Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 30/04/2010 @ 09:41:46, in Europa, visitato 2720 volte)
Da
Czech_Roma (leggi anche
QUI)
Firma questa carta o morirai Ingannate nell'autorizzare la
propria sterilizzazione, un gruppo di donne romanì si sono unite nel combattere
per i propri diritti riproduttivi. by Sophie Kohn 20 aprile 2010
OSTRAVA, Repubblica Ceca | Elena Gorolova aveva un gran dolore. Le infermiere e
i dottori gridavano attorno a lei, cercando di inserirle un pallone tra le gambe
per fermare l'uscita del suo bambino e così utilizzare un parto cesareo.
Gorolova e suo marito, Bohus, una coppia con altri due bambini a casa, erano
eccitati alla prospettiva di un altra aggiunta alla loro giovane famiglia.
Ma per i dottori, il nuovo arrivo significava che Gorolova finiva nella terza
sezione-C. Le dissero che un altro parto sarebbe stato fatale.
Le misero semplicemente un foglio in mano ed improvvisamente le dissero:
firma o morirai. Non c'era tempo per domande, spiegazioni, riflessioni.
Elena Gorolova
"Non lo lessi," spiega con calma Gorolova, abbassando i vividi occhi marroni.
"Non c'era nessuno con me. Nessuno mi disse cosa stava succedendo. Ero
totalmente fuori di testa e così firmai."
E lì, mentre stava per dare alla luce, le capacità riproduttive di Gorolova
furono interrotte. Poco dopo aver partorito suo figlio col taglio cesareo, i
dottori sterilizzarono irreversibilmente Gorolova tagliandole le tube di
fallopio. Era il settembre 1990.
Come Gorolova scoprì più tardi, si stima che 90.000 donne romanì nella
Repubblica Ceca sono passate per la stessa esperienza negli scorsi 40 anni,
molte di loro terrorizzate nel firmare l'autorizzazione alla sterilizzazione,
dopo che i dottori dissero loro che partorire nella sezione-C era a rischio
della loro vita.
Due giorni dopo che Gorolova diede alla luce il suo terzo figlio, il
direttore dell'ospedale di Ostrava, una città industriale a 15 km. ad est dal
confine polacco, spiegò che la sterilizzazione era l'unica maniera per essere
sicuri che lei non avrebbe più partorito. Era medicalmente necessario, disse. In
quel momento Gorolova arrivò a negare che l'ultimo nato fosse suo.
Lei e l'offeso marito Bohus hanno dubitato che la spiegazione razionale che
avevano appena ricevuto fosse il motivo reale Gorolova era stata sterilizzata.
Andarono al tribunale di Ostrava a chiedere una spiegazione. Furono
immediatamente cacciati fuori.
Ancora nessuna scusa
Per oltre 15 anni, Gorolova ha pazientemente lottato con la vergogna. Bohus
frequentava un pub del posto dove gli altri rom gli dicevano che sua moglie non
serviva a nulla.
Vlasta Holubova
La maternità è importante nella cultura romanì, dice Vlasta Holubova - 45
anni, un'altra romnì di Ostrava sterilizzata senza il suo consenso nel dicembre
1988, mentre stava partorendo il quarto figlio. Dice "La gente che ha più figli
in famiglia è ricca. Avere tanti bambini è come un tesoro."
Negli scorsi quattro anni, Gorolova ed altre sterilizzate contro volontà si
sono unite come una singola voce per i diritti riproduttivi. Spalleggiate da
avvocati di spicco, le donne si sono lanciate in una campagna di testimonianza
dentro la Repubblica Ceca ed attraverso campagne all'estero. Il loro lavoro è
stato recentemente riconosciuto dal governo.
A novembre, l'amministrazione ceca ha espresso rammarico sulle
sterilizzazioni, senza però arrivare ad una piena ammissione di colpa. Il
governo ha quindi ordinato al Ministero della Salute di revisionare le proprie
pratiche per assicurarsi che non avvengano più in futuro sterilizzazioni senza
un consenso propriamente informato.
Secondo la legge, il consenso senza informazione è da considerarsi una base
insufficiente per qualsiasi intervento medico, inclusa la sterilizzazione.
Eppure, soltanto una manciata di queste sterilizzazioni è arrivata ai tribunali,
col risultato di isolate scuse ed alcune compensazioni finanziarie. I dottori
responsabili non hanno subito alcuna punizione.
Controllo della popolazione
Otakar Motejl, difensore civico ceco e convinto sostenitori dei diritti romanì,
dice di non essere pienamente soddisfatto della risposta governativa e chiede
che i Rom continuino a battersi per una piena compensazione. Però "a causa della
natura personale [dei reclami], non possiamo aspettarci grandi folle di donne
che si rivoltano nelle strade," spiega in un'intervista telefonica dal suo
ufficio nella città orientale di
Brno.
Ottenere scuse ufficiali dal governo è ancora più complicato perché "il governo
che ora si sta scusando ha davvero poco a che fare con l'organizzazione che
iniziò il programma di sterilizzazione," dice Motejl, riferendosi al fatto che
gli operatori sanitari dell'epoca lavoravano sotto istruzione dell'ex regime
comunista.
Le prime emozionanti azioni iniziarono nel 2005, quando Motejl fece pressioni
sul governo perché il governo investigasse sui numerosi reclami di
sterilizzazioni forzate che crescevano sulla sua scrivania, la maggior parte da
donne romanì di Ostrava.
Spiega che quando la Repubblica Ceca era uno stato comunista, la pratica che
descrive come "controllo della popolazione" era che gli operatori sociali
obbligavano alla sterilizzazione i Rom. In quei tempi, minacciavano di portare
via i bambini se le donne non consentivano alla procedura.
"Stavano infrangendo la legge durante il sistema comunista perché non volevano
far far nascere altri Rom," dice Gorolova.
Con la caduta del comunismo, la pratica apparentemente ebbe termine, ma il caso
di Gorolova è la prova che i responsabili semplicemente usarono metodi
differenti per ottenere i medesimi risultati. I dottori allora presenterebbero
la procedura alle romnià come una urgente necessità medica, scegliendo gli
intensi, paurosi e disorientanti momenti del travaglio come il periodo migliore
per estorcere l'accordo.
Anche alcune donne ceche non-rom sono state vittime di sterilizzazioni
involontarie; Holubova parla di donne che lo stato considerava "socialmente più
deboli", scarsamente istruite o disabili, come obiettivi tipici.
Imparare a parlare
Le mani di Gorolova ostentano anelli d'oro su ogni dita. Siede calma mentre
racconta la sua storia, sul luogo di lavoro negli uffici di Ostrava di Life
Together, un gruppo dedicato ai diritti romanì.
Gorolova arrivò in Life Together nel 2006, quando un rapido notiziario apparve
una sera sullo schermo della sua televisione. Sorride e dice, "Ho capito che vi
appartenevo."
Molto presto, altre donne rom sterilizzate provarono a bussare alle porte
dell'organizzazione. Le donne si sedevano attorno ad un lungo tavolo e, per la
prima volta, offrivano le loro storie. Da questi inizi lanciarono un progetto
chiamato "Non sei sola". Mandarono Gorolova, eletta portavoce, nella comunità ad
incoraggiare altre vittime della sterilizzazione a farsi vive.
Ma le donne avevano paura di parlare. Alcune vittime non romanì delle
sterilizzazioni rifiutarono di partecipare agli incontri perché non volevano
mescolarsi con gli stigmatizzati Rom. Molti pensarono che Gorolova avesse
parlato della sua storia per ottenere soldi dal governo. Così, quando le donne
non volevano andare da lei, Godolova le visitava a casa loro. Lentamente, le
approcciò.
"La principale ragione per cui le donne mi hanno creduto, è che io stessa sono
passata per la sterilizzazione, e so come si sentono. Non sono un'estranea,"
dice dolcemente.
Le donne rom tradizionalmente hanno molti bambini già da giovani e restano a
casa a crescerli. Possono passare decenni tra il primo figlio e l'ultimo.
Inoltre, dato che i Rom incontrano una significativa ostilità fuori dalle loro
comunità, le donne possono finire abbastanza isolate negli anni in cui crescono
i figli. Per molte di loro, il coinvolgimento in Life Together ha svegliato
abilità sociali atrofizzate, riaccendendo un senso di scopo. Gorolova
attribuisce persino al suo attivismo la decisione di prendere un diploma di
scuola superiore.
"Per 15 anni sono stata disoccupata," dice. "Ho dimenticato totalmente come
comunicare con la gente. Non avrei mai pensato che sarei stata capace di
comunicare con gente a questo livello, e che avrei dovuto farlo col governo."
Gorolova elenca con semplicità le realizzazioni di cui è più orgogliosa nel suo
lavoro con Life Together. L'organizzazione ha organizzato una consulenza
psichiatrica per le donne, un'esposizione fotografica delle case e delle
famiglie romanì, in palazzi del governo e musei in tutto il paese, ed iniziato
dei forum di discussione con ginecologi. Gorolova viaggia spesso assieme a Gwendolyn Albert,
attivista romanì americana che ha tradotto i discorsi di Gorolova nelle
presentazioni a New York, Strasburgo, Grecia e Svizzera.
Nonostante gli sforzi delle donne, Holubova dice che l'ammissione del governo è
più un contentino alle pressioni internazionali che una sincera espressione di
scusa. Tutti e quattro i figli di Holubova hanno trasferito le loro giovani
famiglie in Inghilterra e Canada per fuggire dalla discriminazione che sentono
come Rom nella Repubblica Ceca. Mentre osserva il quieto, fumoso appartamento
che ora condivide solo con suo marito, il suo disappunto per la propria patria è
palpabile.
"I ragazzi sono già cresciuti. Volevamo ancora un figlio o una figlia, per non
rimanere così da soli," dice.
Mentre parla, i suoi tre curiosi nipoti, in visita assieme ai genitori dalla GB,
attorniano la poltrona, ridendo. La più piccola, Natalia, sorride con malizia,
dondolando le gambette bardate di stivaletti d'argento.
Quando le si chiede cosa la fa andare, Holubova sorride pensosamente e pone un
braccio protettivo attorno a Natalia. Risponde "questi bambini".
Sophie Kohn is a writer in Toronto. Photos by Valter Ziantoni.
Continuo con la mia personale antologia delle poesie di
Paul Polansky. Un'anticipazione, sarà a Milano il prossimo 27 maggio. A
presto i particolari
UN VESTITO NUOVO
Una infermiera continuava a venire a casa mia
per convincermi.
"Eva", diceva
"hai già troppi figli.
Fai questa operazione e potrai
avere belle cose in cambio."
Avevo ventidue anni.
ero incinta del mio quinto figlio.
Mio marito era in prigione.
Acconsentii all'aborto,
ma non ero sicura riguardo all'altra cosa.
Dopo essere tornata a casa dall'ospedale,
l'infermiera mi diede dei soldi
per un vestito nuovo.
Fu allora che seppi
di essere stata sterilizzata.
"Certo che hai acconsentito," disse lei.
"Sul tavolo operatorio... hai annuito."
Di Fabrizio (del 27/04/2010 @ 09:20:38, in Europa, visitato 1951 volte)
Segnalazione di Paolo Ciani
santegidio.org
Su invito della Comunità di Sant'Egidio, il 22 e 23 aprile, a Budapest e a
Pannonhalma, in Ungheria, si sono tenute due importanti conferenze della
scrittrice austriaca Ceija Stojka, sopravvissuta al porrajmos, l'olocausto dei
rom durante la II guerra mondiale.
Il primo incontro ha avuto luogo nel liceo dei benedettini a Pannonhalma,
dove la signora Stojka è stata salutata calorosamente anche dall'abate Asztrik
Várszegi. Il secondo, nella capitale, è stato organizzato insieme alla Facoltà
di Teologia dell'Università Cattolica Pázmány Péter di Budapest e al vescovo
ausiliare János Székely, responsabile della pastorale degli zingari nella
Conferenza episcopale ungherese.
In entrambe le occasioni, la signora Stojka è stata ascoltata da un pubblico
numeroso ed attento, per lo più giovani studenti universitari e liceali.
Ceija Stojka ha raccontato la persecuzione, la sua deportazione e la sua
prigionia nei campi di sterminio ad Auschwitz, Ravensbrück e Bergen-Belsen che
lei ha vissuto da bambina rom insieme alla sua grande famiglia cui molti membri
furono uccisi. Oltre ai fatti narrati in maniera acuta e emozionata, ha offerto
anche una riflessione approfondita sull'attualità della sua testimonianza.
"Come mai anche oggi – si è chiesta - all'inizio del nuovo secolo, in paesi
europei, gli zingari, solo perché tali, specie bambini ed altri innocenti
vengono umiliati, maltrattati e – come è successo in Ungheria - persino uccisi?"
Con grande fermezza, ha rivolto un invito al suo pubblico giovane: "Lasciate che
i miei nipoti vivano. Anzi aiutateli a vivere. Voi siete il mio manto protettore
. Se voi difendete gli zingari, i piccoli, difenderete anche voi stessi. Così
diventerete un manto protettore per voi stessi."
Di Fabrizio (del 18/04/2010 @ 09:48:20, in Europa, visitato 2019 volte)
Da
Czech_Roma
La piccola
Natálka, la bambina di due anni seriamente ustionata in un attacco doloso
contro la sua casa a Vítkov, sta reimparando a camminare. Sua madre, Anna
Siváková, ha detto all'Agenzia Stampa Ceca che la bambina non è più in grado di
camminare se qualcuno non la tiene per mano. Presto seguirà la riabilitazione
per i problemi col suo piede destro, che non vuole camminare. Poi affronterà
un'altra operazione, alle dozzine che ha già subito. Il 19 aprile sarà passato
esattamente un anno da quei tragici eventi che hanno cambiato le vite di così
tante persone.
L'11 maggio andranno a processo gli accusati di aver causato la disgrazia
della piccola bambina e dei suoi genitori, che pure furono feriti dalle fiamme.
I genitori di Natálka si ritroveranno di fronte agli assalitori. "Non faccio
previsioni. Non ho idea di come risponderò quando li vedrò," dice Siváková.
Recentemente la madre di Natálka ha ricevuto una copia delle accuse, circa 50
pagine, e ne ha letto i dettagli. "Dicono che Lukeš organizzò tutto. Chiamo gli
altri e li aspettò ad Opava. E' anche accusato di aver scelto la nostra casa,"
dice, aggiungendo che gli accusati si rimpallano le loro responsabilità. Però,
tutti si giustificano dicendo di non aver saputo che la casa fosse abitata. "La
polizia ha interrogato la ragazza di Lukeš a Vítkov. Lei ha detto che avevano
guidato diverse volte sino a casa nostra e di avervi visto giocare i bambini,"
dice Siváková.
Ha anche letto che un'altro accusato, Müller, si bruciò la mano lanciando le
molotov. L'accusa dice che un'ora dopo cercò di curarsi a casa di un amico. Dice
anche che il gruppo intendeva commettere l'attacco una settimana prima, ma che
non trovarono una macchina per farlo.
Gli incendiari, tutti estremisti di destra di Bruntál e Opava, lanciarono tre
molotov piene di benzina attraverso le finestre della casa. Natálka, che non
aveva ancora due anni, soffrì di ustioni di secondo e terzo grado sull'80% del
corpo. I genitori furono ustionati più lievemente.
L'attacco cambiò completamente la vita della famiglia. Anche dopo che Natálka
tornò a casa dopo otto mesi di ricovero, niente era più lo stesso. "Pensavamo
che sarebbe stato meglio dopo il ritorno a casa. Sbagliavamo. Era solo
l'inizio," dice Siváková. La piccola Natálka ha subito dozzine di operazioni ed
ora ha paura dei dottori. Urla disperatamente quando vede l'ospedale, e presto
dovrà sottoporsi ad un'altra degenza. "Tra due settimane dobbiamo iniziare la
riabilitazione. Poi sarà operata alle mani. Starà in ospedale per un mese. Non
so come farà," dice la giovane madre.
David Vaculík, Jaromír Lukeš, Ivo Müller e Václav Cojocaru affronteranno il
processo in mezzo a straordinarie misure di sicurezza. Sono accusati di aver
commesso un tentato omicidio multiplo, tra cui una bambina, a sfondo razziale.
Rischiano l'ergastolo. "Per me sarebbe giusto se ricevessero la pena più dura
possibile. Ci hanno condannato ad una pena che durerà tutta la vita. Penso che
debbano soffrire come sta soffrendo la nostra famiglia," dice Siváková.
Czech Press Agency, translated by Gwendolyn Albert
Di Fabrizio (del 17/04/2010 @ 09:16:55, in Europa, visitato 1735 volte)
di Piero Ignazi - 15 Aprile 2010
Tra le due guerre, fascismo e nazional-socialismo attecchirono vigorosi in
Ungheria. I movimenti che si richiamavano a quelle esperienze ammontavano a un
centinaio e solo la morte del leader del fascismo ungherese Julius Gömbös nel
'36 impedì una piena fascistizzazione del regime autoritario instaurato nel '32
dall'ammiraglio Miklós Horthy. L'alleanza con la Germania portò poi nel '44
all'instaurazione di un regime nazional-socialista vero e proprio incentrato sul
Partito delle Croci frecciate. E da quel momento iniziò la deportazione in massa
dei 500mila ebrei ungheresi. L'Ungheria ha quindi una storia cupa alle spalle.
Non meno travagliati sono stati i primi dieci anni del dopoguerra, culminati con
la rivolta del 1956. In seguito, il "comunismo al gulasch" aveva pacificato il
paese. Anche la riabilitazione delle vittime delle repressioni staliniane degli
anni bui come Laszló Rajk, o della rivolta del 1956, peraltro già avviata prima
dell'89, indirizzava il paese su un binario solido di transizione e
consolidamento democratico. Così è stato, finora, grazie a una serie di
alternanze al governo tra socialisti e moderati. Anche la presenza di partiti di
estrema destra non preoccupava più di tanto.
Diverso, invece, il quadro emerso dalle elezioni parlamentari di domenica
scorsa. Il Movimento per una Ungheria migliore (Jobbik), che alle elezioni del
2006 aveva raccolto appena il 2%, ma che già alle europee del 2009 era schizzato
al 14,8, a quelle parlamentari di domenica è arrivato al 16,7. Risultati che
fanno di questo partito uno dei più significativi di tutta Europa.
Come nella Fpö austriaca degli anni 90, guidata da Jorg Haider, anche Jobbik
alterna richiami più o meno mascherati ed eufemistizzati al passato delle Croci
frecciate con interventi sui temi d'attualità. Da un lato, agisce sulla
nostalgia animando un movimento paramilitare - la Guardia ungherese - con tanto
di divise, bandiere e organizzazione gerarchica che richiama le Croci frecciate;
riprende i toni antisemitici con espliciti attacchi a personalità ebraiche e
allusioni alle "forze occulte della finanza internazionale" che dissanguano la
nazione; difende criminali di guerra come Sandor Kepiro considerati dal Centro
Wiesenthal come il principale ricercato del 2010; e invita alla "soluzione
finale" (sic) del problema degli zingari.
Dall'altro si presenta come un partito nazionalista che vuole restaurare i fasti
dell'antica nazione magiara, i mille anni della "Sacra Corona" di Santo Stefano,
che predica di una politica aggressiva di law and order ma nulla più, e che si
dichiara ferocemente antisocialista e anti-establishment.
Jobbik è un altro partito dell'estrema destra populista che mescola abilmente
richiami alla storia nera ungherese con l'agitazione dei problemi attuali, reali
e meno, dell'Ungheria. La campagna anti-zingari e contro le influenze straniere
si sviluppa lungo due piani: nel primo si criminalizza la minoranza Rom (il 6%
della popolazione); nel secondo si accusano la Banca centrale e il governo
socialista di consentire con la nuova legge sulla proprietà agraria che la terra
ungherese possa "finire in mano straniere", e d'impedire una tassazione più
elevata sulle multinazionali. Dietro a tutto questo, ovviamente, c'è la
responsabilità della Ue che impone norme contrarie ai "veri" interessi della
nazione e del popolo.
Un tale armamentario ideologico si ritrova in molte parti d'Europa. Di fronte a
movimenti di questo genere sono possibili due strategie: quella francese,
dell'isolamento assoluto dell'estrema destra costi quel che costi in termini
elettorali; quella austriaca e olandese dell'inclusione dei partiti estremisti
al governo per ridimensionarli o modificarli. L'unica strada da non percorrere è
quella di far finta di niente, di considerare irrilevanti o folkloristiche le
posizioni xenofobe antisemite e nazionaliste. Perché hanno grande appeal in
momenti di crisi e di trasformazione, soprattutto presso le componenti più
spaventate e più esposte. E, quando si rompe la diga, queste posizioni possono
dilagare.
15 Aprile 2010
Di Fabrizio (del 14/04/2010 @ 09:38:45, in Europa, visitato 1476 volte)
Da
Hungarian_Roma
Brno, 7.4.2010, 22:10
Un nuovo memoriale commemorerà il sacrificio di 12.000 Ebrei e centinaia di Rom
a Brno che perirono nei campi di concentramento della II guerra mondiale. La
città intende erigere il memoriale delle vittime dell'Olocausto in Náměstí 28. října
(piazza 28 Ottobre). Secondo il vicesindaco Daniel Rychnovský (cristiano
democratico), la città sta formando la commissione che giudicherà i progetti. Rychnovský
ha detto ai giornalisti che la città spera di ricevere i progetti per il
memoriale entro la fine di settembre.
Un gruppo di esperti che include rappresentanti delle comunità ebrea e romanì
sta valutando la composizione della commissione. Il memoriale sarà eretto nel
parco sulla piazza, che recentemente è stata modificata. "Lì c'è una stanza per
una scultura," ha detto Rychnovský. La data dell'installazione, la dimensione
del memoriale ed il suo costo dipenderanno dai risultati del concorso. Il
risultato dovrebbe essere noto per la fine dell'anno.
Attualmente non esiste un monumento alle vittime dell'Olocausto a Brno, anche
se quegli eventi sono scritti nella storia della città e nella vita dei suoi
abitanti. Dopo la guerra, 12.000 Ebrei non sono più ritornati a Brno dai campi
di concentramento, e vi rimasero lì solo poche centinaia. "Ogni volta che ci
inorgogliamo della villa Tugendhat, che è un monumento patrimonio dell'UNESCO,
dobbiamo sempre ricordare che venne costruito da proprietari ebrei," ha detto il
vicesindaco.
Negli anni recenti sono stati eretti diversi memoriali che commemorano storie
e personalità del XX secolo. Questa settimana verrà svelata alla facoltà di
legge una statua del presidente cecoslovacco
Edvard Beneš. L'anno scorso in occasione del 17 novembre, il quartiere Bohunice
ha svelato un memoriale sulle vittime del dispotismo comunista. Il memoriale
commemora le sofferenze dei residenti che persero le loro case quando lo stato
gli rese la terra per costruire appartamenti. Tre anni fa venne eretta una
piramide di bronzo in via Roosevelt in onore tante delle vittime della II guerra
mondiale che del totalitarismo comunista.
Czech Press Agency, translated by Gwendolyn Albert
Di Fabrizio (del 03/04/2010 @ 09:44:12, in Europa, visitato 2390 volte)
Da
Hungarian_Roma
Reuters 29-3-2010 By Marton Dunai
OZD, Ungheria (Reuters) - Lo scenario è classico. L'economia ungherese è
in crisi, la sua vista minoranza rom è un facile capro espiatorio ed un partito
di estrema destra che protesta contro i "truffatori zingari" ed i "parassiti del
welfare" è previsto come il grande vincitore.
Se i sondaggi hanno ragione, il partito nazionalista Jobbik ha la possibilità
di diventare il secondo partito più grande dopo le elezioni dell'11 e 25 aprile,
negando al favorito Fidesz di centro-destra la possibilità di ottenere i due
terzi della maggioranza.
"Con la sua retorica ultrapopulista, lo Jobbik potrebbe influenzare le
politiche del prossimo governo," ha detto l'analista politico Andras Giro-Szasz. "Lo
Jobbik può limitare il mandato popolare del prossimo governo."
I Rom compongono tra il 5 e il 7% della popolazione ungherese e diffamarli si
è dimostrata la tattica di maggior successo di Jobbik da quando un crollo
economico di oltre il 6% l'anno scorso ha lasciato disoccupato un Ungherese su
10.
Le sue vittorie più grandi sono state in posti come Ozd, nel povero nord-est
ungherese, una città dell'acciaio piombata in tempi bui, dove sono stati
sconfitti i Socialisti che lì avevano un seggio da 16 anni.
E' cresciuta la disoccupazione
La disoccupazione a Ozd da anni è oltre il 20%, ed un terzo della popolazione
è rom. Jobbik (Movimento Per un'Ungheria Migliore) lì ha quasi battuto il Fidesz
nelle elezioni del 2009 per il Parlamento Europeo, e la sua popolarità da allora
è sempre cresciuta.
"Molti di noi sono stufi di come gli Zingari pensano dell'assistenza sociale
come modo di vita," dice Andras Kemacs - meccanico, 27 anni di Ozd - "Jobbik mi
ha impressionato per la sua apertura su ciò."
Jobbik ha anche capitalizzato il risentimento popolare contro l'elite
politica, incluso il Fidesz, che ritiene corrotta.
Ha demonizzato l'Unione Europea ed il Fondo Monetario Internazionale, che
insistevano su un doloroso taglio delle spese come condizione di risanamento
delle finanze pubbliche ungheresi.
E con un uso attento dei media, usando Internet per raggiungere i giovani -
incluso gli studenti delle superiori, ha sorpassato tutti gli altri partiti
eccetto il Fidesz.
I sondaggi mostrano che a livello nazionale lo Jobbik è vicino al 20% tra chi
ha deciso di votare. Questo lo porta spalla a spalla con i Socialisti al
governo, mentre il Fidesz ha circa il 60% delle proiezioni di voto.
Questi successi, monopolizzando il voto di destra e rubandone a sinistra, ha
eroso le possibilità del Fidesz di ottenere la maggioranza dei due terzi che
sarebbe quella piattaforma di una vasta riforma auspicata dagli economisti.
L'Ungheria per anni ha lottato per migliorare il suo gonfiato settore
governativo ed assestare la spesa pubblica. I tagli alla spesa hanno posto il
deficit sotto controllo, ma la maggior parte delle riforme strutturali di
settore ritardano.
La riforma chiave richiedente una maggioranza dei due terzi è la
razionalizzazione dei 3.200 governi locali, da cui dipendono scuole ed ospedali
e sono i maggiori percettori del budget statali.
Fidesz potrebbe anche provare una riforma del finanziamento al partito
notoriamente corrotto.
Decadimento e disperazione
Ad Ozd, i problemi che assalgono l'Ungheria, e specialmente i Rom, sono
terribilmente evidenti.
Dopo il 1989 il collasso del comunismo ha portato alla chiusura delle
acciaierie di Ozd, la principale fonte di lavoro, rigettando fuori dal mondo del
lavoro 14.000 persone. I Rom, manodopera non specializzata, sono stati i primi
ad essere tagliati fuori, la maggior parte non ha più lavorato da 20 anni.
Decadimento e disperazione nei villaggi del circondario ha portato migliaia
di persone a Ozd. Oggi, un terzo dei 39.000 residenti sono Rom, dice Lajos Berki, leader
del Consiglio Comunitario Zingaro.
"Circa 1.000 di noi hanno più o meno un lavoro regolare," dice Berki. "Il
resto vive con il welfare. Ci sono problemi, inutile negarlo. Qualche migliaio
di Zingari ha causato problemi reali."
La baraccopoli rom ai margini di Ozd, conosciuta come Hetes, ferve di
attività , ma nessun lavoro salariato. I ragazzi giocano a calcio fuori da case
in rovina, mentre gli adulti tagliano legna raccolta illegalmente o vagano senza
scopo.
"Non sono fissato col welfare," dice Gyula Budai, in piedi accanto all'unico
rubinetto funzionante che si dividono 500 Rom.
"Portateci via, dateci lavoro, e vedrete chi vuole lavorare e chi no."
Tensione prolungata
Il candidato di Ozd per il Fidesz, Gabor Riz, riconosce in un'intervista i
problemi, ma rifiuta di chiamarli "questione Rom".
"Non c'è ragione di temere un conflitto etnico Rom-Ungheresi," dice. "Ma
potrebbero esserci tensioni prolungate tra percettori di reddito e beneficiari
di welfare."
Però, il membro socialista di Ozd del parlamento, Istvan Toth, dice che i
politici hanno evitato la questione.
"Abbiamo percepito i problemi, ma pretendendo che potessero sparire se non e
parlavamo," dice alla Reuters. "Abbiamo solo cercato di dividere (i Rom) lungo
linee di partito, ed ora d'improvviso scopriamo che... Jobbik ha giocato la
carta Zingara."
Il candidato Jobbik di Ozd, Andras Kisgergely, non ha avuto problemi nel
riempire il più grande teatro della regione durante il suo rally.
"Per 500 anni, gli Zingari non sono stati capaci di adottare le norme
culturali per vivere in pace con la maggioranza," ha detto al pubblico.
"Nove criminali su 10 sono Zingari... Dobbiamo porvi un fine. Dobbiamo
aumentare la sicurezza pubblica, e creare lavoro. Farli lavorare. Dobbiamo
legare il benessere al lavoro della comunità ."
Gli 800 spettatori nella sala applaudivano entusiasti ad ogni punto.
Peter Borbas, 40 anni - impiegato in ufficio, era uno di loro.
"Infine, dobbiamo parlare del crimine zingaro," dice. "La gente ne avuto
abbastanza. Nessun metodo è troppo radicale per finirla col crimine zingaro."
(Editing by Krisztina Than and Kevin Liffey)
Di Fabrizio (del 28/03/2010 @ 09:01:56, in Europa, visitato 2298 volte)
Segnalazione di Gabriel Segura
LaOpinionDeMurcia.es
Il caso di Isabel Heredia è poco comune. Questa gitana di 28 anni da qualche
mese è segretaria all'immigrazione nell'esecutivo municipale del PSOE di Murcia,
e lei stessa riconosce che "non è abituale incontrare gitani in politica e
tantomeno donne". Senza dubbio, ha la politica nel sangue, dato che suo padre è
stato militante socialista per tutta la vita e "la mia famiglia è sempre stata
molto vicina al partito, per cui ho sempre prestato attenzione a questo
mondo".
Riguardo al Giorno contro il Razzismo, celebrato ieri, Heredia afferma che resta
ancora molto da fare e "ora con la crisi stanno crescendo le attitudini
xenofobe, perché la gente non ha lavoro e cerca qualcun altro a cui dar la colpa
della sua situazione". Riguardo ai gitani, [...] assicura che "anche se siamo in
Spagna da oltre seicento anni, continuiamo ad essere degli sconosciuti", tanto
da sottolineare che "la discriminazione viene sempre dal disconoscimento, dal
non sapere chi sono i nostri vicini".
Isabel Heredia dice di non aver mai avuto problemi per la sua etnia, né dentro
né fuori dalla politica, e qualifica come "gratificante" l'appoggio ottenuto
tanto dai suoi amici come dalla famiglia e dai compagni di partito. Inoltre,
sottolinea che "il governo sta impegnandosi per la conoscenza della cultura
gitana, per questo ha creato l'Istituto di Cultura Gitana ed il Consiglio
Statale del Popolo Gitano, misure molto positive".
Di Fabrizio (del 27/03/2010 @ 09:43:53, in Europa, visitato 2491 volte)
Da
British_Roma
19/03/2010 - Abbracciare vecchie e nuove culture aiuterà l'Irlanda del Nord a
prosperare nel futuro, ha detto ieri agli studenti dell'Università dell'Ulster
l'Alto Commissario Canadese.
Il dottor Jim Wright era intervenuto come lettore della "Esperienza del
Canada sul Multiculturalismo" all'Istituto di Ricerche Politiche e Sociali
dell'Ulster (SPRI) nel campus di Jordanstown.
"L'Irlanda del Nord sta cambiando e per il meglio. Ma mentre stanno sparendo
i vecchi problemi, possono emergere nuove sfide," ha detto il dottor Wright.
"L'anno corso tutti noi abbiamo letto sul trattamento di una piccola comunità
Rom a Belfast (vedi
QUI ndr). C'è la preoccupazione che in alcune parti dell'Irlanda del
Nord quel razzismo possa diventare il nuovo settarismo. In un certo modo
bisognava aspettarselo. L'Irlanda del Nord è un paese con una storia recente e
senza collegamento con i nuovi immigrati - le Difficoltà hanno avuto il
sopravvento. Ma mentre l'Irlanda del Nord abbracciava la pace e cercava la
prosperità, diventava più attraente per gente di tutto il mondo che volevano
farne la loro casa. Mentre la gente dell'Irlanda del Nord ha preso una chiara
posizione contro il razzismo, possono esserci alcuni che si sentono incerti sui
nuovi arrivati. Creare una società coesiva, tollerante e multiculturale non
avviene in una notte, ma credo che l'esperienza canadese possa offrire
all'Irlanda del Nord alcuni punti di comprensione utili. Almeno cinque-sei
milioni della nostra popolazione sono nati fuori dal Canada ed ogni anno
accogliamo oltre 250.000 nuovi immigrati. Siamo sotto ogni punto di vista una
nazione di immigrati. Ma il Canada non pretende di essere perfetto. Siamo aperti
a riconoscere le nostre continue sfide ed abbiamo imparato molte lezioni, alcune
difficili, lungo la nostra strada. E siamo lieti ci condividere queste lezioni
con gli altri. In questo villaggio globale in cui viviamo oggi, c'è un movimento
crescente di gente attorno al mondo. Cercano opportunità di crescita per loro e
le loro famiglie. Ed i paesi e le società che sono aperte alle nuove idee e
talenti, avranno l'opportunità di prosperare ed essere competitivi."
Come laureato onorario dell'Università dell'Ulster, Jim Wright, la cui
famiglia è originaria di Warrenpoint, ha dal 1980 uno stretto interesse con
l'Irlanda del Nord. Per molti anni ha lavorato col Programma Marie Wilson Voyage of Hope
attraverso il ruolo del Canada nel Fondo Internazionale per l'Irlanda.
La dottoressa Susan Hodgett, Direttrice degli Studi Canadesi presso
l'Istituto di Ricerche Politiche e Sociali, ha detto:
"La democrazia multiculturale del Canada è uno dei principali argomenti di
studio di diversi ricercatori dell'università. Il dottor Wright ha parlato delle
tante sfide che il Canada ha dovuto affrontare negli anni. Se il Canada accoglie
circa 250.000 nuovi immigrati ogni anno, siamo curiosi di conoscere come hanno
gestito questo successo."
Il professore Bob Osborne, direttore dello SPRI, ha aggiunto:
"Come le istituzioni incaricate in Irlanda del Nord prendano uno sguardo più
fermo su come si possano abbattere le barriere tra le due comunità
etno-religiose ed assieme assicurare che i recenti immigrati divengano qui
pienamente integrati nella società, diventerà una questione importante.
Guardando a come le altre società hanno affrontato questioni simili, dovrebbe
permettere ai chi elabora le politiche di avere un vasto contesto in cui
sviluppare le loro idee e opzioni politiche. Lo SPRI è lieto di giocare il ruolo
di facilitatore nello scambio di idee tra politici ed accademici."
For further information, please contact:
Press Office, Department of Communication and Development
Tel: 028 9036 6178
Email: pressoffice@ulster.ac.uk
Di Fabrizio (del 24/03/2010 @ 09:44:02, in Europa, visitato 2020 volte)
Osservatorio Balcani e Caucaso (leggi anche
QUI ndr)
Risto Karajkov da Skopje
Quello che sembrava un esodo di massa da Serbia e Macedonia verso l'Unione
europea, grazie alla liberalizzazione del regime dei visti, si è rivelata una
truffa in grande stile. False agenzie di viaggio trasportavano migranti verso
Bruxelles in cambio di poche centinaia di euro
Le tensioni causate dalla notizia del crescente numero di cittadini macedoni
che hanno richiesto asilo politico in vari paesi dell'Unione europea dall'inizio
del 2010, soprattutto in Belgio, sembrano essersi lentamente smorzate.
Giovedì 11 marzo sono arrivati a Skopje i primi autobus carichi di delusi
“aspiranti rifugiati” provenienti da Bruxelles. Il Belgio è stato uno dei paesi
più segnati dall'onda di migranti che hanno sperato di assicurarsi un futuro
migliore nella ricca Unione attraverso la richiesta di asilo. Gli autobus,
pagati dal governo belga e con a bordo funzionari degli uffici addetti alle
questioni migratorie, hanno riportato a casa anche molti cittadini serbi.
Nei prossimi giorni si aspetta la partenza di nuovi autobus non solo dal Belgio,
ma anche da altri paesi europei. Gli sviluppi della questione sembrano aver
calmato le acque, dopo che nelle settimane scorse i media avevano surriscaldato
il panorama politico europeo con notizie che parlavano di ondate massicce di
emigranti richiedenti asilo dalla Macedonia a dalla Serbia.
A inizio marzo, dopo essere stata sollecitata dal governo belga, la Commissione
europea ha reso nota l'esistenza del fenomeno. La stessa Commissione ha poi
richiesto esplicitamente ai governi dei paesi balcanici che hanno recentemente
beneficiato della liberalizzazione del regime dei visti (Macedonia, Serbia e
Montenegro) di spiegare ai propri cittadini non solo i diritti, ma anche gli
obblighi che derivano dal nuovo regime senza visti.
Michele Cercone, portavoce della direzione Giustizia, Libertà e Sicurezza della
Commissione ha fatto il punto sulla situazione, parlando di fenomeno migratorio
dovuto a motivi economici, sottolineando poi che le reali chance di ottenere
asilo sono estremamente basse per la maggior parte dei richiedenti.
Dall'inizio del 2010 le autorità belghe hanno registrato un netto aumento delle
richieste di asilo da parte di cittadini macedoni e serbi. Vari i numeri tirati
in ballo dai media: secondo alcune stime sarebbero circa 400 i macedoni ad aver
chiesto asilo in Belgio dall'inizio dell'anno, un numero nettamente maggiore se
confrontato con le statistiche dell'anno scorso.
Altre fonti stampa hanno scritto di 300 richiedenti asilo dalla Serbia solo a
febbraio, soprattutto albanesi e rom provenienti dalle regioni meridionali del
paese. Richieste di asilo sono aumentate anche in altri paesi dell'Ue. Sarebbero
state 160 quelle presentate a febbraio da cittadini macedoni in Svizzera, un
numero tre volte maggiore a quelle sottoposte nell'intero 2009. Secondo i media
macedoni, un migliaio di rom provenienti soprattutto dalla Serbia meridionale,
ma anche da Macedonia e Montenegro sarebbero entrati in Svezia via autobus. In
questo caso, però, molti sarebbero riusciti ad ottenere asilo e assistenza da
parte del paese ospitante.
Fin da subito, comunque, la vicenda ha mostrato molti aspetti poco chiari e
difficilmente spiegabili. Senza il regime di visti, infatti, i migranti
potrebbero semplicemente entrare in Unione europea come semplici turisti,
scegliendo poi di restare illegalmente nel paese prescelto e nascondendosi alle
autorità, magari per anni.
Quello che invece è successo in queste settimane, con decine di “aspiranti
rifugiati” pronti a dichiarare immediatamente la propria presenza in Belgio alle
autorità di Bruxelles per sottoporre la richiesta di asilo, non sembra la
situazione tipo dell'emigrazione clandestina spinta da motivi economici.
Una serie di indagini giornalistiche in Macedonia ha cominciato a portare un po'
di luce sull'inspiegabile fenomeno. Gli “aspiranti rifugiati”, persone
provenienti dalle fasce più deboli della popolazione, poveri e spesso
analfabeti, sono stati ingannati da truffatori che li hanno convinti che, con la
richiesta di asilo, avrebbero potuto godere dell'assistenza sociale del paese di
arrivo. A molti dei migranti era stato detto che i ricchi paesi dell'Ue
avrebbero garantito loro un appartamento dove vivere e un assegno mensile.
I giornalisti che si sono occupati del caso sono presto arrivati a individuare
delle “agenzie di viaggio”, spesso senza alcuna licenza, che hanno trasportato i
disperati verso Bruxelles e altre destinazioni europee per 100 euro. Il prezzo,
oltre al biglietto, comprendeva un ricco assortimento di bugie, ritagliato su
misura per convincere i propri clienti a partire in cerca di un'opportunità di
vita migliore.
Per molti degli sfortunati “aspiranti rifugiati” 100 euro rappresentavano i
risparmi di una vita. In seguito alle reazioni provenienti dall'Ue e ai
reportage pubblicati sui media, il governo di Skopje ha reagito in fretta,
mettendo fine all'attività delle “agenzie di viaggio” implicate.
Il premier belga Ives Leterme è arrivato in Macedonia l'8 marzo, per aiutare le
autorità locali a fare chiarezza sulle mistificazioni diffuse nel paese. Leterme
ha ribadito che il suo paese non concede asilo politico per motivi economici. Il
premier belga ha poi chiesto al suo omologo macedone, Nikola Gruevski, di
diffondere informazioni precise ai propri cittadini. Il giorno seguente
funzionari belgi, guidati dal Segretario di stato per l'immigrazione Melchior
Wathelet, hanno visitato la regione di Lipkovo, nel nord della Macedonia, luogo
di origine di molti richiedenti asilo.
Il governo macedone ha iniziato una campagna sui media per mettere i propri
cittadini in guardia da false promesse. Per molti giorni vari ministri hanno
fatto dichiarazioni a riguardo sui media nazionali. L'azione ha portato presto a
risultati visibili, e il flusso di autobus diretti a vari paesi dell'Ue si è
interrotto.
Come detto, il primo autobus in direzione opposta è arrivato l'11 marzo. Le
autorità giudiziarie hanno già cominciato le indagini: la speranza è che si
arrivi a punire chi ha approfittato delle speranze dei più poveri tra i poveri.
Quello che all'inizio è stato descritto come un esodo di massa, in grado
addirittura di mettere a rischio l'appena ottenuta liberalizzazione dei visti,
si è rivelato una truffa in grande stile. I governi della regione balcanica,
così come quelli dell'Ue combattono contro il traffico di persone da anni. E'
una lotta difficile, contro avversari organizzati e scaltri. Vista la natura di
quanto accaduto, i severi ammonimenti di Bruxelles sulle possibili future
ripercussioni sul regime dei visti sembrano esagerate.
I media hanno avuto il merito di portare alla luce la natura truffaldina di
quanto accaduto, indicando gli organizzatori e aiutando le possibili future
vittime a orientarsi e ad evitare di essere sfruttate. C'è però anche chi, come
Alexandra Stiglmayer dell'European Stability Initiative (ESI), ha sottolineato
come molti media abbiano in realtà gonfiato irresponsabilmente la vicenda.
“Ci sono stati abusi in tempo di visti, ed è chiaro che ce ne saranno anche in
regime di liberalizzazione. E' un peccato che alcuni media abbiano esagerato nei
toni nel raccontare questa vicenda”, ha dichiarato la Stiglmayer.
“Si tratta di un problema amministrativo, non politico”, ha dichiarato in
un'intervista alla tv macedone “A1” Pavel Gantar, presidente del parlamento
sloveno. La Slovenia è stato uno dei più convinti sponsor della nuova politica
di liberalizzazione verso Macedonia, Serbia e Montenegro.
Di certo la vicenda ha rappresentato il primo test importante per la politica di
liberalizzazione, che per i tre paesi sopra indicati è cominciata a partire
dallo scorso 19 dicembre. Bosnia Erzegovina e Albania dovrebbero essere i
prossimi paesi a godere della possibilità di viaggiare senza visto già nel 2010.
Sempre che le polemiche di queste settimane non si riflettano negativamente su
un'ulteriore apertura da parte dell'Ue.
Di Fabrizio (del 22/03/2010 @ 09:14:33, in Europa, visitato 1948 volte)
Da
Roma_Daily_News
14 marzo, Incontro Rom, - Abdi Ipekci Spor Salonu, Istanbul 12:00-16:00
Oggi, circa 16.000 Rom di tutte le parti della Turchia sono stati letteralmente
stipati nel Centro Sportivo Abdi Ipekci per ascoltare il Ministro Faruk Çelik,
Eleni Tsetsekou (Programma di Gestione del Consiglio d'Europa - Unità Roma e
Viaggianti), il Dr. Ivan Ivanov (Direttore di ERIO) ed il Primo Ministro Recep
Tayyip Erdogan, riguardo la situazione del popolo rom ed il loro desiderio di un
cambio positivo per il futuro. L'impegno del governo AKP nel raggiungere cambi
significativi nel campo della salute, delle opportunità educative, dell'impiego
e dell'alloggio in Turchia per i Rom del paese, è una delle priorità del governo
con la sua "apertura democratica".
Erdogan ha raccontato la sua infanzia nel quartiere rom di Kasimpasha
(Istanbul), crescendo con i Rom come "fratelli e sorelle" e imparando presto la
loro situazione da questa esperienza. In particolare è stata importante la sua
amicizia con Balik Ayhan, che oggi era presente all'incontro col Prima Ministro
ed alla sua iniziativa per i Rom. Il discorso di Erdogan è stato accolto con
enorme entusiasmo dai Rom, ogni punto sottolineato da fragorosi applausi e dal
suono dei tamburi "davul", associati sin dai tempi dell'impero ottomano alla
musica rom. Quando Erdogan ha sottolineato la situazione dei Rom in molti paesi
europei, menzionando le persecuzioni che affrontano e le sofferenze che hanno
provato attraverso deportazioni ed esclusione, stava attirando esplicitamente
l'attenzione sulle variazioni nelle politiche che questo incontro annuncia per
la Turchia, portando in primo piano la posizione di un approccio positivo verso
i Rom, in un periodo in cui crescono le attitudini sempre più negative nel resto
d'Europa.
Resta da vedere l'impatto reale dell'iniziativa di Erdogan e "dell'apertura
democratica" per il popolo rom, come pari cittadini della Repubblica davanti
alla legge e alla Costituzione. Se i recenti attacchi alla comunità rom di
Manisa, o la distruzione dei quartieri rom ad Istanbul, Mersin, Diyabakir ed
altre città negli ultimi anni cesseranno, particolarmente nel contesto della
complessa situazione politica aperta con questa serie di iniziative democratiche
(con i popoli Kurdi e degli Alevi), è una questione aperta. L'aumentata
polarizzazione della società turca attorno a questi temi ha portato ad un
rottura potenzialmente divisoria, dove quanti appoggiano questi cambiamenti sono
contrapposti a chi rappresenta la vecchia, tradizionalmente secolarista alleanza
politico-militare.
Queste versioni contrastanti della modernizzazione in Turchia stanno lottando
per il dominio ed è ancora possibile che i Rom si trovino presi tra due fuochi.
L'enorme riunione di oggi indica che le forze per la democratizzazione sono
capaci di guidare l'agenda dell'inclusione sociale in questa direzione
particolare ed incoraggiare l'appoggio alle altre organizzazioni rom europee ed
alle istituzioni che promuovono i diritti dei Rom. D'altra parte, in Turchia
queste innovazioni sono spesso state fatte deragliare come insegna la storia del
tardo impero ottomano e della Repubblica.
Però oggi l'atmosfera era una delle positive promesse ed il tanto atteso
riconoscimento del popolo Rom, come degni di pari diritto e rispetto in Turchia.
Oggi, i cittadini rom turchi si sentono così come sono stati descritti dal loro
Primo Ministro. Cittadinanza ed eguaglianza in Turchia, "Ille'de Roman olsun!"
ha detto Erdogan, e la folla ha ruggito la sua approvazione; "Insisto che questo
sarà Romani!"
Dr. Adrian Marsh
Researcher in Romani Studies, Istanbul
adrianrmarsh@mac.com
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