Rom e Sinti da tutto il mondo

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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 08/04/2007 @ 09:46:37, in Kumpanija, visitato 2116 volte)

In allegato Messaggio di Etem Dzevat per la giornata Internazionale Rom e Sinti 2007.
Saluti e abbracci di Buona Pasqua a tutti.
Agostino Rota Martir

L’8 Aprile 1971 a Londra si è formata la “Romani Union International”, conosciuta dall’ONU come Organizzazione non Governativa (ONG) attivata per i diritti dei Rom.

Ora partecipa attivamente al Parlamento Europeo e alla Corte d’Europa.

Ma parliamo per Pisa.

A Pisa l’8Aprile è festeggiata la prima volta il 1998, gli iniziatori è il Comitato del campo Nomadi di Coltano…in tale occasione esisteva la Cooperativa con “esperti Rom” che prendeva le “risorse per cultura e Feste Rom” e nemmeno sapevano che cosa è l’8 Aprile e non sono venuti alla festa, magari invitati…

Sono tre anni 2005-’06-’07 come 8 Aprile passa senza festeggiarlo con musica, teatro e cibo ma solo con una lettera mandata alle Istituzioni, al Tirreno…magari a Canale 50 e Granducato si manda la stessa lettera, ma loro non hanno informato mai.

Il 2005 muore il “nostro Papa Wojtila” e per il lutto noi Rom piangendo festeggiamo l’8 Aprile.

Il 2006 gli Italiani vanno alle urne, non era il momento per festa.

Comunque abbiamo festeggiato l’arrivo del governo Prodi, da cui noi Rom aspettiamo grandi cambiamenti.

Uno di questi è il riconoscimento come minoranza linguistica-culturale dei Sinti (cittadini Italiani) e Rom e possibilità per gli stranieri dopo cinque anni in regola con il Permesso di Soggiorno di avere cittadinanza Italiana.

2007, l’8 Aprile è Pasqua: già ci sono Rom cattolici e ortodossi che festeggiano la Pasqua e per questo motivo si rimanda a Maggio, Giugno quando si farà (con l’aiuto di Dio e il patrocinio del Comune di Pisa) un giorno della “Presentazione Cultura Romanì”.

Sottolineando che noi Rom non abbiamo terra-madre, essendo assoluti pacifisti, mai accusatori, sempre accusati, sterminati.

Seconda Guerra Mondiale, la Guerra Balcanica…sempre mandati in esodo dalle nostre case (Kosovo, Bosnia, Macedonia), non avendo nessuna accoglienza al nostro arrivo, un popolo sul quale esiste il più grande pregiudizio, discriminazione.

Tutti gli sbagli degli “esperti Rom” si paga noi “zingari e nomadi” sulla nostra pelle.

Sempre sulle nostre spalle cade su portamento delle difficoltà ad arrivare alle “pari opportunità” e sognata “dignità”.

Da cittadini che abitavano a case, andavano al lavoro, a scuola, benissimo convivevano prima della guerra, arrivando in Italia siamo persi nostra identità di persone, esseri umani e siamo diventati pericolosi, furbi, ladri, nomadi, zingari.

Sono uno dei pochi Rom intelectuali presenti in Pisa e Toscana e partecipo come legale presentante di A.C.E.R. al programma “Le città sottili”, finanziata dal Comune di Pisa e Regione Toscana.

Anno 2001-2002 si è svolto il “censimento” dei Rom a Pisa per il progetto…alcuni

Rom sono andati a cercare futuro in altri paesi, sentendo delle possibilità ritornano e gli esperti Rom parte di loro li fanno entrare e alcuni no.

In seguito negli anni passati, sapendo di possibilità i Rom facevano venire al “banchetto” dei suoi famigliari.

E ora? Mandarli via in Macedonia dove li aspetta condanna per non partecipazione alla “ guerra civile” tra Macedoni e Albanesi.

Macedonia è circondata. Grecia serve visto, Bulgaria serve il visto. La Serbia non da ingresso per i “Cigani” senza corruzione, almeno 1.000 Euro per persona.

Albania, Kosovo non puoi, nemmeno in sogno.

Per i “Magupi” niente ingresso, solo uscita! E’ un collasso economico e i territori ancora sotto controllo di U.C.K.

Macedonia, “Oasi di Pace”, in Kosovo le case dei Rom rimaste non bombardate da aerei NATO partiti da Aviano (Italia), bruciate da U.C.K., come il quartier Rom Mitrovica. Dove spedirli? Gli Albanesi vogliono Kosovo etnicamente pulito.

80% di Rom Bosniaci presenti a Pisa sono nati qui in Italia, nemmeno sanno parlare Bosniaco e in quale enclave si mandano? Croata, non li riconosce, Mussulmana non sono praticanti di Islam, Serbi? Non li vogliono.

Con tutte queste situazioni tante volte volevo dimissionarmi da Presidente dell’A.C.E.R. Ma grazie a Dio che abbiamo l’assessore Sanità sociale, come Carlo Macaluso. Tanti erano “d’accordissimo” per progetto, ma dopo gli stessi mettevano il bastone tra le ruote, lui è rimasto dell’idea di fare il possibile e meglio per risolvere il nostro problema. Lavoravo come accompagnatore bimbi a scuola-bus e da 10 mesi ho lasciato per protesta. La legge dice che ogni bimbo che va a scuola, l’ACER si è impegnata e tanti bimbi ora regolarmente frequentano la scuola, lasciando il semaforo dove chiedevano l’elemosina ed erano meta di “affidamento” degli assistenti sociali.

Magari si dice: “Attento bimbo mio, stai buono italiano, se no ti lascio rubare dagli zingari”.

Ma sono gli Italiani che rubano i bimbi Rom con legge “affidamento”, per arrivare alla donazione.

Non c’era posto per i “fuori progetto bimbi Rom” nel pulmino comunale.

Non c’è altri soldi comprare altri pulmini, e alcuni bimbi sono rimasti fuori scuola ed io “fuori lavoro”.

Ma io devo rimanere lì dentro il progetto, magari mi buttano dalla porta, entrerò dalla finestra, cercando che il progetto va avanti.

Si prevede villaggio Rom al posto di Campo nomadi, regolarizzazione con il Permesso Soggiorno, lavoro, possibilità di fare “extra censimento” con aiuto della Regione e dello Stato Italiano.

Noi Rom presenti a Pisa vogliamo integrarci in società italiana, riprendere la nostra identità di gente normale.

Ma siete voi, Istituzioni, cittadini che dovete darci la possibilità di integrarci.

Il cattivo gesto è quello che tantissimi sono approfittato e buttata la sua spazzatura alla strada in via Idrovora, alcuni lasciando il segno di imprese e ora tutta la colpa si vuole buttare su nostre spalle.

Spero nei vostri gesti umani e nella possibilità di convivere davvero in pace, con dignità e pari opportunità, rispettando la legge, portando nostra cultura, lingua madre, tradizioni alla vostra conoscenza.

Auguri il 8 Aprile 2007

BASTALO 8 April 2007

Per questo scritto prendo ogni responsabilità legale e morale.

Etem Dzevat

Presidente A.C.E.R. Pisa

 
Di Fabrizio (del 30/04/2007 @ 09:45:06, in Kumpanija, visitato 2644 volte)

Da British_Roma (riassunto)

Le comunità Domari nella Turchia Orientale, sono tra le meno conosciute delle comunità zingare nel mondo. Largamente assenti dalle ricerche, sono rimaste "nascoste" alla vista di studenti ed accademici occidentali, sino a ché una lettera di missionari americani alla fine del XIX secolo descrisse con pochi dettagli la loro presenza in queste terre. Da allora poco altro è stato redatto, nei tempi recenti uno studio di Ana Oprisan del 2006, ed ancora la comunità non solo persiste, ma esibisce una forte auto-identità, mantenendo il proprio linguaggio e cultura, come pure la propria identità confessionale. Questa comunità rimane per l'esterno un'entità confusa, oggetto dei medesimi pregiudizi che circolano sugli Zingari. Etichettati come bugiardi, venali, ignoranti, i loro quartieri sono visti come posti pericolosi dove avventurarsi, e questi pregiudizi persistono nell'isolare, marginalizzare ed escludere la gran maggioranza dei Dom, che rimangono limitati economicamente e socialmente in una maniera simile a quella delle fasce povere della popolazione o dei migranti. I Dom nella Turchia Orientale sono il gruppo più marginalizzato ed escluso, quello verso cui si può agire con impunità. E' frequente la mancanza dei servizi basici, come l'accesso alla scolarizzazione, sanità ed impiego, e sono comuni casi di trattamento arbitrario da parte delle autorità statali. Le autorità locali semplicemente negano la loro esistenza nella diffusa convinzione che i Dom più che un gruppo etnico siano una sottoclasse criminale nella società turca nella regione.

La posizione marginalizzata che occupano i Dom è anche quella che inibisce i rapporti con la crescente consapevolezza Romani, atomizzando i diversi elementi della società Domari in gruppi disparati, spesso in competizione tra loro per le risorse limitate o le opportunità di lavoro (nel campo dell'agricoltura, o fornendo musica per le altre comunità come i Kurdi). Non esistono festival musicali o versioni audio delle loro musiche e canti e si può dire che i Dom della Turchia Orientale siano tra i gruppi più invisibili.

Nella città vecchia di Diyarbakir ce ne sono almeno 14.000, molti dei quali parlano ancora la loro lingua originale. Ci sono altre comunità più piccole in altre città e villaggi, la maggior parte vive in cattive condizioni. Nella regione c'è un significativo livello di persecuzioni, abusi e perfino omicidi; come nel caso dei bambini pastori uccisi nei giorni precedenti a quando i villici dovevano pagarli, o alle donne Dom sposate a Kurdi, uccise quando è stata scoperta la loro identità. Particolarmente virulenti i pregiudizi della comunità kurda nella regione ed inoltre i cambiamenti nelle occupazioni tradizionali significano che molti dei Dom musicisti non hanno più lavoro di fronte al rinforzamento della cultura kurda. La zurna (un oboe orientale) e il davut (il tamburo usato dagli Zingari in Turchia) nelle cerimonie matrimoniali vengono sostituiti dal sax e dalle canzoni di Ahmed Kaya, i musicisti Dom ai matrimoni diventano così una memoria del passato. Impoveriti e senza educazione scolastica, i Dom hanno appena iniziato ad avere contatti con le altre comunità zingare in Turchia. Molti Rom neanche sanno dell'esistenza dei Dom, della loro vita di paura e miseria, della loro lingua che mantiene molti imprestiti con l'tigine Hindu e del loro arrivo in Turchia 200 anni prima dei Rom.

Adrian Marsh, MA - Researcher in Romani Studies - University of Greenwich

Originally published in Swedish in 'É Romani Glinda', February 2007.
More information from domaristudies@mac.com.

sui Dom in Medio Oriente

 
Di Fabrizio (del 04/05/2007 @ 10:37:31, in Kumpanija, visitato 1836 volte)

Da Roma_Daily_News

http://www.geocitie s.com/romani_ life_society/

Una società per l'avanzamento del popolo Rom in Australia: eventi culturali, scambio di informazioni con le organizzazioni rom in Europa, USA e Canada, interazione con i Rom di tutto il mondo, integrazione per i Rom immigrati, presentazioni del popolo Rom in Australia, newsletter ed incontri sociali.

Info: Yvonne Slee

 
Di Fabrizio (del 24/05/2007 @ 09:44:07, in Kumpanija, visitato 2217 volte)

Da Repubblica.it

Quelli che sono riusciti a trovare un lavoro e a mandare i figli a scuola
Da Milano a Roma passando per Fano. Ma solo il dieci per cento degli zingari ce la fa
Le danze di Belykize e i camion di Arif

Storie di ordinaria integrazione
La storia di Vintila, rom romeno titolare di impresa edile e judicator nel suo campo
Il paradosso di Walter, sinti, italiano, quattro figli, paga le tasse ma non riesce ad avere una casa

di CLAUDIA FUSANI

ROMA - "Mi chiamo Belykize, nella mia lingua era il nome della regina di Saba. Ho 19 anni, sono zingara e ne sono fiera. E questa, l'Italia, è la mia terra". Belykize è una rom kosovara nata in Italia, a Napoli, dove la sua famiglia è arrivata nel 1985 da Mitrovica, città ora sotto il controllo delle Nazioni Unite, uno di quei distretti simbolo dei furori etnici scoppiati nei Balcani. Belykise è sempre andata a scuola, fin dall'asilo, e ora frequenta l'ultimo anno dell'istituto tecnico "Adriano Olivetti" di Fano. "So cucire, modifico i vestiti, so ballare, mi porto dietro tutti i colori e i suoni della cultura della mia gente e il mio sogno è aprire un negozio oppure lavorare come commessa".

Poi le voci di Arif Thairi, il padre di Belykise; di Costantin Marin Vintila, rom romeno, un judicator a capo del cris, il tribunale della sua comunità che è il campo nomadi vicino al Cimitero Maggiore a Milano. E di Walter Tanoni, un sinti italiano, giostraio figlio di una famiglia di giostrai da quattro generazioni e ora preoccupato di segnare le differenze: "I sinti italiani sono zingari ma più nomadi: siamo cittadini italiani in tutti i sensi e paghiamo le tasse. Il problema sono gli altri zingari, gli slavi e adesso i romeni, che rischiano di avere più diritti di noi". Sono quelli che ce l'hanno fatta. Che si sono integrati senza omologarsi, senza rinunciare a ciò per cui i popoli e le culture zigane sono riuscite nel tempo - ma sempre meno - ad affascinare: quel misto di anarchia mescolato alla capacità di fare festa, di gioire e di convivere con le tragedie quotidiane. Secondo il presidente dell'Opera Nomadi Massimo Converso "in Italia solo il 10 per cento dei 160 mila rom ufficiali si sono integrati". Forse una percentuale ottimista. Di sicuro minima. Ognuno di loro ce l'ha fatta in un modo diverso.

Belykize, 19 anni, fiera di essere zingara - La voce di Belykize arriva squillante via cellulare. E' domenica sera ed è appena tornata dal mare con gli amici "...e col mio fidanzato". Italiano? "No, rom kosovaro come me, della mia stessa città...". E le scappa da ridere. La prima cosa che impressiona è la qualità dell'italiano. "Per forza, sono nata qui, sono andata a scuola da sempre, fin dall'asilo. Comunque, oltre all'italiano, so parlare cinque lingue: romanì (l'idioma dei rom ndr), inglese, serbo, croato, bosniaco. Con i miei cugini però parliamo sempre italiano". Belykize abita a Fano, nella Marche. "Io e la mia famiglia viviamo in una casa, ho appena finito di cucire delle tende che a me piacciono molto, piene di colori, mi sono fatta dare degli scampoli nei negozi, li buttavano via e me li hanno regalati. Essere sempre vissuta in una casa è stata, forse, la cosa più importante, non mi sarebbe piaciuto vivere in una roulotte. Quando andavo a trovare mio nonno a Napoli, al campo, non mi piaceva. Ora vive in Francia, in un casa, anche lui" .

Belikyze trasmette normalità e leggerezza. "Non mi sono mai vergognata di essere una rom. Anche a scuola, non ho mai avuto problemi. Io parlo, sono una aperta, se qualche volta qualcuno mi ha detto "tu sei una zingara" non l'ho mai rinnegato, anzi, me ne vanto. Lo so cosa vuoi sapere, te lo dico subito: mi vesto come una qualsiasi ragazza italiana, sono pulita e in casa mia nessuno è mai andato a rubare. Quindi nulla di cui vergognarmi. Quest'anno mi diplomo, ho già fatto degli stage di due settimane in un supermercato e in un negozio. Il preside è stato molto contento".

La giornata tipo di Belykize è la mattina a scuola, "il pomeriggio aiuto un po' mia mamma in casa dove viviamo in otto e faccio i compiti" Le piace ballare, anzi è una apprezzata ballerina di cocek, tipo danza del ventre, e di oro, un ballo di gruppo gitano. "Appena posso guardo la tv, soprattutto i telefilm che mi piacciono tanto. Seguo molto anche i telegiornali per capire in che mondo mi trovo". La questione nomadi nelle ultime settimane è spesso nei tg. "Io non posso dare la mia mente e il mio cuore agli altri - dice Belykize - se questi rom trovano normale uccidere, rubare, bere, vivere con i soldi degli altri e non fare nulla, restare sporchi e incivili, io posso dire che sbagliano, che stanno sbagliando tutto. Lo dico, sempre, anche a scuola. Ma poi loro sono loro e io sono io. Voglio dire che noi zingari non siamo tutti uguali, non andiamo tutti a rubare e non siamo dei mostri".

Zingaro deriva dal nome del monte Athinganos con cui i greci indicavano una setta eretica di intoccabili. Gitano e zigano deriva da egiziano. Rom vuol dire fango. Ma uno dei primi nomi degli zingari è stato anche bohèmien, chi vive in miseria della propria arte e delle proprie passioni, glielo aveva dato il re di Bohemia. La condanna, ma anche le contraddizioni, delle gente rom comincia dall'inizio, dal nome. E si nutre di secoli di ruberie, furti, violenze, maltrattamenti. Cervantes nel '500 così raccontava la vita con gli zingari in Spagna: "Sembra che gitani e gitane non siano sulla terra che per essere ladri; nascono da padri ladri, sono educati al furto, s'istruiscono nel furto e finiscono ladri belli e buoni al centro per cento". E l'inventore di Don Quixote era certamente un sognatore democratico.

Belykize ne è consapevole. "Quasi comprendo il disprezzo per la mia gente. Molti rubano, sono sporchi. Ma qualcuno ce la può fare, se il padre lavora il figlio andrà a scuola, se la donna è rispettata anche la figlia lo sarà, se avranno un lavoro potranno avere una casa, pagare affitto e bollette e tenerla pulita. Da qualche parte bisogna cominciare". La prima cosa che farebbe Belykize è "riscattare le donne, toglierle dalla rassegnazione che devono subìre". "Nella nostra società - ammette - il capofamiglia è e sarà sempre un uomo ma questo non vuol dire che le donne debbano accettare un marito ubriaco che le picchia o fa altro".

Arif, tre nazioni in una sola casa - Belykize non è un "miracolo". E quindi può non essere un'eccezione. Se lei ce l'ha fatta - e senza nemmeno troppo faticare - dietro di lei ci sono un padre e una madre che invece di fatica ne hanno fatta molta. Arif Thairi, il padre, oggi ha la sua partita Iva e una ditta di autotrasporti e facchinaggio a Fano. Prima, per 14 anni, ha lavorato nei cantieri navali. Prima ancora ha lottato con le unghie e con i denti nei campi rom di Napoli e Messina. E' originario di Mitrovica ed è arrivato in Italia nel 1985. Ha 45 anni ma se lo ascolti sembra che abbia già fatto sette vite. "Da Mitrovica negli anni è scappato un intero quartiere, 180 mila persone, prima per le persecuzioni poi per la guerre. La mia famiglia è di origine rom, zigana, ma noi a Mitrovica avevamo la nostra casa e quando ci passavano davanti quelli con le roulotte dicevamo che non avremmo mai voluto fare quella fine. Poi siamo dovuti scappare e adesso non abbiamo più documenti di nulla, nè della casa, nè del casellario giudiziario, nè del comune perchè Mitrovica non si sa più di chi è. Così, io che potrei avere la carta di soggiorno e chiedere la cittadinanza, non posso avere nulla perchè l'Italia non sa se sono serbo, kosovaro o croato".

Non avendo un paese di origine, Arif e tanti altri come lui non possono neppure avere un paese che li accoglie. Un po' come Tom Hanks nel film di Spielberg The Terminal . Come Tom Hanks, Harif si è arrangiato. "Quando con mia moglie e due figli vivevo nel campo nomadi di Napoli, ho trovato lavoro nei cantieri navali di Fano. Ero abbastanza disperato, mi sono fatto coraggio, sono andato dal sindaco e gli ho detto che volevo trasformare la mia famiglia in persone tranquille e normali. Mi ha ascoltato e ha avuto fiducia". Nel 1987 Arif ha avuto il primo permesso di soggiorno. Dal 1990 ha vissuto per undici anni in una casa comunale. Ora in una casa popolare di cui paga affitto, bollette e tutto il resto. "Siamo in otto e tre paesi diversi: io e mia moglie kosovari, due figli croati, due figli e una nipotina di otto mesi italiani". Arif non ha dubbi su quella che può essere la via dell'integrazione: "La prima cosa che l'Italia deve fare è un censimento vero, reale, di tutti i rom dividendoli però per etnia. Poi ci deve essere una verifica altrettanto reale di chi ha la volontà di cambiare, di faticare e di inserirsi. A quel punto dare i documenti e la possibilità di un lavoro qualsiasi per responsabilizzare le persone. Vivere nel campo può andare bene all'inizio, appena arrivi, ma poi te ne devi andare perchè, se non ci sono controlli molto severi, il campo serve solo a moltiplicare chi ruba e chi si ubriaca. Chi sbaglia, chi delinque, deve essere fuori per sempre, dall'Italia e dalla comunità rom. Come quello di Napoli, quello che ha rubato la macchina e ha ucciso la donna: quello faceva meglio a buttarsi già da un ponte quel giorno". Arif mette in guardia da un rischio che si chiama rom romeni: "Loro adesso stanno arrivando in massa, senza controlli perchè sono cittadini europei e avranno molti più diritti di me che invece sono qui da più di vent'anni. L'Italia deve stare attenta perchè rischia di fare molti errori con questi nuovi arrivi".

Vintila, il rom romeno - Una barbona bianca folta, 54 anni, venti nipoti, capo-famiglia di un clan di 50-60 persone: Costantin Marin Vintila è proprio lo zingaro dell'immaginario romantico, per quel poco che può sopravvivere in qualcuno di noi. "Sono anche judicator - racconta - sono l'anziano che giudica le liti interne e familiari, convoco il cris e decido chi ha torto e chi no". Una giustizia parallela a quella italiana? "No per carità, sto parlando di questioni interne, liti di famiglia. Per il resto posso dire che siamo l'occhio della polizia dentro il campo". Vintila è in Italia dal 1991, vive a Milano nel campo vicino al cimitero Maggiore che ospita 7-800 persone. Non è certo uno dell'ultimo flusso dalla Romania. Però si dichiara con grande orgoglio "cittadino europeo, sono come un francese e un tedesco". Non ha una casa, ("e come potrei se non ce l'hanno neppure gli italiani") ma ha una ditta edile e la sua partita Iva. "I miei figli lavorano con me, uno fa il benzinaio, qualcuno ha trovato casa, in affitto, ma non ha detto di essere rom". Vintila è per la tolleranza zero:"Servono più controlli e pene rigorose per i genitori che non mandano i bambini a scuola e li mandano a chiedere l'elemosina. Pene ancora più dure per gli adulti che rubano. Deve restare qui solo chi rispetta le regole. Gli altri fuori, altrimenti danneggiano tutti noi che siamo venuti per lavorare".

Walter, il giostraio - In questo viaggio tra i rom che ce l'hanno fatta, la storia di Walter Tanoni è forse la anomala - è un sinti italiano, quindi cittadino italiano - e la più incredibile. E anche la più simile a un vecchio film. "Ho 38 anni, sono figlio e nipote di giostrai, veniamo dal nord Italia ma ho sempre vissuto nel Lazio. Mio nonno, per dirne una, lavorava con Moira Orfei che abitava nella roulotte davanti a noi. Quando ero ragazzino eravano ancora nomadi, giravamo di paese in paese e la gente ci veniva incontro felice perchè portavamo la festa, la musica e l'allegria. Avevo una ragazzina in ogni paese e mia moglie, che è italiana di borgata, è diventata la mamma dei miei quattro figli anche perché è stata l'unica che ha voluto seguirmi sulla roulotte". Da quando, nel 1998, è stato abolito il Dipartimento dello Spettacolo viaggiante e i giostrai hanno perso un interlocutore istituzionale vero e unico: "La nostra attività sta scomparendo. I giostrai sono sempre meno, restiamo sulle roulotte e non abbiamo una casa. Sono molto preoccupato". Il problema sono quelli che ottengono, per mille altri motivi, le licenze per i parchi giochi e simili. "Ci levano il lavoro e partono troppo avvantaggiati perchè hanno il terreno e i mezzi" spiega Walter. La sua è una battaglia per la sopravvivenza. Di un favola e di un sogno, come le giostre. "I giostrai hanno la fama di rapire i bambini? Guai a generalizzare. Anche i pastori sardi hanno questa fama...". Walter si è arrangiato così: "Grazie al comitato di quartiere mi hanno affidato un'area verde in zona Torraccia. Qui ho montato le giostre fisse, tengo pulito e sono un po' il custode del giardino pubblico della zona. Sono anche l'unico punto di aggregazione sociale in questa zona". Walter è amico di tutti nel rione. Ma preferisce non dire che è zingaro di etnia sinti e che vive con la famiglia in una roulotte a Casal Bertone, un piccolo campo di circa sessanta persone, tutte italiane. "Dico che sto in una casa popolare. Ho quattro figli dai quindici ai tre anni che vanno tutti a scuola, perfettamente integrati, bravi, pago le tasse ma quando chiedo la casa mi dicono che ho solo otto punti. E restiamo nella roulotte. Non capisco e non so più a chi chiedere". Far vivere il mondo delle giostre e dei giostrai. La via dell'integrazione dei popoli rom passa anche da qui.
 
Di Fabrizio (del 05/06/2007 @ 10:16:23, in Kumpanija, visitato 2563 volte)

Da British_Roma

The Times 1 June 2007

Jan Kochanowski
Un Rom sfuggito dalle strette maglie naziste e divenuto studioso emerito della cultura romani

Jan Kochanowski ha lasciato una solida eredità di libri in francese ed inglese, di studi zingari, di cui aveva una conoscenza diretta.

Non sembrava destinato alla vita di studioso. Nato in una tribù dei clan Gila, Stanga e Frundze, che vivevano in tende nelle foreste alla periferia di Cracovia, Polonia, nel 1920, vagabondando senza meta con la sua famiglia estesa attraverso gli stati sovietici del nord est Europa, e divenne esperto nelle tecniche zigane di sopravvivenza. Così a circa 20 anni si ritrovò in Lettonia nel mezzo dell'invasione tedesca, e parecchie volte riuscì ad evitare i campi di lavoro e di sterminio.

Molti della sua famiglia morirono gassati in un sinagoga dove erano ammassati, altri morirono quando i tedeschi diedero fuoco all'hangar dove avevano cercato rifugio. Quando altri Rom vennero schierati in un bosco per essere fucilati, il comandante tedesco prese Kochanowski da parte, dicendo: "Non il ragazzo."

I suoi fratelli e sorelle non furono tanto fortunati. Caddero vittime del genocidio che sopraffece tanto gli Zingari che gli Ebrei. Suo padre raggiunse le forze sovietiche e morì come comandante dell'Armata Rossa durante i combattimenti a Smolensk nel 1942.

Diversi anni prima, Kochanowski si era iscritto su un corso di studio a Riga. Un pomeriggio gli arrivò un messaggio da parte si sua madre di lasciare immediatamente la scuola perché i nazisti lo aspettavano per arrestarlo. Lei aveva trovato un posto per nascondersi, a lui sconosciuto, ma seppe che doveva lasciare la Lettonia.

Kochanowski andè in Francia dove, aveva imparato, l'autorità tedesca stava vacillando. A Parigi nel 1944, d'altra parte, fu preso dai tedeschi e messo con altri 100 lettoni nel campo periferico di Beauregard. Nuovamente, scappò e nel gennaio 1945 raggiunse le Forze Polacche sotto il comando britannico.

La sua familiarità col polacco, le lingue baltiche ed il russo lo portarono all'attenzione dell'intelligence britannico, ma declinò l'offerta di lavorare come spia nell'Europa del dopoguerra. Era comunque orgoglioso di aver ricevuto una medaglia per meriti di servizio e volle stabilirsi in Francia. Era un povero rifugiato senza alcuna prospettiva, quando si innamorò di Elisabeth Morel, figlia di un industriale. Dopo il loro matrimonio a Parigi nel 1950, si trasferirono in una grande casa, anche se il matrimonio di un'alta borghese con uno Zingaro era stato considerato uno scandalo.

Ci furono pressioni contro questo matrimonio. Kochanowski non era in grado di trovare un impiego regolare, passando invece molto del suo tempo studiando all'Università di Parigi. Un po' di denaro gli arrivava dal teatro. Già da bambino era un buon ballerino e cantante, così la Troupe Bohémien fu lieta di averlo assieme - ma non di pagarlo quanto era la sua popolarità presso il pubblico.

Sua moglie notava, anche, che lui si sentiva colpevole di essere uno dei due membri della sua famiglia scampati al terrore nazista. Nel 1960, erano nati nel frattempo due bambini e una bambina, lasciò la famiglia. Aveva un PhD in linguistica dalla Sorbona, e la determinazione a fare propaganda per i Rom e scrivere di loro.

Non fu facile. Altri studiosi contestavano le sue credenziali. Sua madre dovette arrivare a Parigi da Riga per conversare con lui, nel loro dialetto romani, sui loro costumi, in fronte ad una giuria accademica. Sperando di aver taciuto i rumori sulla sua persona, Kochanowski fondò la propria associazione, Romani Yekhipe (Romani Assieme).

Nonostante il budget risicato, divenne influente. In Francia giocò un ruolo fondamentale nell'abolire i documenti speciali richiesti ai Rom con i loro personali dettagli fisici.

Kochanowski partecipò regolarmente alle conferenze romani internazionali, dove promosse una controversa teoria linguistica sulla ragione della migrazione verso ovest del suo popolo dall'India del nord. Con il suo nome polacco, e talvolta sotto il patronimo romani di Gila, pubblicò parecchio sui Rom e i oro dialetti, incluso uno dei primi libri di istruzione, Parlons Romani. Il suo lavoro fu sempre stimato ma, con suo gran rammarico, non lo portò mai a posizioni accademiche.

Kochanowski vedeva l'assimilazione come la morte culturale dei Rom e richiedeva loro di essere orgogliosi della propria etnicità. Sempre diceva a Saster, il suo primogenito, di "amare la natura e rispettare ognuno, ballare, cantare... e fare l'amore con amore".

Per paradosso, i suoi figli finirono completamente assimilati nel mondo non-Rom. Parte di ciò avvenne perché durante la loro crescita non ebbero modo di imparare le loro tradizioni ancestrali e la madre lingua.

Sua figlia morì a 25 anni, dei figli sopravissuti uno diventò direttore del balletto nazionale del Gabon e l'altro generale dell'aviazione militare francese. Anche sua moglie gli è sopravissuta. Al suo funerale a Beauvais, la bara è stata avvolta nella bandiera rom.

Jan Kochanowski (Vania de Gila), studioso romani, nacque il 6 agosto 1920. Morì di cancro al pancreas il 18 maggio 2007, ad 86 anni.

 
Di Fabrizio (del 09/06/2007 @ 09:33:17, in Kumpanija, visitato 2304 volte)

Da Roma_Daily_News

Parlando di intellettuali rom in Russia, dobbiamo senza dubbio menzionare le sorelle Pankov, Natalia e Lubov. Natalia era chimica e Lubov biologa. Entrambe le sorelle avevano un'alta coscienza nazionale e spesso affermavano che non potevano permettersi di fare alcunché di sbagliato perché rappresentavano il loro popolo.

Durante la II guerra mondiale le due sorelle si dimostrarono vere patriote. Luba e Natasha erano sorelle di Nickolay Pankov (anche lui eminente Rom, famoso, per esempio, per la sua traduzione del poema di Pushkin "Zingari" in lingua romani). Il loro padre volle che ricevessero educazione superiore. Ma quando la Germania di Hitler dichiarò la guerra all'URSS, le ragazze dovettero lasciare gli studi e iniziarono a lavorare a Mosca nell'industria bellica. "Non è tempo per studiare" dissero al padre. Lavorando sino all'esaurimento, le due ragazze costruivano contenitori per razzi.

Dopo la guerra si laurearono. Di seguito una piccola biografia.

Natalia Pankova (1924-1991). Assistente Ricercatrice dell'Istituto Sottoprodotti Organici e Tinture, dove lavorò per 35 anni. Ebbe una carriera professionale di successo. Per esempio, registrò 30 sviluppi avanzati della tintura di cianuro (ricevendo per questi il certificato di invenzione). Natalia aveva anche talento: cantava e ballava molto bene, dipingeva con matite e colori naturali.

Lubov Pankova nacque nel 1925 Ottenne un dottorato in Biologia nel campo della fisiologia umana ed animale. Ha lavorato principalmente nell'area della fisiologia clinica. E' Assistente Senior di Ricerca di un laboratorio fisiologico dell'Istituto Centrale di Esame Avanzato della Capacità ed Organizzazione Lavorale per Disabili. Le sue ricerche furono su un macchinario per le relazioni intercentrali con le loro anomalie e compensazioni. Lubov lavorò anche per l'Accademia delle Scienze dell'URSS ed istituti pedagogici, dove insegnò fisiologia umana ed animale, attività nervosa e peculiarità anatomica e fisiologica dei bambini e dei teenagers. Inoltre, è autrice e co-autrice di diversi libri di studio e di oltre 50 lavori scientifici, pubblicati principalmente nella stampa. Lubov ha anche fatto molto per preservare e registrare la storia nazionale. Ha scritto le propriememorie, che sono in attesa di pubblicazione.

[...]

Thanks to Nickolay Bessonov for the information

 
Di Fabrizio (del 26/06/2007 @ 10:19:56, in Kumpanija, visitato 2531 volte)

Da Roma_und_Sinti

Alexandre Baurov proveniva da una famosa famiglia di artisti Rom russi. I suoi antenati erano noti per cantare nei cori di Mosca e San Pietroburgo.

Alexandre nacque il 23 marzo 1906. Il ragazzo ricevette le prime lezioni di chitarra da maestri del calibro di Alexei e Michael Shishkin. Ad undici anni iniziò a cantare nei cori rom. Ballava e suonava la chitarra. Ma la Rivoluzione d'Ottobre deprivò i cori del pubblico, ed il giovane Rom dovette trovarsi un nuovo lavoro.

Attorno al 1920 iniziò a lavorare come apprendista presso impianti Putilov. Dal 1925 al 1933 Alexandre studiò al Collegio di Comunicazioni Elettromeccaniche e dopo il diploma iniziò a lavorare come assistente di laboratorio all'Accademia delle Comunicazioni. Ma non lasciò la musica. Di sera si esibiva con un gruppo rom al Tatro di Varietà dello Stato di Leningrado.

Nel 1941, quando l'URSS entrò in guerra, Alexandre fu spedito al fronte. Con sé portò la chitarra. Nei pochi momenti liberi Baurov suonava per gli amici.

Grazie alle sue conoscenze tecniche, fu nominato ufficiale. Iniziò come comandante dei supporti di comunicazione del 44° battaglione. Prese parte ai combattimenti sulle alture di Pulkovo. Durante un attacco vicino Krasnoye Selo fu ferito gravemente al braccio e venne salvato dai medici.

Dopo il ricovero ritornò al fronte con la 189^ divisione di fanteria. Più avanti fu comandante della 1^ divisione aeronautica, che forniva all'artiglieria sovietica le immagini delle linee nemiche.

Sull'istmo di Karelia fu ferito al fianco.

Il suo coraggio fu riconosciuto da premi e promozioni. Alexandre ottenne nel 1944 il grado di capitano. Fu decorato con l'Ordine della Stella Rossa e con l'Ordine del Nastro Rosso di Battaglia. Ricevette anche l'Ordine Alexandre Nevsky (molto raro e onorato) per la battaglia sull'Oder, e una Croce Polacca al Valore.

La vittoria arrivò a Lipsia, ma non lasciò il servizio militare. Dopo la vittoria andò in Germania. Dal 1949 al 1955, già luogotenente colonnello del Corpo d'Ingegneria, prese parte nel creare e lanciare i primi razzi sovietici.

Alexandre Baurov morì il 18 febbraio 1972. Testimonianze sul servizio militare di Baurov e fotografie del periodo di guerra sono ora conservate nel Museo Memoriale dell'Assedio e Difesa di Leningrado. Fu uno delle migliaia di soldati, ufficiali e partigiani Rom che presero parte alla guerra contro il nazismo.

Thanks to Nickolay Bessonov for the information

 
Di Sucar Drom (del 09/07/2007 @ 00:49:05, in Kumpanija, visitato 2594 volte)
In frazione Rifreddo di Mondovì fino a metà mese trenta famiglie sinte pregano nella tenda-chiesa dei fedeli della Missione Evangelica Zigana. "la nostra e' un'opera di recupero sociale": del gruppo fanno parte quattro ministri di culto.

È una “tenda-chiesa” quella allestita su un terreno in frazione Rifreddo, periferia di Mondovì. Un luogo di preghiera per i fedeli della Missione Evangelica Zigana. Resteranno a Mondovì fino a metà luglio, per una missione di preghiera e recupero sociale. La prima cosa che vogliono precisare: “Ringraziamo di cuore il Comune di Mondovì, per l’ospitalità che dà alla nostra chiesa”

La cosa ha naturalmente suscitato preoccupazione tra i residenti della zona, che certo non si aspettavano l’allestimento di un campo. Non vi è nulla di irregolare: la Missione soggiorna all’interno di un terreno di proprietà privata, col permesso del proprietario e notifica a questore e prefetto.

“Abbiamo scelto la zona di Mondovì, in cui non avevamo mai fatto tappa per missioni di preghiera finora – ci dice Valentino, uno dei fedeli –. E vogliamo ringraziare il Comune di Mondovì, il sindaco e le forze dell’ordine, per l’accoglienza. La nostra è un’opera di recupero sociale, nel nome di Dio, che la nostra Chiesa porta avanti da anni”.
 
Di Fabrizio (del 15/07/2007 @ 09:24:21, in Kumpanija, visitato 2804 volte)

LOS GITANOS EN BRASIL[1]

Por: CRISTINA DA COSTA[2]

Secondo dati della Unión Romaní Internacional, esistono attualmente in America Latina circa un milione e mezzo di Gitani, dei quali ottocento mila vivono in Brasile. A cominciare da questo considerevole numero, la maggior parte di loro non ha risvegliato l'esigenza di affermarsi come popolo. Molti nascondono la loro origine, altri preferiscono affermare in forma romantica che "fintanto che nel cielo ci sarà una stella, ci saranno Gitani nel mondo".

Il nascondersi, lo sappiamo bene, viene dai pregiudizi che si sono avuti contro questo popolo nel corso della Storia nei più diversi paesi.

Il Brasile non fu differente

Il primo Gitano che arrivò in Brasile fu Joao Torres, nel 1574, che era stato espulso dal Portogallo. Seguirono molti altri, tutti accompagnati dallo stigma della persecuzione di cui erano stati oggetto in tutta Europa. In Brasile si succedettero editti, leggi e decreti che cercavano di controllare i Gitani: regolamentazioni professionali, sulla residenza, proibizione dell'uso dei costumi tipici e dell'uso del romanó-kaló, la vecchia proibizione di essere Gitani.

Durante i secoli  XVI e XVII i Gitani andarono espandendosi per tutto il Brasile, principalmente negli stati di Río de Janeiro, Sao Paulo, Bahía, Minas Gerais e Pernambuco.

Dal 1808, con l'arrivo della famiglia reale portoghese, un gran numero di Gitani nella corte di Joao VI a Rio de Janeiro esercitavano come artisti per l'intrattenimento delle feste reali, dei signori e dei merinos (officiali di giustizia). Inoltre, i Gitani furono i primi ufficiali di giustizia nel paese, e molti del gruppo Kalón esercitarono questa professione nel Forum della città di Río de Janeiro.

Risulta interessante che uno dei più famosi organizzatori di feste di Corte era il Gitano Conde de Bofia, che oggi da il nome a una via di questa città.

Sino allora arrivavano in Brasile Gitani provenienti dal Portogallo e, più raramente, dalla Spagna (los Kalóns). A partire dal 1882, con l'indipendenza del Brasile, arrivarono i Rom (non iberici).

Pluralità dei gruppi Gitani

La divisione per gruppi che meglio riflette la realtà della presenza dei Gitani in Brasile, è la seguente:

1. Rom:

- Kalderash: E' il sottogruppo più prestigioso del Brasile. Sono calderai e alcuni sono riusciti nell'ascesa economica e professionale.

- Khorakhane: Originari di Grecia e Turchia.

- Macwaia: Quelli che di più negano la loro origine Gitana..

- Rudari: Provenienti principalmente dalla Romania.

- Lovara: Si autodefiniscono come emigranti italiani.

2. Kaló:

- Gitani iberici. A Rio de Janeiro e San Paolo si identificano come emigranti portoghesi e spagnoli e in maggioranza sono commercianti, tassisti e, alcuni, universitari.

Struttura sociale

La situazione dei Gitani in Brasile è la stessa che in altri paesi del mondo: pregiudizi dei gadye (payos), che comportano a volte perdite successive delle proprie caratteristiche culturali. Il deceduto Juscelino Kubitscheck de Olivera, uno dei maggiori presidenti del paese (1956-1960), mai menzionò la propria origine gitana.

I nomadi sono una minoranza e si trovano abbastanza emarginati. Sono quelli che soffrono i pregiudizi della popolazione locale dove si accampano, in quanto le loro baracche, i cavalli e i vestiti li identificano immediatamente come Gitani. Gli uomini vivono del commercio di cavalli e, a volte, di automobili usate, della riparazione di utensili di cucina e dell'artigianato del rame. Le donne praticano la chiromanzia: girano per le strade offrendo la loro lettura delle linee della mano.

Quello brasiliano è un popolo estremamente mistico, dovuto questo alla forte presenza nella struttura sociale di afrodiscendenti e indigeni, entrambe popoli che coltivano queste pratiche millenarie. E'per questa via che i Gitani incontrano con una certa facilità la forma per penetrare nella società brasiliana.

Tra i nomadi, i matrimoni sono concertati previamente ed i fidanzati si sposano ancora adolescenti (dodici anni anni per le ragazze e quindici per i ragazzi). Oggi esistono matrimoni misti tra i nomadi.

In relazione ai loro morti, i nomadi hanno il costume di versare del vino nella fossa dove depositano il defunto, così come di tornare sempre nel luogo dove fu interrato.

Piace loro ballare e cantare, anche se la loro arte musicale si è parecchio mescolata con i ritmi delle città dell'interno del Brasile.

Quanti si sono invece già sedentarizzati, anche da diverse generazioni, mantengono alcune tradizioni degli antenati europei.

Svariate professioni

I Gitani dello stesso gruppo tendono a concentrarsi nello stesso quartiere, in case vicine o nel medesimo edificio. Per la strada camminano assieme e si incontrano a gruppi per le piazze delle città. Tra loro ci sono avvocati,medici, commercianti di tappeti ed automobili, circensi, industriali, professori, musici o cartomanti, cioè esercitano le più varie professioni. Il  loro comportamento è uguale a quello di qualsiasi altri cittadino, escluso il fatto di che nelle loro case sono tutti Gitani.

I matrimoni vengono sempre concertati in anticipo - rarissimamente avvengono al di fuori della loro razza - e durano tre giorni. Il secondo giorno, una volta la verginità della sposa, i padri dei ragazzi portano la vestaglia nel mezza di canti e balli, mentre la famiglia della sposa impugna orgogliosamente la vestaglia insanguinata in segno di giubilo.

La musica dei sedentari, compreso il gruppo del gruppo dei Rom - a base di violino - che del gruppo Kalón - su abse di viola accompagnata dal battito delle mani del flamenco - non differisce molto da quella dei Gitani europei. I Gitani brasiliani sedentarizzati hanno convertito in una questione di onore il fatto di mantenere la propria tradizione musicale.

La pomana, il rito funebre, si svolge in Brasile tre giorni dopo la morte e si ripete dopo quarantun giorni, sei mesi e un anno, quando ha luogo il termine delle celebrazioni. Le cerimonie avvengono sempre di sabato e raccolgono parenti ed amici del morto venute da tutte le parti del paese.

Feste religiose

I Gitani hanno feste religiose proprie, basate sulla santa protettrice di determinate famiglie. In questo senso si svolge la slava, cerimonia in cui omaggiano una santa e servono un banchetto. Amici e parenti ballano attorno alla tavola. Questa festa deve aver luogo sempre prima della morte del patriarca della famiglia; dopo la sua morte, il figlio più giovane sarà obbligato a continuare la festa sino a che non abbia un figlio.

Quanto alla religione, ci sono Gitani cattolici, protestanti, ortodossi e frequentano le chiese più diverse. Inoltre, mantengono nelle loro case, pratiche mistiche come la chiromanzia, la cartomanzia o la lettura della fortuna col gioco delle monete.

Perla sua somiglianza a santa Sara, accomunata dal colore della pelle, i Gitani brasiliani onorano, tra le altre, Nuestra Señora Aparecida,  che si festeggia il 12 ottobre. Anche san Giorgio, san Nicola o santa Barbara. Anche se non si può parlare di una religione gitana, si può affermare che i Gitani hanno un sentimento di religiosità molto forte.

Le questioni economiche, le separazioni e altre situazioni sono risolte dal padre di famiglia, dal leader del gruppo o, in casi estremi, dalla Kriss Romaní o Consiglio di Giustizia Parallelo, composto dai Gitani più anziani e rispettati.

La maggioranza dei Gitani non permette ai figli di frequentare la scuola per molto tempo. In questo senso, in relazione ai nomadi, la Pastorale dei Nomadi del Brasile ha realizzato un eccellente lavoro, guidato dal padre italiano Renato Rosso, che battezza, alfabetizza e sposa le persone del gruppo che lo desiderino. Per quanto riguarda i sedentari, molti ritengono che l'insegnamento dei gadye non ha niente a che vedere con la visione del mondo dei Gitani e che così si allontanano i giovani dalla tradizione. Credono che sia necessario il solo apprendere a leggere, scrivere e avere alcune nozioni di matematica "per non essere ingannati dai gadye (payos)".

Una minoranza all'Università

Una minoranza, senza dubbio, ha acceduto già all'università e vedono gli studi e il miglioramento intellettuale come l'unica uscita del popolo Gitano per la sopravvivenza nella società maggioritaria.

Folclore a parte, il Gitano alla fine del secolo XX cercano di mantenere le loro tradizioni, altrimenti, in pochi anni, sarà un popolo ricordato appena dalla letteratura, dal cinema, la musica o la memoria delle persone.

Dalla metà circa degli anni '80 esiste il Centro di Studi Gitani del Brasile (CEC), che vuole mostrare la realtà del popolo Gitano in questo paese, tramite conferenze, video, interviste a periodici e stazioni radio e televisive, pubblicazioni di libri e presentazioni musicali. Si intende cosi rafforzare l'identità culturale gitana, nella condivisione con la realtà che li circonda. Il CEC è presieduto dal Gitano Mio Vacite, violinista di professione.

Nel maggio 1989, il CEC ha conseguito che il prefetto di Itaguaí (municipio dello stato di Río de Janeiro), cedesse un terreno ai nomadi che passano frequentemente da lì e che altrimenti incontravano difficoltà ad accamparsi. Speriamo che altri prefetti ne seguano l'esempio.

C'è molto da fare, posto che il CEC non è affiliato a nessuna entità governativa e [...] tenendo conto che siamo in un paese del sud.

Quello che si spera è che più Gitani brasiliani prendano coscienza della necessità di questo movimento per la sopravvivenza come popolo in Brasile.

Note di pie di página
[1] Tomado de: I Tchatchipen. No. 13. Enero–Marzo–Diciembre . 1996. Barcelona.
[2] Escritora brasileña.

Bibliografía
CRISINA DA COSTA. Povo Cigano. Río de Janeiro. Edición de Autor. 1986.
CRISINA DA COSTA. Os Ciganos continuam na estrada. Río de Janeiro. Edición de Autor. 1989.
MELO MORALES FILHO. Os Ciganos no Brasil. Sao Paulo. VSP. 1981.
ATICO VILAS-BOAS DA MOTA. Os Ciganos do Brasil. Río de Janeiro. FGV. 1984. En: El Correo de la UNESCO.

PRORROM

PROCESO ORGANIZATIVO DEL PUEBLO ROM (GITANO) DE COLOMBIA / PROTSESO ORGANIZATSIAKO LE RROMANE NARODOSKO KOLOMBIAKO

 
Di Fabrizio (del 25/07/2007 @ 10:09:08, in Kumpanija, visitato 2448 volte)

Da Mundo_Gitano

GITANI, TRA LA TRADIZIONE PROPRIA E IL SOSPETTO DEI PIU'

POPOLO SENZA PATRIA
Por:
NICOLÁS NAGLE

I principali gruppi si trovano a Las Piedras e Maldonado. Vendono auto usate e pentolame. Sono violenti? Sono truffatori? Sono superstiziosi? I gitani rispondono

Anduve por muchos caminos
en ellos encontré Rom afortunados
en sus coloridas carpas.
También me encontré con Rom pobres.
¿De dónde vienen
con sus tiendas coloridas, recorriendo
los caminos? (*)

(*) Gelem Gelem (en romaní, "Anduve anduve")
.

A Maldonado c'è la principale concentrazione di Gitani dell'Uruguay. La maggioranza vive nelle tende ed altri costruirono case. Ma le case non impediscono loro di peregrinare vari mesi dell'anno in Argentina e Brasile per poi ritornare qui. E' durante questi viaggi che tutti i gitani, quelli più e quelli meno tradizionalisti, recuperano lo stile di tutta la vita.

A Maldonado vivevano 48 persone distribuite in cinque tende. In ognuna di loro viveva una famiglia. Due famiglie decisero di andare a Chuy. Ora sono 32 persone che risiedono sul terreno della municipalità. Di fronte a loro, dall'altro lato, c'è un insediamento costruito con pietre e legno.

Danilo Estorin è il "cacicco" e l'incaricato che "tutta sia a posto ed in ordine". Ha sostituito suo padre, che è partito per gli Stati Uniti per riunirsi ad altri gitani.

Danilo veste in maniera informale, con bermuda e una camicia aperta, ma la sua voce si distingue. Quando parla con gli altri membri della comunità lo fa in un dialetto proveniente dal Montenegro, l'ex provincia della Yugoslavia ora repubblica indipendente. "Quando siamo in famiglia, parliamo solo nel nostro idioma" segnala Estorin.

La scrittrice ed antropologa Teresa Porzecanski segnala che la lingua dei gitani, denominata romaní, "è il risultato di successive incorporazioni di diversi idiomi lungo oltre mille anni di migrazioni. Significa che il romaní è formato basicamente da incorporazioni di altre lingue, tra cui lo slavo".

Per questa ragione, molti gitani uruguaiani provenienti dalla zona balcanica dicono di parlare montenegrino o slavo. Praticamente sono tutti bilingue, perché sin da piccoli si insegna loro a parlare il romaní. Anni fa non erano soliti frequentare la scuola e tutto si imparava in famiglia. Ora i bambini sono inviati ai centri di insegnamento pubblici con il resto degli uruguaiani.

Sono le quattro del pomeriggio di un sabato tranquillo e soleggiato. Nella prima delle tre tende quattro gitani guardano la televisione. I due più giovani sono seduti su un sofà e gli altri due nelle loro rispettive camere. Dentro la tenda ci sono tutti gli sviluppi di una casa qualsiasi. Sul pezzo di terra c'è una cucina a gas e infinità di pentole e piatti rilucenti. Nello stesso ambiente ci sono a vista armadi per i vestiti, una gelatiera, tende, sedei, una tavola con tovaglia... ed un gruppo di galline e pavoni che passeggiano entrando ed uscendo dalla tenda, che tiene i teloni aperti per far passare l'aria. Niente sembra fuori posto.

Pietre sulle tende

Elías Marcos, il più anziano del gruppo, risponde amabilmente alle domande, senza spostarsi dalla sua stanza. Quando lo si interroga sul suo nome, risponde che tra i gitani è comune chiamarsi Marcos, Nicolás o Jorge. Racconta che vive da 20 anni a Maldonado, e che gli piace vivere in questa maniera "perché è tradizione".

- Non fa freddo in inverno?

- No - dice Elías -, prendiamo una salamandra e rimane più calda che una casa.

Si lamenta dell'Intendencia perché non viene a tagliare l'erba. Ha inviato tre sollecitazioni ma non ci fanno caso, dice. Elías vive con sua moglie e i loro sette figli. Javier Marcos, uno dei suoi nipoti, lo accompagna stasera. Veste e si vede come un gitano: alto, moro, occhi e capelli neri. Camicia dello stesso colore, stivaletti e polsiere dorate. Sull'avambraccio una "K" tatuata come ricordo di una fidanzata. O qualcosa di simile.

- E cosa fai durante il giorno?

- ... do una mano con qualche lavoro, oppure vado a visitare altri gitani o la mia fidanzata.

- Hai solo fidanzate gitane?

- No, no, le tengo di tutte e due - dice ridendo degli scherzi degli altri.

La comunità accetta i matrimoni tra gitani e creoli, qualcosa d'impensabile anni fa. Sul tema dei matrimoni i costumi stanno cambiando. Elías Marcos dice con aria rattristata che la sua unica figlia si è sposata con un creolo e che vive con lui nella sua casa.

¡Oh Rom!,

¡Oh muchachos!

Rom, hermano,

una vez también yo tuve una gran familia

"Sempre tirano pietre alle tende, questo succede da sempre, da mille anni," dice Danilo Estorin, cacicco del posto. Il popolo gitano, o rom, è originario dell'India ed iniziò il suo lungo peregrinare verso l'ovest nel secolo X. Non si conoscono le cause esatte della migrazione, anche se alcune leggende gitane segnalano che fu una guerra con i musulmani che li obbligò ad abbandonare il loro paese. Da allora, si sono dispersi in quasi tutto il mondo, discriminati e perseguitati.

Questo ha fatto che molti di loro siano gente malfidente. Estorin ha una visione abbastanza critica sull'immagine che gran parte della società ha dei gitani. Inclusi i mezzi di comunicazione che mostrano pellicole o telenovele come El Zorro, la espada y la rosa, presentata da Canal 4, che, secondo lui "mostra i gitani come schizofrenici".

Neanche le notizie sono buone. Perlomeno quelle che hanno a che vedere con loro. Nel giugno 2006 per descrivere una banda di ladri che operava a Rivera, un giornale titolo senza mezzi termini: Gitani truffatori posarono le loro ire su Guichón e la convertirono nella città eletta. Qualche giorno prima avevano titolato: Miscuglio di banditi: gitani, avvocato brasiliano, fattore ed altri processati per furto d'auto. Estorin non considera giusto che per colpa di pochi tutti debbano pagare, dice riferendosi ai gitani implicati nei furti d'auto e ad un altro accusato di aver ucciso a Rivera due poliziotti brasiliani.

- E si nota quando esce una notizia simile?

- Chiaro, la gente che ci conosce comincia a guardarci male e non possiamo lavorare. Per strada ti indicano e ti trattano come malvivente. La maggior parte delle persone ci vede e dice: "¡Uy, un gitano!". E' come se avessimo la lebbra.

Un anno fa, i vicini dell'accampamento tiravano pietre, però il problema "si risolse", dice Estorin senza fornire altre spiegazioni. Da tutte le parti, i gitani hanno sempre avuto fama di bravos. Secondo Porzecanski, è un pregiudizio. "Non sono più o meno violenti di qualsiasi altra persona. Se portano coltelli, cosa che è probabile negli uomini, è più per tradizione che per attaccare qualcuno", sostiene riferendosi al costume di portare armi bianche. I gitani sono considerati maestri nel maneggiare il coltello.

Molti uruguaiani dicono che non sono violenti. Héctor Campoy è meccanico ed ha molti affari con i gitani. "E' una bugia quel che si dice. La gente li associa alla droga e al contrabbando, però non è vero e lo dico io che tratto con loro".

A proposito, dice Danilo Estorin: "I gitani vogliono passare per bravos più di quanto lo siano". Quando gli si chiede sui gitani che si difendono in gruppo, risponde: "Se si tratta di una persona contro un'altra, noi non ci mettiamo. Ognuno risolva i suoi propri problemi". Secondo lui, si interviene solo in caso di "abuso"."Se son dieci contro uno, lì si interviene," dice, considerando esaurito l'argomento.

Commerciante sì, impiegato giammai

Vengan conmigo Rom del mundo entero,

nuevamente los caminos

se han abierto.

I gitani sempre sono stati commercianti nell'anima. In Uruguay si dedicano alla compravendita di automobili, attività che generalmente è a carico degli uomini. Le donne si incaricano della vendita di pentole ed utensili da cucina.

Andrés Nicolau, gitano di origine brasiliana sposato con una uruguaya, è chiaro quanto alla vocazione autogestionaria: "Imponiamola nostra disciplina, non permettiamo che nessuno da fuori ce la imponga".

Una delle principali differenze che vede tra il suo popolo ed il resto della gente è la posizione sociale. "Un gitano non andrà mai a lavorare come impiegato", dice orgoglioso con la sua voce pausata ed accento brasiliano, mentre traffica con il motore di un'auto. Nicola ha lasciato la tenda da anni ed ora risiede in una casa con la sua famiglia.

I gitani sono vincolati all'occultismo e alle arti pagane. Il malocchio ed i tarocchi sono stati patrimonio delle donne gitane.

Malena Natalia Marcos non si interessa della maggioranza di queste tradizioni. Lei si dedica a leggere le palmi della mano. Imparò da sua madre. "E' un dono che teniamo", dice Malena.

Secondo il libro Secretos de la adivinación gitana di Raymond Buckland, il metodo gitano di divinazione contiene più capacità di osservazione che poteri esoterici.

Il metodo di "lettura fredda" richiede alcune abilità: utilizzare generalizzazioni (gli uomini sono interessati al loro lavoro e al potere; le donne, agli affetti, ecc.), richiede una buona dose di intuizione personale (per captare nell'atto lo stato mentale del cliente), molta diplomazia e un messaggio che mescoli adulazione ed attenzione ("lei è una brava persona, però c'è qualcuno con pochi scrupoli che intende approfittarne").

Oltre il suo lavoro, Malena assicura di non essere superstiziosa. "Non crediamo nelle magie", dice, demolendo un altro mito gitano. In Uruguay i gitani si dichiarano cattolici, anche se non frequentano messa. Malena, che abita nella terza tenda, si è fermata a curare suo padre che è infermo. Il resto delle donne sono andate a Punta del Este, avenida Gorlero, luogo che frequentano per augurare buona fortuna ai turisti, un'immagine che ormai appartiene alle cartoline.

I gitani non ammettono di essere supersiziosi. Però Héctor Campoy, loro vicino per anni a Las Piedras, segnala che abbandonarono la città dopo che due gitani perirono in un incidente causato da un autobus interdipartimentale, nel quale morirono varie persone.

Seppellitemi in piedi

Ahora es el tiempo.

¡Oh Rom!,

¡Oh muchachos!


In Uruguay non si conosce la cifra esatta dei gitani. Secondo la comunità, sarebbero circa 400 persone. Però si dovrebbero aggiungere la popolazione fluttuante proveniente dai paesi frontalieri.

In Argentina si stima risiedano 300.000 gitani ed in Brasile tra i 700.000 e il milione. In tutto il mondo, le stime variano tra i dieci ed i 12 milioni di romaníes, secondo stime delle Nazioni Unite.

La discriminazione verso il popolo gitano incontra in parte le sue ragioni nel carattere chiuso della comunità. Questa situazione provoca sospetti e timori.

Le particolarità generano rifiuto nei vicini. Uno dice: "Si dedicano alla compravendita di auto, in genere di macchine care", sostiene. "I gitani hanno un camioncino 4 x 4 durante il fine settimana e un paio di giorni più tardi se la 'danno a gambe'" dice un altro vicino, aggiungendo: "Non stanno quieti un momento. Gente che va e viene costantemente. Il detto 'vivere come gitani' è tale e quale", conclude.

La cultura popolare si incarica di rafforzare un'immagine negativa. Le pellicole e i programmi televisivi li mostrano come gente pericolosa, gelosa delle proprie donne, sempre occupati in affari torbidi.

Come segno di questi pregiudizi, la Real Academia Española applica il codice al concetto di gitano. Nelle sue accezioni è tutto un giudizio di valore: gitano è chi "truffa oppure opera con l'inganno". Tutto contribuì a diffondere stereotipi:  ladri, mentitori, violenti, sporchi, superstiziosi, al margine della legge.

La tipologia di sospettati naturali li ha resi protagonisti di grandi persecuzioni. L'8 settembre 1439 furono espulsi dalla Francia, da tutta la Svizzera nel 1471, dalla Germania nel 1500 e condannati a morte in Inghilterra nel 1514. Nel secolo XVII il Portogallo li deportò in America. Schiavizzati in Ungheria e Romania. Nel 1749, il re Ferdinando VI organizzò una caccia generale dei gitani, chi chiamò "La gran retata".

Il nazismo li incorporò nella lista del genocidio. 200.000 di loro andarononei campidi concentramento. Alcune fonti menzionano cinque milioni di gitani.

Sino al 1978 la Guardia Civil spagnola aveva raccomandazioni speciali sui gitani: "Si vigilerà scrupolosamente sui gitani, col riconoscimento dei documenti, il confronto di segni particolari, osservare i loro vestiti e indagare sul loro modo di vita".

Laq soffernza senza patria e senza terra è parte dell'impronta. Un vecchio proverbio romaní  assicura che il sentimenti permane nel folclore: Sa-muro trajo, beshlem be chengende, che tradotto significa "Seppellitemi in piedi, tutta la vita sono stato in ginocchio".

¡Oh Rom!,

¡Oh muchachos!

Recorramos nuevos caminos.

¡Vamos! que la esperanza de tiempos mejores

es la que nos guía cada día.


Una possibile origine. Un lindo paese chiamato Sind

"Prima avevamo un gran re, un gitano. Era il nostro principe, il nostro re. I gitani vivevano assieme in un unico posto, in un paese grazioso. Il nome del paese era Sind. Lì c'erano felicità ed allegria. Il nome del nostro capo era Mar Amengo Dep. Aveva due fratelli. Uno si chiamava Romano e l'altro Singan. Era buono, ma dopo ci fu una gran guerra. I musulmani causarono la guerra. Trasformarono il paese gitano in cenere e polvere. Tutti i gitani lasciarono il loro  paese. Cominciarono a vagare come poveri in altri paesi, altre terre. In questo tempo, i tre fratelli partirono assieme ai loro inseguitori. Alcuni finirono in Arabia, altri a Bisanzio o in Armenia. Leggenda gitana.

La teoria più accettata sull'origine del popolo romaní è che procedettero dal Punjab, una regione alla frontiera tra India e Pakistan. E' un'ipotesi che non è mai stata provata, ed altre supposizioni più moderne segnalano che le loro radici sono ebraiche.

In ogni maniera, le loro origini rimangono oscure e sono state oggetto di ogni tipo di fantasie e leggende. Alcuni li considerano discendenti di Caino, che dopo aver ammazzato Abele, fu condannato da Dio a vagare in eterno. "Quando lavorerai la terra non ti darà frutti, sarai vagabondo e fuggitivo sulla terra", sostiene la Genesi da cui sorge la leggenda del nomadismo gitano. Un altro mito, sulle origini dei gitani li segnala come i ladroni di Cristo. Questo atto li avrebbe condannati a girare per il mondo senza arrivare al proprio destino.

Se ci atteniamo alla versione più comunemente accettata, che situa i gitani originari dell'India, i primi destini del popolo gitano sarebbero stati Afganistán, Irán, Armenia e Turchia. Nel secolo XIV sarebbero arrivati in Egitto ed un secolo più tardi in Europa.

In un primo momento furono ricevuti in buona maniera dai re degli stati europei che li vedevano come pellegrini cristiani. Però con i tempi la situazione cambiò ed un secolo più tardi cominciarono ad essere perseguitati perché non si adattavano e non potevano essere assimilati. Nel secolo XIX arrivarono in America.

I gitani migrarono in questa regione contemporaneamente ad altre centinaia di migliaia di europei in cerca di nuove opportunità. L'ultima grande ondata migratoria ha avuto luogo con la caduta del muro di Berlino nel 1989. I gitani iniziarono a partire dai paesi dell'ex blocco socialista verso le nazioni ricche dell'Ovest.

Tomado de: El País Digital.

PRORROM

PROCESO ORGANIZATIVO DEL PUEBLO ROM (GITANO) DE COLOMBIA / PROTSESO ORGANIZATSIAKO LE RROMANE NARODOSKO KOLOMBIAKO

[Organización Confederada a Saveto Katar le Organizatsi ay Kumpeniyi Rromane Anda´l Americhi, (SKOKRA)]

 
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