Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 27/10/2013 @ 09:03:05, in Europa, visitato 2892 volte)
di Alessio Postiglione. Pubblicato: 23/10/2013 09:08
Ci risiamo. Con le elezioni del Parlamento europeo che si avvicinano, e i
partiti di estrema destra, xenofobi e neofascisti, che affilano le proprie armi,
giunge l'ora della paura: il diverso, l'immigrato, il clandestino.
Nella panoplia di pericoli che assediano il rassicurante tepore del focolare
domestico italiano piccolo borghese, un posto privilegiato spetta a romanì e
sinti: o, meglio, come disse lo "sceriffo" Gentilini: "i zingari".
Ecco che gli sciacalli subito si buttano sulla
storia della bionda e glaucopide
piccola Maria, cinta fra le braccia sgraziate e piagate dalla povertà - nere,
brutte e cattive - di una coppia rom greca accusata di averla rubata: per
l'accattonaggio o, peggio, per indurla alla prostituzione.
Chi tocca i bambini è immondo, non è una novità, ed ecco che l'odio monta verso
i corpi lombrosiani degli orchi, le cui fattezze anticipano la malvagità del
loro animo. Nella pubblicistica antisemita o antizigana, il capro espiatorio è
sempre mostruoso e col naso adunco; perché nella nostra società, modellata sul
principio del bello è buono - kalòs kagathòs -, il malvagio deve essere deforme.
Si tratta di un meccanismo psicologico ben noto agli scienziati sociali, per il
quale, per rendere accettabile la persecuzione, l'oggetto della discriminazione
deve suscitare in noi una ripulsa assoluta e convinta. È l'assolutizzazione del
nemico, propria del nazismo o anche della filosofia politica conservatrice che
si ispira a Carl Schimtt, per la quale tu sei mio nemico non per quello che fai,
ma per quello che sei: nero, zingaro o clandestino. Nemico irriducibile, per
questo assoluto. E contro il quale utilizzare o il genocidio o gli strumenti
securitari del contenimento del pericolo: Cie, ghetti, quarantene.
Siamo noi, dunque, che deumanizziamo l'altro per perseguitarlo: attraverso
povertà, privazioni e costringendo i nostri rom, al 95% sedentari, a vivere in
roulotte, per poi stigmatizzarli per "il loro vivere incivile".
Avremmo bisogno di chi ci racconta la loro cultura: non aliena e ostile alla
nostra. Ma, quando scatta l'allarme sociale, non sono gli antropologi o gli
psicologi ad essere chiamati nei salotti Tv, ma i professionisti della
sicurezza: prefetti, poliziotti, esperti della sorveglianza come Frontex, droni
e sentinelle; è la logica della riduzione dei problemi sociali a problemi di
ordine pubblico.
La storia di Maria, dunque, è perfetta. Si tratta di un'accusa che mobilita le
nostre coscienze, blandisce le nostre paure. Un'accusa atavica, che affonda le
radici nel Medioevo. Quando si riteneva che gli zigani rapissero i bambini e gli
ebrei ne utilizzassero il sangue a scopo rituale.
Solo nel 1965, la Chiesa ha depennato dall'elenco dei beati San Simonino di
Trento, vero e proprio falso storico costruito all'epoca della Controriforma,
per compattare i cattolici contro ebrei, protestanti e altre minoranze.
Nonostante studi e ricerche abbiano abbondantemente dimostrato l'inesistenza del
fenomeno del rapimento dei bambini da parte dei rom, l'industria della paura,
per funzionare, ha bisogno della delazione.
Troppo facile constatare come in Grecia, con Alba Dorata che impazza, sia
allettante per un governo moderato proporsi come tutore dell'ordine. Tentazione
nella quale è caduto Hollande, con il caso della piccola Leonarda espulsa dal
Paese. Errore nel quale inciampò anche il nostro centro-sinistra, all'epoca del
muro di via Anelli.
Vi ricordate la campagna elettorale di Berlusconi del 2008? Emergenza stupri,
caccia allo straniero, ronde, polizia di quartiere. Il paese era scosso dalla
violenza e uccisione della povera Giovanna Reggiani, a Tor di Quinto, Roma. Dopo
l'emergenza stupri, l'emergenza rapimenti è altrettanto seducente: donne e
bambini attivano primordiali meccanismi di difesa.
Sappiamo com'è andata a finire. Mentre qualche sceriffo di centro-sinistra
scimmiottava quel linguaggio, incapace di costruire un paradigma
dell'accoglienza alternativo al Forza-leghismo, si favorì una vittoria del
Cavaliere di proporzioni straordinarie.
Ora, bisognerebbe iniziare a costruire un discorso pubblico diverso. Saremo
all'altezza della sfida o ci faremo travolgere ancora dalla paura?
Di Fabrizio (del 24/10/2013 @ 09:04:30, in Europa, visitato 1703 volte)
La foto, che ogni tanto appare in home page, la scattai a Parigi nel settembre
2010. Allora manifestarono in 50.000 (forse 80.000: la guerra delle
cifre vale anche da quelle parti) contro le politiche anti-immigrati e
anti-rom della Francia di Sarkozy.
Inizialmente doveva essere una manifestazione
europea, poi l'attivarsi delle diverse comunità promosse manifestazioni più
piccole in una cinquantina di città grandi e piccole nel continente.
A Parigi i socialisti francesi distribuivano in manifestazione questo istruttivo
libretto:
(clicca sull'immagine per leggere la recensione)
che ovviamente lessi avidamente. Il senso è racchiuso in questo capitolo in
quarta di copertina (vado di traduzione):
[...] Per soddisfare le aspettative dei cittadini, la sinistra dev'essere
in grado di proporre un progetto di società alternativa, ambizioso e credibile.
Ma deve anche essere in grado di denunciare i danni della destra al potere, di
opporsi alle violazioni delle libertà civili e difendere le fondamenta del
nostro patto repubblicano. [...]
Nelle 166 pagine, viene passata ai raggi X, con una specie di vocabolario, la
politica securitaria che aveva caratterizzato la presidenza Sarkozy. La tesi è
che la gestione autoritaria si dipanava su alcune costanti: limitazione dei
diritti, interventi sui media (anche con concentrazioni di cartelli
giornalistici), privatizzazione del sistema securitario, informatizzazione degli
archivi. Il tutto faceva parte di un vero e proprio sistema globale, che
ricordava incubi orwelliani.
Spero di non annoiare nessuno, riportando questo capitolo, da
confrontarsi con quanto sta succedendo da circa un anno:
CACCIA AI SANS-PAPIER
"Quando qualcuno è per strada, in stato di emergenza o disagio, di sicuro non gli si chiederanno
i documenti!" [Nicolas Sarkozy, discorso al
Consiglio Economico e Sociale, 17 ottobre 2007]
"Il responsabile della comunità Punto Rosso ha dovuto rispondere ad
una serie di domande sul nostro movimento. In seguito a ciò, la
polizia l'ha accompagnato in comunità per censire la presenza di
compagni senza documenti."
[Il direttore della Fondazione Abbé Pierre Marseille, 18
febbraio 2009]
Il 16 febbraio 2009, un sans-papier accolto nella comunità
Emmaus Punto Rosso di Marsiglia, viene ivi interrogato.
L'indomani, gli stessi locali sono perquisiti dalla polizia.
Vengono compilati dossier, nella ricerca di cognomi dal suono
straniero tra i componenti dell'associazione. Il responsabile
del centro è convocato dalla polizia e messo in cella, prima di
essere rimesso in libertà. Un'operazione simile era stata
condotta nella comunità Emmaus di Foulain (Costa d'Oro), il 29
agosto 2007, conclusasi con l'arresto di quattro persone.
Diversi casi di arresto di genitori e bambini, in prossimità o
persino all'interno delle scuole, hanno parimenti sollevato
l'indignazione di numerose associazioni. Così, per esempio,
il 24 novembre 2008, la polizia ha preso due genitori kosovari, cercando i loro
figli a scuola, riconducendoli poi alla frontiera.
Nel suo rapporto
del 20 novembre 2008, Thomas Hammarberg, commissario ai diritti umani del
Consiglio d'Europa, condanna il continuare di questi arresti nelle scuole, che
contraddicono gli impegni assunti da Brice Hortefeux per mettere fine a queste
pratiche: "Sono stati riportati diversi casi recenti, di cui uno verificato dal
Difensore dell'Infanzia, in cui poliziotti hanno compiuto arresti di bambini
all'interno stesso di scuole primarie. Tale pratica è intollerabile per quanto è
traumatizzante per i bambini. Le scuole devono rimanere luoghi d'insegnamento e
di educazione, e non zone dove si svolgono arresti. Il Commissario richiama le
autorità francesi a garantire che non avvengano in alcun modo arresto di bambini
o di genitori, nelle scuole o nelle vicinanze.
Questo riguarda anche gli arresti che avvengono in vicinanza delle prefetture,
dei centri di ricovero, delle associazioni o ancora presso i fondi assicurazioni
malattie, come quello avvenuto su denuncia il 18 febbraio 2009 a Auxerre:
rivelano una reale strategia di caccia a chi è senza documenti, spingendoli a
rifugiarsi in una clandestinità sempre più profonda.
Quanto sta accadendo in questi giorni, non mi sembra così lontano dalle
pratiche descritte con tanto sdegno in quel libretto pre-elettorale. Abituati alle piroette italiane, non dobbiamo stupirci del voltafaccia dei
socialisti francesi. Calcolerei alcune variabili:
- Il presidente Hollande è da tempo in caduta libera nei
consensi, e il PSF non è mai stato un partito "facile",
diciamo piuttosto un covo di vipere come se fosse gestito da
Richelieu. Manuel Valls, è non solo ministro degli interni e autore della svolta
autoritaria del governo socialista, ma è anche uno dei più
accreditati rivali di Hollande.
- Valls appartiene a quel tipo di politici per cui i sondaggi
sono quelli che dettano la linea politica. I sondaggi francesi
sono chiari: Hollande in calo di popolarità e popolazione
favorevole al rimpatrio di rom e immigrati irregolari. Le
posizioni del ministro sono conseguenti.
- Anche ai tempi di Sarkozy, i sondaggi davano la maggior
parte dei francesi favorevoli alla linea dura contro i Rom. Ciò
non toglie che proprio la manifestazione del settembre 2009 ebbe
una vasta eco interna, mostrando che la "Francia dei diritti" era
ancora in grado di mobilitarsi in massa. La situazione sembra
ripetersi ora con le tante manifestazioni a favore di Leonarda,
e col loro clamore mediatico. L'opinione pubblica appare incerta
e divisa, ora come allora. Sondaggi a parte, che tradirono
Sarkozy contro Hollande, varrebbe la pena di capire se le
disgrazie presidenziali vadano fatte risalire alla faccia feroce
contro gli immigrati, o all'incapacità dimostrata contro la
crisi economica.
- Se dal punto di vista dialettico le molte anime del PSF
cercheranno di spiegare che loro sono comunque qualcosa di differente
dalla destra, è indubbio che "tecnicamente" il caso Leonarda
è stato gestito con le "politiche orwelliane" di Sarkozy, principalmente riguardo l'uso dei media e la
centralizzazione dei sistemi di identificazione e controllo.
Come sarebbe stato possibile altrimenti rintracciare e
ricostruire la storia di quella famiglia, o rintracciarla in
gita scolastica? E giustificare tutta l'operazione come
"perfettamente regolare"?
- Ne consegue che i socialisti francesi (a parte le scuse e i
discorsi politichesi di circostanza) hanno di fronte l'unica
strada di riuscire a dimostrare di essere più forcaioli di chi
li ha preceduti (anche al costo di sacrificare l'attuale
presidente). Altrimenti per il popolo votante varrà sempre la
regola (in Francia come in Italia) che tra l'originale e la
copia, a parità di prezzo si sceglie sempre l'originale.
Da vedere, basta cliccare sull'immagine. La dedica finale è per
Fiorella, lei sa perché
Di Fabrizio (del 22/10/2013 @ 09:06:33, in Europa, visitato 2450 volte)
Foto: EPA
18.10.2013, 19:15
La voce della Russia - Jean-Pierre
Liégeois, il membro del Consiglio scientifico della Rete Europea degli studi
universitari degli zingari ed autore di diversi libri sulle comunità di zingari
nell'intervista a "La Voce della Russia" rompe gli stereotipi che ha il pubblico
europeo sui nomadi.
- Secondo le valutazioni dei mass media francesi, circa 20 mila rom sono giunti
in Francia dai Paesi dell'Europa Orientale. Siete d'accordo con questa cifra?
- Se credere alle organizzazioni che lavoravo con gli zingari, per esempio
"Medici del mondo", sono 15 mila. Dal punto di visto della statistica è un
quantità di poca importanza. Il numero dei rom, arrivati in Francia prima, per
esempio negli anni 60' o 70' dalle repubbliche dell'ex Jugoslavia, è molto più
alto.
- Quanti migranti della "nuova onda" si trovano in Francia legalmente? Quanti
sono illegali?
- La Francia non esegue statistiche su base etnica. Se gli zingari sono arrivati
in Francia dalla Romania, sono rumeni, se sono giunti dal Belgio, sono belgi. Se
sono cittadini dell'Unione Europea, il loro soggiorno è legale per tre mesi in
tutti i Paesi dell'UE. Se il periodo di soggiorno è oltre tre mesi, sono
obbligati a dimostrare redditi regolari.
In Francia sono state introdotte limitazioni nel settore lavorativo in cui
possono lavorare i cittadini di Romania e Bulgaria. Dopo il 31 dicembre 2013 le
limitazioni saranno annullate. Al momento queste norme rendono difficili il
collocamento al lavoro dei cittadini provenienti da questi Paesi, perché, per
assumerli, i datori di lavoro devono avviare formalità complicate e costose.
Tutto sommato queste misure rallentano anche il collocamento al lavoro degli
zingari, trasformandoli in migranti illegali dopo tre mesi di soggiorno.
- Cosa si può dire sul livello della criminalità tra la comunità degli zingari
in Francia?
- Le paure di molti anni nei confronti degli zingari hanno diffuso tra la gente
il mito "della criminalità etnica". C'è la tendenza ad esagerare la loro
presenza in Francia. Spesso vengono definiti zingari anche coloro che non lo
sono. Gli puntano il dito e dicono che sono zingari, ma a questo punto lo stesso
trattamento, per esempio, degli ebrei o degli armeni è considerato come
inammissibile. Il livello della criminalità tra gli zingari non supera il
livello della criminalità tra cittadini di qualsiasi altro Stato. La polizia e
gli organi giudiziari parlano di "piccola criminalità", di furti. Per quanto
riguarda la criminalità organizzata, occorre lottare contro di essa come
dappertutto. E gli stessi zingari ne rendono conto.
- Di che cosa vivono i rom in Francia, come guadagnano?
- I cittadini di Romania e Bulgaria hanno problemi con la collocazione al
lavoro, anche se hanno la qualificazione necessaria, tuttavia gli zingari dai
Paesi dell'ex Jugoslavia che da molto tempo abitano in Francia sono quasi
"invisibili": lavorano nel settore edile, fanno imbiancatura, intonaco.
Tradizionalmente molti zingari si occupano di lavori artigianali, lavorano con
il ferro, suonano la musica, si occupano di arte, allevano cavalli, fanno
commercio al mercato. Molti sono occupati nel settore agricolo, raccolgono
frutta e verdura. Il problema è che di norma sono poco istruiti perché da
piccoli non hanno avuto la possibilità di frequentare la scuola. Per questo la
maggior parte di loro si occupa di lavori manuali.
- Se la Romania e la Bulgaria aderiscono alla zona Shenghen nel 2014, si prevede
l'afflusso di zingari nei Paesi dell'Europa occidentale?
- Questo non cambierà nulla, perché rumeni e bulgari hanno già la possibilità di
spostarsi liberamente dentro l'UE. Gli europei hanno idee errate sulla mobilità
delle comunità di zingari. Tra 12 milioni di zingari in Europa solo una piccola
parte è mobile.
- Quali misure bisogna prendere per integrare gli zingari dell'Europa orientale
in Francia?
- In 100 anni di vagabondaggio nel mondo, gli zingari si sono stabiliti in
Australia, in Canada e in Sud America. Ogni volta sono stati costretti ad
adattarsi alle norme di vita dei diversi Paesi, sopravvivendo di esili,
deportazioni, schiavitù. Nel 21° secolo la via dell'integrazione passa
attraverso il rispetto della cultura degli altri popoli. Ruolo importante ha
l'istruzione che permette alla generazione dei giovani di integrarsi nella
struttura sociale, ottenere professionalità e la possibilità di essere collocati
al lavoro.
Di Fabrizio (del 20/10/2013 @ 09:02:58, in Europa, visitato 1668 volte)
18 Ottobre 2013, di Anna Calori - Verso cosa ritornano i
Rom rimpatriati in Kosovo?
Risale a ieri la notizia di una protesta studentesca che vede coinvolti numerosi
studenti parigini nell'occupazione di
più di trenta licei della capitale francese. Migliaia di essi hanno
partecipato a un corteo di protesta verso il ministero dell'Interno.
Causa scatenante l'espulsione di Leonarda, giovane Rom Kosovara, prelevata a
forza dalla polizia davanti ai propri compagni di classe durante una gita, per
poi essere immediatamente rimpatriata in Kosovo insieme ai genitori e ad altri
cinque fratelli.
Il ministro dell'Interno Manuel Valls ha commentato l'accaduto difendendo il
proprio operato, e argomentando in favore delle leggi vigenti in Francia in
materia di immigrazione.
Di primo acchito, questa notizia suggerisce un imbarazzante parallelismo con
quanto accaduto, e ancora accade, sulle coste di Lampedusa e con la reazione che
tali avvenimenti hanno suscitato nella coscienza pubblica italiana.
Se l'indignazione e la vergogna - sentimenti ormai auto-assolutori, specie in
politica - sono reazioni comuni e condivise nei confronti di procedure a dir
poco draconiane, l'Italia non ha purtroppo visto una mobilitazione tanto
repentina da parte di quella società civile (gli studenti, in questo caso).
Si potrebbe cinicamente suggerire che la mobilitazione della società civile
italiana su questi temi - caratterizzata da rivendicazioni assai deboli e povera
di proposte che guardino oltre l'abolizione (sacrosanta) del reato
d'immigrazione clandestina - sia lo specchio di una comunità in frantumi.
Eppure, anche un governo "socialista" di una repubblica "illuminata" ha commesso
in questo caso lo stesso errore: un pressappochismo politico e culturale,
purtroppo comune alle democrazie europee che si vedono impegnate in quella
mission impossible che è il controllo dei flussi migratori.
Il ministro Valls si è più volte mostrato preoccupato dalla questione Rom,
arrivando a sostenere che i circa ventimila presenti sul suolo francese
andrebbero espulsi poiché particolarmente
restii a qualsiasi tipo di integrazione.
Sembra inoltre che il motivo di questa recente espulsione sia in parte legato al
carattere violento del capofamiglia,
già segnalato alle autorità francesi dalla famiglia stessa di Leonarda.
Trovo necessaria, a partire da quest'ultimo elemento un'ulteriore riflessione
sulle conseguenze sociali e politiche di tali misure.
Il Kosovo è impegnato da qualche anno in una difficile e ben poco efficace lotta
nei confronti della violenza domestica. Da un punto di vista sia culturale che
legislativo, la violenza domestica stenta ancora a venire considerata reato, e
il numero di denunce (circa un migliaio all'anno) è ben poco rappresentativo
dell'effettiva
entità del problema.
Nelle zone rurali, e nelle sacche di marginalità alle quali specialmente le
famiglie Rom sono costrette, tali episodi vengono raramente segnalati alle
autorità, e difficilmente ricevono una risposta efficace sul lungo periodo.
I centri di assistenza per donne vittime di abuso sono soltanto sette, con
un'operatività purtroppo limitata. Non riescono ad avere una copertura capillare
sul territorio, e spesso faticano a raggiungere le componenti più emarginate
della popolazione - per lo più famiglie Rom e di altre minoranze etniche rurali
e suburbane.
Quand'anche le vittime riuscissero ad avere accesso alla protezione e assistenza
offerte da questi centri, il rischio del loro ritorno all'ambiente violento dal
quale sono fuggite rimane altissimo. Non esiste infatti un serio programma di
inserimento nel mondo del lavoro - in un paese in cui
la disoccupazione
femminile risulta al 40%, e quella giovanile supera il 55% - e la mancanza
di indipendenza economica riporta inevitabilmente le vittime al contesto sociale
dal quale hanno cercato di distanziarsi.
Come osserva uno studio dell'UNICEF (Verena Knaus 'No place to call Home -
Repatriation from Germany to Kosovo as seen and experienced by Roma, Ashkali and
Egyptian children'August 2011, p.25), dei bambini di etnia Rom e Ashkali
rimpatriati in Kosovo nel 2010, solo uno su quattro frequentava la scuola
dell'obbligo. Numerosi procedimenti legali sono stati avviati nei confronti del
Ministero dell'Educazione, in seguito alla discriminazione ed esclusione di
bambini e studenti Rom dalla scuola primaria e secondaria.
Infine, non esistono in Kosovo strutture o programmi volti a offrire un supporto
sociale e psicologico nei confronti dei rifugiati rimpatriati in Kosovo. In
particolare, si riscontrano numerosi episodi di disturbo fisico e mentale tra
quei bambini che si ritrovano a un tratto rispediti nella propria terra
d'origine, con la quale tuttavia non hanno avuto, fino a quel momento, alcun
contatto ('SILENT HARM- A report assessing the situation of repatriated
children's psycho-social health', March 2012, UNICEF Kosovo in cooperation with
Kosovo Health Foundation).
Tenendo presente quanto riportato, l'espulsione di Leonarda lascia quindi spazio
a una duplice considerazione.
Se confidiamo nella sostanziale buona fede del ministro Valls, che sta "solo
applicando la legge vigente" (a questo punto, chiunque avesse letto Hannah
Arendt verrebbe scosso da un brivido lungo la schiena), possiamo immaginare che
il ministro, semplicemente, non sia a conoscenza della situazione dei Rom in
territorio kosovaro.
Questo, allora, mostra la feroce efficacia della linea Frontex nel rendere
l'Europa politicamente e culturalmente impermeabile a ciò che avviene negli
stati immediatamente al di là di un muro istituzionale e burocratico.
Un'Europa claustrofobica e sorda, eppure strenuamente impegnata nella
standardizzazione democratica dei paesi limitrofi, primariamente di area
balcanica.
É nostra responsabilità fronteggiare e reagire alle problematiche che emergono
soltanto al di qua di un immaginario, arbitrario e mobile confine.
Se così fosse, allora il processo di espansione dell'Unione verso Est - già
avviato con l'ingresso della Croazia - può considerarsi fallito in partenza.
Se invece ci atteniamo alle precedenti dichiarazioni del ministro Valls - da
tempo promotore dello sgombero forzato dei campi e dell'espulsione dei Rom
francesi
"oltre
i confini" poiché "non esiste altra soluzione" - si può allora considerare
il rischio di una mentalità politica che ancora fa riferimento al concetto di
Stato-Nazione.
I Rom vanno rispediti verso il loro territorio di provenienza (lo Stato) e
di conseguenza verso una società e una cultura (la Nazione) che
necessariamente li rappresentano, poiché inestricabilmente legate al territorio
da cui sono scaturite. L'appartenenza alla comunità civile, e l'appartenenza
allo stato istituzionale devono, necessariamente, coincidere. E questa
impalcatura, questo costrutto sociale va imposto e rispettato da chiunque voglia
muoversi all'interno di esso.
É forse un caso che siano proprio i Rom, una comunità le cui radici scardinano
questa identità tra Stato e Nazione, ad essere le principali vittime di tale
ossessione?
Gli stati europei sono ancora alla ricerca di una chimera, l'omogeneità tra il
cittadino e il membro della comunità nazionale.
Finché gli esponenti politici europei saranno impegnati in questa lotta contro i
mulini a vento, i diritti civili dell'individuo verranno, inesorabilmente,
confinati a spazi sempre più ristretti.
Di Fabrizio (del 17/10/2013 @ 09:01:59, in Europa, visitato 2007 volte)
Premessa: la notizia è già vecchia e digerita, l'informazione online ha
tempi spietati.
Parto allora da un mese fa, 18 settembre:
Grecia, vi ricordate? Nella foto c'è tutto e il suo contrario:
maniche corte estive, un trenino per turisti (o per bambini), passanti
indifferenti, una signora grassa, la fisarmonica e... la protagonista di cui non
sappiamo niente.
LA FOTO INDIGNA IL WEB era il commento riportato da tutti i media, che poi
sono gli stessi che quando si parla di cose mooooolto più serie, ripetono che
l'Italia rischia di fare la fine della Grecia. Già, ma forse intendono altro.
INDIGNARSI: so che è un sentimento comune (non azzardatevi a
chiamarci BUONISTI, siamo solo umani). A me successe al tempo della
vicenda di
Natalka: bruciata viva da una molotov a Kosice. Poi, la lunghissima degenza,
la solidarietà che sollevò il suo caso in uno dei paesi più razzisti d'Europa,
solidarietà che fu più forte dei commenti (postumi) sprezzanti e derisori dei
neonazisti, e dei perbenisti che accusarono i genitori di voler speculare su
quanto era successo. Ma quante volte una persona può indignarsi, per quanto
tempo? A ogni cronaca simile mi sento più povero e deprivato, nel senso di
impotente.
Neanche un mese dopo la Grecia,
indignazione, di nuovo. Siamo a Napoli, e suona nella mente un campanello
d'allarme: perché li vicino ci fu il pogrom di Ponticelli, a Torregaveta due ragazzine
rom annegarono nell'indifferenza generale, in città ci fu l'omicidio di
Petru Birladeanu.
Leggo l'articolo e il quadro è diverso dalle cronache passate: la gente del
quartiere ha preso le parti della romnì e del bambino, ha cercato come poteva di
aiutarla.
Lo stesso appare nell'altro video di
Leggo: gente normalissima, che non si pone il problema di essere giudicata
razzista o antirazzista. Poi, torna quel sottile veleno che i giornali sanno
distribuire così bene: "La donna, che probabilmente non è la madre, è
sparita dopo aver strappato di dosso gli abitini bruciati alla piccola."
Cosa si intende con probabilmente non è la madre? La donna è
sparita, come racconta Leggo, o ha ricevuto le prime cure dal benzinaio, come
scrive il Corriere del Mezzogiorno? E, ammesso che abbia importanza, quale paura
può avere una madre rom a Napoli?
Napoli, ma potrebbe essere Grecia, Milano, Parigi o Mosca... Anche con la
gente migliore del mondo, si vive sapendo che essere Rom comporta dei rischi,
magari da parte di qualcuno che non c'è con la testa, e che se ci si trova a
Ponticelli, a Opera, alle Vallette nel momento sbagliato, la pazzia può
diventare collettiva.
Con i bambini, visto che l'infanzia è sacra, che diventano il bersaglio per
misurare il disprezzo etnico. Non solo nei fatti, provatevi a leggere qualche
commento sui forum razzisti, per perdere ogni fiducia nel futuro di questa
umanità.
Oppure no, un po' di fiducia rimane. Qualche anno fa, passai per una
brutta depressione. Non mi guarirono gli psichiatri o altri specialisti. Fu un
campo rom, uno di quelli che sono il simbolo mediatico del degrado. Pieno di
amici che conoscevo da anni e della loro unica ricchezza: un esercito costante
di figli. Giocando con loro, iniziai a migliorare.
Di Fabrizio (del 16/10/2013 @ 09:05:47, in Europa, visitato 1498 volte)
di Ettore Bianchi -
Italia Oggi
Niente soldi Ue per gli zingari
Nei quartieri rom prende piede l'islamismo radicale
Gli zingari bulgari non hanno peli sulla lingua e lanciano l'accusa: dei fondi
dell'Unione europea qui non arrivano che le briciole. A parlare è Orhan Tahir,
rom e presidente di un'organizzazione non governativa che li rappresenta. Gli
fanno eco i portavoce dei 60 mila zingari che vivono a Stolipinovo, quartiere
della città bulgara di Plovdiv che si trova a un centinaio di chilometri a
sudest della capitale Sofia: da anni veniamo attaccati per questa storia dei
fondi comunitari, ma non siamo noi a beneficiarne.
La spiegazione fornita da Anton Karaguiozov, responsabile dell'associazione
locale Roma, è che i soldi destinati ai rom sono trattenuti dai bulgari: essi
sono più smaliziati e preparati, sanno come muoversi nei meandri della
burocrazia e come redigere correttamente le complicate domande di sovvenzione.
Così gli zingari si prendono la colpa, gli altri i cospicui flussi di denaro.
Ma non è finita. Perché, secondo Karaguiozov, in quello che ormai è diventato un
ghetto si continua a essere scambiati per romeni: noi invece, dice il portavoce
degli zingari, non rubiamo e ci accontentiamo delle entrate provenienti dalle
nostre attività lavorative. Tradotto, significa vivere di aiuti sociali e di
espedienti: contrabbando di sigarette, recupero di rottame, vendita di vecchi
prodotti usati. Uno dei problemi principali è quello della formazione
scolastica: gli insegnanti, dice ancora Karaguiozov, prendono la loro
assegnazione a Stolipinovo come una punizione e si accontentano di fare il
minimo indispensabile. Così le famiglie non muoiono dalla voglia di mandare i
figli a lezione.
Intanto i servizi di sicurezza rilevano il forte rischio della penetrazione
dell'Islam radicale in questi gruppi sociali sempre più emarginati. Orhan Tahir
afferma che si tratta di bombe a orologeria. Il guaio è che lo stato bulgaro,
troppo debole e privo di una politica coerente sugli zingari, è praticamente
assente.
Quanto ai fondi distribuiti da Bruxelles, Tahir precisa che i rom sono inclusi
nel vasto gruppo delle persone vulnerabili, che comprende varie categorie
sociali che vanno dalle ragazze madri ai carcerati sulla via del reinserimento
sociale. Di fatto, sono i poteri locali a decidere sull'assegnazione e sulle
priorità. Rom e zingari si trovano in fondo alla lista. Tahir lancia quella che
a prima vista ha tutta l'aria di essere una provocazione, ma che non lo è
affatto secondo il diretto interessato: se domani l'Europa decidesse di
interrompere la distribuzione di questi soldi, vi assicuro che i rom neppure se
ne accorgerebbero. Inoltre, prosegue, quando sento Viviane Reding (la
commissaria Ue per la giustizia e i diritti) annunciare decine di miliardi di
euro previsti per i rom, mi metto le mani nei capelli e mi domando in che mondo
vivano questi politici e funzionari a Bruxelles.
Intanto, nei ghetti, la gente continua a vivere senza acqua corrente né servizi
essenziali. E perfino il ministro degli interni francese, Manuel Valls,
socialista, si è messo in concorrenza con la destra di Marine Le Pen affermando
che i rom devono andarsene dalla Francia. Non è soltanto una questione di soldi.
Di Fabrizio (del 12/10/2013 @ 09:08:05, in Europa, visitato 1343 volte)
Nessun accesso ai servizi sanitari ai Rom senza tessere sanitarie
01-10-2013 10:15 by Aleksandar Dimishkovski
Uno studio sull'erogazione dell'assistenza sanitaria a Rom ed Egizi in un
comune albanese, ha trovato che molti membri di queste comunità non hanno
accesso ai servizi pubblici sanitari più richiesti, semplicemente perché non
hanno tessere sanitarie.
Nello studio, commissionato dal progetto Best Practices for Roma Integration
(BPRI), il 79% dei 175 Rom intervistati nel comune di Shushicoe,
nell'Albania del sud-ovest, dicono di non avere una tessera sanitaria, e questo
è identificato come il maggiore ostacolo nel loro accesso ai servizi sanitari,
quindi con un impatto negativo sulla loro salute.
La ricerca è firmata da Bledar Taho, a capo dell'Istituto di Cultura Romanì
di Albania, organizzazione giovanile locale che promuove una maggior protezione
dei diritti umani dei Rom. Taho è tra i sette giovani Rom dei Balcani
occidentali, scelti da BPRI per studiare e identificare i gap tra legislazione e
prassi effettive nell'integrazione delle comunità rom nella regione.
Dice: "Il governo centrale deve modificare la legge per assicurare che ogni
residente nel paese abbia diritto all'assistenza sanitaria universale, anche se
disoccupato o non registrato presso un'agenzia del lavoro governativa."
Lo studio di Taho fornisce anche una panoramica sulle condizioni di vita dei
Rom a Shushicoe, con il 77% degli intervistati che valutano i servizi
di igiene pubblica nel loro quartiere come poveri o molto poveri. Tre quarti
degli intervistati si dicono insoddisfatti del servizio di raccolta dei rifiuti.
"Per molti Rom, un aspetto chiave del processo di integrazione è migliorare
l'accesso ai servizi pubblici, che dovrebbero già comunque essere a disposizione
di tutti i cittadini," dice
Judith Kiers, project manager di BPRI. "Se saremo in grado di individuare e
superare alcuni degli ostacoli che impediscono ai Rom l'accesso a servizi
pubblici come sanità e istruzione, potremo sostenere veramente il loro processo
di integrazione."
Taho, già attivo nell'incoraggiare i giovani Rom a partecipare alla vita
pubblica e ai processi decisionali, dice di sperare che la sua ricerca serva
come strumento di ausilio.
BPRI è un progetto regionale finanziato dall'Unione Europea, sostenuto dai
paesi che partecipano all'OSCE e sviluppato dall'Ufficio per le Istituzioni
Democratiche e i Diritti Umani (ODIHR). Il progetto sostiene programmi
innovativi per promuovere la maggior partecipazione rom nella vita pubblica e
politica e nel processo decisionale, aiutando a combattere la discriminazione e
contribuendo a migliori condizioni di vita.
Lo studio è disponibile in tre lingue:
Di Fabrizio (del 24/09/2013 @ 09:07:35, in Europa, visitato 1637 volte)
su Le parole, i pensieri -
Autore: Moni Ovadia -
Data: 2013-09-21
L'Unità
I paesi che si definiscono democratici, ogni giorno della loro esistenza
conoscono, tollerano, accettano e persino favoriscono violazioni delle leggi,
abusi del diritto, attentati ai loro ai principi fondamentali sotto lo sguardo
benevolo e spesso con la complicità delle loro istituzioni nazionali e locali.
Molti cittadini non danno alcun peso a questo scempio soprattutto se le
ingiustizie, anche se ignobili, non li riguardano direttamente.
Costoro non pongono domande cogenti alle istituzioni per chiedere ragione delle
patenti trasgressioni della legalità che umilia e offende il loro Paese. Anzi,
talora, "bravi" cittadini chiedono che le istituzioni violino le leggi per
servire loro interessi o privilegi particolari. Lo status di cittadino di una
nazione democratica, conferisce straordinari diritti ma pretende contestuali
doveri, primo fra tutti il rispetto attivo della Carta Costituzionale per dare
applicazione autentica alle sue leggi e per vigilare che non vengano infrante da
nessuno, tanto meno dalle Autorità. Porre domande e pretendere risposte dalle
istituzioni, è lo strumento principe per esercitare tale vigilanza. Io faccio
parte di quegli italiani che prendono molto sul serio il diritto/dovere di
cittadinanza e non rinuncio per nessuna ragione a porre domande e a pretendere
risposte.
Il diritto all'uguaglianza è garantito a tutti i cittadini di questo Paese e a
tutti gli esseri umani che vi abitano? Anche ai rom e ai sinti? Allora perché
continuano a venire segregati, discriminati, rinchiusi e sgomberati? Le
minoranze hanno diritto a vedere riconosciute le loro prerogative e ad ottenerne
la tutela? Anche i rom e i sinti? Allora perché non hanno ancora avuto lo status
di minoranza linguistica com'è capitato ad altre popolazioni? Perché le pur
importanti proposte di legge al riguardo, secondo l'autorevole parere di
giuristi competenti, hanno scarsissime possibilità di essere votate e approvate
dalle camere? Solo perché si tratta di "zingari"? La dignità della persona è
dotazione originaria di ogni essere umano? Anche del rom e del sinto? Allora
perché è lecito a gruppi di cittadini parlarne come di oggetti ingombranti e
nocivi di cui rifiutare la vicinanza? Perché tale linguaggio non è sanzionato
come incitamento all'odio e al razzismo? Le vittime di persecuzioni e genocidi
hanno diritto al riconoscimento ed al risarcimento? Perché rom e sinti no?
Noi cittadini italiani che riconosciamo nel diritto di cittadinanza un valore
irrinunciabile, pretendiamo risposte alle nostre domande e chiediamo che vengano
presi i provvedimenti necessari per dare piena applicazione alle leggi. Non
siamo più disposti a tollerare sgomberi, deportazioni, vessazioni contro i
nostri concittadini rom e sinti.
PS:
Moni Ovadia sarà a Milano mercoledì 25 settembre alle 18.30, con Marco
Rovelli e Jovica Jovic, per la presentazione di:
Di Fabrizio (del 14/09/2013 @ 09:09:17, in Europa, visitato 1595 volte)
Ero partito con tanti dubbi e con tante domande: sarebbe riuscito un attivista
per i diritti LBGT a integrarsi all'interno di un' iniziativa internazionale che
ha visto la partecipazione di oltre 400 Rom da tutta Europa?
Inoltre portavo dentro di me la terribile esperienza dei fatti di Ponticelli del
maggio 2008. Già all'epoca sapevo da che parte stare, ma i Rom, li avevo
conosciuti solo "a distanza” e tutto quello che avevo fatto e le posizioni che
avevo preso contro quei terribili atti furono piuttosto dovute al mio attivismo
politico che non ad un coinvolgimento reale.
Cosa sarebbe cambiato quattro giorni dopo la mia partenza per Cracovia era una
scommessa di cui non conoscevo l'esito. E così il 31 luglio siamo partiti con il
resto della delegazione della Rete Near e appena arrivati abbiamo incontrato il
resto della delegazione italiana. Già questo primo e semplice incontro è stato
per me una sorpresa, mi son sentito da subito accolto e come se fossi a casa.
Ho scoperto, tra le tante cose che ignoravo, che c'è un forte senso di famiglia
nella comunità rom, ed io volevo farne parte. Due giornate sono trascorse tra
vari Workshop, per i quali ci siamo dovuti dividere in gruppi.
Workshop sui diritti umani, sull'attivismo, sulle strategie d'azione, sul
genocidio del 2 agosto. Una produzione immane di lavoro per l'organizzazione, un
imbarazzo enorme per me che dovevo scegliere a quale partecipare. Il primo
agosto si tiene una importante conferenza all'università con la partecipazione
di tutto il maxi-gruppo, alla presenza di autorevoli esponenti della comunità
rom internazionale e di esponenti del consiglio d'Europa. Ma sono sempre i
giovani rom a farla da padrone, in particolare le ragazze rom, con il loro
inglese perfetto che moderano, con tempi europeissimi, la discussione dei
convenuti.
La conferenza è l'occasione per un componente della nostra delegazione (Juliò),
per fare un intervento sulla necessità di essere tutti uniti e di combattere
insieme contro tutte le discriminazioni, quale che ne sia il motivo.
Mi è sembrato di aver ascoltato Martin Luther King, applausi copiosi per lui e
un manuale Compass seconda edizione nuovissimo tutto per me, in omaggio, preso
sul banchetto all'esterno dell'aula.
Il 2 Agosto ci siamo svegliati prestissimo, è stata la giornata più intensa. La
nostra visita ad Auschwitz e Birkenau. Avevo già visitato il campo di
Sachsenhausen in Germania nell'ambito di una conferenza internazionale lgbt, ma
questa volta era diverso. Questa volta non c'erano solo i nostri triangoli rosa
sullo sfondo ma tante Z nere. Ancora una volta ho rivissuto l'orrore della
lucida follia nazista che a tratti, per la sua esagerazione mi sembrava quasi
surreale. Dopo la visita al campo, presso Birkenau, abbiamo tenuto la cerimonia
di commemorazione, un altro momento molto intenso, non tanto per il rito in se,
ma perché per me è stato il momento per digerire ciò che avevamo visto poco
prima, insieme al campo sconfinato ricolmo di camini, pali di filo spinato
elettrificato e la polvere stessa che si alzava da terra e tornava a cadere come
in un non-luogo dove il tempo sembrava essersi fermato a 69 anni prima a quella
terribile giornata del 2 agosto 1944 che adesso sentivo un po anche mia.
Le varie notti passate in albergo con il resto della delegazione, che ormai
sentivo sempre più come una comitiva, sono trascorse tra sorsi di vodka polacca
e qualche racconto e interscambio fra la cultura rom e la comunità lgbt; quelli
per me sono stati momenti molto interessanti, al pari di tutto il resto o forse
con una importanza ancora maggiore per via del fatto che ho imparato delle cose
che assolutamente ignoravo e che mi porterò per sempre dentro. La parte peggiore
ovviamente è stato il ritorno a Napoli, seppur credo di aver lasciato un
pezzettino di me laggiù.
La tristezza legata al ritorno è mitigata soltanto dal ricordo dei momenti da
poco trascorsi e dalla consapevolezza che qualcosa è cambiato. Siamo partiti con
delle idee, ma siamo tornati con la consapevolezza che fare qualcosa è
necessario.
Quello che abbiamo visto li, quel 2 agosto, rischia di continuare a sopravvivere
nelle discriminazioni che quotidianamente vengono perpetrate nel mondo, alle
quali noi tutti ci dobbiamo opporre.
Rom, ebrei, omossessuali, disabili, oppositori politici, noi tutti abbiamo avuto
un triste destino comune, ma insieme possiamo scrivere ancora un futuro luminoso
e brillante come tutti i colori della nostra bandiera.
Perchè i colori da soli sono solo sfumature, insieme diventano arcobaleno!
Ora che abbiamo visto non dimenticheremo.
DIK I NA BISTAR!
Fabrizio Sorbara
Sono Fabrizio Sorbara. Ho 27 anni e studio Sociologia a Napoli, dopo aver
frequentato Scienze Politiche. Faccio parte del”Arcigay dal 2007. Ho partecipato
al movimento studentesco dell'onda come responsabile del mediacenter di
unionda.it. Nel 2009 sono stato eletto Presidente di Arcigay Napoli. Nell'estate
del 2010 sono stato tra gli organizzatori della manifestazione nazionale "Napoli
Pride 2010" e nel 2011 sono stato eletto come primo presidente del Coordinamento
Campania Rainbow, raggruppamento di associazioni glbtqi a livello regionale.
Durante il XV Congresso Nazionale di Arcigay sono infine stato eletto in
segreteria nazionale con la delega giovani e scuola.
Arcigay è un'associazione senza scopo di lucro, nata nel 1985, che opera su
tutto il territorio nazionale la realizzazione dell'uguaglianza tra individui a
prescindere dall'orientamento sessuale e dall'identità di genere. Le sue
attività includono informazione, prevenzione, e difesa dei diritti della
comunità lgbt (lesbica, gay, bisessuale e trans) e opera per la crescita e la
diffusione delle sedi locali che agiscono a livello regionale, provinciale e
cittadino. Arcigay collabora con altre associazioni non governative italiane ed
europee e con le principali istituzioni nazionali ed internazionali.
Di Fabrizio (del 18/08/2013 @ 09:02:27, in Europa, visitato 1507 volte)
Notizia curiosa di
otto anni fa
The Local Gruppo rom: "Zigeunersauce" è offensivo 15 Aug 2013 12:40 CET
Un gruppo di Sinti e di Rom sta chiedendo alle aziende alimentari tedesche
di cambiare il nome della popolare Zigeunersauce, "salsa zingara". Ma i
produttori non hanno fretta di ristampare le etichette.
Per i Tedeschi, la "salsa zingara" è una salsa unta, di pepe e pomodoro, con o
senza cipolle. Ma per il ramo di Hannover dell'organizzazione culturale del
Forum Sinti e Rom, il nome è offensivo.
Il termine Zigeneur, o zingaro, è carico di connotazioni negative, dice
l'avvocato
Kerstin Rauls-Ndiaye, che lavora presso l'ufficio legale che ha inviato una
lettera a cinque dei principali produttori di alimenti, chiedendo loro di
cambiare quel nome.
Anche se, ha detto al Sueddeutsche Zeitung, "è chiaro che non vogliono
discriminare nessuno usando quella parola in relazione ad una salsa o a una
cotoletta," Rauls-Ndiaye spiega che andrebbe cambiata.
Markus Weck, direttore del marchio alimentare Weck, ha detto al giornale che "i
clienti sanno esattamente cosa stanno acquistando, quando comprano la Zigeunersauce.
Ciò significa che non sarà facile cambiarne il nome," ha aggiunto, sottolineando
nel contempo che la compagnia sta valutando seriamente la richiesta.
Riguardo alla lettera, Weck ha detto che "fin quando la richiesta sarà un caso a
sé stante, non si sentiranno in obbligo di fare qualcosa." Ma se diventasse
evidente che un vasto gruppo di persone si sentisse offeso dal nome, allora vi
ripenserebbero.
Il gigante alimentare Unilever ha risposto con toni e argomenti simili al Sueddeutsche Zeitung,
aggiungendo di essere aperto al compromesso. Ma perché avvenga questo
compromesso, la compagnia dice che avrebbe bisogno di conferma dalle comunità
rom e sinti sul fatto che il nome sia offensivo.
Il consiglio centrale in Germania dei Rom e dei Sinti dice di comprendere la
lamentela del forum. Ha detto al giornale che mentre il termine "zingaro" era
tecnicamente neutrale, "ha mostrato un chiaro collegamento con preconcetti
estremamente negativi o persino stereotipi razzisti."
Tuttavia, non ha chiesto un cambio del nome Zigeunersauce.
|