizzin
saranno a Bruxelles per partecipare al primo vertice della Commissione Europea
dedicato a Rom e Sinti; 2. Un’altra delegazione della federazione composta dal presidente Nazzareno
Guarnieri, dal vice presidente Demir Mustafà e dal consigliere Davide Casadio
incontreranno il Ministro dell’Interno Roberto Maroni.
Le delegazioni della federazione presenteranno a questi incontri proposte
concrete negli obiettivi e nelle strategie.
Numerosi altri contatti sono in corso da parte della Federazione per definire
di incontrare Ministri (Pari opportunità e Politiche sociali), istituzioni
(Prefetto di Napoli, audizione in Commissione cultura/istruzione e Commissione
politiche sociali) e partiti politici di governo e di opposizione.
Lettera aperta per le richieste negli ultimi anni
Vicenza, 24 gen. 08
Gentile Sotto segretario Lucidi,
La Missione Evangelica Zigana (M.E.Z) è un ente morale senza scopo di
lucro[1] legalmente riconosciuta dal governo italiano.
Diffusa in Italia intorno agli anni 80, la M.E.Z trovò il proprio impulso nel
risveglio religioso francese nel 48, opera che non si è mai arrestata, e che
oggi risulta essere altamente diffusa in tutto il territorio nazionale con lo
scopo di raggiungere in particolare le popolazioni sinte e rom ma offrendo il
messaggio evangelico a tutte le persone che si vogliono avvicinare al signore
senza alcuna distinzione. In questi vent’anni moltissime persone si sono
convertite al vangelo partecipando assiduamente ai culti religiosi.
La Missione oltre a svolgere il suo compito religioso e spirituale per mezzo
della parola di Dio si è dimostrata efficace anche dal punto di vista sociale,
poiché numerosi sinti e rom attraverso la fede sono riusciti ad esercitare un
riscatto morale all’interno della società.
Molti membri della Missione stanno iniziando personalmente un impegno per
contrastare le discriminazioni subite dalle popolazione sinte e rom, la finalità
è la costituzione di organizzazioni senza scopo di lucro con l’obbiettivo di
rendere le società sinte protagoniste sociali pensanti, anche attraverso la
promozione di politiche di interazione, di partecipazione diretta e di
mediazione culturale.
Negli ultimi anni la Missione si è trovata sempre in piu’ difficoltà nel
reperire delle aree in tutt’Italia di sempre maggiori dimensioni dove poter
svolgere i propri convegni religiosi. Attualmente la M.E.Z ha raggiunto i sinti e
i rom in tutt’Italia, la partecipazione è molto ampia e moltissime famiglie
raggiungono i convegni anche facendo tantissimi chilometri. Tali importanti
momenti di preghiera ed incontro prevedono l’installazione di un tendone e
l’accoglienza di roulotte e camper di fedeli provenienti da diverse parti
d’Italia.
Pur avendo i permessi per professare il culto, innumerevoli sono gli ostacoli
che quotidianamente troviamo presso i comuni che spesso non ci autorizzano l’uso
di terreni comunali o privati per i convegni evangelici. L’esistenza di un
pregiudizio diffuso nei confronti dei rom e sinti induce spesso le Istituzioni
Locali a fare degli accostamenti generalizzati di un intero gruppo etnico con
determinati fenomeni di criminalità, un pregiudizio che sostanzialmente ostacola
la concessione dei permessi. In Francia la M.E.Z è supportata dal Governo
francese che offre l’uso di aree aereoportuali dimesse per poter svolgere i
convegni religiosi e permettere a tutti di partecipare ai raduni spirituali. Con
la presente vorremmo sensibilizzare le autorità competenti affinché agevolino la
nostra opera di evangelizzazione. In particolare chiediamo che i Prefetti possono
intervenire sui Sindaci affinché sia garantito ai sinti e ai rom il diritto di
professare liberamente la religione evangelica.
In attesa di un Vostro riscontro, porgiamo i più cordiali saluti
Davide Casadio e Elvis Ferrari
M.E.Z (Missione Evangelica Zigana)
Il giovane leghista di trent’anni posa sorridente ed impettito insieme con la
sua donna davanti alla telecamera, con orgoglio sa di apparire in una delle più
quotate tv locali, rigorosamente della Lega. In paese parleranno tutti di lui
che ha partecipato all’ormai leggendaria manifestazione di Pontida, allestendo
un piccolo gazebo. Una sorta di sfida tra i vari gruppi partecipanti, ogni
gruppo vuol far vedere di essere valido, sia in politica, sia nel commercio sia
nell’azione… parlano del volantinaggio di domani davanti a tutte le scuole della
Padania, per sostenere la disuguaglianza sociale tra un cittadino Padano e un
cittadino del sud, e anche per cacciare via questi folli immigrati clandestini
che attentano alla sua incolumità.
"Oggi – dice davanti la telecamera - queste nuove generazioni di giovani sentono
molto di più sulla propria pelle le problematiche di immigrazione, di sicurezza
e vogliono vivere nella propria terra senza la paura di essere rapinati da
extracomunitari che, nascosti sotto la cosiddetta "integrazione", cercando di
fregarti. No... basta! lo dobbiamo impedire a tutti i costi.
la Lega è tornata di moda, ha successo tra i giovani per la comunanza di
linguaggio, di mentalità, di azione. La Lega Nord è una confederazione di più
movimenti politici
autonomisti
che attualmente ripropone il progetto di uno
Stato
federale e si batte per l'attuazione di norme più severe per contrastare l'integralismo
islamico; enfatizza anche la lotta all'immigrazione
clandestina."
Il giovane continua a parlare con maggiore tracotanza, ma all’improvviso cade a
terra privo di sensi. La sua malattia, dovuta ad una malformazione del cuore
congenita, ha avuto la prevalenza.
Trasportato di corsa in ospedale risulta subito un caso disperato… occorre un
trapianto del cuore; lo sapeva e aspettava da tempo la disponibilità
dell’organo.
…Intanto l’unico genitore in vita di Niko, ha dato il via libera alla donazione
degli organi del figlio, morto proprio quella mattina in una strada lì vicina.
Niko è un Rom, di una comunità Sinti, lombarda.
"Credo che la donazioni di organi - conclude il padre fra il pianto -
rappresenti un'espressione di altissima solidarietà , mio figlio sarebbe
d’accordo."
Dopo l’operazione riuscitissima ed una breve convalescenza, il giovane leghista
torna a vivere, compra un mazzo di rose bianche e si reca al cimitero, curioso
di conoscere il benefattore. Apprende cosi la verità, lascia i fiori nella tomba
e torna a casa piangendo… finalmente un "cuore nero" continuerà a battere sotto
la sua camicia verde.
AVEZZANO - Non poteva non esserci un rom di Avezzano nella "Federazione"
costituitasi al Ministero degli Interni quale organo consultivo per decidere i
nuovi rapporti tra rom e sinti (le due entie zingare esistenti in Italia) ed il
Governo, alla luce delle recentissime raccomandazioni dell’Europa sulla vicenda.
Non poteva non esserci dal momento che i rom ad Avezzano costituiscono una
nutrita "colonia" da tempo inseritasi nel tessuto marsicano, ed in stretto
contatto con le altre famiglie abruzzesi e romane.
Si tratta di Bruno Morelli, 49 anni, una maturità artistica conseguita a Roma al
liceo e poi la laurea in Belle arti. E’ tornato in Abruzzo per le ferie ma, fino
a ieri, è stato impegnato su più fronti: "Abbiamo lavorato a lungo assieme ai
tecnici del Ministero. E devo dire di aver trovato la massima disponibilità. Dei
rom sanno poco: abbiamo parlato di istruzione, di sanità, di casa. Non sono
l’unico abruzzese, ce ne sono altri tre o quattro, ma, insomma, devo dire che si
tratta di un confronto abbastanza serrato".
Morelli parla dell’Europa, delle raccomandazioni fatte al Governo italiano di
non isolare questa comunità e dello sforzo reciproco per far si che questo non
accada. Stupendo ed affascinante il suo mondo. Morelli vive tra Avezzano e Roma:
in Marsica ha il suo studio nel quale dipinge.
Quadri stupendi, opere di un fascino coloristico assolutamente ineguagliabile. E
l’ambiente? Tipicamente zingaro: una casa rigorosamente in periferia, fuori,
abbastanza curata ma, dentro, quasi una reggia. Principesca e coloratissima:
nulla di eccezionalmente ricco ma arredata con gusto da opere d’arte (sculture e
quadri) di evidente ispirazione zingara.
ELTIEMPO.COM vida de hoy I bambini gitani in Colombia convivono tra la
modernità ed i loro costumi ancestrali Por: JOSÉ ALBERTO MOJICA P.
Foto: Claudia Rubio / EL TIEMPO Nella casa di Geraldín, in un quartiere della
zona 3 a ovest di Bogotá, vivono 23 persone. Suo papà è un artigiano del rame
A Bogotá passano inosservati perché sono immersi nella società. Dicono
che qui stanno meglio che in altri paesi dove sono perseguiti. Cronaca
"Sì, sono Gitana", confessò Geraldín Gómez davanti ai suoi compagni di
classe, quando un'insegnante le chiese se era vero quello che si commentava
nella scuola, Questo successe appena un mese fa.
"Non l'avevo detto prima perché, anche se non è un segreto, non è neanche da
raccontare a tutti", dice la ragazza, 12 anni, studente di quinta della
primaria.
Le sue amiche, stupite, le chiedono con curiosità se vive nelle tende, come
mostrano le telenovelas e le pellicole, e poi le han chiesto di leggerle la
mano.
Anche se ha ereditato le tradizioni della sua cultura millenaria dai suoi
genitori e dai nonno, e domina la lingua del popolo Rom, la chiromanzia non le
piace. Di più, chiarisce che si tratta di arte con cui si nasce e che lei non
possiede.
Geraldín è quasi una donna, di più: una bella donna. E questo preoccupa sua
padre, un uomo forte che, come la maggioranza dei maschi Gitani, si guadagna la
vita come artigiano del rame.
E' uso sposarsi a 15 anni
In casa sua, dove vivono 23 persone, in un quartiere della zona 3 a ovest di
Bogotá, condivide una stanza con fratelli e genitori.
Per l'età e la bellezza di
Geraldín, il padre confessa di pensare di ritirarla da scuola. "Lo studio va
bene, però fuori, con i 'gadzhe' (non Gitani), può perdere le sue tradizioni.
Inoltre, è quasi una donna e gli uomini possono infastidirla", sostiene.
E oltre al futuro, che spera per sua figlia, come comandano le leggi del popolo
Rom, è che a 15 anni abbia già una famiglia, con un uomo della sua comunità.
Però lei, come in molti di questi tempi, la pensa diversamente. E questo,
secondo
Dalila
Gómez, Coordinatrice Generale del Processo Organizzativo del Popolo Rom di
Colombia (PRORROM) - che cerca di garantire i diritti collettivi del suo popolo
- si è convertito in un problema.
"Anche se hanno ereditato l'idioma ed i costumi, è impossibile pretendere che
siano uguali ai Gitani di altre epoche. Vivono una dualità: tra il mistico ed il
mondo contemporaneo", sostiene Dalila, una delle poche Gitane in Colombia che
hanno una professione precisa. E' ingegnere industriale e lavora per lo Stato.
Ha dovuto confrontarsi coi suoi genitori e con tutta la comunità quando
decise che, invece di sposarsi così giovane, voleva studiare.
Oggi non è solo la leader più visibile del popolo Rom nel paese, ma si è
convertita in un modello per i giovani.
Il suo mondo è il moderno
Dalila aggiunge che, da circa due decadi, i bimbi Gitani non hanno vissuto la
vita itinerante dei loro antenati, che il tema della chiromanzia e
dell'artigianato non li emoziona, e che le tendenze attuali come la musica e
Internet sono parte della loro quotidianità.
Nonostante, Geraldín afferma che i bimbi Gitani in Colombia sono fortunati,
rispetto ai loro coetanei in Europa.
Da poco, si è interessata alle notizie dall'Italia dove si è generata una
polemica sulla proposta del Governo di questo paese di prendere le impronte
digitali ai bambini di questa etnia al fine di evitare che mendichino.
Ed ha saputo anche che due bambine Gitane sono morte affogate in una spiaggia
italiana, di fronte allo sguardo indifferente dei turisti. "Questo è inumano, e
assurdo. Siamo persone come le altre, non una piaga come molti ci vedono", dice.
Geraldín rispetta le intenzioni di suo padre, però spera che comprenda che i
tempi sono cambiati e che lei può ottenere una professione senza smettere di
essere Gitana, come ha fatto Dalila, sua zia. Tanto che vuole montare una
propria accademia di danza ed essere cantante, mentre va all'università.
"Nessuno sa cosa può succedere col futuro della bimba, però io l'appoggio.
Voglio che studi e abbia una vita migliore. Essere Gitano, andare da un posto
all'altro, non avere nulla, è molto difficile", dice sua madre, Miryam.
Geraldín sa che ha davanti una lotta ferrea col suo destino. Non vuole
ripetere la storia di sua madre, vuole diventare un professionista, senza
smettere di essere una buona Gitana.
"Il futuro per i Gitani non esiste. Il futuro è oggi e ora. Aspettiamo di
vedere cosa succede quando arriva il momento di decidere", dice.
Qui vivono in 5.000
In Colombia, secondo il censimento del 2005, vivono circa 5.000 gitani. Di
questi, 1.446 sono minori. Sono considerati come etnia dallo Stato dal 1998.
Gli uomini vivono del commercio informale, dell'artigianato dei metalli e del
rame e della riparazione di macchine pesanti. Le donne si dedicano alla
chiromanzia, al cucito ed alla cura della casa.
I gitani sono originari del nord dell'India. La loro presenza in Colombia
iniziò nel XIX secolo. Arrivarono in America Latina col terzo viaggio di
Colombo.
Bogotá, D.C., 16 de agosto de 2008.
Redacción Vida de Hoy. El Tiempo.
Mentre i membri del consiglio di
Basildon devono discutere il mese prossimo sul rafforzamento delle azioni
contro il Centro San Cristoforo di Dale Farm, questa settimana (12 agosto) i più
giovani si sono riuniti nell'edificio per formare la loro organizzazione.
Sotto la guida ispiratrice degli attivisti Angie e Bluey Jones, hanno eletto
il gruppo che unirà tutti i giovani della più grande comunità di Viaggianti, che
da sette anni è sotto assedio. Hanno intitolato il loro nuovo gruppo Dale
Farm Chaveys.
"Sono amico di tutti," ha detto Jimmy Harbour, il primo presidente dei
Chaveys. "Ci sarà spazio per tutti nella nostra nuova organizzazione."
Condivide la presidenza Lily Williams, scelta tra i membri fondatori, di
un'età tra i nove e i tredici anni. Hanno concordato di affiliarsi alla Gypsy Council Youth Division.
E' stato eletto un comitato di dieci, la più giovane ha nove anni e si chiama Eileen O'Brien.
Eileen, che si distingue per essere nata l'8 aprile, giorno internazionale dei
Rom, apporterà le sue capacità nell'uso del computer come segretaria dei media.
Motivati dalla partecipazione del pugile Romanì
Billy Joe
Saunders alle Olimpiadi di Pechino, i ragazzi sperano di includere la
formazione pugilistica nelle attività del gruppo.
"La boxe piace a molti di noi," ha commentato il vice-presidente Tommy Connors. "Inviteremo
Francy Barrett, un altro pugile olimpico del nostro gruppo, a visitarci a Dale
Farm."
Katie Goldsmith, segretaria della Gypsy Council Youth Division, che ha
contribuito a tenere la riunione, dice di aspettarsi molto di più quando simili
gruppi giovanili saranno formati in GB.
I giovani hanno completata la giornata piantando una quercia per ricordare la
fondazione dei Dale Farm Chaveys. Sperano che il loro centro ed il nuovo
club siano visti come un positivo successo e di ottenere aiuto per allargare il
numero dei membri e le attività
Nel contempo, Basildon ha emanato un ordine per radere al suolo San
Cristoforo, lamentando che l'edificio non ha un permesso di edificazione.
Tuttavia, la ditta fornitrice dice che essendo una struttura temporanea non
necessita di permessi.
"Questo è il terzo centro che costruiamo nella nostra campagna per i diritti
civili che dura da cinquant'anni," ha detto Richard Sheridan, presidente del
Consiglio Zingaro. "Il primo venne bruciato dalla Dublin Corporation. Ma Dio
volendo questo non verrà distrutto deliberatamente."
Sheridan ha detto di dover tuttavia ammettere che Basildon non ha consegnato
i suoi piani per distruggere l'insediamento di Dale Farm. Se al comune verrà
permesso di farlo, sarà deciso il 5 dicembre in una seduta del Tribunale
d'Appello.
La formazione per il gruppo dirigente dei Chaveys verrà fornita
dell'operatrice per la gioventù
Caroline Flynn. Ha detto in seguito di aver visto raramente giovani così acuti
ed ambiziosi.
"Hanno un grande spirito e andranno lontano," ha detto Caroline. "Dobbiamo
dar loro questa possibilità."
Dina Gottliebova Babbitt (o Dinah), è l'artista che dipinse e disegnò gli
orribili disegni del dottore di Auschwitz conosciuto come Angelo della Morte,
Josef Mengele. Mengele le comandò anche di dipingere i ritratti ad acquarello di
diversi zingari, che erano anche loro detenuti ad Auschwitz, per catturare
quello che lui chiamava il colore delle pelle zingara meglio di quanto potesse
fare con la sua macchina fotografica o coi film del tempo. Una volta che i
ritratti furono completi, con orrore di Dina, Mengele mandò gli zingari a morte.
Secondo il sito web del Museo di Auschwitz-Birkenau, sette di quei ritratti
furono scoperti dopo la II guerra mondiale fuori dal campo di sterminio di
Auschwitz, da cui furono rimossi senza permesso legale, nei primi anni '70
e venduti al Museo di Auschwitz-Birkenau da gente che apparentemente non sapeva
che l'artista, Dina Babbit, era ancora viva e viveva in California (Se questa
informazione fosse stata rimossa dal sito web del Museo, ho ancora la pagina web
salvata. Contattatemi per vederla su carta intestata del Museo). Il Museo chiese
a Dina di andare ad Auschwitz per identificare il suo lavoro. Però, dopo che lo
fece, il Museo nel le permise di portare i disegni con sé. Il rifiuto del Museo
di lasciare a Dina i dipinti iniziò la sua re-incarcerazione come ostaggio del
campo di sterminio di Auschwitz.
E' stata sparsa molta disinformazione sullo scopo di Dina nel chiedere
indietro i suoi lavori originali. La verità è che non ha desiderio alcuno di
nascondere i ritratti degli zingari dalla storia. In effetti, niente potrebbe
essere oltre la verità. Una volta che fosse in possesso dei suoi ritratti, lei
intende mostrarli nei musei sull'Olocausto negli Stati Uniti, dove vive libera,
e nel mondo. Il Museo di Auschwitz-Birkenau mostra soltanto delle copie per
ragioni di sicurezza.
E' stato chiesto: "Perché Dina non portò con sé i disegni quando se ne andò?"
La ragione è che si trattava di una marcia di sterminio.
E' stata anche spedita a Dina una lettera dicendo che se qualcuno aveva
diritti sui dipinti, quello era Josef Mengele. Un suggerimento nauseante. Sto
cercando la lettera originale e la posterò sul sito quando la trovo.
Dina è legalmente accreditata dal Museo come la legittima proprietaria dei
suoi lavori e deve firmare ogni volta una liberatoria quando vuole riprodurre i
suoi lavori. Ha sempre accomodato col Museo e non ha mai preso nessuna
compensazione monetaria, per ciò che le è intitolato, per la riproduzione dei
suoi lavori. Ha sempre chiesto al Museo di Auschwitz-Birkenau di dare il denaro
guadagnato dalla riproduzione dei suoi ritratti ad acquarello a cause che
appoggino i Rom. Tuttavia ora il Museo ribatte che, avendo comprato i dipinti da
altra gente, il Museo non deve tornare a Dina i suoi ritratti originali. Ora il
diritto internazionale ha stabilito che il possesso di materiale illustrativo
rubato non autorizza il possessore a tenerlo. Il Museo mostra solo copie dei
dipinti di Dina per ragioni di sicurezza e potrebbe facilmente rappresentare la
tragedia degli zingari come fa adesso, con copie dei ritratti di Dina.
Non uno ma due Atti del Congresso degli Stati Uniti sono stati scritti in
appoggio di Dina. Uno è della congressista Shelley Berkley. L'altro insieme
dalla senatrice Barbara Boxer e da Jesse Helms. Tutti e due divennero parte
della Registrazione Congressuale nel 2003. Passarono all'unanimità.
Dina ritiene che ne lei ne i suoi soggetti zingari, avranno mai la loro
libertà spirituale dal campo di sterminio di Auschwitz, fintanto che i ritratti
non saranno tornati a lei così da essere esposti nei musei dell'Olocausto negli
Stati Uniti ed altri paesi liberi nel mondo.
Nostra madre e noi, la sua famiglia, abbiamo provato ad avere indietro i
dipinti sino dal 1973. A Dina, che ora ha 85 anni, è stata appena diagnosticata
una forma maligna di cancro addominale e mercoledì 23 luglio andrà in chirurgia.
La chirurgia prende sei ore ed è molto a rischio sotto tutte le circostanze.
Preghiamo il Museo di ritornare i lavori di Dina adesso. Inoltre imploriamo
il Museo di non prolungare per anni questa lotta, che si risolva dopo che Dina
sia passata da questa terra. Inoltre, chiediamo la comprensione e l'appoggio del
popolo Rom, amici di Dina, nell'assicurare il rilascio spirituale delle vittime
Rom di Auschwitz.
Imploriamo quanti ci leggano di appoggiare gli sforzi per avere indietro ora
i dipinti firmando le sue pagine su Facebook o mandando una mail di appoggio a
Dina al Museo di Auschwitz-Birkenau (muzeum@auschwitz.org.pl). Inoltre vi aggiungiamo il link alla pagina web di
Dina Babbit
http://www.dinababbitt.com/.
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